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"Adesso si dimetta il leghista", di Cesare Martinetti

Va bene l’opposizione ci mancherebbe -, incalzante e persino beffarda. Va bene la denuncia che non deve esitare al cospetto di nessuno. Ma il leghista Calderoli ieri ha superato ogni limite: del buon gusto capita spesso – e dell’intelligenza politica. Denunciare come una «festa» la cena privata del professor Monti con i suoi famigliari a Palazzo Chigi la sera del 31 dicembre ed aver chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio è semplicemente ridicolo. Calderoli ha trascorso anni in un governo il cui capo era lui sì un organizzatore di «feste» (mai denunciate dal moralizzatore leghista) e la Lega ha prodotto negli anni vere carnevalate come il trasferimento dei ministeri a Monza. E soprattutto la denuncia si è rivelata totalmente infondata.

La misura e l’eleganza del professor Monti dovrebbero indurre Calderoli alle dimissioni. Temiamo non accada.

La Stampan 05.01.12

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“La Lega: festa di Capodanno a Palazzo Chigi Il premier: cotechino e lenticchie a spese mie”. di Giovanna Casadio

Il Pd attacca l´ex ministro: “Si è dimenticato i Bunga Bunga sugli aerei di Stato”. Ne ha digerite di cose la Lega, dai festini di Berlusconi ai voli di Stato con le giovani ospiti dell´ex premier. Ma sul cenone di Capodanno di Monti a Palazzo Chigi i lumbàrd, ormai di lotta, vogliono vederci chiaro. E l´ex ministro Roberto Calderoli prima annuncia un´interrogazione alla Camera (alla quale il premier potrebbe rispondere nel question time di mercoledì 11), poi rilancia: «Andrò a denunciare il presidente del Consiglio in Procura. Ci è cascato in pieno, non doveva tenere aperto il portone di Palazzo Chigi per ragioni di sicurezza e di costi. Se c´è stato un veglione deve dimettersi».
Monti trasecola, resta di sasso. S´arrabbia, anche. Poi alle 20 di ieri un comunicato di Palazzo Chigi viene inviato alle agenzie di stampa. Il Professore risponde alle accuse leghiste. E lo fa in perfetto Monti-style, ovvero con un rendiconto minuzioso del menù, di chi l´ha cucinato e persino dei negozi (indicata solo la via per evitare pubblicità impropria) dove la consorte, signora Elsa Antonioli si è approvvigionata. Oltre al numero degli ospiti: 12, compresi i bambini.
Per prima cosa, i tempi. Il 31 dicembre si è tenuta sì, una cena a Palazzo Chigi ma nell´appartamento-residenza di servizio del presidente del Consiglio. Cena privata, ribadisce la nota, non certo un veglione a spese dei contribuenti. Alle ore 20. Però a mezzanotte e un quarto tutti a nanna. I commensali erano: i coniugi Monti, i figli con relativi consorti, i quattro nipotini (da un anno e mezzo a sei anni) e la sorella della signora Elsa con il marito.
Il piatti serviti a tavola. Cotechino e lenticchie. Anche se, si legge nel comunicato, la signora Monti – che ha personalmente cucinato e servito i commensali (si spera aiutata dalle nuore) – ha acquistato pure tortellini e dolci, in piazza Santa Emerenziana. Mentre cotechino e lenticchie sono stati comprati in via Cola di Rienzo. Va da sé, a proprie spese. E qui, il Professore si toglie la non piccola soddisfazione di ricordare di avere rinunciato «alle remunerazioni previste per le posizioni di presidente del Consiglio e di ministro dell´Economia».
La collettività ha sostenuto dei costi? Il Professore sfodera l´ironia. «Il presidente Monti – si legge nella nota – non può tuttavia escludere che dato il numero relativamente elevato degli ospiti, ci possano essere stati oneri lievemente superiori per consumo di luce, acqua, gas». Tanto per completare le informazioni, Palazzo Chigi spiega che tutti gli ospiti di Monti alloggiavano all´Hotel Nazionale a proprie spese, e a quanto pare potrebbero rendere conto di come hanno trascorso la giornata del 31, tra una visita a Palazzo del Quirinale e una mostra. E Calderoli? Sostiene che la spiegazione è «una toppa peggiore del buco». Sulla vicenda impazzano i twitter con l´hashtag “Cotechino e lenticchie”. Il Pd: «Calderoli moralista non si ricorda più le ragazze del Bunga Bunga sugli aerei di Stato». Monti infine, molto british, si è detto «grato» per aver potuto chiarire: «Sarebbe stato offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici».

La Repubblica 05.01.12

"Che non sia un tempo sospeso", di Antonio Valentino

Non possiamo stare ancora per 18 mesi – se questo governa dura fino a fine legislatura – in situazione di apnea. E’ un lusso che non possiamo concederci, anche perché abbiamo alle spalle una stagione che ha ulteriormente allargato la demotivazione del mondo della scuola e quindi il suo stato di disorientamento e abbandono, pur in presenza di qualche elemento ordinamentale di segno innovatore, introdotto recentemente, che però non è riuscito a decollare. Soprattutto per incuria, incompetenza e incultura della cosa pubblica dei precedenti governi.

