Ghizzoni: approvati nostri emendamenti su reclutamento docenti scuole e atenei. “Per il momento sono tre gli obiettivi raggiunti dal Pd in sede di discussione del Milleproroghe: l’inserimento dei docenti abilitati nelle graduatorie ad esaurimento, la ripartizione a tutte le università – quindi senza esclusione di quelle che hanno superato il rapporto del 90% tra spese di personale e risorse del fondo di finanziamento universitario – del piano straordinario di reclutamento per professori associati e la possibilità per i comuni di poter procedere all’assunzione supplente del personale dei servizi educativi e dell’infanzia. Manca ancora l’approvazione del nostro emendamento che prevede la possibilità per il personale della scuola di andare in pensione con il previgente regime maturando i requisiti entro il 31 agosto 2012. Se questo avvenisse saremmo davanti ad un vero poker d’assi a dimostrazione della discontinuità con le scelte politiche precedenti. Proseguiremo su questa linea anche per affrontare i futuri provvedimenti, costruendo un’interlocuzione con il governo sui temi, quali scuole e università, ai quali il PD affida la massima priorità per uscire dalla crisi e avviare una stagione di solido sviluppo”. Lo dichiara la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni.
Latest Posts
"Avanti con l'asta" di Luca Landò
Il ministro “spegne” il beauty contest? Passera non l’ha detto e non lo dice, ma le parole usate ieri per rispondere alle domande sull’assegnazione delle frequenze digitali lasciano intuire che il concorso di bellezza, curiosa procedura inventata dal suo predecessore Paolo Romani, ha i giorni contati.
Potrebbe cadere già domani, quando Passera spiegherà al Consiglio dei ministri «le
decisioni che intende assumere». Sarebbe il giusto epilogo di una “gara senza competizione”, ideata per portare in dote a due soli concorrenti, Rai e Mediaset, i
canali liberati nel passaggio dall’analogico al digitale. Con un dettaglio non trascurabile: perché “l’assegnazione secondo Romani” sarebbe dovuta avvenire
gratuitamente, una dote appunto, un regalo dello Stato ai due principali attori del mercato televisivo, con tanti saluti alla pluralità dell’informazione e al rispetto dei conti. Proprio quest’ultimo, forse, è stato l’argomento che più di tutti ha convinto Monti, tramite Passera, che era giunto il momento di rivedere le decisioni del governo Berlusconi. Perché è difficile, in piena tempesta economica, chiedere di stringere la cinghia da una parte e fare regali dall’altra, soprattutto quando si
tratta di un bene pubblico come l’etere o, come direbbero gli ingegneri, dello spettro
elettromagnetico delle telecomunicazioni.
Tra le frasi pronunciate ieri al question time, c’è un passaggio che non lascia dubbi in proposito: «La procedura del beauty contest è stata prevista in un contesto
economico e sociale molto diverso dall’attuale. Nel momento in cui il governo chiede sacrifici ai cittadini ha il dovere di dimostrare di saper valorizzare al massimo le risorse dello Stato». Non è tempo di regali, insomma. Fa certo piacere scoprire che
buon senso e ragionevolezza non siano più fattori in via d’estinzione, nemmeno in un
settore che sembrava ormai dominio di interessi privati e intoccabili. Detto questo, è bene ricordare che la vicenda non è affatto terminata. Perché non basta annullare il beauty contest: bisogna anche organizzare un’asta pubblica con regole chiare e trasparenti, una gara pulita e aperta da indire entro l’anno e con una base di partenza che attiri il maggior numero di operatori, anziché escluderli come fatto
finora. Perché insieme all’aspetto economico, non trascurabile di questi tempi, sarebbe bene rispettare il principio, troppo a lungo dimenticato, della pluralità
dell’informazione. L’Argentina, nel 2009, lo ha fatto destinando per legge il 30% delle frequenze alle organizzazioni non profit. Ci sono molti altri modi, non vi è
dubbio, e siamo sicuri che a questo governo non mancano le capacità di trovare soluzioni adeguate. L’auspicio è che il passaggio dal beauty contest all’asta pubblica segni anche il primo passo verso una riduzione dell’annoso conflitto di interessi e un allargamento dei soggetti in campo. Perché un’informazione libera e plurale è un bene senza prezzo. Anche in tempo di crisi.
