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"Befera rilancia: serviamo lo Stato non ci fermeremo", di Massimo Giannini

«Lo ringrazio, ce n´era davvero bisogno…». Per una volta, Attilio Befera può dismettere i panni di San Sebastiano. Nella guerra agli evasori fiscali il presidente del Consiglio si schiera senza se e senza ma a difesa dell´Agenzia delle Entrate e di Equitalia. E l´uomo che riscuote i tributi per conto dello Stato, contestato dai furbetti delle tante Cortine d´Italia, bersagliato dai reietti dell´eversione violenta e accusato dagli inetti di una destra anti-borghese e illiberale, sente finalmente lo Stato dalla sua parte. «Noi facciamo solo il nostro dovere. E lo facciamo sulla base delle leggi votate all´unanimità, da tutto il Parlamento. E continueremo a farlo, perché questo Paese deve decidere da che parte stare: con o contro lo Stato di diritto».

Il 42% dei possessori di barche di lusso, il 31,7% di proprietari di auto di altissima cilindrata e il 25,7% degli intestatari di aerei da diporto dichiarano redditi inferiori ai 20 mila euro l´anno. Le categorie del lavoro autonomo denunciano in media 18 mila euro l´anno, contro i 25 mila euro denunciato dal lavoro dipendente. La Guardia di Finanza fa un blitz a Cortina, scopre che su 133 possessori di auto di lusso 100 dichiarano meno di 30 mila euro e fa lievitare fino al 400% il volume dei ricavi di negozi e commercianti certificati dall´emissione di scontrini e ricevute fiscali. Di fronte a questo scandalo della democrazia, che destabilizza le fondamenta del patto sociale e altera le basi del libero mercato, succedono due cose incredibili. Un pezzo di Paese grida all´«oppressione fiscale». E un pezzo di Parlamento difende i “ladri” e accusa le “guardie”.
il capro espiatorio
Ancora una volta, come sempre accade quando l´Italia si sporge sull´abisso della bancarotta finanziaria e il governo di turno costringe gli italiani alla penitenza tributaria, la questione fiscale diventa il cuore di un´irrisolta frattura politica e di un´impossibile coesione sociale. Befera è un capro espiatorio perfetto. Monti chiede sacrifici pesanti agli italiani, e aumenta le tasse per accelerare il pareggio di bilancio. L´amministrazione finanziaria prova a stringere la morsa intorno all´evasione fiscale, con qualche accanimento eccessivo non contro chi non paga perché è disonesto, ma contro chi non ce la fa a pagare perché c´è la crisi. Ma intorno a questo disagio, oggettivo ma circoscritto, monta una colossale e paradossale campagna contro gli “strozzini” di Equitalia. Si evoca lo “stato di polizia”. Si denunciano le «inutili operazioni ad effetto» nelle località dei vip. E qualche delinquente tira le sue “conclusioni”: bombe carta contro i servitori dello Stato, proiettili per posta nelle sedi dell´Agenzia delle Entrate. Nel Pdl, da Cicchitto a Gasparri, le parole volano comne pietre. Befera è preoccupato: «C´è stata tanta, troppa leggerezza in questi giorni, nel commentare questi episodi. Per questo ora ringrazio il presidente del Consiglio, per la posizione molto forte che ha preso a Reggio Emilia. Noi facciamo solo il nostro dovere, nei confronti di contribuenti che spesso non lo fanno».
sul territorio
La vergogna della “Gomorra delle Dolomiti”, come Francesco Merlo ha provocatoriamente definito Cortina d´Ampezzo, sta lì a dimostrarlo. «Diciamo che con la nostra operazione abbiamo fatto andar bene gli affari…», ripete Befera con un po´ d´ironia. Ma la questione è invece molto seria. «Vede, questo Paese deve davvero scegliere se continuare sulla strada di questi ultimi anni, o tornare a praticare la legalità e il senso civico. Prima di tutto, dobbiamo ricordarci sempre che le imposte servono a finanziare i servizi di cui tutti i cittadini beneficiano, dagli ospedali alle scuole. E per questo io credo che chi evade le tasse commette un vero e proprio furto nei confronti di tutti noi. E aggiungo che chi non paga tasse e contributi viola la concorrenza, e fa un danno enorme agli imprenditori onesti, e quindi all´intero sistema economico».
Per questo i “blitz” in stile Cortina «non si fermeranno, ma anzi andranno avanti», come annuncia Befera. Le prossime missioni della Guardia di Finanza scatteranno non subito (perché gennaio «è mese di bassa stagione»), ma da febbraio. E si concentreranno nelle località turistiche più rinomate, soprattutto quelle invernali, a caccia dei “soliti ignoti” del Fisco. Altro che «azioni demagogiche e spettacolari», come strepita la Santanchè, chiedendo i danni per l´amata Cortina e le dimissioni per l´odiato Befera. «Facciamo il nostro lavoro, e abbiamo dimostrato che dà risultati». Li dà sul territorio, ma li dà anche negli uffici. E qui il numero uno di Equitalia ci tiene a dare un´altra risposta a chi, da destra, critica l´invio di tanti “operativi” delle Fiamme Gialle per scoprire fenomeni di occultamento delle imposte che si potevano scoprire consultando semplicemente gli elenchi del Pubblico Registro Automobilistico. «Noi non facciamo solo operazioni sul territorio. Di controlli incrociati, attraverso il supporto informatico, ne abbiamo sempre fatti». C´è un dato, ancora inedito, che da la misura di questa attività ispettiva e dei suoi risultati: nel 2011, grazie a 3 mila controlli effettuati con l´incrocio tra i dati del Pra sui proprietari di auto di lusso e le dichiarazioni dei redditi, l´Agenzia delle Entrate ha fatto emergere 160 milioni di imposte evase. Circa 1.000 contribuenti controllati hanno aderito all´accertamento fiscale, e hanno pagato oltre 60 milioni di tasse aggiuntive.
Anche questa è l´Italia, purtroppo. È il raccolto avvelenato della semina di questi anni, che hanno visto un presidente del Consiglio inquinare il discorso pubblico con i germi della Vandea fiscale permanente. «Se lo Stato mi chiede il 50% di quello che guadagno mi sento autorizzato ad evadere». Oppure «non metterò le mani nelle tasche degli italiani». Silvio Berlusconi ha “diseducato” così i suoi elettori, di fronte al rispetto dei doveri del civismo, della legalità, della solidarietà. «È la peggiore espressione che si possa immaginare», commenta Befera, che risponde facendo appello al «senso dello Stato, e al senso di appartenenza a quella comunità che si chiama Italia, alla quale tutti apparteniamo, con gli stessi diritti e gli stessi doveri»
effetto deterrenza
Resta da dire che anche Equitalia ha commesso e commette molti errori, dalle “cartelle pazze” ai pignoramenti indiscriminati, spesso a danno di contribuenti non possono pagare per le difficoltà economiche in cui si trovano e per l´avidità delle banche che chiudono i rubinetti del credito. Sono problemi seri, anche questi, che non possono essere sottovalutati. Befera non si sottrae, ma ripete che «su 10 milioni di cartelle esattoriali emesse ogni anno, i casi di errore non sono più di 1.000». Vanno evitati, Equitalia si impegna a farlo. Ma considerare queste «eccezioni come un sistema è ingiusto e sbagliato». Per questo i controlli andranno avanti. Quelli a tavolino, che si sono sempre fatti e si continueranno a fare. Ma anche quelli sul territorio, perché hanno «un evidente effetto-deterrenza», come dimostra il blitz cortinese, che ha convinto decine di esercenti e ristoratori a fare quello che altrimenti non avrebbero mai fatto: battere uno scontrino, emettere una ricevuta fiscale. Gesti normali, in una sana democrazia politica ed economica. «Atti sovversivi», nel Paese dei tanti, troppi Cetto Laqualunque nati nella Prima Repubblica del Caf e cresciuti nella Seconda Repubblica berlusconiana.