Mi hanno colpito, della lettera del 9 novembre scorso, che i vertici dell’UE hanno indirizzato al governo italiano (ancora “titanicamente” nelle mani di Berlusconi) sulle misure urgenti per la nostra economia, alcuni passaggi in cui si tendeva a mettere il dito sugli impegni mancati e la insipienza gestionale della cosa pubblica, che chiaramente costituivano atti di accusa verso una cultura politica – quella del nostro paese – arruffona e inaffidabile.

Questo si evince non tanto dai 39 punti di quella famosa lettera, quanto piuttosto dalla premessa metodologica (General question) nella quale si invita il nostro governo a indicare “per ciascuna misura o impegno (… ) il grado di implementazione, nel caso l’impegno sia già stato posto in opera”; e, nel caso di un impegno nuovo, “a fornire un concreto piano operativo per la sua adozione e implementazione; compreso lo scadenzario e il tipo di strumenti giuridici che il governo intende utilizzare…”.

Come dire: meno annunci, meno impegni a parole e più attenzione alla traduzione operativa delle misure e alla realizzazione delle decisioni assunte. In altri termini, più competenza e responsabilità.

D’altra parte, se solo guardiamo al mondo della scuola, non possiamo costatare che il giudizio implicito che se ne può ricavare è proprio questo; basti considerare la fine che hanno fatto le misure di accompagnamento alla legge per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione o al riordino del secondo ciclo; per limitarmi a disposizioni normative che hanno più interessato gli istituti…che se ne sono accorti.

Perciò l’attuale stagione non può tollerare tempi sospesi – nell’attesa che la crisi economico-finanziaria si risolva – per cominciare a pensare al suo rinnovamento. E’ un ragionamento che non tiene da nessun punto di vista.

Il nuovo ministro sembra avvertito di ciò, come del fatto che non di altre norme c’è bisogno, quanto piuttosto di lavorare il più possibile sulle condizioni materiali del fare scuola. E, al riguardo, il pensiero va in primo luogo alla stabilizzazione del corpo docente e alla sua qualificazione, agli interventi sulle strutture edilizie e agli investimenti sulle tecnologie per l’innovazione didattica, al superamento delle ambiguità e nebulosità normative (leggi: certificazione delle competenze per l’anno terminale del primo ciclo e del primo biennio del secondo; cultura delle competenze chiave nella didattica e nella valutazione, con riferimento specifico alla gestione delle Linee guida degli Istitui riordinati), ad una diversa idea di ‘governance’, legata alla rendicontazione sociale, che ci faccia uscire finalmente dall’asfissia dell’autoreferenzialità.

Quest’ultima mi appare sempre di più una urgenza di prim’ordine per dare senso all’autonomia, responsabilizzare le scuole e attivare al loro interno leve importanti e riconosciute per darsi consistenza e smalto.

In relazione a questa tematica, è lecito sollecitare sia un bilancio dell’uso del Fondo di Istituto e delle risorse per le Funzioni strumentali che un loro ripensamento complessivo? E ciò nell’ottica di una “leadership diffusa” e di un “middle management “ – riconosciuti e adeguamente compensati -? Questa prospettiva, infatti, appare sempre più attuale, non solo a fronte dei nuovi parametri del dimensionamento e della domanda crescente di rendicontazione sociale; ma anche alla luce di percezioni diffuse che questi strumenti, che abbiamo voluto e “agito” come leve, non sempre hanno funzionato – e funzionano – per come li abbiamo pensati.

Ovviamente, l’obiettivo – sia detto per prevenire equivoci – è quello di una riqualificazione mirata della spesa pubblica e di un suo prevedibile incremento, dentro una diversa idea di crescita e sviluppo sociale ed economico del paese.

La questione però oggi centrale e urgente è: come rimettere in moto la macchina di una motivazione generalizzata almeno degli attori principali.

Ritengo perciò che quello di cui abbiamo soprattutto bisogno è di sentire che il Ministero è dalla nostra parte, che si preoccupa della scuola pubblica, che alle cose che dice ci crede e le fa e le cura, che dietro alle cose che decide c’è competenza e coinvolgimento.

Al nuovo Ministro non va ovviamente chiesta la luna; solo di fare quello che dice; e di fare quello che dice dimostrando attenzione e ascolto attivo al mondo della scuola. Che ha bisogno di fiducia e di parole chiare sulle sue direzioni di marcia e sul suo sviluppo. Poche priorità, ma, su quelle, che i messagi siano precisi e inequivoci e le condizioni di fattibilità altrettanto.

Nelle considerazioni precedenti ho voluto dare voce ad alcune priorità (a cui forse andrebbe aggiunto un intervento chiarificatore sull’identità da dare alla secondaria di primo ciclo e forse anche sulla natura dell’istruzione professionale, dentro la più generale istruzione tecnica) che, seppure in termini diversi, si leggono da più parti.

Quello che si vorrebbe tornare ad avvertire è che la scuola sia vissuta nel paese come “cosa pubblica”, un bene per tutti e una “risorsa” (passatemi il termine abusato) per la collettività, a tutti i livelli.

Ma anche che i vari attori in essa coinvolti (dai docenti agli enti locali, alle direzioni scolastiche territoriali) sviluppino maggiore consapevolezza che, nella partita del rinnovamento, ognuno deve fare la sua parte, evitando di piangersi addosso, come spesso ci accade (non parlo ovviamente dei precari), e mettere a fuoco le specifiche responsabilità di ciascuno.