L’Unità 19.01.12
"Anti-camorra porta a porta", di Marina Boscaino
Bisogna eliminare il legame tra povertà e dispersione scolastica, creando un progetto ad hoc per la città e la Regione”; così Profumo un mese fa, a Napoli. Napoli-dispersione: binomio quasi automatico. Scampia – come Zen a Palermo – luogo “rinomato” solo per questa triste propensione. Qualche tempo fa un mio caro amico napoletano mi segnalava un articolo dell’Espresso sulla Festa dei Gigli, al quartiere Barra. Alla presenza della cittadinanza locale – bambini inclusi –, colonna sonora quella del Padrino di Coppola, in una festosa atmosfera da saga paesana, pericolosi boss della camorra suggellavano – stretta di mano e bacio sulle labbra – il proprio arrivo alla festa, organizzata da uomini dello stesso clan. E, nel corso della celebrazione collettiva, si ratificava il patto di sangue tra Angelo Cuccaro e Andrea Andolfi, pericolosi boss della zona. Canzoni napoletane e festa pubblica della camorra, con tanto di benedizione di devoti acclamanti e macabra liturgia da parte del parroco colluso di turno.
NON È LA rappresentazione kitsch della ‘ndrangheta semiseria di Cetto Laqualunque, sebbene ostentazione di ricchezze e volgarità siano le stesse. Non fa ridere. Ma non è un film dell’orrore, non è finzione, immaginazione, parossismo. È la rappresentazione dell’orrore, una delle tante cui sono esposti bambini e ragazzi di una zona di uno dei Paesi più ricchi del mondo, con il patrimonio artistico e culturale maggiore di tutto il pianeta. Nell’indifferenza generalizzata, considerato che la testata è ritornata ben due volte sull’increscioso argomento. Ma tutto tace. Insensibilità o rimozione, accettiamo che cittadini in formazione del nostro Paese socializzino l’opzione camorristica. Senza tutele, senza attenzione. Nella logica da catarsi collettiva che consente, impietosendosi per un giorno e dimenticando il problema per i successivi 364, di tacitare coscienze e sentirsi un po’ migliori, ha suscitato scalpore a tempo determinato (ce ne siamo già tutti scordati) la vicenda di Eugenia Carfora, dirigente della scuola media Viviani di Caivano, Napoli, che – in una solitaria opera di eroico volontariato (gli eroi di oggi sono sempre isolati volontari) – fa quasi ogni giorno un giro porta a porta per condurre in classe i figli recalcitranti di una delle zone più disperate – e più disperse – d’Italia. Questo presidio di civiltà – la scuola – è stato saccheggiato a più riprese, anche nei suoi arredi minimi, banchi e sedie; disertato a colpi di certificati medici da parte dei docenti, che in un luogo così problematico non vogliono stare, rischia di chiudere, per il numero limitato di alunni. Per il momento non riceve risposta la richiesta della dirigente di accorpamento con un alberghiero e un laboratorio di mestieri, per creare un percorso di continuità per gli alunni: l’idea che la scuola, almeno, si prende cura del loro povero futuro.
PROFUMO ha convocato a Roma Eugenia Carfora il 30 novembre, per ascoltarla. “Vedremo insieme come risolvere questo problema. Lei non è sola”. Aspettiamo. L’Italia è una, ma le sue realtà sono molte. Se la scuola è e deve rappresentare un modello di società, l’emergenza sociale di molte zone del Meridione non può non riflettersi su di essa, sul suo personale, su consapevolezza del mandato costituzionale, motivazione, disponibilità, coinvolgimento. E non può non riflettersi sugli studenti che, con gli stessi occhi con cui vanno a scuola, hanno visto lo spettacolo del tributo all’illegalità, alternativa tangibile e vincente a tutto ciò che lì dentro magari qualcuno ha ancora voglia di provare a insegnare loro. Quale forza d’impatto può avere la scuola – anche la migliore alla visione del mondo di bambini che, sin dalla più tenera età, partecipano alla luce del sole a cerimonie di investitura dei protagonisti della criminalità organizzata e dell’anti-Stato? Quanto varia da Cuneo ad Agrigento l’orizzonte di attesa di un cittadino rispetto all’amministrazione? Varia con il mutare del panorama urbano, quello che determina il modo di percepire la realtà, la dignità della cittadinanza, il sentirsi o meno membro di una comunità che tutela e che va tutelata. Molti bambini di Napoli – come in altre parti di Italia – hanno visto e guardato, vedono e guardano, l’immondizia, concreta o simbolica non importa. I loro occhi sono contaminati, come la loro possibilità di credere nella legalità. Infine, fino a quando lo Stato intende ignorare gli enormi problemi che investono soprattutto le grandi città del Sud e continuare a confidare sulle forze di pionieri, missionari, donne e uomini di buona volontà? Fino a quando si perpetrerà lo scandalo nazionale di una catena di colpevoli e di negligenze, connivenze e rimozioni decennali?
