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“Alla prova del nove”, di Claudio Tito

Quando si ricopre una carica elettiva, quando si ha avuto l’onore di rappresentare l’Italia all’estero, quando si ha l’onere di svolgere un mandato per conto di milioni di italiani, si hanno anche dei doveri. PIÙ doveri di ogni altro cittadino. Silvio Berlusconi, invece, rifiuta addirittura di sottomettersi alla legge. Respinge semplicemente le norme basilari di ogni Stato di diritto. E confonde la delega che gli elettori hanno affidato al suo partito con uno strumento da esercitare esclusivamente per conquistare un eccezionale salvacondotto.
Il capo dello Stato, che pure si è speso in questi mesi per ricondurre il Paese nell’alveo di una normalità democratica dopo la specialità vissuta nell’ultimo ventennio, non poteva che respingere le pretese avanzate dal leader di Forza Italia. Il Cavaliere sembra pretendere per se stesso una sorta di extraterritorialità.
Agita il suo peso elettorale, la sua carriera politica e persino il suo successo imprenditoriale come se costituissero una via preferenziale all’immunità. Non riesce a cogliere i limiti che la politica e le istituzioni pongono ai desideri personali. Trascina nel baratro della irresponsabilità quel minimo di cultura della legalità sopravvissuta a questi venti anni di totale destrutturazione del sistema normativo e etico del Paese. Invoca insomma una sorta di Stato d’eccezione — così lo chiamerebbe il filosofo tedesco Carl Schmitt — da applicare solo a se stesso con l’obiettivo di sospendere l’ordinamento giuridico:
necessitas non habet legem.
È in sostanza il replicarsi all’infinito della richiesta di norme ad personam.
Ma quando a tutto questo viene associata la minaccia di manifestazioni di piazza, di contestazioni radicali, allora davvero si avvicina pericolosamente il limite dell’eversione. Ma a queste condizioni, in questo clima, nessun presidente della Repubblica può concedere la grazia. Men che meno “motu proprio”.
Napolitano in una dichiarazione del 13 agosto scorso aveva prospettato una possibilità. Ma ad alcune condizioni: che ci fosse ad esempio la richiesta, magari non diretta, ma di un congiunto. Soprattutto aveva chiarito che qualsiasi atto di clemenza non avrebbe potuto mettere in discussione «la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato ». «Ogni gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno Stato di diritto, ogni realistica presa d’atto di esigenze più che mature di distensione e di rinnovamento nei rapporti politici — aveva avvertito — sarà importante per superare l’attuale difficile momento». Ma questi paletti sono stati sistematicamente sradicati. Berlusconi contesta proprio l’essenza della sentenza. Dimostrando che il suo interesse primario non è solo la grazia. Ma quel concetto piuttosto astratto di “agibilità politica”. Non solo vuole essere al di sopra della legge, ma che sia messo in condizione di ricandidarsi alle prossime elezioni. Vorrebbe tornare ad essere l’ago della bilancia della politica italiana. Perché solo così è