La Repubblica 08.01.12

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Visco: “Il blitz di Cortina? Uno show: la lotta ai furbi non si può basare su questo”, di R. GL.

Chi non conosce Vincenzo Visco, tre volte ministro delle Finanze per il centrosinistra, magari si aspetta che plauda ai blitz antievasori fatti a Cortina. «Non c’è nulla da indignarsi o da applaudire – spiega invece lui – sono cose che si fanno ogni tanto, ma non particolarmente incisive salvo l’effetto di annuncio o di propaganda. La lotta all’evasione è altra cosa».

Dunque, i blitz solo propaganda? Non servono?
«Figuriamoci, io sono il teorico della deterrenza. Dico solo che non si può basare la lotta all’evasione su questi blitz. Noi del governo Prodi avevamo varato una norma – poi abolita da Berlusconi e Tremonti – che consentiva di chiudere anche temporaneamente le attività che non davano ricevute e scontrini. Di questi controlli ne facevamo 60-70mila l’anno. Negli ultimi anni sono stati di fatto eliminati, neanche 4000 ne hanno fatti. Il guaio di questa operazione a Cortina è che resta sospesa per aria, perché è in contraddizione con una linea che sembra andare da un’altra parte».

Allora, come si fa la «vera» lotta all’evasione?
«Primo, bisogna creare le condizioni per avere una tracciabilità effettiva, non come quella prevista nella manovra Monti: la possibilità di conoscere quello che accade nell’economia. Tracciamo gli stipendi dei lavoratori dipendenti, devono essere tracciati anche gli altri redditi. Nel 2006-2008 la questione del contante l’avevo affrontata in modo del tutto diverso: la stragrande maggioranza delle transazioni sono sotto i 1000 euro. Per i pagamenti ai professionisti avevamo stabilito che sopra i 100 euro non si potessero usare i contanti. Secondo, ripristinare il fondamentale elenco clienti e fornitori, abolito da Tremonti e non reintrodotto da Monti. Terzo, la trasmissione telematica dei corrispettivi dei negozi al Fisco. Insomma, bisogna far capire alla gente che può essere controllata, e convincerla spontaneamente a comportamenti corretti».

Lo stato di polizia tributaria temuto da Berlusconi?
«Sciocchezze. La lotta all’evasione non si fa con la repressione, ma con la dissuasione. E funziona, ha già funzionato quando il centrosinistra ha governato: dal 1996 al 2000 l’evasione Iva si è ridotta di 10 punti, nel 2007 sempre sull’Iva abbiamo avuto il livello di evasione più basso della storia d’Italia, poi ovviamente risalito. E poi bisogna cambiare completamente il modo di operare dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. Quei 4, 5 milioni di contribuenti a rischio vanno seguiti uno per uno e anno per anno. Ormai le informazioni delle banche dati ci sono…

E il sistema «Serpico» che sarebbe stato predisposto ora con la manovra Monti?
«Ma quale potenziamento, non mi facciano arrabbiare. “Serpico”? L’ho fatto io dodici anni fa, e mi piacerebbe sapere come è stato usato di recente. Certo, adesso il governo Monti ha reso possibile l’uso dei dati delle banche, una cosa importante. Ma prima di riuscire a adoperarli ci vorrà tempo, perché le banche danno la miriade di singole transazioni dei singoli cittadini, e non i risultati di sintesi, che sarebbero sufficienti. Bisogna lavorare molto per “pulire” le banche dati, che potrebbero avere un notevole effetto deterrente. Il problema di questo paese è se si vogliono far pagare le tasse a tutti o no».

Pare di no, a sentire le reazioni del centrodestra dopo Cortina…
«Quante stupidaggini abbiamo sentito! Il guaio è che c’è una parte politica che la lotta al’evasione non la vuole fare, la considera una violazione della privacy. Ma per avere risultati bisogna mantenere la stessa tensione per dieci anni di seguito».