da Il Fatto Quotidiano 19.01.12
«Non ci sono innocenti davanti al neoliberismo e ai suoi disastri sociali», intervista a Giulio Sapelli di Rinaldo Gianola
Lei vorrebbe parlare della crisi del capitalismo? Ma sta scherzando? Se lo facciamo in questo Paese ci mettono in galera». Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università Statale di Milano, ha il gusto della battuta e della polemica culturale. Discutere con lui del default del capitalismo è come andare a una festa a sorpresa, dove ci si può attendere di tutto. Professor Sapelli, anche il Financial Times è preoccupato per le condizioni del capitalismo. Magari è morto e nessuno ci ha avvertito? «Distinguiamo. Il capitalismo neoliberista è fallito, non ci sono dubbi. Il capitalismo tout-court non ancora. Vedremo».
Un requiem per il neoliberismo?
«Sicuramente, anche se molti continuano a far finta di niente. Il capitalismo neoliberista si è dimostrato incapace di procurare sviluppo e benessere. Nei paesi dell’Ocse si contano 250 milioni di disoccupati di cui almeno 60-70 milioni sono disoccupati strutturali, destinati a restare senza lavoro per sempre. È una cosa che fa tremare i polsi perchè parliamo di paesi con sistemi politici democratici ed economie avanzate. Oggi misuriamo il fallimento neoliberista. Un secolo dopo dobbiamo rendere omaggio aRudolf Hilferding che nel suo “Il capitale finanziario” immaginava la prevalenza della finanza sul capitalismo industriale, anche se veniva svillaneggiato da Lenin e Plekhanov».
Oggi siamo in mezzo ai guai per il neoliberismo…
«Certo. Il neoliberismo si è presentato come un megacapitalismo con qualche cosa in più e di peggio: un nichilismo morale di massa che ha alimentato l’ingiustizia, la diseguaglianza sociale».
Data di nascita del capitalismo neoliberista e principali sostenitori-responsabili?
«L’anno è il 1989. Il neoliberismo inizia quando la Securities exchange commission (Sec), la Consob americana, autorizza la libera contrattazione sul mercato dei prodotti derivati, di finanza strutturata. È la svolta, assieme alla nuova disciplina delle banche d’affari e commerciali. Anche in Italia c’è un segnale forte con Amato e Ciampi che mettono in soffitta la legge bancaria del 1936. Inizia la stagione del capitalismo deregolato».
Adesso fuori i nomi.
«Ronald Reagan, la signora Thatcher. Ma storicamente è sbagliato pensare che il neoliberismo sia solo il prodotto di quella destra. La deregulation come ideologia di massa viene perfezionata e divulgata da Bill Clinton e da Romano Prodi. Nessuno può dirsi innocente davanti ai disastri del neoliberismo. L’unico che in Italia comprese il pericolo di quel nichilismo fu Cossiga, uomo della intelligence democristiana».
Il capitalismo ha ancora speranza?
«Il suo futuro è incerto. Io spero in un capitalismo ben temperato, polifonico, che convive con imprese non capitalistiche il cui obiettivo non è massimizzare il profitto, ma garantire il lavoro, la collettività. Ho fiducia nella filosofia dell’impresa cooperativa, nella divisione delle ricchezze nelle piccole comunità».
Ma queste idee non maturano da sole. Ci vorrebbe la politica, non crede?
«Certo. Ma guardiamo la realtà. Le classi politiche del mondo avanzato sono state conquistate o acquistate dal neoliberismo. Non c’è ministro del Tesoro che non sia stato dipendente della Goldman Sachs. In Italia il governo è guidato dall’ex rettore della Bocconi, che dovrebbe salvare la patria. Si rende conto in che condizioni siamo? La Bocconi è portatrice di un’ideologia neoliberista di serie B e Mario Monti è chiamato a fare il guardiano da un capitalismo subalterno, periferico e straccione. Guardi che Gramsci non aveva mica torto quando descriveva il capitalismo italiano».