sicuro di poter tutelare al meglio le sue esigenze: giudiziarie e imprenditoriali. Eppure nelle sue pretese c’è qualcosa che lo rende inattuale. Il Cavaliere — forse per la prima volta da quando è sceso in politica — non appare calato nella realtà dei fatti. Ad agosto scorso, in un incontro riservato, persino il suo vero plenipotenziario, Gianni Letta, si era fatto scappare un giudizio definitivo: «Silvio, è finita». E oggi che deve fare i conti anche con una scissione che ha rotto il nucleo del suo movimento, non riesce a prendere atto che le condizioni politiche sono mutate.Alfano ha respinto la proposta di scendere in piazza mercoledì prossimo al fianco degli “ex amici”. Non è solo una scelta formale. È qualcosa che rompe l’unità del centrodestra nei termini che abbiamo visto dal 1994 alla scorsa settimana. Il leader forzista non è più determinante: in piazza e in Parlamento.
Questo governo eccezionale ma non d’eccezione, non deve pi ù la sua sopravvivenza alle decisioni o ai diktat lanciati da Via del Plebiscito. Enrico Letta rivendica questa circostanza osservando che il suo esecutivo «ha cambiato per sempre la politica italiana archiviando per davvero il berlusconismo ». Quel che accadrà mercoledì, in occasione del voto sulla decadenza, sarà probabilmente una delle prove capaci di marcare il reale superamento del ventennio berlusconiano. Ma non sarà l’unica. Il vicepremier, il suo ex delfino, dovrà infatti dimostrare non solo di reggere all’urto degli attacchi dei falchi e di proteggere l’azione del governo. Per una effettiva svolta dovrà con i fatti recidere ogni legame con il cuore politico del berlusconismo, quel mix di populismo e demagogia che ha paralizzato l’Italia dal 1994. Dovrà aiutare il centrodestra a mostrarsi con una faccia europea e conservatrice, e sostanzialmente dire: non saremo mai più così. Non basterà fare il tour delle capitali europee per accreditarsi con le cancellerie dell’Ue per conquistare «da vero moderato » quell’immenso bacino elettorale egemonizzato da Berlusconi e adesso contendibile. Se non lo farà, se si ripresenter à con il volto del “diversamente berlusconiano”, allora ricadrà inevitabilmente nel vortice che in questi anni ha avviluppato ogni tentativo di distinguersi dall’originale.
Ma anche il Pd è ora chiamato alla prova. Quella di ritrovarsi in campo libero senza il nemico storico. Evitando di inseguirlo sul suo terreno. L’ultimatum scandito anche ieri da Matteo Renzi alla Convenzione democratica, è con ogni probabilità il primo passaggio di questo esercizio. Se il Pd sarà in grado di indicare la strada al governo, suggerendo priorità e finalmente imponendo dei temi, allora ci sarà la possibilità di superare questo ventennio. Questa è la sfida del nuovo segretario ma anche di Letta. Che è stato severamente condizionato dalla presenza di Berlusconi nella sua maggioranza. E anche la sua azione dovrà liberarsi di quel residuo di berlusconismo che ancora aleggia. Se ci riuscirà, allora il Paese avrà cambiato pagina. Altrimenti per la prova del nove bisognerà attendere le elezioni.