Certamente sindacato e associazionismo, enti locali e reti di scuola sono gli attori più importanti in questo processo. Penso che anche i Dirigenti Scolastici (DS), attraverso le loro organizzazioni di riferimento, sono chiamati ad un ruolo propositivo e attivo di primo piano dentro le scuole e nei territori.

Sappiamo però che, nell’attuale situazione di reggenze diffuse – e conseguenti difficoltà di gestione e disorientamento – un tale ruolo appare piuttosto difficile. Si spera, al riguardo, che il concorso in atto per futuri DS si concluda in tempi tali da permettere la copertura di tutte le dirigenze vacanti, a partire dal prossimo anno scolastico.E che, nel frattempo, i problemi sul dimensionamento – da assumere come un tutt’uno con le questioni dell’autogoverno delle scuole e della “governance” territoriale –abbiano trovato risposte non dettate da logiche ragionieristiche di corto respiro.

da ScuolaOggi 05.01.12

"E il cinepanettone diventa realtà", di Massimo Gramellini

Gli economisti del mondo intero sono già in viaggio con i Re Magi verso Cortina d’Ampezzo per visitare la culla del nuovo miracolo italiano. Stavolta la realtà ha superato il cinepanettone. I dati dell’Agenzia delle Entrate riferiti al prodotto interno lordo del 30 dicembre descrivono una crescita impetuosa. Farcita di percentuali che si impennano da un anno all’altro e addirittura – ecco la grandezza di questo indomito Paese – da un giorno all’altro. Ristoranti: più 300% rispetto al Capodanno precedente e più 110% rispetto al 29 dicembre. Beni di lusso: più 400 e più 106.

La sera del 29 Cortina languiva ancora, fra strade spoglie e locali deserti. I commercianti erano andati a letto distrutti. L’universo rideva di loro. Li dava per spacciati. Ma nella notte è partita la riscossa e l’alba sulle Dolomiti è stata salutata dal canto dei registratori di cassa che sputavano scontrini come petardi e dondolavano fatture fiscali come palline dell’albero di Natale.

Qualche maligno penserà che il nuovo boom sia rimasto circoscritto ai cortinesi. Niente di più falso. I generosi valligiani lo hanno voluto condividere con centinaia di turisti approdati in città la sera prima, probabilmente su slitte di fortuna. Il mattino del 30 quei derelitti si sono svegliati a bordo di una Porsche. Lavoratori che dichiaravano di guadagnare mille euro netti al mese o, peggio, di appartenere a società sull’orlo del fallimento. E’ giusto che la tanto sospirata crescita abbia premiato anzitutto i più bisognosi.

Come in ogni impresa eroica, anche nel supercinepanettone di Cortina non mancano episodi apparentemente inspiegabili che la mente semplice degli uomini derubrica a miracoli. Un commerciante, per esempio, ha venduto oggetti di lusso per un milione e mezzo senza che ne rimanesse traccia nei documenti fiscali. Ma io diffido delle spiegazioni extrasensoriali. Semplicemente gli si sarà rotta la biro. O la stampante del computer, cribbio.

Gli esperti in arrivo a Cortina dovranno spiegarci le ragioni di questo boom abbastanza inatteso. Cosa potrà mai essere successo, nel breve volgere di una notte, per raddoppiare gli incassi dei ristoranti, i guadagni degli alberghi, le entrate delle gioiellerie? Sono sul tavolo diverse ipotesi. C’è chi attribuisce il merito della svolta a una folata improvvisa di ottimismo, diffusa nell’aria da qualche sciatore berlusconiano in discesa libera. Altri tirano in ballo una profezia finora sconosciuta dei Maya: il 30 dicembre 2011 l’asse della Terra si sarebbe allineato per un attimo con il bancomat della piazza principale di Cortina, producendo una serie di effetti a catena, fra i quali la trasformazione delle utilitarie in bolidi superaccessoriati. Ma esiste anche una teoria più eccentrica. Per tutta la giornata del 30 qualcuno avrebbe visto aggirarsi fra i ristoranti e le gioiellerie un gruppo di alieni in divisa da finanzieri. La semplice presenza di questi simpatici visitatori avrebbe stimolato l’economia, meglio della Fase 2 del governo Monti.

Resta da capire il perché dell’ingratitudine dei cortinesi. I quali, sindaco in testa, invece di ringraziare gli alieni per il supporto morale, li hanno duramente contestati. Un autentico mistero. Chiederò lumi a qualche persona di rinomata sobrietà. Magari a Schifani, Rutelli e Casini, che dopo aver visto in tv il messaggio di Napolitano sulla necessità dei sacrifici sono saltati sul primo aereo per andare a sacrificarsi in un resort delle Maldive.