Allora siamo tutti morti, non c’è più alcuna speranza politica?
«La politica tornerà, è questione di tempo. Credo nelle minoranze, nei piccoli gruppi. Ho fiducia nei movimenti sociali, anche in quelli che sono apparsi all’improvviso in America, nel mondo a contestare il capitalismo, le ingiustizie, l’arricchimento truffaldino. Ci sono alternative. Grandi paesi come il Canada e l’Australia non sono stati coinvolti nella crisi finanziaria perchè hanno forti banche cooperative».
Da dove ripartire?
«Dal basso, con umiltà, imparando dal passato, ascoltando anche gli insegnamenti delle religioni».
La religione?
«Ha un ruolo decisivo. Il buddismo in Asia ha temperato il capitalismo. Potrebbe farlo anche il cattolicesimo, così come l’ebraismo ha avuto un’influenza positiva sull’ideologia dei kibbutz. E anche l’Islam: noi siamo preoccupati per la minaccia dell’integralismo, ma le banche islamiche sono istituzioni serie. Ricorda il famoso discorso di Togliatti a Bergamo? La religione è un potente afflato per la rivoluzione, il cambiamento sociale, la giustizia».
Se il capitalismo è così malmesso perchè la sinistra non rialza la testa?
«Perchè la sinistra ha perso la sua autonomia culturale. Non propone più nulla, qualcuno scimmiotta il neoliberismo e pensa di apparire moderno. Papa Ratzinger dice cose più di sinistra di certi leader del pd. La questione è culturale. Lo sa perchè i signori del Financial Times discutono apertamente del capitalismo e dei suoi limiti?Sono preoccupatissimi di perdere potere e interessi. Sono pronti a tutto per resistere».
E la nostra Europa?
«La mia generazione aveva in mente gli Stati socialisti d’Europa, non questa dei banchieri centrali bastardi o incompetenti. Dipenderà dalla Germania. Spero che la signora Merkel perda le elezioni, così sarà possibile un cambio di stagione. Helmut Schmidt, storico leader socialdemocratico, ha fatto di recente un grande discorso. Ha detto alla Merkel di non dimenticare che la Germania è morta se cammina davanti all’Europa. Ha avvertito che gli altri paesi non seguiranno un passo prussiano, ha chiesto di non svegliare vecchi spettri. La speranza per noi e l’Europa è la vittoria della Spd. Vorrebbe dire che il socialismo ha ancora un senso».
L’Unità 19.01.12
"Le prede più facili", di Ferdinando Camon
Pare un incontro di pugilato all’ultimo round, quando un pugile sta per crollare e l’altro gli dà i colpi di grazia. Qui a ricevere i pugni, gli urtoni e le sberle è una donna, anziana, non autosufficiente. Il petto e la testa le cadono continuamente in avanti, e davanti a lei sta un’infermiera, col camice bianco. Tu pensi: Adesso l’infermiera la sorregge, la aiuta, la sistema, la imbocca. Invece no: ogni volta che la testa della vecchietta cade giù, sul petto, l’infermiera gliela ributta indietro con un cazzotto, a volte con una sberla. Siamo in Italia, a Sanremo, in una casa di riposo. Cose del genere non dovrebbero mai accadere. Non in Italia. Non in una casa di riposo. Non a danno dei vecchi. Non sui disabili e i non-autosufficienti. Non ad opera del personale che lavora lì, e che per questo lavoro vien pagato.
Non c’è un reato, in questo comportamento, ce ne sono 4-5. Nessun codice li abbraccia tutti quanti. Quale che sia, la pena sarà inadeguata alla colpa. Le riprese sono stupende, limpide, crudeli, chiare. Valgono più di qualsiasi arringa. La telecamera dev’essere nascosta in alto, forse al di sopra di qualche armadio. Gli infermieri non ne hanno il minimo sospetto. Fanno liberamente, senza esitazione, quel che fanno sempre. Picchiano, bastonano, insultano. Si credono non-visti. E così noi, parenti delle vittime, carabinieri, semplici cittadini, li vediamo nella loro vera segreta attività quotidiana.