La Repubblica 25.11.13

“Diluvia: chi fa soldi e chi perde tutto”, di Mario Pirani

Nella tragedia dell’alluvione in Sardegna più che il caso cominciano ad emergere le colpe, colpe delle amministrazioni che hanno permesso ciò che era vietato, degli speculatori che hanno costruito lungo le sponde dei fiumi, di chi si è impadronito dei terreni agricoli per farne aree illecite di costruzioni e così via. Interrogo, per avere un quadro complessivo del disastro sardo, un esperto della Consulta nazionale di protezione civile della Cgil, Marco Leonardi È reticente, teme di trasformarsi in portavoce della stampa ma lo rassicuro: vorrei solo delle spiegazioni razionali e non sfoghi di indignazione emotivi, anche se ce n’è ben motivo. Cito solo la frase iniziale del suo riassunto: «L’Italia è a rischio di default ambientale». Chi è aduso al linguaggio della crisi economica capisce che non si tratta di una metafora. Poi mi sottopone alcuni dati su scala nazionale o locale.
Oltre l’80% dei comuni presenta almeno un’area a rischio elevato o molto elevato di frana o di alluvione; il 10 per cento circa del territorio nazionale presenta un’elevata criticità idrogeologica.
Si stima che i danni da eventi connessi al rischio idrogeologico dal 1944 al 2012 possano ammontare ad oltre 60 miliardi di euro. A fronte di una situazione di questo genere, senza entrare nel merito della discussione sul cambiamento climatico e sulle sue cause, si deve intervenire sia in termini di prevenzione strutturale, attraverso una corretta gestione del territorio, sia in termini di capacità di risposta delle comunità alle calamità naturali.
L’Italia si è dotata di un servizio di protezione civile con la Legge febbraio 1992, che ha portato alla creazione di un sistema complesso, cui concorrono più Enti e Amministrazioni, articolato in attività di previsione e prevenzione dei rischi, soccorso e superamento dell’emergenza. I Comuni debbono provvedere a redigere i piani di emergenza ma se questi non si incardinano nell’amministrazione ordinaria e se non coinvolgono tutti i cittadini nel processo di quella che gli anglosassoni
chiamano “preparedness”, rimangono meri atti formali. Inoltre nella maggior parte dei casi non dispongono di adeguate risorse né strutture tecniche di supporto. Con la direttiva emanata dal presidente del Consiglio dei ministri il 27 febbraio 2004, è stato disegnato il sistema di allerta e monitoraggio per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile, creando la rete dei centri funzionali. Non tutte le Regioni, peraltro, se ne sono dotate e non sono quindi in grado di assicurare in autonomia l’allerta e il monitoraggio su questi rischi. Il costoso sistema di allarme e le informazioni sugli eventi previsti gravano allora in massima parte sul sindaco. Inoltre, malgrado le leggi e le enunciazioni di principio, la protezione civile italiana viaggia su un doppio binario: un binario — quello dei centri funzionali — dove ci si può muovere ad alta velocità, dotato di poteri e risorse, anche se spesso male utilizzati; così anche il sistema di monitoraggio sul rischio idraulico e idrogeologico ha beneficiato di numerose ordinanze in deroga e di generosi finanziamenti.
L’altro binario, sul quale ci si muove in condizioni ordinarie, con molti vincoli e con poche risorse, è quello su cui dovrebbero correre molti interventi di prevenzione. Si è arrivati così al paradosso che i Comuni virtuosi, intenzionati a spendere per la prevenzione e per la messa in sicurezza del proprio territorio, spesso non possono farlo, a causa del patto di stabilità. Invece, dopo che il disastro è arrivato, viene dichiarato lo stato di emergenza e alle amministrazioni colpite è concesso derogare a quello stesso patto di stabilità, per fare fronte a danni che, almeno in parte, si potevano evitare. Tutto questo sembra supportare le tesi di chi ritiene che esista in Italia una vera industria dell’emergenza, a vantaggio di uno o più comitati d’affari, ovviamente poco interessati alle politiche di prevenzione. L’Italia del malaffare fiorisce anche sotto la pioggia?