La Stampa 05.01.12

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“LA GOMORRA DELLE DOLOMITI”, di FRANCESCO MERLO

Tutti abbiamo pensato che fosse un esorcismo e invece il diavolo a Cortina c´è per davvero. Al punto che ora si può anche ridere a crepapelle davanti a quel battaglione di suv guidati da nullatenenti, e sono maschere comiche le finte precarie in pelliccia e labbroni di botulino. L´Agenzia delle Entrate ha insomma scoperto che Cortina è la sola città del mondo dove i disoccupati hanno tutti la carta oro dell´American express.
È stato infatti accertato che a Cortina i ristoratori dichiarano sino a trecento volte meno di quel che realmente incassano, i commercianti di beni di lusso quattrocento volte meno, i baristi il 40 per cento in meno, e i proprietari di suv, denunziando un massimo di trentamila euro l´anno, non guadagnano abbastanza soldi per comprare l´auto che possiedono e non si possono permettere neppure di fare il pieno.
E se si leggono i verbali dell´agenzia delle entrate si apprende che questi ‘tartassati di Cortina´ somigliano ai leggendari lestofanti del contrabbando dei tempi d´oro. Tutti come don Masino Spadaro che sostituiva l´acqua benedetta dentro le statuine della Madonna di Lourdes con il cognac e beccato alla frontiera esclamava: «bih, miracolo fu!»
Purtroppo però c´è poco da ridere ed è anche meglio trattenere l´indignazione. È soprattutto in questi momenti che bisogna ragionare. Cortina come metafora, direbbe Sciascia, ci aiuta a capire infatti il nostro vero problema: in Italia sono i furbi a fare classe dirigente e non importa che si tratti di capitani di industria o di leader politici, di protagonisti della vita sociale o di anonimi commercianti o ancora di direttori generali o sconosciuti ricchi di vario genere. Da Cortina arriva la conferma di tutti i pregiudizi sull´Italia che non riesce ad essere moderna perché è il Paese dell´illegalità diffusa, il Paese dove è sempre vero che a pensar male ci si azzecca sempre.
Questa retata tributaria infatti non è stata quel peccato di polizia politica che molti avevano denunziato e, tra loro, improvvidamente anche il comandante della Finanza di Belluno. Certo, è vero che lo Stato e questo governo rischiano di trasformare la pressione fiscale in oppressione fiscale e di interpretare il ruolo odioso del cerbero, del minosse, del catone, del fustigatore e del secondino. Ma si rimane di sasso scoprendo che a Cortina si concentra davvero l´Italia che non paga dazio, l´Italia senza il biglietto che mai farà patto con lo Stato, mai prenderà da sé la decisione di onorare le tasse almeno in tempo di crisi, che sarebbe al tempo stesso una confessione e un perdono, un amen, un ite missa est con una previsione di introito per lo Stato alla voce “recupero evasione”.
Attenzione: questa di Cortina non è l´Italia dei consumatori distratti che vanno sempre di corsa dal bar all´ufficio, dal panettiere all´ortolano e trattano gli scontrini fiscali come coriandoli di cartuzze che finiscono nei taschini e nei portafogli, biglietti di carta che somigliamo a un vestito di ferro. Né questa di Cortina è l´Italia che si arrangia e arrotonda con la piccola illegalità, non i vecchietti in nero, i sopravvissuti del boom economico che si davano da fare in tutti i modi e mai si fidavano dello Stato che era ancora quello dell´otto settembre, del privilegio sbracato e dell´ingiustizia di classe, non i piccoli esercenti e gli ambulanti del Sud, i meccanici, i venditori senza licenza con la casetta abusiva e sanata.
A Cortina c´è invece l´Italia ricca che sempre ‘fotte´ il prossimo. In una sola boutique di lusso hanno trovato merce del valore di 1,6 milioni di euro senza alcun documento fiscale. Come si vede siamo ben oltre l´illegalità dei mercati ambulanti di Bari e di Palermo.
Così è dunque ridotta la città del prestigio sociale e dell´incanto di natura, la città delle leggendarie feste esclusive e delle lunghe passeggiate d´autore, la città dove lo scià di Persia veniva fotografato in tenuta da sci e dove si rifugiava Gianni Agnelli, la città che fu scuola di accoglienza e di cultura alberghiera, la città delle nostre consuetudini cosmopolite. Oggi Cortina è degradata a negozio dei negozi, passerella degli orrori, avamposto del generone romano e del peggiore brambillismo di Milano, il cafonal da rotocalco che si autocelebra nella compiaciuta volgarità del sito Dagospia, l´Italia che evade le tasse ed è orgogliosa di evaderle anche perché esiste una scuola di economisti e di pensatori vari che difende questa sua evasione come frontiera di libertà: l´individuo contro lo Stato, l´anarcoliberismo, il turbocapitalismo…
E speriamo che adesso ci ragionino le persone per bene d´Italia su questa Cortina che è ormai più torbida della Valle dei Templi. Certo, nessun riccastro penserà mai di realizzare sulle Dolomiti una casa abusiva come ad Agrigento farebbero anche nel tempio di Giunone. Ma Cortina è peggio. Quella è un´Italia povera che vive di espedienti questa è la capitale dell´evasione spavalda, della ricchezza miserabile perché ostentata e clandestina che rischia di legittimare l´eversione latente che c´è in ciascun italiano, Cortina come cuore della dissoluzione di classe, il paradiso degli evasori, la Gomorra delle Dolomoti che giustifica tutte le altre Gomorra d´Italia, le altre Cortina d´Italia. Pensate all´illegalità diffusa di Napoli e a quella di Cortina: Napoli è, Cortina è diventata. Napoli è l´ex capitale marginale e Cortina è la nuova capitale della truffa d´alto bordo. Napoli sta ai margini per sventura e Cortina per ventura, per scelta: stare ai margini nel senso di non farsi beccare, fuori dall´occhio. Solo adesso si capisce il fiasco di ‘Vacanze di Natale a Cortina´: la realtà dell´ultima vetrina d´Italia è molto più comica e al tempo stesso più volgare di qualsiasi film dei fratelli Vanzina. Cortina è il cinepanettone andato a male.