In una casa di riposo, a occuparsi dei vecchi e degli inabili, quelli che hanno problemi fisici o (qui ce ne sono) mentali, noi pensiamo che ci vada personale preparato, adeguato, che non prova schifo o ripulsa per chi ha bisogno del loro aiuto. Noi portiamo in case di riposo i nostri vecchi pensando che l’istituto diventa il nostro continuatore, si occupa dei vecchi con la stessa affettuosità che avremmo noi, e in più ci mette una competenza che noi non abbiamo. Questo crediamo. Separarci dai nostri vecchi ci costa, lo sentiamo come una specie di tradimento: ci han tenuti con sé finché ce l’han fatta, ora che non ce la fanno più ce ne sbarazziamo. Ma questo nostro senso di colpa è alleviato dal pensiero (che gira per il cervello di tutti coloro che scaricano negli ospizi i genitori anziani) che lì stiano meglio che a casa. Se hanno bisogno di qualcosa, lì lo capiscono prima di noi. Se hanno un problema, lo sanno senza che gli venga detto.
Invece, è doloroso dirlo, questo atroce filmato che vien da Sanremo, dove adesso ci sono quindici indagati per percosse e maltrattamenti in una casa di riposo, e quattro operatori più due infermieri sono in carcere, qui scopriamo una cosa inaudita, difficile perfino da dire, e dunque, per i lettori, da credere: qui i vecchi e gli inabili, in questa casa di riposo (mai nome fu più mendace) non sono trattati con affetto, non con professionalità, e nemmeno con neutro rispetto: qui sono odiati. Il personale che lavora in questo istituto fondato per vecchi e i malati «odia» i vecchi e i malati. Dev’essere un odio che riempie tutti, compresi i dirigenti, se il gestore dell’istituto, che è una donna, è agli arresti per il sospetto che sapesse tutto da tempo. C’è perfino una certa raffinatezza nella crudeltà di chi picchia questi degenti: c’è un’infermiera che picchia una vecchia a letto colpendola sulle caviglie con la mano a coltello. Istinto? o esperienza? o cultura? E poi dicono che siamo il Paese dei vecchi. No, siamo un Paese di prede e di predatori. E i vecchi son le prede più facili, più innocue, perché sono immobili. Due vecchi sono morti tempo fa di morte sospetta. Adesso s’indaga. Fossero morti due bambini, scoppiava il finimondo. Ma i bambini sono preziosi, mentre i vecchi non hanno importanza.
La Stampa 19.01.12
"Crisi e Porcellum ricompattano il Pd", di Rudy Francesco Calvo
Domani via all’assemblea dem: sostegno pieno al governo e una proposta condivisa contro la “porcata”. Il Pd sarà unito e coeso. E, per una volta, non sarà così solo in apparenza. L’assemblea nazionale che si apre domani alla Fiera di Roma renderà un clima effettivamente disteso, che si respira in questi giorni al Nazareno. A sancire ufficialmente il raffreddamento dei toni nei rapporti interni è stata la riunione convocata da Bersani martedì sera con tutti i big del partito sulla riforma elettorale. Le componenti dem sono d’accordo nell’analisi di una situazione che non vede ancora il nostro paese fuori dall’emergenza e, quindi, nell’inevitabile sostegno al governo Monti e ai provvedimenti che porterà in parlamento.
Bersani lo ribadirà nella sua relazione d’apertura di domani, chiedendo comunque elementi di novità. Il segretario del Pd aspetta di conoscere nei dettagli soprattutto il decreto dell’esecutivo sulle liberalizzazioni. Il suo intervento sarà dedicato comunque in ampia parte anche alle proposte per l’Europa (alle quali è dedicata la prima giornata del dibattito). Bersani ha già ribadito più volte che da Bruxelles dovrà venire un cambio di passo: «Ognuno deve fare la sua parte ma nessuno può fare da solo», è il messaggio rivolto in primo luogo alla Germania. «L’Italia sta facendo i suoi compiti – è il pensiero del segretario – adesso tutti i paesi insieme dovranno occuparsi della crescita. La recessione sta travolgendo tutta l’eurozona, di fronte a questa situazione non si può insistere su un rigore che rischia di essere eccessivo».