La Repubblica 25.11.13

“Lettera agli uomini che odiano le donne”, di Cristina Comencini

Noi donne occidentali siamo le prime madri libere dal destino della maternità: possiamo scegliere di essere donne senza figli. Nella madre antica, il primo anno di vita e quelli seguenti creavano nel bambino un’idea di donna che si prolungava nell’età adulta, in cui il destino della ragazza era quello di sposa e madre e quello dell’uomo di trovare la donna madre dei suoi figli.
Non c’era rottura, contraddizione, tranne quella che derivava dall’infelicità e dal sacrificio insiti nel destino femminile. A noi, madri nuove, viene richiesto un doppio salto mortale: dobbiamo essere pronte allo stato fisico e mentale che permette lo sviluppo del bambino, ma restiamo donne libere, ambivalenti nel desiderio di vivere pienamente il rapporto esclusivo a due col bambino ma di non esiliarci dal lavoro lasciato. Nel passaggio di testimone dalla nuova madre alla nuova figlia, la bambina ne osserva la vita: la libertà, il lavoro, la parità e comincia a cercare, a costruire la sua identità sulla nuova identità della madre. Il figlio maschio di questa nuova madre e la madre nuova di questo figlio affronteranno invece una relazione molto complessa: la sessualità, l’immaginazione, il desiderio, la sicurezza iniziano a formarsi in lui con la madre dedita dei primi mesi e dei primi anni, che si trasformerà poi davanti agli occhi intimiditi del ragazzino, in una donna forte, sicura di sé, piena di autorità, che va fuori nel mondo senza paura, concorre col padre, tiene testa agli uomini.
Questo figlio cresce con l’idea che l’uomo non è sempre simbolo di forza, che il padre non ha l’esclusività del ponte col mondo, che non può riferirsi a lui per ogni aspetto della sua virilità nascente. Il padre gli sembra a tratti impaurito e lui tenderà a difenderlo contro la madre, prendendo così le parti di se stesso, messe a dura prova dalla sicurezza materna. Il ragazzo vede fuori casa molte ragazze che somigliano alla madre nuova che ha scoperto crescendo e non sa assolutamente come dovrà affrontarle, amarle, farci l’amore, pensa che potrebbe prendere la scorciatoia e incontrarne una più fragile o tradizionale, che si faccia guidare e proteggere da lui. E qualche volta la trova, ma non sa che anche nella più tradizionale delle donne il germe dell’autonomia conquistato dalle nuove madri è fiorito all’insaputa della ragazza. Capiterà che la ragazza si senta incerta come lui, che odi la madre nuova, con tutta la sua sicurezza vincente. E allora specularmente al ragazzo in cerca di un passato impossibile, si fingerà sottomessa, materna, unica. Una felicità fragile che si fonda su una frase fondamentale: noi non ci lasceremo mai.
E poi un giorno, lei o lui dirà la frase proibita: ti lascio. Solo che se la pronuncerà lui, lei piangerà e scriverà sul diario e ne parlerà con le amiche come nell’Ottocento. Lui invece potrebbe pensare di ucciderla, come si uccideva in duello nell’Ottocento per una donna, o farlo come avrebbe voluto qualche volta sopprimere la madre che quest’epoca gli ha dato. La violenza sulle donne — si celebra oggi la giornata mondiale contro il femminicidio — è frutto di questo nuovo, non un retaggio dell’antico. Usa forme antiche ma è del tutto nuova e legata alla libertà delle donne, delle madri, alle loro contraddizioni, al mutamento troppo lento degli uomini, dei padri di fronte a questa nuova libertà. Eppure è negli uomini, nei padri, nella loro riflessione, nella ripresa del loro ruolo centrale accanto alle donne che siamo oggi, che io penso possa compiersi la rivoluzione che le donne hanno iniziato.
Le nuove donne devono continuare a essere differenti dagli uomini e fare valere in tutti i campi la ricchezza della loro storia,
della loro intelligenza, dei loro pensieri, ma devono anche cambiare nel profondo e lasciare agli uomini la loro parte di responsabilità nel nuovo mondo. I ruoli dell’uno e dell’altra, rimanendo differenti, possono sovrapporsi e prendere l’uno dall’altra. E la madre può cedere la sovranità assoluta per una libertà conquistata che apre le porte di un mondo vasto, ricco della presenza di Due diversi ma pari. E penso che il padre possa insegnare la sua nuova forza al figlio: un dominio sovrano che deve trasformarsi nell’accoglimento della differenza delle donne, della loro parità. Può insegnare al figlio a non averne paura, a parlarne, sottraendo così il dialogo sui sentimenti all’impero delle donne. Forse la nuova forza degli uomini è fatta anche del pianto di Ulisse — uomo per eccellenza — che nell’isola dei Feaci ascolta il racconto della guerra di Troia e piange, coprendosi il viso col mantello purpureo, «come donna piange lo sposo che cadde davanti alla città ». Forse l’uomo può piangere ora come uomo, senza coprirsi il viso, anche davanti al figlio, e aprirsi nel racconto all’altro da sé. E le donne al contrario possono diventare più lievi, manifestare la loro imperfezione, dare ai figli la manifestazione vera di quello che sono e la possibilità di tenere testa senza violenza alle giovani donne libere che incontreranno nella loro vita adulta. Abbiamo la fortuna di vivere uno dei cambiamenti più importanti della storia, il mutamento profondo del rapporto tra i due generi, questo mutamento può cambiare il mondo e in questo nuovo mondo le donne e gli uomini possono amarsi e comprendersi molto più di prima.