La Stampa 08.01.12

"Bersani: unire subito i progressisti europei", di Nini Andriolo

Adesso bisogna stringere con le decisioni, perché non è che i mercati abbiano bisogno di cavare informazioni dalla libera stampa, visto che sanno già tutto e speculano sui nostri tentennamenti e sulle nostre divisioni. Bisogna dare un segnale inequivocabile adesso: l’Euro costi quel che costi lo si difende assieme». Unico leader di partito presente alle celebrazioni del 215 ̊ anniversario del Tricolore, Pier Luigi Bersani, lascia il Valli dopo aver ascoltato il presidente del Consiglio pronunciare parole «di verità» sulla realtà dell’emergenza economico-finanziaria che investe l’Italia, e l’Europa.
Frasi che capovolgono il “tutto va bene” distribuito a piene mani in questi anni. Dietro le transenne c’è la gente che applaude il nuovo premier e ci sono indignados, leghisti e militanti di Rifondazione che lo contestano chiedendo elezioni. «Vedo la Lega laggiù commenta Bersani Ecco fin quando si tratta di indignati o di Rifondazione nulla da dire. Ma la Lega no. Ha governato otto degli ultimi dieci anni, ci ha parcheggiati davanti a un baratro e adesso tutto può fare tranne che contestare». È preoccupato il segretario del Pd. La moneta unica è sotto attacco, mentre l’Europa non stringe, stenta a decidere. «La mia idea è che, come riflesso alla globalizzazione, sia venuto fuori purtroppo un punto di vista ideologico di ripiegamento che è più duro della pietra, un meccanismo difensivo dal quale non si vuol venire fuori. Vedi le cose che dovresti fare ma non le fai, e questo è veramente assurdo. Uno può dire normalmente che se tutti sono d’accordo quella certa cosa si farà. Ma il dramma, qui, è che non è detto che a prevalere sia la ragione…».
Non è vero che le ideologie sono finite, ripete Bersani, «ne sopravvive una profondissima che produce nel cuore dell’Europa, e anche da noi, un meccanismo di chiusura che fa pascolare gli egoismi». Soprattutto in Germania. E i mercati giocano sull’indecisione, sugli irrigidimenti e sui ripiegamenti nazionali. Bersani ha visto Mario Monti, un incontro riservato seppure breve. Per il presidente del Consiglio l’Italia ha fatto la sua parte, e «adesso tocca all’Europa». Ma da Prodi, a Bersani, a Castagnetti, tra gli esponenti politici del centrosinistra presenti a Reggio Emilia si respira un clima sospeso, d’attesa disincantata. «Con Sarkozy è andata bene commenta Bersani, alludendo al vertice dell’Eliseo Anche la Francia comincia ad essere preoccupata perché qui siamo veramente agli Orazi e Curiazi. Il fatto è che se non c’è la difesa comune dell’euro ci sarà sempre, per definizione, un Paese che è più sull’argine. Ed è matematico che man mano che ne fanno fuori uno ce ne sia un altro che rischia di precipitare. Dopo di che quella nazione che pensa di farcela da sola ha già avuto una riduzione degli ordinativi industriali di 4 punti…». Di questo passo, quindi, rischia perfino la Germania. Si dia qualche regolata,
allora, in modo tale che, «quando si arriva ai vertici, si arrivi a qualche decisione».
Trilaterale Monti, Merkel, Sarkozy; Eurogruppo; Consiglio europeo. Di qui alla fine di gennaio sono molte le occasioni per “stringere”. E Berlino «deve mollare, deve dare una mano a fare girare un po’ d’economia se non vuole che vada sotto anche lei». E deve sconfiggere quel pregiudizio che circola nella sua opinione pubblica. «Loro che con l’euro altroché se ci hanno guadagnato sono convinti invece che ci hanno rimesso», commenta Bersani.
Si passeggia sotto i portici del Teatro, il leader Pd stringe molte mani, saluta, riconosce, parla in dialetto emiliano. Ascolta un “compagno”, costretto su una carrozzella da un handicap, che si sfoga contro la manovra. «Conosco bene la vostra situazione», dice il segretario del Pd. Poi ricorda «quel passaggio del discorso del presidente del Consiglio sull’ equità particolarmente azzeccato. Perché qui non si tratta di fare Robespierre, ma di arrivare a un tasso di fedeltà fiscale comparabile con quello di altri Paesi europei. E se il governo ha iniziato ad agire, secondo noi c’è anche altro che si può ancora fare. Per questo abbiamo avanzato proposte e continueremo a non mollare».
Ma è l’Europa il cruccio, il nodo da sciogliere per ripartire. «Il presidente del Consiglio mi sembra impegnatissimo sul fronte europeo ma ognuno deve lavorare dal suo lato.
Noi lo facciamo da quello dei progressisti europei. Una piattaforma, in ogni caso, si sta determinando. Anzi già c’è. Tra gli economisti e in tanti governi avanza l’idea che bisogna imboccare una direzione precisa per non sbattere contro il muro». Sul trattato salva-euro, ad esempio, «la situazione è in evoluzione, stanno girando le carte, si lavorerà perché ci siano delle correzioni. Il Parlamento europeo, tra l’altro, sta assumendo una posizione unitaria, più aperta. I margini ci sono per migliorare l’intesa intergovernativa». Ma da solo, secondo Bersani, quel terreno non basterà a placare la speculazione. «Sto dicendo che ci vuole anche dell’altro, qualche novità ancora…». Quale? «Quella di dare più risorse al fondo salva Stati snellendone le istituzioni. Nel frattempo, però, perché l’emergenza va affrontata subito, andrà dato qualche mandato in più alla Bce e si dovrà sbloccare la prospettiva degli Eurobond. Certo, tutto questo va accompagnato da regole di disciplina sui bilanci, e nessuno nega questa esigenza. Ma bisogna dare l’idea che si va verso una certa prospettiva comune per stoppare il mercato che vuol distruggere l’euro. E mettiamoci sopra tutti i soldi che servono per salvarlo. Tanto, secondo me, se si seguisse questa strada, non ci sarebbe nemmeno bisogno di usarli alla fine..».
Tutto questo, ormai, «è parte integrante della piattaforma dei progressisti sulla base della quale faremo a marzo un’iniziativa in Francia per sostenere Hollande. Ci saremo tutti annuncia Bersani e rilanceremo anche l’idea di un maggiore coordinamento delle iniziative economiche». Per il segretario Pd «serve la politica». Un’iniziativa coordinata dei progressisti europei, quindi. Perché «un conto è se si alza un partito in Germania o in Italia e dice: basta ragazzi, se ognuno va per i fatti suoi tutti poi andiamo alla rovina, altra cosa è se l’Spd in Germania, il Pse in Francia, il Pd in Italia sviluppano insieme tra le opinioni pubbliche battaglie ideali, culturali e politiche». Troppo tardi? «Speriamo di no risponde Bersani con un sospiro Certo, se tre anni fa si fosse spento sul nascere l’incendio che poi è divampato in Grecia, tutto ci sarebbe costato meno. Guarda un po’, invece, dove siamo arrivati oggi per colpa delle ideologie».