Su questi temi, il Pd ha definito quasi del tutto una piattaforma comune con i socialisti francesi e con la Spd tedesca. E Bersani, nel corso del pranzo a palazzo Chigi di lunedì scorso, ha chiesto ad Alfano e Casini di fare pressioni anche sul Ppe, affinché si arrivi a un impegno comune per rafforzare le istituzioni europee e intervenire con concrete misure anti-crisi. Destinatario principale, ovviamente, la Cdu di Angela Merkel.
Per il resto, i dem mantengono il loro orizzonte: una piattaforma di riforme già tracciata nei mesi scorsi, da offrire al confronto con progressisti e moderati.
Su alcuni contenuti – si sa – non tutti nel Pd la pensano allo stesso modo, ma non è questo il momento di riaprire vecchie ferite. Lo stesso discorso vale per la legge elettorale. Le esternazioni “proporzionaliste” di alcuni non erano piaciute all’ala “maggioritaria”. Ma davanti al rischio che si torni a votare con il Porcellum, il fronte dem non può non apparire compatto.
La linea è quella riassunta da Enrico Letta in un tweet: «Priorità n. 1 con nuova legge elettorale: parlamentari eletti da cittadini, non nominati da partiti. Sul resto si può discutere, su questo no». Il Pd non vuole essere accomunato ai veri difensori del Porcellum (l’asse Berlusconi- Bossi) e per questo punta a stanare Pdl e Lega. «Noi abbiamo la nostra proposta di legge elettorale – ha ribadito ieri Bersani a Napolitano, che ha proseguito il giro di consultazioni con i partiti sulle riforme – ma siamo flessibili per discutere con tutti».
E anche MoDem è disponibile a un compromesso. Stando così le cose, le uniche voci fuori dal coro in assemblea potrebbero essere quelle di Vassallo e Civati, che hanno preparato un ordine del giorno per chiedere le primarie per i parlamentari, nel caso in cui la legge non cambi. Su questo, però, nemmeno il fronte veltroniano è compatto: «Pensare di occupare anche un solo minuto dell’assemblea su fantomatiche primarie per i parlamentari è assurdo – scrive Qualcosa di riformista – si discuta, come hanno giustamente previsto gli organizzatori, de “L’impegno del Pd per il futuro dell’Italia e dell’Europa”. Senza perdere tempo in chiacchiere».
da Europa Quotidiano 19.01.12
"Professionalità docente a rischio", di Pippo Frisone
Nel novembre del 2009 prendeva corpo in modo organico un premeditato attacco ai dipendenti pubblici. Col dlgs. n.150/09, meglio conosciuto come decreto Brunetta, si gettavano le base di una pseudo riforma della pubblica amministrazione che faceva perno su premialità e riconoscimento del merito da un lato , inasprimento delle sanzioni disciplinari e autoritarismo contrattuale dall’altro. Obiettivo sbandierato, migliorare l’efficacia e l’efficienza del pubblico impiego.
Un ruolo non secondario veniva assegnato alla dirigenza.
La mancanza di risorse e il blocco dei contratti fino al 2014 ridimensionò fortemente quel disegno che in larga parte venne accantonato.
La scuola nonostante la riconosciuta specificità , rimaneva il comparto più numeroso e recalcitrante.
La Gelmini, messa all’angolo da Tremonti, s’inventò una sperimentazione sulla valutazione del merito degli insegnanti e delle scuole, di corto respiro per numero di partecipanti e per risultati raggiunti.
Accantonati merito e premialità, bloccati i rinnovi contrattuali, mortificata sempre più la contrattazione integrativa, tagliate le risorse e gli organici, a rischio gli scatti d’anzianità, rimaneva sul campo la faccia feroce di quella riforma, epigono d’una campagna mediatica contro i pubblici dipendenti- fannulloni, a più ripresa alimentata dall’ex ministro Brunetta .
Il maggior potere dato ai dirigenti in materia disciplinare si fece immediatamente sentire, a causa anche della sanzionabilità di quanti omettevano o trascuravano d’intraprendere l’azione disciplinare nei confronti dei loro dipendenti.
Nella scuola i dirigenti passarono dall’avvertimento scritto alla possibilità di comminare sospensioni fino a 10 giorni .
Quel che è poi accaduto in questi ultimi due anni è stato un incremento significativo e per certi versi preoccupante dell’azione disciplinare all’interno delle scuole.
