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"Perché la violenza contro le donne resta ancora confinata nel privato", di Lea Melandri

Rapporti e ricerche internazionali ci informano già da diversi anni che l’aggressività maschile è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo e che tale violenza si consuma soprattutto tra le pareti domestiche.
Ma non servono dati statistici per sapere che la violenza contro le donne è materia pressoché quotidiana di cronaca nera e, forse proprio per questo, considerata ancora un fenomeno trascurabile, legato alla sfera personale e alla patologia del singolo. La mano che si arma contro una donna è quella di un marito, di un amante, di un padre, di un fratello. Le cause: una separazione, aspettative disattese, equilibri familiari che si vanno modificando, affermazione di ruoli e poteri che si crede minacciati. Nelle vicende di questi ultimi giorni, gli omicidi di Stefania Noce di Licadia Eubea e di Antonella Riotino di Putignano, colpiscono la giovane età, la consapevolezza di una delle vittime, Stefania, riguardo a quella che è stata tradizionalmente la possessività maschile nei confronti dell’altro sesso, l’intreccio inspiegabile, forse perché ancora poco indagato, tra sentimenti d’amore ed esplosioni di odio incontrollato. Ma quello che desta più stupore è che il rapporto tra i sessi, nelle sue implicazioni private e pubbliche, nella drammatica ambiguità di un dominio innestato con le vicende più intime degli esseri umani, ancora resti sbarrato dietro le porte di casa, esaltato nell’immaginazione — come ha scritto Virginia Woolf — e storicamente insignificante. Non si può pensare che sia solo l’attaccamento al privilegio che la storia ha riservato a una comunità di uomini a tenere fuori dal dibattito pubblico un fenomeno di cui dovrebbe essere evidente la portata sociale, culturale e politica. Molto più inquietanti e temuti dei cambiamenti climatici, dell’esaurimento delle risorse naturali del pianeta, dello smaltimento dei rifiuti, devono essere la libertà con cui le donne affermano oggi la loro esistenza come persone, sempre meno conformi ai ruoli tradizionali di «mogli di», «madri di», e il riemergere di un’originaria fantasmatica potenza femminile, che incrina sicurezze identitarie e poteri maschili trasmessi finora come leggi naturali di padre in figlio.

Il Corriere della Sera 07.01.12