La Repubblica 05.01.12

"Scuole sgarrupate: iniziare da dove?", di Mila Spicola

Ho chiesto alle reti provinciali degli studenti di descrivermi lo stato delle loro scuole. Se ci sono disservizi o edifici non a norma. Almeno quelli più evidenti o degni di segnalazione. Il primo report che mi arriva è da Mazara del Vallo, Trapani. E dunque inizio da loro. Giorni fa leggevo della “scarsa voglia di studiare dei ragazzi italiani”. “Il 70 % di loro boccia i propri docenti” lo rivela un indagine dell’Istat. Leggevo tanti commenti di reazione, tutti veri, a favore o contro quei dati: segno di gioventù viziata o di gioventù non capita? Demotivati e incapaci di studiare, distratti, svogliati, maleducati, poco curiosi. Potremmo scriverne per ore. La verità non è mai da una parte sola.

Non lo so..a me sembra che iniziare a parlarsi e ascoltarsi annulla ogni tipo di percentuale. Credo che la cosa più urgente, se vogliamo affrontare il problema scuola, sia capire cosa accade là dove i risultati siano peggiori. Conosco a menadito i divari dei livelli cognitivi dei nostri ragazzi del sud rispetto ai coetanei del nord, i dati della dispersione, i contesti. Quello che mi mancava era la loro testimonianza diretta. Ascoltiamoli. Non chiediamo loro opinioni sui massimi sistemi. Iniziamo dalle cose semplici. Com’è la tua scuola?

Adesso comincio ad averle le prime descrizioni e… me lo dite voi come cavolo si fa a tenerli in scuole come queste? A raccontar loro che ”L’Italia promuove la cultura”?

O forse è vero che questo Governo sta finanziando la manutenzione dell’edilizia scolastica? Forse è vero. Perchè mi tocca rispondere qualcosa ai ragazzi di Trapani oltre che “Resistete”.

Trapani è una delle province a più alta densità di disoccupazione. E a più alta densità mafiosa d’Italia. Per dire. O per ripetere, se non è mai abbastanza.

“Salve, le segnaliamo questi casi: noi a Mazara del Vallo abbiamo il Liceo Classico “G.G. Adria” che si trova nei garage di un condominio, non ha una palestra per cui ci dobbiamo recare presso il palazzetto comunale dello sport, non ha una biblioteca, i laboratori non sono accessibili, le classi non sono a norma e non rispettano la misura di 1,96 mq per studente prevista dalla legge, non ha strutture per i diversamente abili come scivoli, montascale e bagni, non ha le scale d’emergenza e le uscite di sicurezza e tutti i conseguenti disagi che ne derivano. Stessa cosa per l’I.P.S.I.A. e il Liceo Scientifico “Ballatore”, che si trova però con più piani in un palazzo di appartamenti civili e che ha la palestra in una stanza dello scantinato di questo edificio (almeno ce l’hanno), non ha un aula magna sufficientemente grande per cui dobbiamo recarci in un cine teatro per fare le assemblee. Questi due istituzioni scolastiche sono in edifici in affitto. Vi sono poi anche scuole non in affitto come per esempio il Liceo Artistico e l’Istituto tecnico Industriale “R. D’Altavilla” che presentano molte crepe e muri pericolanti e necessitano di interventi urgenti. Nella Provincia le situazioni peggiori sono il Liceo Classico “Ximenes” a Trapani, dove è crollato la scorsa estate il soffitto durante gli esami di Stato (per fortuna non ci fu nessun ferito); l’Istituto Professionale Cosentino a Marsala dove ci fu un altro crollo di intonaci; Il Liceo Classico “Gian Giacomo Adria” a Mazara del Vallo, sempre in affitto ma anche l’Istituto Industriale “R. D’Altavilla” per quanto riguarda le crepe e infine il Liceo SociopsicoPedagogico a Castelvetrano, e questo è gravissimo, in quanto ha del materiale eternit sopra la palestra e un ripetitore di telefonia mobile che emana radiazioni nemmeno a 50 metri di distanza. Grazie”

Non mi sembrano parole dettate dalla demotivazione, semmai da una lucida, sintetica consapevolezza della realtà. Quanti dei loro adulti ce l’hanno? Cominciamo dalle pietre, dalle aule, dalle pareti. Poi arriveremo piano piano al resto.

Grazie ai ragazzi della rete degli studenti di Mazara del Vallo.