La Repubblica 25.11.13

“Basta con gli stereotipi: la lotta alla violenza comincia così”, di Mila Spicola

Da Duino a Lampedusa ci saranno iniziative, manifestazioni, eventi. Dovrei essere soddisfatta per come la «questione» non sia più negata, minimizzata o rimossa, come accadeva fino a pochissimo tempo fa. Rimane ormai solo Vittorio Feltri a dichiarare come un centinaio di vittime di femminicidio siano «statisticamente irrilevanti», anche lui lo è. Eppure sono perplessa perché sento che siamo pronte a un cambio di passo ma non so se il verso mi convinca più di tanto. La violenza sulle donne nasce da uno stereotipo, anzi, anche lo stereotipo lo è, un atto violento, che costringe in gabbie di ruolo uomini e donne e contro lo stereotipo non vedo prese di posizione o battaglie, vedo solo conferme, soprattutto dai mezzi di comunicazione e informazione. Parrebbe dunque che l’angolo in cui viene relegata la donna pestata dalle foto del racconto collettivo sulla violenza di genere stia diventando esso stesso stereotipo potente, capace ahimè di peggiorare le cose piuttosto che sanarle, di aprire un abisso ancor maggiore tra uomini e donne, mi viene il dubbio che dalla rimozione del problema oggi si stia arrivando a una consapevolezza errata del problema che nulla di nuovo dice sui diritti delle donne: siamo ancora alla fase donna debole da difendere? Donna in pericolo rimani a casa la sera? Stiamo equivocando una debolezza femminile tutta da dimostrare: le donne oggetto di violenza sono per lo più donne forti e autodeterminate, ed è questo che viene avversato da chi le colpisce. Il recente decreto contro il femminicidio è stato centrato più sulla tutela e la pena (necessarie, nessuno lo nega) che sulla necessaria e inderogabile prevenzione, anche e soprattutto di tipo educativo. Quando si dice educazione subito si pensa alla scuola, meno alla famiglia e meno che mai alla società intera. No, non è facile da comprendere né da praticare la lotta agli stereotipi a cominciare da noi adulti quando tutto rema contro e anche la donna pestata, in modo sottile, lo è diventato uno stereotipo. E sono stereotipi immensi la debolezza femminile e la forza maschile. Mi sembra che il racconto delle violenze sia così ossessivamente monocolore da aumentare tali stereotipi. Da ogni angolo arriva la determinazione che solo con cultura ed educazione si possono mutare linguaggi e comportamenti, perché «i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», diceva qualcuno, eppure poco cambia. I giornali sono pieni di donne accucciate nell’angolo con l’occhi pesto e di uomini neri ripresi alle spalle, di «babysquillo» e di mamme discutibili, di donne da difendere persino dalle altre donne, molto meno di facce di criminali che hanno ammazzato le donne, da papà assenti, appunto, o da utilizzatori finali di sesso a pagamento. Eppure le statistiche ci forniscono l’incredibile numero dei 9 milioni di maschi italiani adulti che il sesso lo pagano. A prescindere dalla libertà personale e leggittima, tale cifra non preoccupa nessuno? Nessuna redazione vuol metterla in prima pagina? O lo stereotipo è e rimane quello che il sesso è colpa per le donne, che lo vendono, ma tutta salute per gli uomini che lo comprano? Che la provocazione sia donna e la vittima sia il provocato? Ne parliamo? E che femminicidi, violenze, entità della prostituzione, discriminazioni di ogni genere, omofobia, sono legati da un filo sempre più stretto e visibile? E disegnano ormai non tanto una questione femminile ma un’abnorme questione maschile, un abnorme equivoco collettivo, di cui nessuno parla? Non muti tutto ciò coi decreti dei delitti e delle pene, ma con rieducazione degli adulti, non solo dei nostri figli o figlie. Siamo tutti generatori automatici di stereotipi sessisti e ci stupiamo, ci indigniamo che i ragazzi imitino? Acclamare come lecito l’uso mercificato del corpo. L’uso del corpo attiene alla libertà, vero, ma sul “mercificato” in quanti si interrogano sul serio? Eppure il corpo è sacro quanto la persona. Lo è per l’uomo allo stesso modo di quanto lo sia per la donna? Mi sembra che il corpo maschile oggi sia più sacro di quello delle donne o sbaglio? Concetti difficili da far comprendere al direttore di un quotidiano, all’amico con cui discutiamo, figurarsi a un adolescente. Cosa voglio dire? Che la lotta alla violenza di genere deve iniziare dalla lotta agli stereotipi di genere e da un confronto adulto su questi temi che ci riguardi tutti. Subito. Con ogni mezzo. Vogliamo iniziare dalle scuole? Se da qualche parte si deve iniziare, cominciamo da lì. È stata accolta dal governo l’indicazione di adottare un codice antisessismo e di rimozione degli sterotipi nei libri di testo nelle scuole, il codice Polite per il quale ci siam battute strenuamente per 20 anni. E dunque? Le case editrici lo sanno? Una circolare è stata inviata alle scuole? Una comunicazione a chi scrive i libri? Non mi pare. Cosa aspettiamo? E poi: è possibile stringere un patto sano tra stampa, tv e Paese sui temi che riguardano la comunicazione e la rappresentazione delle donne? Attenzione: nulla da imporre, ma tutto da riconsiderare. Non per limitare ma per riequilibrare un racconto sbilanciato e falsato. Il vero «problema» è l’autodeterminazione e la libertà delle donne? Qualunque sia l’ambito: professionale, culturale o sessuale. Persino sull’aggettivo libera, messo accanto a donna carichiamo equivoci e immaginari antichi, inutile negarlo. Ancora oggi la libertà delle donne è un boccone amaro per gli uomini, soprattutto quella sessuale e via via tutte le altre; altro che stereotipi, abbiamo statue di bronzo. Io dico, viva l’autodeterminazione delle donne, contro la violenza. E anche uno stereotipo lo è.