L’Unità 08.01.12

"L'Italia guida la battaglia salva-Europa", di Eugenio Scalfari

Abbiamo più volte osservato che Mario Monti non è un tecnico ma un uomo politico di grande livello, attento alle relazioni con la società civile, con le organizzazioni sindacali e con le forze politiche. Ma sta rivelando un´insolita capacità nella politica estera, applicata principalmente ai temi che riguardano l´economia e agli strumenti finanziari che ne costituiscono la leva; ma non soltanto.
La politica estera di Monti mira più in alto. L´obiettivo finale, se riuscirà nel suo intento, si propone di rafforzare un potere federale europeo che, pur mantenendo in vita i governi nazionali, ne restringa la sovranità e modifichi la distribuzione dei poteri all´interno delle istituzioni europee, accrescendo quelli del Parlamento di Strasburgo, della Commissione di Bruxelles e della Banca centrale.
Questo disegno appare ormai chiaro e passa per l´attenzione che il nostro “premier” sta dedicando alle alleanze politiche all´interno dell´Unione con gli altri Paesi dell´eurozona ma anche al di fuori di essa a cominciare dalla Gran Bretagna. Questa rete diplomatica non ha come finalità quella di stringere e di costringere la Germania a piegarsi – obiettivo impensabile – ma di rassicurarla e convincerla che un´Europa forte coincide con una Germania forte, economicamente e politicamente.
Questo è il motivo del prezzo che l´Italia ha salatamente pagato nelle scorse settimane con la legge “salva Italia” di marca rigorista. Era necessaria per salvare il nostro Paese dal baratro, ma anche per procurarsi un biglietto d´ingresso al vertice dell´Europa. Quella legge potrebbe a buon diritto chiamarsi “salva Europa” poiché il peso del nostro Paese nel concerto dei 27 Stati dell´Unione non è mai stato così determinante come oggi, specie se abbinato alle capacità di Monti, politiche ed economiche, che non hanno riscontro negli altri leader europei.
La durezza rigorista della Merkel aveva l´obiettivo di rassicurare l´opinione pubblica tedesca che la Germania non avrebbe pagato il conto dei Paesi spendaccioni. Ci è riuscita recuperando una popolarità che supera il 60 per cento, preziosa in una fase di elezioni regionali che culminerà nel 2013 nelle elezioni politiche generali.
Ma la Cancelliera non ignora che il rigore dei bilanci è parola vana se non è abbinato a politiche di crescita in tutta l´Unione, poiché da quella politica dipendono le esportazioni tedesche, gli investimenti e la creazione di nuovi posti di lavoro che ne sono il corollario.
In alcune riunioni informali ma informalmente rese note la Merkel ha più d´una volta manifestato la sua consapevolezza di queste realtà e ne è tanto più convinta a causa del rischioso intreccio che mette in pericolo alcune banche tedesche imbottite di titoli tossici. Ma ha trovato in Sarkozy un partner inutilmente impulsivo e anche lui condizionato dalle imminenti elezioni presidenziali.
La scommessa di Monti consiste nella necessità di un terzo protagonista che non ha condizionamenti pre-elettorali e per di più superiore ai due partner per le sue specifiche competenze, a patto che l´appoggio parlamentare delle forze politiche italiane, delle organizzazioni sindacali e della pubblica opinione sia il più compatto possibile. La sua autorevolezza si fonda sulla fiducia degli italiani e sulla distanza dall´appuntamento elettorale. Un anno scarso perché con l´inizio del semestre bianco (gennaio 2013) anche qui da noi la campagna elettorale avrà inizio e le prerogative del Quirinale saranno affievolite. Ecco perché Monti deve agire con la massima velocità ed ecco perché, se gli italiani saranno consapevoli della posta in gioco, il loro appoggio non può essergli lesinato.
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La settimana che si chiude oggi è stata purtroppo funestata da alcuni fatti non prevedibili ed altri al di fuori dal controllo del nostro governo: l´Sos del “premier” greco per un rischio di default del debito che sembrava superato ma è tornato a manifestarsi con virulenza (anche per una improvvisa diminuzione delle entrate tributarie che desta il fondato sospetto d´uno sciopero dei contribuenti e d´un consapevole lassismo del governo); l´incidente (chiamiamolo così) ungherese, il crollo della sua moneta e del suo debito sovrano; la prolungata attesa delle banche europee e italiane ad utilizzare la massiccia iniezione di liquidità della Bce; le perdite in Borsa registrate dal titolo Unicredit in occasione dell´aumento di capitale da sette miliardi imposto dall´autorità bancaria europea (Eba).
L´andamento borsistico di Unicredit denuncia una situazione cui bisognerebbe porre rapido rimedio: le grandi banche italiane dipendono dal controllo delle Fondazioni che sono strutturalmente inadatte ad adempiere a questo delicatissimo compito. Occorre sostituirle al più presto riportandole alle loro attività statutarie e affidando la proprietà di banche ad un azionariato più idoneo.
Per quanto riguarda l´attendismo del sistema bancario italiano dopo l´operazione di liquidità della Bce, ne parleremo tra poco. Quanto agli incidenti greco e ungherese, si tratta di fatti che chiamano in causa l´Europa con pressante insistenza e vanno dunque affrontati nei modi che abbiamo già indicato.
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L´attendismo delle banche era prevedibile e previsto. Durerà ancora per qualche settimana ma dovrebbe cessare o attenuarsi fortemente con l´inizio delle aste di titoli dei debiti sovrani in scadenza. Tra febbraio e marzo scadranno in Europa 500 miliardi di titoli pubblici dei quali 150 riguardano il nostro debito.
Le ragioni dell´attendismo delle nostre banche sono le seguenti:
1. Si è verificato negli ultimi mesi una sensibile diminuzione sia dei depositi sia delle richieste di prestiti.
2. Le sofferenze di crediti non esigibili sono sostanzialmente aumentate fino a rappresentare il 9 per cento dei bilanci.
3. Molte banche europee sono oberate da titoli scadenti o addirittura tossici. Non essendovi un prestatore di ultima istanza questa situazione blocca la reciproca fiducia tra gli istituti di credito europei e li incita a vendere sul mercato i titoli di debiti sovrani ritenuti rischiosi.
4. Malgrado queste difficoltà le banche, ma anche i fondi d´investimento e i risparmiatori, hanno effettuato rilevanti acquisti di titoli pubblici a breve termine. In particolare il rendimento dei nostri Bot a tre mesi è diminuito, tra il 9 novembre e il 5 gennaio, del 70 per cento passando dal 6,60 all´1,95 per cento; per i Bot a sei mesi la diminuzione è stata del 68 per cento passando dall´8,30 al 2,66; per i Bot a dodici mesi diminuzione del 62 per cento (da 9,47 a 3,61); per i Btp a due anni diminuzione del 30 per cento (da 7,26 a 5,09). La diminuzione del Btp quinquennale è stata più bassa: 12 per cento. I decennali sono sostanzialmente stabili attorno al 7 per cento.
Va aggiunto a chiarimento che l´alto rendimento dei decennali è virtuale; ridiventerà attuale con le prossime aste di febbraio. A questo proposito sarebbe opportuno che il Tesoro, anziché portare in asta Btp decennali, abbreviasse i termini di scadenza a un anno o al massimo due. Li collocherebbe a rendimenti molto più bassi superando un appuntamento molto impegnativo senza incidere sulla durata media del nostro debito pubblico che è attualmente di sette anni.
Sarebbe altrettanto opportuno che il Tesoro azzerasse il fabbisogno dello Stato. L´operazione ha un costo di 15 miliardi e non presenta particolari difficoltà.
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La Bce la sua parte l´ha fatta con l´operazione di prestito triennale di 500 miliardi all´1 per cento di tasso. Il 19 febbraio riaprirà lo sportello a richieste di prestiti triennali per importi illimitati. Non porrà condizioni alle banche per quanto riguarda l´utilizzo di quei fondi, ma è facile prevedere una discreta “moral suasion” per erogazioni alla clientela e partecipazione attiva alle aste del Tesoro. Si tratta per di più di operazioni profittevoli anche se il Tesoro abbreviasse le scadenze dei nuovi titoli.
Non credo che nella strategia di Monti ci sia la richiesta di equiparare la Bce alle altre Banche centrali. Se il nostro premier vuole rassicurare la Merkel questa non sarebbe, almeno per ora, la richiesta giusta. Ma in un futuro più lontano, diciamo nel 2015, potrebbe divenire praticabile e bene ha fatto il ministro Passera a metterla in calendario.
Quello che Monti vuole oggi portare a casa con la riunione del Consiglio europeo del 30 gennaio, è il dimezzamento della quota di debito da diminuire per i Paesi che superano il 60 per cento nel rapporto debito-Pil e il defalco degli investimenti strutturali dal calcolo del deficit rispetto al Pil. Sarebbero due passi nella giusta direzione per quanto riguarda la crescita. Messi insieme al contenimento dei rendimenti consentirebbero un quadro di maggiore tranquillità e l´avvio immediato di iniziative per la creazione di posti di lavoro e nuovi meccanismi di ammortizzatori sociali.
Insomma una politica di rilancio a piccoli passi ma con perseverante continuità, purché vi sia l´appoggio degli italiani ed in particolare delle parti sociali.
Da questo punto di vista la Camusso e la Fornero hanno grandi responsabilità. Innovare profondamente il contratto di lavoro tenendo fermo l´articolo 18: questa è la scommessa. Non è impossibile, soprattutto se sapranno guardare la luna e non il dito che la indica.