L’Unità 05.01.12

"Tfa, la Funzione Pubblica smentisce il Miur: confermati i 23mila posti!", da La Tecnica della Scuola

Il dietrofront rispetto a quanto detto nei giorni scorsi ai sindacati dagli alti dirigenti di viale Trastevere è arrivato tramite un freddo comunicato di Palazzo Vidoni pubblicato su un quotidiano: il contingente approvato in extremis dalla Gelmini, compresi i 15mila posti alle superiori, non verrà dunque ridotto. Una buona notizia per i candidati all’abilitazione, ma davvero pessima per come è stata gestita la questione a livello di ministeri. Anche il nuovo Governo conferma l’inadeguatezza nel gestire la “patata bollente” dei Tfa, i nuovi percorsi universitari di formazione abilitanti: lo scorso 29 dicembre, mentre i rappresentanti del Miur comunicavano con in certo imbarazzo ai sindacati che i 23mila posti individuati dall’ex ministro Gelmini dovevano essere ridimensionati a seguito di alcuni rilievi del dicastero della Funzione Pubblica,

dallo stesso dicastero di Palazzo Vidoni partiva una nota, completata il giorno successivo, con la quale il contingente da selezionare veniva invece clamorosamente confermato in toto.

A completare quella che appare una vicenda a lieto fine per i candidati, ma che Miur e Funzione Pubblica potevano sicuramente gestire meglio, è stato l’ufficio stampa del ministero guidato da Patroni Griffi attraverso un comunicato pubblicato il 4 gennaio su un quotidiano economico: “si precisa – riporta il comunicato della Funzione Pubblica – che con nota del 29 dicembre 2011, il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione ha espresso parere favorevole all’ulteriore corso del decreto del ministero dell’istruzione che individua in 2.802 il numero dei posti disponibili, a livello nazionale, per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado”. Nel comunicato si spiega che la medesima procedura di conferma è stata adottata anche per il contingente della scuola secondaria. “Parere favorevole – continua l’ufficio stampa – è stato inoltre espresso, con nota del 30 dicembre 2011, sul decreto del Ministro dell’istruzione con cui, in materia di programmazione degli accessi ai percorsi formativi per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, si dichiarano disponibili, a livello nazionale, 4.275 posti per le immatricolazioni al TFA per l’insegnamento nella scuola di primo grado e 15.792 posti le immatricolazioni al TFA per l’insegnamento nella scuola di secondo grado”.

Quest’ultima precisazione, relativa alle abilitazioni assegnate per la secondaria superiore, fa dunque cadere la controversia sull’eccesso di posti (tre volte quelli effettivamente liberi) che il Miur avrebbe concesso a seguito delle pressioni ricevute anche sul fronte politico (in particolare da Comunione e liberazione).

Lo sblocco dei tirocini non rappresenta comunque il via libera per l’avvio delle selezioni: quando la prossima settimana i sindacati e gli alti dirigenti del Miur si riuniranno di nuovo, probabilmente il 9 o 10 gennaio, rimarranno ancora tutte da definire le modalità di svolgimento delle selezioni dei candidati, la ridefinizione dei decreti emessi dalla Gelmini, nonché lo scioglimento di diversi “nodi”. Ad iniziare dalle regole che porteranno alla scelta dei tutor formativi e dall’attivazione di una serie di corsi abilitanti su delle classi di concorso (alle superiori) ancora non definite.

La Tecnica della Scuola 05.01.12

"Fincantieri ad alta tensione. Passera convoca i sindacati", di Luigina Venturelli

Dopo sei ore di blocco dell’aeroporto di Genova, e dopo giorni di protesta ininterrotta a Sestri Ponente, Palermo ed Ancona, è arrivata la notizia che i lavoratori Fincantieri aspettavano: il governo ha convocato le organizzazioni sindacali per un colloquio sulla crisi del gruppo della cantieristica, da tempo al centro della protesta dei lavoratori per un piano di riorganizzazione che minaccia i livelli occupazionali e produttivi.
IL PUNTO SULLA CANTIERISTICA Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera parlerà con i rappresentanti nazionali delle tute blu la prossima settimana, martedì 10 gennaio, per fare il punto sulla situazione complessiva di Fincantieri. Un risultato raggiunto grazie alla mobilitazione degli operai, che ieri hanno occupato per tutta la mattina lo scalo aereo del capoluogo ligure, bloccando i varchi dei controlli e causando ritardi e disagi sui voli per Roma e Monaco, e la cancellazione di quello per Trieste. Centinaia di passeggeri sono stati accompagnati con pullman agli aeroporti di Milano e Pisa per poter viaggiare, e l’occupazione minacciava di proseguire ad oltranza, se la comunicazione dell’incontro con Passera non fosse giunta tempestivamente a rassicurare i lavoratori sulla possibilità di far sentire la propria voce. Il cantiere di Sestri Ponente, infatti, minaccia di fermarsi dal mese di marzo, una volta consegnata l’ultima nave in produzione, e di lasciare tutti gli 800 dipendenti, più altri 1.500 delle ditte esterne, a casa in cassa integrazione per mancanza di commesse.
LA PROTESTA A PALERMO La tensione resta alta anche a Palermo, dove il gruppo ha annunciato cassa integrazione straordinaria per 24 mesi per un massimo di 470 operai, sui 505 totali, e 140 esuberi in due anni con un accordo firmato dai vertici nazionali di Fim e Uilm, non dalla Fiom,ma avversato da tutti i sindacati a livello locale. Proprio ieri sono arrivate le prime lettere di comunicazione delle cig straordinaria a partire dal 2 gennaio fino al 31 dicembre 2013, così, dopo tre giorni di scioperi e manifestazioni di piazza, le tute blu hanno deciso di bloccare il traffico automobilistico sulla circonvallazione per tutta la mattinata e di presidiare l’ingresso dello stabilimento ad oltranza. O, meglio, fino a mercoledì prossimo, data in cui è stata fissata una riunione presso la Regione Sicilia con sindacati e azienda. Ieri, inoltre, si è sbloccata anche la situazione allo stabilimento Erg-Lukoil di Priolo, in provincia di Siracusa, dove i lavoratori protestavano da lunedì scorso, quando un centinaio di loro ha scoperto di avere il badge disabilitato e dunque di non poter entrare al lavoro. Un episodio che ha infiammato la protesta al polo petrolchimico, dove il gruppo ha minacciato esuberi per 1.400 lavoratori nei prossimi due anni, 700 già a partire da quello in corso. I blocchi negli impianti sono però stati rimossi ieri, ed oggi i lavoratori delle ditte dell’indotto metalmeccanico rientreranno al lavoro, grazie all’accordo raggiunto dal vertice in Confindustria a Siracusa tra i dirigenti Erg-Lukoil e i sindacati: l’azienda ha comunicato che riabiliterà i badge a tutti gli operai ed è stata concordata una serie di incontri per riprendere il confronto sugli appalti e gli investimenti nel Petrolchimico e sul piano industriale del gruppo. «L’attenzione rimane comunque alta» assicura la Fiom.