L’Unità 25.11.13

“Mai più silenzio per una donna maltrattata”, da deputatipd.it

Il 28 maggio 2013 il Parlamento ha approvato la cosiddetta “Convenzione di Istanbul”, primo trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne; nonché primo strumento internazionale vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di maltrattamento.
Il 4 giugno la Camera ha approvato all’unanimità la mozione contro il femminicidio che impegna il governo su diversi punti: la creazione di un Osservatorio che possa monitorare il problema; la formazione specializzata degli operatori; un servizio dedicato nei pronto soccorsi; il ripristino e l’implementazione del fondo del piano nazionale di azione contro la violenza sulle donne e il contrasto alla pratica della mutilazione genitale femminile.
Il 9 ottobre 2013 il Parlamento ha approvato la legge contro il femminicidio, un primo passo avanti nelle politiche di contrasto alla violenza.
Purtroppo secondo i dati Onu, quella di genere è la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni. Numeri che ci dicono quanto fosse urgente approvare questa legge. D’altra parte la cronaca ci consegna ogni giorno la drammaticità di questo fenomeno e il messaggio uscito dall’Aula di Montecitorio ha dato una prima risposta.
Su 10 donne uccise nel nostro Paese, 7 avevano chiesto aiuto. Da quando è entrato il vigore il decreto 51 donne sono state salvate. Il lavoro del gruppo del Pd ha permesso di migliorare il testo del Governo, ad esempio rafforzando la previsione di un piano nazionale per la prevenzione a cominciare dalle aule scolastiche, per proseguire nella formazione di tutti gli operatori del settore, per il sostegno ai centri antiviolenza. Un’attività che deve riguardare anche il mondo dell’informazione: è fondamentale per trasmettere messaggi basati sui principi dell’educazione al rispetto. Grazie alle nostre deputate e ai nostri deputati che hanno lavo- rato efficacemente in aula e in commissione, il femminicidio sarà contrastato in modo strutturale con un piano d’azione finanziato fino al 2015, rafforzando così il lavoro dei centri antiviolenza e delle case rifugio. E’ stato fatto un grande passo avanti, anche se siamo convinti che con la legge di stabilità dovranno essere ottenute nuove risorse e che il nostro lavoro dovrà essere quotidiano.
La violazione più grande dei diritti delle donne va combattuta senza tregua.