Post scriptum. Voglio qui inviare i nostri sentiti auguri al professor Befera, presidente dell´Agenzia delle entrate. Non badi alle minacce e agli insulti che le vengono lanciati. Le prime confidiamo siano soltanto sciagurate esibizioni di teste balorde, i secondi, se vengono da personaggi tipo Santanchè, sono titoli onorifici.

La Repubblica 08.01.12

Monti ribalta Silvio: «Rubano evasori, non lo Stato»

Andare alla ricerca della prima dichiarazione di Silvio Berlusconi con la promessa di «non mettere le tasche degli italiani», o l’accusa al centrosinistra di aver fatto proprio questo, forse non è neanche molto utile, tanto è notorio lo slogan del cavaliere. Più interessante, per contestualizzare la frase sfoderata oggi da Mario Monti, è ricordare l’occasione in cui il leader Pdl ammise invece di essere venuto meno al proprio credo, con tanto di confessione «il nostro cuore gronda sangue quando pensiamo che uno dei vanti del nostro governo era non aver mai messo le mani nelle tasche degli italiani, mi cito tra virgolette».

Era il 14 agosto dello scorso anno, quando la manovra di Ferragosto veniva illustrata dall’allora presidente del Consiglio in sala stampa a Palazzo Chigi. Una di quelle manovre correttive ricordate, peraltro, dal Professore nel corso della conferenza stampa di fine anno, per osservare che nella medesima occasione del 2010 Berlusconi assicurò che non sarebbero servite: «Le cose sono andate diversamente, sono state necessarie cinque manovre e soltanto l’ultima porta la mia firma», annotò Monti nel dicembre scorso dalla Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio.

Cambiano le sale stampa e le strategie di contrasto all’evasione fiscale. Ora, dopo le polemiche al calor bianco sull’operazione-Cortina e il fuoco incrociato su Equitalia, arriva lo stop del Professore e la difesa dell’azione delle Fiamme Gialle. Con una scelta mediatica, mai casuale quando il Professore decide di affondare il colpo, che ribalta proprio uno degli slogan storici del berlusconismo. Le mani in tasca? Non sono quelle dello Stato, ma quelle degli evasori. E teniamole tutti a posto, è il consiglio finale di Monti.

«Agli uomini e alle donne della guardia di finanza e della Agenzia delle entrate che con impegno e rischio personale provvedono a che l’evasione sia combattuta voglio dire il mio grazie e assicurare il mio appoggio» – ha detto Monti. «Abbiamo avviato con i ministri della Giustizia e della Funzione pubblica una riflessione su come dare una accelerazione potente alla lotta contro la corruzione che divora risorse, discredita istituzioni e frena investimenti esteri in Italia. Su questi punti il governo opererà con provvedimenti legislativi e amministrativi. E’ inammissibile che lavoratori debbano subire sacrifici pesanti, mentre una porzione della popolazione sfugge a ogni tassazione accrescendo l’imposizione tributaria su chi non può sottrarsi al fisco». L’endorsement all’operato degli ispettori anti-evasione è uno dei punti salienti del discorso pronunciato stamattina a Reggio Emilia dal premier Mario Monti, in occasione della Festa del tricolore. Monti ha poi parlato a lungo della situazione in Italia e in Europa, ad applaudirlo anche l’ex premier, già presidente della Commissione europea, Romano Prodi.

«Abbiamo visto milioni di tricolori appesi alle case degli italiani. Cosa hanno voluto dirci gli italiani? È una domanda che i cittadini ci hanno posto. È un gesto che ci invita nei nostri comportamenti a cercare di essere sempre all’altezza del tricolore. Ci chiedono di spiegare la crisi e di capire in che direzione sacrifici porteranno la nostra nazione – ha detto il premier. «Nessuno può immaginare un’Europa che rinunci a crescere e nessun Paese europeo da solo è tanto forte da poter affrontare le economie globali. Vogliamo un’Europa coi conti in ordine, anche con meccanismi severi, sono nel nostro interesse. Quanto danno l’Italia ha fatto ai propri figli, che oggi non trovano lavoro, dicendo sì a ogni istanza sociale, senza riguardo al fatto che dire dei no comporta costi politici nel presente, dire dei sì comporta costi per il futuro per quelli che non sono ancora nati», ha poi chiosato Monti. «L’Italia ha dato contributo decisivo a stabilità finanziaria in area euro con una azione coraggiosa, come ricordato ieri da Sarkozy, con una manovra approvata in via definitiva il 23 dicembre in tempi eccezionalmente brevi, che testimoniano al capacità dei politici e del Parlamento di dare il meglio di sé nell’interesse del Paese. L’Italia sta facendo la sua parte. Ora la facciano anche gli altri Paesi dell’Unione europea. Al premier francese Fillon che mi ha chiesto a che punto era la riforma previdenziale, se era applicata, ho rispoto “sì, è adottata dal primo gennaio”. Fillon allora mi ha detto “lo riferirò al presidente Sarkozy”», ha detto il premier, spiegando che Sarkozy credeva che il provvedimento fosse ancora allo stato di proposta.

