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"Le prede più facili", di Ferdinando Camon

Pare un incontro di pugilato all’ultimo round, quando un pugile sta per crollare e l’altro gli dà i colpi di grazia. Qui a ricevere i pugni, gli urtoni e le sberle è una donna, anziana, non autosufficiente. Il petto e la testa le cadono continuamente in avanti, e davanti a lei sta un’infermiera, col camice bianco. Tu pensi: Adesso l’infermiera la sorregge, la aiuta, la sistema, la imbocca. Invece no: ogni volta che la testa della vecchietta cade giù, sul petto, l’infermiera gliela ributta indietro con un cazzotto, a volte con una sberla. Siamo in Italia, a Sanremo, in una casa di riposo. Cose del genere non dovrebbero mai accadere. Non in Italia. Non in una casa di riposo. Non a danno dei vecchi. Non sui disabili e i non-autosufficienti. Non ad opera del personale che lavora lì, e che per questo lavoro vien pagato.

Non c’è un reato, in questo comportamento, ce ne sono 4-5. Nessun codice li abbraccia tutti quanti. Quale che sia, la pena sarà inadeguata alla colpa. Le riprese sono stupende, limpide, crudeli, chiare. Valgono più di qualsiasi arringa. La telecamera dev’essere nascosta in alto, forse al di sopra di qualche armadio. Gli infermieri non ne hanno il minimo sospetto. Fanno liberamente, senza esitazione, quel che fanno sempre. Picchiano, bastonano, insultano. Si credono non-visti. E così noi, parenti delle vittime, carabinieri, semplici cittadini, li vediamo nella loro vera segreta attività quotidiana.

In una casa di riposo, a occuparsi dei vecchi e degli inabili, quelli che hanno problemi fisici o (qui ce ne sono) mentali, noi pensiamo che ci vada personale preparato, adeguato, che non prova schifo o ripulsa per chi ha bisogno del loro aiuto. Noi portiamo in case di riposo i nostri vecchi pensando che l’istituto diventa il nostro continuatore, si occupa dei vecchi con la stessa affettuosità che avremmo noi, e in più ci mette una competenza che noi non abbiamo. Questo crediamo. Separarci dai nostri vecchi ci costa, lo sentiamo come una specie di tradimento: ci han tenuti con sé finché ce l’han fatta, ora che non ce la fanno più ce ne sbarazziamo. Ma questo nostro senso di colpa è alleviato dal pensiero (che gira per il cervello di tutti coloro che scaricano negli ospizi i genitori anziani) che lì stiano meglio che a casa. Se hanno bisogno di qualcosa, lì lo capiscono prima di noi. Se hanno un problema, lo sanno senza che gli venga detto.

Invece, è doloroso dirlo, questo atroce filmato che vien da Sanremo, dove adesso ci sono quindici indagati per percosse e maltrattamenti in una casa di riposo, e quattro operatori più due infermieri sono in carcere, qui scopriamo una cosa inaudita, difficile perfino da dire, e dunque, per i lettori, da credere: qui i vecchi e gli inabili, in questa casa di riposo (mai nome fu più mendace) non sono trattati con affetto, non con professionalità, e nemmeno con neutro rispetto: qui sono odiati. Il personale che lavora in questo istituto fondato per vecchi e i malati «odia» i vecchi e i malati. Dev’essere un odio che riempie tutti, compresi i dirigenti, se il gestore dell’istituto, che è una donna, è agli arresti per il sospetto che sapesse tutto da tempo. C’è perfino una certa raffinatezza nella crudeltà di chi picchia questi degenti: c’è un’infermiera che picchia una vecchia a letto colpendola sulle caviglie con la mano a coltello. Istinto? o esperienza? o cultura? E poi dicono che siamo il Paese dei vecchi. No, siamo un Paese di prede e di predatori. E i vecchi son le prede più facili, più innocue, perché sono immobili. Due vecchi sono morti tempo fa di morte sospetta. Adesso s’indaga. Fossero morti due bambini, scoppiava il finimondo. Ma i bambini sono preziosi, mentre i vecchi non hanno importanza.

La Stampa 19.01.12