da L’Unità 05.01.12

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“Tagli Fincantieri, occupato l’aeroporto”, di Erika Dellacasa

«Se per essere convocati a Roma dobbiamo fare i matti, faremo i matti». Così Bruno Manganaro, della segreteria Fiom di Genova, dopo quindici giorni di cortei e presidi degli operai di Fincantieri di Sestri Ponente, ha annunciato che il sindacato alzava il tiro sulla messa in cassa integrazione a zero ore per due anni per tutti i 745 addetti del cantiere navale. E ieri mattina i lavoratori hanno occupato per sei ore l’aeroporto Cristoforo Colombo, quattro aerei sono decollati vuoti, uno per Roma ha imbarcato solo 7 passeggeri (71 sono rimasti a terra), altri voli sono stati dirottati sugli scali milanesi e su Pisa. Alle 16 è arrivata per fax la convocazione del ministro allo Sviluppo economico, Corrado Passera, per il 10 gennaio. Con un piccolo giallo. Il ministero, è scritto nel fax, «come già programmato ha convocato nella giornata di ieri i segretari nazionali dei sindacati per fare il punto sulla situazione complessiva di Fincantieri». La convocazione, quindi, sarebbe stata decisa già martedì 3 ma, dice Francesco Grondona, segretario Fiom di Genova «né noi né la segreteria nazionale sapevamo nulla e se l’incontro era già deciso perché il ministro non ce l’ha detto alle 10 di mattina, quando abbiamo occupato l’aeroporto?». Intanto l’Authority nazionale sugli scioperi ha chiesto informazioni al prefetto di Genova sul blocco dello scalo durante la franchigia natalizia a tutela «dei diritti costituzionali degli utenti».
Gli animi sono molto caldi e la diffidenza è alta. Dopo che un primo piano industriale dell’azienda pubblica della cantieristica era stato respinto dai tre sindacati, l’intesa delle segreterie si è rotta. La Fiom non ha firmato l’accordo siglato con Fincantieri da Fim e Uilm il 21 dicembre sul nuovo piano, con cui l’amministratore delegato Giuseppe Bono intende far fronte al calo di commesse a livello mondiale (prevede fra l’altro la Cig straordinaria per una media di 2.233 dipendenti). Per Sestri si tratta di due anni di stop totale e 400 mila euro (su 102 milioni di investimenti) per la «messa in sicurezza» del cantiere. «Cioè — dice Grondona — per chiuderlo». Fincantieri ha sempre negato questa intenzione.
Genova è maggiormente a rischio nel piano di riorganizzazione, che punta su Monfalcone ma anche altri cantieri sono in agitazione. A Palermo c’è tensione per l’annuncio di 140 esuberi e ieri ci sono stati blocchi stradali, Castellammare non vede certezze. Quanto ad Ancona, dove dovrebbe concentrarsi la costruzione dei mega yacht, l’azienda ha messo sul tavolo 230 esuberi su 600 addetti.
Il caso Fincantieri, con tutte le forti tensioni sociali pronte ad esplodere soprattutto a Genova (anche il cardinale Angelo Bagnasco è intervenuto chiedendo «la salvaguardia del lavoro»), inaugura l’anno e apre il primo tavolo su emergenza lavoro e crisi industriale per il ministro Passera. Tavolo difficile sul fronte sindacale: ieri c’è stato uno scambio di gelidi comunicati tra Cgil e Cisl genovesi perché quest’ultima ha criticato il blocco dell’aeroporto. A marzo a Sestri sarà terminata la Oceania Riviera, ma l’ultima nave rischia di non essere consegnata: la Fiom ha detto che lo scafo non uscirà dal bacino se non ci sarà un’altra commessa.