Non poteva mancare una sferzata “da professore” alla popolazione e ai giovani: «Il 54% della popolazione ha un titolo di diploma nel nostro Paese, contro una media Ocse del 73%. È troppo poco. Dobbiamo studiare di più. Se Italia cresce meno di altri Paesi europei dobbiamo migliorare nostro capitale umano», ha detto il premier. Per poi spiegare la situazione italiana: «L’Italia potrebbe dare ancora a lungo l’impressione di essere un Paese ricco anche se la sua crescita è la metà della media europea. Anche in buona fede ci si può confondere tra ricchezza percepita dalla comunità e la sua larga inadeguatezza sul versante produttivo. Troppo spesso a fronte di una montagna di debito pubblico ci sono stati atti del settore pubblico che non ci sono stati atti di investimento, ma di consumo. Se guardiamo dentro noi stessi sappiamo che ce la faremo. L’Italia – ha sottolineato il presidente del consiglio – ha sempre risposto nelle situazioni difficili. Servono sacrifici, li abbiamo chiesti a tutti, ma il governo seguirà come una stella polare la ricerca dell’equità e della giustizia sociale. L’enorme debito pubblico italiano potrebbe togliere il sonno a chi pro tempore deve governare – ha poi chiosato Monti – il governo crede che l’Italia di domani debba esser una grande economia industriale con imprese piu grandi, capitalizzate e internazionalizzzate. Il dialogo che avvieremo sul lavoro dovrà favorire investimenti e occupazione anche con azioni fiscali già avviate, come la detrazione dall’Irap della quota lavoro e il bonus fiscale per le assunzioni di giovani, in particolare al Sud. In Italia, anche in questo territorio emiliano, ci sono centinaia di multinazionali tascabili che miracolosamente reggono alla concorrenza sfrenata internazionale anche di chi sfrutta il dumping sociale».

Il premier ha riservato una parte del suo discorso anche alle parti sociali: «Ci sentiamo in dovere, con le scadenze di risanamento stringenti che abbiamo, di portare avanti il dialogo con forze sociali e produttive per stimolare la presa di coscienza comune e una visione comune su dove andrà l’Italia nel 2020. Che cosa vogliamo essere fra qualche anno? Negli ultimi anni tante energie sono state dedicate a lottare gli uni con gli altri e a pensare solo alla prossima scadenza elettorale o al voto di fiducia».

«Sono certo di una cosa: i nostri figli e nipoti il 7 gennaio del 2061 festeggeranno uniti il tricolore e confido che festeggeranno con il tricolore anche la bandiera dell’Europa unita. L’Italia ha bisogno dell’Europa e l’Europa dell’Italia. Per questo, per sentire sempre più nostro l’orgoglio del tricolore, la bandiera dell’Europa e l’Europa, opera silenziosamente e laboriosamente l’Italia e opera il nostro governo. Viva il tricolore, viva l’Italia, viva l’Europa», ha concluso il presidente del Consiglio.

da www.unita.it

"Ordini, imprese, faccendieri così gli interessi privati tengono sotto scacco le riforme", di Carmelo Lopapa e Roberto Mania

Quando l´anticamera della commissione Bilancio si trasforma in un vero suk. Quell´invito irrituale del presidente dei farmacisti ai colleghi eletti alle Camere. Otto proposte di legge per rendere le cose trasparenti Ma prevale un Far West nel quale operano personaggi come l´ex piduista Bisignani
“Liberalizzare per Monti sarà un´impresa” dice Lanzillotta (Terzo Polo): “La spunta solo se inserisce tutto in pacchetto unico come per la manovra”. Una casta nella casta, l´una nascosta dentro l´altra. Come in una matrioska. Si fa presto a dire lobby. Sono partiti, pezzi interi di Parlamento, a farsi consorteria, a curare interessi, a schermare affari. Lobbisti sono gli stessi onorevoli. Anche se a invadere i corridoi di Montecitorio sono sempre più stormi di faccendieri. Li chiamano «sottobraccisti». Pronti a prendere sotto braccio il parlamentare e spiegare, ammansirlo. Hanno trasformato l´anticamera delle commissioni più delicate – dalle Attività produttive al Bilancio – in un suk.
È accaduto poche settimane fa, quando il governo ha dovuto stralciare dal decreto “Salva Italia” le norme sulle liberalizzazioni. Si ripeterà tra pochi giorni. L´Antitrust ha dettato la sua ricetta per liberalizzare energia, Poste, servizi pubblici. Monti e Catricalà torneranno alla carica. E gli emissari dei gruppi di interesse sono entrati già in fibrillazione. Avranno una buona sponda all´interno delle Camere. Ancora una volta, il Parlamento delle corporazioni alzerà le sue barricate. In un gioco ad incastri nell´opacità, senza trasparenza, senza regole, senza controlli. Un Far West in cui poco è cambiato da quando un faccendiere pluricondannato come Luigi Bisignani, piduista e poi protagonista dell´inchiesta sulla P4, è diventato fulcro di operazioni che hanno coinvolto governo, Parlamento, linee strategiche di aziende multinazionali come Finmeccanica o Eni.
È l´ampia zona grigia dell´italico processo decisionale abitata da lobbisti che si travestono da parlamentari, da parlamentari peones succubi dei lobbisti, da migliaia di mediatori senza specifici vincoli di legge, dagli uomini potenti delle relazioni istituzionali dei grandi gruppi industriali, delle banche e delle assicurazioni che si mischiano con quelli dei gruppi di pressione vecchio stile: Confindustria, Confcommercio, sindacati, cooperative rosse e bianche. E poi, sì, ci sono anche i condizionamenti d´Oltretevere, perché c´è stato – eccome – il pressing della Chiesa nella manovra che ha impedito che la pillola anticoncezionale (fascia C non rimborsabile dal servizio sanitario nazionale) finisse sugli scaffali della grande distribuzione. E a poco è valsa la garanzia del farmacista dietro il banco.

LE CORPORAZIONI IN AULA
Ma perché abbiamo un Parlamento prigioniero delle corporazioni? C´è una lettera (protocollo 20080004354/A. G.) del 16 aprile del 2008 firmata dall´allora presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti, Giacomo Leopardi (alla guida dell´ordine per ben 23 anni) che spiega – involontariamente, sia chiaro – chi sono i lobbisti con indennità da parlamentare. La lettera è scritta subito dopo le ultime elezioni ed è inviata a tutti i presidenti degli ordini dei farmacisti. «Si fa seguito e riferimento alla circolare federale n.7123 del 10 marzo u.s. per informare che, con riferimento alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile u. s., sono risultati eletti al nuovo Parlamento i seguenti farmacisti. Dott. Rocco Crimi (Pdl), Camera, Dott. sa Chiara Moroni (Pdl, passata poi a Futuro e Libertà, ndr), dott. Valerio Carrara (Pdl), Senato, Dott. Fabrizio Di Stefano (Pdl), Senato. Si evidenzia inoltre che è stato eletto al Senato anche il Dott. Luigi D´Ambrosio Lettieri (Pdl), presidente dell´Ordine dei farmacisti della provincia di Bari e componente del Comitato centrale della federazione». Ma non è finita: «La scrivente esprime ai farmacisti eletti vivissime congratulazioni e formula loro i migliori auguri di un buon lavoro da svolgere nel rispetto dei valori ordinistici e dei principi fondanti la nostra professione». Uno smaccato conflitto di interessi nella degenerazione del parlamentare-designato chiamato a rispondere al suo capo partito e a nessun elettore. Così, dopo il partito della Coldiretti, che nella prima Repubblica eleggeva non meno di una trentina di deputati nelle liste della Dc, quello dei farmacisti che ha deciso di giocare la sua partita politica nel centrodestra della seconda Repubblica. Così, non c´è da stupirsi se D´Ambrosio Lettieri è anche il primo firmatario della lettera dei 73 parlamentari anti liberalizzazioni, suddivisi tra Pdl, Io Sud e Terzo Polo. E che firme tra quei parlamentari: da Maurizio Gasparri a Raffaele Fitto, da Maurizio Lupi a Francesco Nitto Palma, da Gaetano Quagliariello a Maria Roccella, da Paolo Romani a Massimo Corsaro. Tutti in prima linea. In qualche caso, com´è avvenuto per le quote latte, è un intero partito a farsi lobby, sotto le insegne di Alberto da Giussano. Che poi è l´accusa che da destra muovono al Pd quando entrano in gioco le coop. Tra gli scranni siedono 133 avvocati, 53 medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti. I paladini delle toghe si chiamano Maurizio Paniz, Nino Lo Presti, Gaetano Pecorella, tra gli altri. Già in guerra contro il progetto del governo di cancellare l´iscrizione agli ordini, gli esami di Stato e le tariffe minime. Non ci sono tassisti, nelle Camere. Ma è come se ci fossero. Tutti nella destra: Barbara Saltamartini, Vincenzo Piso, Francesco Biava, scuderia di Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che deve la sua scalata al Campidoglio anche alle 7.500 auto bianche schierate con lui nel 2008. Per la verità uno dei capi della categoria, quel Lorenzo Bittarelli, presidente dell´Uritaxi e della potente cooperativa romana del 3570 ha provato senza riuscirci a entrare in parlamento nelle liste del Pdl. Ma ai tassisti basta minacciare di bloccare le città per ottenere il risultato. A Roma stanno con la destra, a Milano con la Lega. Per i loro padrini politici, irrinunciabili opinion maker ambulanti, capaci di incidere sul consenso in piena campagna elettorale. In fondo, pensano la stessa cosa dei farmacisti.