Mentre prima il dirigente era più portato a mettere in primo piano la relazione educativa nei rapporti non patologici con i docenti , svolgendo spesso un ruolo di mediatore e pacificatore, ora non può fare a meno di mettere mano all’azione disciplinare.
Anche nei casi d’infrazioni lievi, spesso il primo approccio da parte del dirigente è la contestazione d’addebito pur avendo venti giorni a disposizione prima di avviare il procedimento.
Questo capita sovente nelle scuole in reggenza , nelle quali i rapporti interpersonali tra dirigente e docente sono molto distanti, spesso nemmeno si conoscono e le informazioni che passano non sempre sono di prima mano.
Affidarsi all’azione disciplinare garantisce di più il dirigente ma nello stesso tempo lo allontana dal suo antico ruolo di mediatore-educatore, burocratizzando i rapporti, lo costringe ad un ruolo rigido tra scilla e cariddi di un’utenza sempre più vociante ed esigente .
Ma quel che è più grave è che si travalica, senza tanti riguardi, quel sottile confine posto a difesa della libertà d’insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti.
Eliminati tutti gli organismi collegiali interni di garanzia, organismi di natura elettiva, formati da docenti per ogni ordine e grado di scuola, l’autonomia professionale degli insegnanti e la stessa libertà d’insegnamento sono messi in serio pericolo.
Tant’è vero che lo stesso Ministro nell’unica circolare applicativa , la n.88 pubblicata l’8.11.10 cioè un anno dopo l’entrata in vigore del dlgs.150, per ben tre volte raccomanda “ particolare attenzione sulla necessità di assicurare, da parte dei competenti uffici, che l’esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose e non a sindacare, neppure indirettamente, l’autonomia della funzione docente”.
Ecco un punto abbastanza controverso nella pratica quotidiana dell’azione disciplinare sia dei dirigenti scolastici sia dell’ufficio disciplina. Dove finisce la condotta antidoverosa ? dove comincia la libertà d’insegnamento e l’autonomia della funzione docente ?
Tutto ciò che realizza il processo d’insegnamento/apprendimento ( lezioni,compiti,valutazioni, interrogazioni, verifiche…), i processi di confronto, elaborazione, proposte sul piano-pedagogico-didattico all’interno degli organi collegiali, i contenuti stessi della prestazione professionale dei docenti, all’interno di un quadro ordinamentale definito dal sistema nazionale d’istruzione, dovrebbe non essere sindacato nemmeno indirettamente da chi esercita il potere disciplinare.
Nella realtà accade purtroppo il contrario. Basta una lettera ( e capita sempre più spesso) dei genitori o degli studenti, che prendono di mira un docente , accusato di non saper insegnare o tenere la disciplina in classe che subito scatta come un riflesso condizionato il procedimento disciplinare .
Sia l’Ufficio disciplina sia i singoli dirigenti in questi casi, aggirando completamente le norme e le raccomandazioni del ministro contenute nella CM.88/10 , ascrivono a comportamenti antidoverosi , metodi d’insegnamento o scelte di contenuti non graditi, troppo lassismo o troppa rigidità nel mantenimento della disciplina all’interno della classe, voti troppo alti o voti troppo bassi e via sindacando …. la prestazione professionale del docente.
La mancata applicazione della riforma Brunetta nella parte riguardante la valutazione della performance dei docenti e il merito ha determinato un vuoto anche sotto questo profilo.
Se a tutto ciò aggiungiamo le croniche carenze di organico del corpo ispettivo, cioè del solo personale oggi deputato a indagare sulla professionalità e sulle competenze dei docenti, ecco spiegate tutte quelle forzature che mischiano comportamenti antidoverosi e libertà d’insegnamento.
A questo vulnus occorre porre rimedio prima possibile.
Occorre superare quella logica che mette sullo stesso piano anche disciplinare il docente e il pubblico dipendente e che equipara la scuola a un qualsiasi pubblico ufficio.
Basta con Uffici disciplina formati soltanto da burocrati e funzionari dell’amministrazione.
Occorre ripristinare organismi di garanzia per una funzione come quella docente di sicuro rilievo costituzionale.
Lasciare le cose come stanno , vuol dire dequalificare ulteriormente le scuole e gli insegnanti, mettendo a serio rischio l’autonomia professionale e la stessa libertà d’insegnamento, garantita dalla Costituzione italiana.
da ScuolaOggi 19.01.12