Il Corriere della Sera 05.01.12

"Licenziamenti falso problema", di Luciano Gallino

C´è una realtà sotto gli occhi di milioni di italiani, che essi vedono e patiscono ogni giorno. L´industria italiana sta perdendo i pezzi. Lo dicono, più ancora che i media nazionali, che si debbono per forza concentrare sui casi più eclatanti, la miriade di Tg regionali e di giornali locali. Non ce n´è uno, da settimane, che non rechi in prima pagina l´allarme per un´impresa del luogo che sta per chiudere. Da Varese a Palermo, dal Cuneese al Friuli, da Ancona a Cagliari. Per tal via sono già scomparsi centinaia di migliaia di posti di lavoro; altrettanti rischiano di seguirli nel prossimo anno. Nessun settore sembra salvarsi. Sono in crisi l´auto (ovviamente Fiat: 550.000 vetture prodotte in Italia nel 2010, un quarto rispetto a vent´anni fa) e l´aerospazio (vari siti di Alenia); la costruzione di grandi navi, di cui l´Italia fu leader mondiale (almeno sei siti di Fincantieri) e gli elettrodomestici (Merloni di Fabriano e Nocera Umbra); la microelettronica (ST-Microelectronics a Catania) e il trasporto navale di container (Mct di Gioia Tauro); la siderurgia (Ilva a Taranto) e la chimica (Montefibre a Venezia, Petrolchimico e Vinyls a Porto Torres). Si potrebbe continuare per un paio di pagine. Sono anche crisi, tutte, accompagnate da forti perdite di posti di lavoro nell´indotto e nei servizi, poiché è pur sempre l´industria il settore da cui proviene la maggior domanda di essi.
Di fronte a una simile realtà, ed alla inettitudine dimostrata al riguardo dal precedente governo, ci si poteva aspettare che il governo nuovo aprisse una robusta discussione con sindacati, industriali, manager, esperti del settore, per vedere se si trova il modo o di rilanciare rapidamente le industrie in crisi, o di svilupparne di nuove affinché assorbano il maggior numero di disoccupati presenti e futuri. Invece no. Il governo apre un tavolo di discussione per decidere quali riforme introdurre sul mercato del lavoro al fine di renderlo più flessibile. Ed i sindacati, anziché ribattere che il problema primo e vitale è quello di creare lavoro, accettano di discutere sul come riformare le norme d´ingresso e di uscita da un mercato che intanto rischia una contrazione senza precedenti. Il che equivale a chiedere all´orchestra, tutti insieme, di suonare il valzer preferito mentre la nave è in vista dell´iceberg che la porterà a fondo. Fondo che in questo caso si chiama una durissima recessione, con milioni di disoccupati di lunga durata.
Dinanzi a una simile disconnessione dalla realtà di ambedue le controparti non restano che due strade. Una è arcibattuta: se mai c´è stato in passato un frammento di evidenza empirica comprovante che una maggior flessibilità in uscita accresce il numero degli occupati, a causa della crisi economica in atto tale affermazione è ancora più illusoria. Le imprese non assumono perché non ricevono ordinativi. In molti casi è chiaro che è colpa loro. La grande cantieristica, per citare un caso paradigmatico, conta ancora nel mondo numerose società che producono ogni anno decine di navi d´ogni genere, dalle petroliere ecologiche ai trasporti adatti alle autostrade del mare. Non avendo saputo riconvertirsi, i cantieri di Fincantieri si ritrovano ora con zero commesse. Davvero si può pensare che se gli facilitassero i licenziamenti individuali essi assumerebbero folle di lavoratori?
Un altro argomento che occorre pur ripetere è che il proposito di far assumere come lavoratori dipendenti un buon numero di precari è decisamente apprezzabile. Ma se il contratto di breve durata che caratterizza le occupazioni atipiche si riproduce nell´area dei nuovi contratti perché questi implicano la possibilità di licenziare il nuovo assunto, anche senza giusta causa, per un periodo che addirittura supera di molto l´attuale durata media dei contratti atipici, la precarietà cambierà di pelle giuridica, ma resterà tal quale nella realtà. Le imprese che in questi anni sono ricorse a milioni di contratti di breve durata in forza della legge 30/2003, allo scopo precipuo di adattare la forza lavoro in carico all´andamento degli ordinativi, useranno il periodo di prova, di apprendistato o come si voglia chiamarlo, lungo addirittura tre anni e più, per perseguire il medesimo scopo.
Duole dire che anche le proposte di un potenziamento degli ammortizzatori sociali, sponsorizzato in specie dal Pd, appare arretrato di fronte alla realtà della disoccupazione ed alle sue cause. Certo, se si ritiene che non ci siano alternative, come diceva la signora Thatcher, meglio un sussidio che non la miseria. Ma creare nuovi posti di lavoro in realtà non costerebbe molto di più, immaginazione politica ed economica aiutando. E un lavoro stabile e remunerato intorno o poco sotto alla media salariale è una soluzione che molti preferirebbero rispetto a sette od ottocento euro di sussidio percepito magari per anni, ma senza la possibilità di ritrovare un lavoro. Oltre ad essere, in tema di difesa delle competenze professionali e della coesione sociale, assai più efficace.

La Repubblica 05.01.12