LE “CORPORATE” A PALAZZO
Poi ci sarebbero i lobbisti “doc”, quelli delle corporate multinazionali che promuovono – quando vogliono – le campagne attraverso i social network. Lo fanno anche in Italia e la politica è costretta a rincorrere. Clamorosa fu per esempio la protesta via web sui costi delle ricariche telefoniche. Dietro pare ci fosse uno degli operatori del settore. Massima discrezione e super attivismo anche per la lobby delle autostrade. Si chiama Aiscat, rappresenta 23 concessionari che gestiscono 5.600 chilometri di rete. A inizio anno le tariffe autostradali sono già aumentate. Municipalizzate, benzinai, commercianti, banche. Chi come Linda Lanzillotta da anni si batte per aprire uno squarcio alle liberalizzazioni, scuote la testa scettica: «Monti può farcela solo se presenta un pacchetto complessivo, altrimenti addio. Gli salteranno addosso».

I PRIVATI DIETRO I PARTITI
Se ci fosse trasparenza sui flussi di finanziamento della politica sarebbero chiari i collegamenti tra lobby e parlamentari. Avviene negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi a democrazia matura. Da noi no, da noi si finge. Così che la relazione ai presidenti delle Camere del Collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti rileva che tutte le forze politiche abbiano ricevuto contributi da privati, ma non si sa sempre da chi e soprattutto per quali importi. Opacità. Non fosse altro perché il finanziamento può restare anonimo fino alla non indifferente soglia dei 50 mila euro. I vantaggi per l´imprenditore che trasferisce denaro ai «cari leader» sono invece consistenti, dato che scatta un diritto alla detrazione del 19 per cento di quanto versato. Un quadro interessante emerge scorrendo le dichiarazioni depositate alla Camera dei contributi a partiti nazionali e locali e singoli parlamentari nel 2010. La torta che le varie sigle si sono spartita ammonta a 49 milioni di euro in un solo anno. A parte delle centinaia di microversamenti, si scopre ad esempio che Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi e dell´Abi, l´associazione bancaria italiana, risulta essere il mecenate del Pd di Siena: 85 mila euro nel 2009, 100 mila nel 2010. Il Pdl ha ricevuto 50 mila euro dalla spa Metro C di Roma, 50 da Progetto 90 srl di Roma e 50 dalla Milano 90, entrambe di quel Sergio Scarpellini che è proprietario di una serie di immobili locati dalla Camera (e ora in via di smobilitazione). E poi 80 mila dalla Master immobiliare di Roma, 80 mila dalla Leva srl di Roma, 200 mila dal Consorzio Villa Troili di Roma, 50 mila dalla Mezzaroma Ingegneria srl, 75 mila dalla Italiana Costruzioni spa di Roma e via finanziando fino a quota 4 milioni 700 mila euro. Mara Carfagna spicca per trasparenza, perché la deputata pidiellina a differenza di altri, pur non essendo tenuta, rende pubblici anche i mini finanziamenti ricevuti nell´anno della sua candidatura in Campania da sette finanziatori, tra cui AirItaly, per un totale di 47 mila euro (sotto soglia). L´Udc invece nel 2010 incassa 600 mila euro. Dietro, c´è tutto il supporto della famiglia Caltagirone (suocero di Casini): 100 mila euro ciascuna la Caltagirone Francesco, Caltagirone Francesco Gaetano, Caltagirone Gaetano, Caltagirone Alessandro, la Porto Torre spa, la WXIII/E srl di Roma. Finanziamento non equivale a condizionamento. Questo è chiaro. Ma la trasparenza dei dati spesso aiuta a capire. E in qualche modo risalta l´assenza dei grandi gruppi industriali dalle dichiarazioni pubbliche.

LE LOBBY SUL GOVERNO
In principio era solo Fiat. E gli amministratori parlavano direttamente coi ministri. «Oggi se dovessi stilare una classifica, direi che in Parlamento si muovono parecchio con i loro uomini Eni e Enel, seguiti dalle aziende telefoniche e dagli altri gruppi energetici», racconta il democratico in commissione Attività produttive Andrea Lulli. Il problema è che ad accedere a Montecitorio e Palazzo Madama non sono solo i responsabili delle relazioni esterne dei grandi gruppi. «Ci sono tre categorie di avventori», racconta Fabio Franceschetti, un passato radicale, oggi a capo della «Nomos» una delle più quotate e delle poche ufficiali società di lobbying. «La prima categoria è quella degli uomini azienda di società e multinazionali, poi ci siamo noi, professionisti e tecnici che agiamo per conto delle aziende, infine i battitori liberi o faccendieri». Sono tanti, tantissimi, spesso avvocati di professione, lavorano per contatto o conoscenza personale, forti di una voluminosa rubrica. Rientrano un po´ nella categoria i Bisignani, i Lavitola, i Tarantini. «Il paradosso è che in Parlamento non ti fanno entrare col tesserino da ospite se non ti dichiari rappresentante di un´azienda: dichiararsi società di lobbying non conta niente», dice ancora Franceschetti. Il dipietrista Antonio Borghesi descrive la scena: «Fuori dalle commissioni stazionano questi emissari. Spesso sono giovani donne. Soprattutto quelle delle aziende telefoniche e delle società autostradali. Molto suadenti, spesso insistenti. Quando ci sono le sedute notturne e quando si sta per decidere, diventa tutto un grande suk». Il grande suk degli interessi. Senza i riflettori accessi, nella penombra. Senza nessuna legge. Perché i lobbisti made in Italy preferiscono l´opacità. Ci sono otto proposte di legge presentate in Parlamento. Per nessuna è cominciata la discussione. Resteranno lettera morta, come le altre quaranta proposte degli ultimi decenni. Altro che Bruxelles, Londra o Washington. Qui di società ufficiali che interagiscono con la politica se ne contano davvero poche. La «Reti» di Claudio Velardi, la Cattaneo Zanetto & C., la FB & Associati e la Nomos. Fabio Bistoncini, boss della Fb, sui suoi «Venti anni da sporco lobbista» ha pubblicato quest´anno un libro (Guerini e associati editore). «Il senso della mia storia da lobbista lo troverò – racconta – quando il lavoro che faccio uscirà dal cono d´ombra che lo avvolge». Troppi «sottobraccisti» in circolazione, che «non offrono competenza, ma vendono relazioni».

La Repubblica 07.01.12

"Perché la violenza contro le donne resta ancora confinata nel privato", di Lea Melandri

Rapporti e ricerche internazionali ci informano già da diversi anni che l’aggressività maschile è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo e che tale violenza si consuma soprattutto tra le pareti domestiche.
Ma non servono dati statistici per sapere che la violenza contro le donne è materia pressoché quotidiana di cronaca nera e, forse proprio per questo, considerata ancora un fenomeno trascurabile, legato alla sfera personale e alla patologia del singolo. La mano che si arma contro una donna è quella di un marito, di un amante, di un padre, di un fratello. Le cause: una separazione, aspettative disattese, equilibri familiari che si vanno modificando, affermazione di ruoli e poteri che si crede minacciati. Nelle vicende di questi ultimi giorni, gli omicidi di Stefania Noce di Licadia Eubea e di Antonella Riotino di Putignano, colpiscono la giovane età, la consapevolezza di una delle vittime, Stefania, riguardo a quella che è stata tradizionalmente la possessività maschile nei confronti dell’altro sesso, l’intreccio inspiegabile, forse perché ancora poco indagato, tra sentimenti d’amore ed esplosioni di odio incontrollato. Ma quello che desta più stupore è che il rapporto tra i sessi, nelle sue implicazioni private e pubbliche, nella drammatica ambiguità di un dominio innestato con le vicende più intime degli esseri umani, ancora resti sbarrato dietro le porte di casa, esaltato nell’immaginazione — come ha scritto Virginia Woolf — e storicamente insignificante. Non si può pensare che sia solo l’attaccamento al privilegio che la storia ha riservato a una comunità di uomini a tenere fuori dal dibattito pubblico un fenomeno di cui dovrebbe essere evidente la portata sociale, culturale e politica. Molto più inquietanti e temuti dei cambiamenti climatici, dell’esaurimento delle risorse naturali del pianeta, dello smaltimento dei rifiuti, devono essere la libertà con cui le donne affermano oggi la loro esistenza come persone, sempre meno conformi ai ruoli tradizionali di «mogli di», «madri di», e il riemergere di un’originaria fantasmatica potenza femminile, che incrina sicurezze identitarie e poteri maschili trasmessi finora come leggi naturali di padre in figlio.

Il Corriere della Sera 07.01.12

Serenità, successo, denaro un buon maestro ti cambia la vita", di Annie Lowrey

È stata seguita l´evoluzione di oltre due milioni di studenti in vent´anni in tutti gli aspetti dell´esistenza. I risultati sono stati impressionanti L´influsso del buon insegnante dura moltissimi anni. Quando un insegnante delle scuole elementari e medie aiuta i suoi alunni a migliorare il loro rendimento agli esami esercita un influsso positivo generale e di lunga durata sulla loro vita, non solo nell´ambito scolastico: gli studenti che hanno avuto un bravo insegnante hanno minori probabilità di avere un figlio in età adolescenziale, maggiori probabilità di iscriversi all´università e migliori prospettive di guadagno in età adulta; è quello che emerge da un nuovo studio, che ha seguito l´evoluzione di due milioni e mezzo di studenti nell´arco di oltre vent´anni.
Lo studio, effettuato da Raj Chetty e John Friedman dell´Università di Harvard e da Jonah Rockoff della Columbia, tutti economisti, prende in esame un numero elevato di studenti. «I punteggi ottenuti ai test aiutano a garantirti un maggior livello di istruzione, e quello si ripercuote sui guadagni», dice Robert Meyer, direttore del Centro di ricerca sul valore aggiunto dell´Università del Wisconsin-Madison, che studia i metodi di valutazione degli insegnanti. Lo studio, che i tre economisti hanno presentato in oltre una dozzina di seminari nel corso del 2011 influenzerà il dibattito nazionale sull´importanza di avere insegnanti di qualità e sul modo migliore per misurarla. I fautori del sistema affermano che queste valutazioni obbligano gli insegnanti a rendere conto del loro lavoro e possono contribuire a migliorare i risultati scolastici di milioni di bambini. I detrattori, fra cui alcuni sindacati, sostengono che isolare l´effetto di un insegnante è molto difficile.
A parità di altre condizioni, uno studente che ha avuto un insegnante molto bravo per un anno, tra la quarta elementare e la terza media, guadagna 4.600 dollari di reddito in più nell´arco dell´intera vita, contro uno studente della stessa classe di età che ha avuto un insegnante medio. Sostituire un insegnante scadente con uno medio produrrebbe un incremento dei guadagni degli studenti nella vita di circa 266mila dollari. Moltiplicate questa cifra per tutte le classi che ha un insegnante nella sua carriera. «Lasciare un insegnante a basso valore aggiunto nella vostra scuola per 10 anni, invece di sostituirlo, significa ipoteticamente perdere 2,5 milioni di dollari di reddito», dice il professor Friedman, uno dei coautori del saggio. Dopo aver individuato gli insegnanti bravi, quelli medi e quelli scarsi, gli economisti hanno analizzato il percorso dei loro studenti nel lungo periodo, studiando dati sul loro reddito, sui tassi di iscrizione all´università, sull´età in cui hanno avuto un figlio e sulla città e la zona dove sono finiti a vivere. I risultati sono stati impressionanti. Limitandosi ai punteggi degli esami l´effetto di un bravo insegnante di solito svanisce dopo tre o quattro anni. Ma, assumendo una prospettiva più ampia, gli studenti continuano a beneficiare dell´influsso positivo di un buon insegnante per anni. (Copyright The New York Times) (Traduzione di Fabio Galimberti)

La Repubblica 07.01.12