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Il decreto sul femminicidio spinge sul tasto della repressione arricchendo il codice di nuove aggravanti ma amplia al contempo le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. Il nuovo testo, inoltre, mette in campo risorse per finanziare un Piano d’azione anti- violenza e la rete di case-rifugio.
RELAZIONE AFFETTIVA È il nuovo parametro su cui tarare aggravanti e misure di prevenzione. Rilevante sotto il profilo penale è da ora in poi la re- lazione tra due persone a prescindere da convivenza o vincolo matrimoniale (attuale o pregresso).
VIOLENZA ASSISTITA Il codice si arricchisce di una nuova aggravante comune applicabile al maltrattamento in famiglia e a tutti i reati di violenza fisica commessi in danno o in presenza di minorenni o in danno di donne incinte. Quanto all’aggravante allo stalking commesso dal coniuge, viene meno la condizione che vi sia separazione legale o divorzio. Aggravanti specifiche, inoltre, sono previ- ste nel caso di violenza sessuale contro donne in gravidanza o commessa dal coniuge (anche sepa- rato o divorziato) o da chi sia o sia stato legato da relazione affettiva.
QUERELA A DOPPIO BINARIO Il dilemma revocabilità/irrevocabilità della querela nel reato di stalking è sciolto fissando una soglia di rischio: se si è in presenza di gravi minacce ripetute, ad esempio con armi, la querela diventa irrevocabile. Resta revocabile invece negli altri casi, ma la remissione può essere fatta solo in sede processuale davanti all’autorità giudiziaria, e ciò al fine di garantire (non certo di comprimere) la libera determinazione e consapevolezza della vittima.
AMMONIMENTO Il questore in presenza di percosse o lesioni (considerati ‘reati sentinella’) può ammonire il responsabile aggiungendo anche la sospensione della patente da parte del prefetto. Si estende cioè alla violenza domestica una misura preventiva già prevista per lo stalking. Non sono ammesse segnalazioni anonime, ma è garantita la segretezza delle generalità del segnalante. L’ammonito deve essere informato dal questore sui centri di recupero e servizi sociali disponibili sul territorio. ARRESTO OBBLIGATORIO In caso di flagranza, l’arresto sarà obbligatorio anche nei reati di mal- trattamenti in famiglia e stalking.
ALLONTANAMENTO URGENTE DA CASA Al di fuori dell’arresto obbligatorio, la polizia giudiziaria se autorizzata dal pm e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze) può applicare la misura ‘precautelare’ dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
BRACCIALETTO ELETTRONICO E INTERCETTAZIONI Chi è allontanato dalla casa familiare potrà essere controllato attraverso il braccialetto elettronico o altri strumenti elettronici. Nel caso di atti persecutori, inoltre, sarà possibile ricorrere alle intercettazioni telefoniche.
OBBLIGHI DI INFORMAZIONE A tutela della persona offesa scatta in sede processuale una serie di obblighi di comunicazione in linea con la direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato. La persona offesa, ad esempio, dovrà essere informata della facoltà di nomina di un difensore e di tutto ciò che attiene alla applicazione o modifica di misure cautelari o coercitive nei confronti dell’imputato in reati di violenza alla persona.
DONNE IMMIGRATE In analogia a quanto già accade in attuazione di direttive europee per le vittime di tratta, il permesso di soggiorno potrà essere rilasciato anche alle donne straniere che subiscono violenza, lesioni, percosse, mal- trattamenti in ambito domestico. Sarà sempre però necessario un parere dell’autorità giudiziaria. I maltrattanti (anche in caso di condanna non definitiva) potranno essere espulsi.
GRATUITO PATROCINIO A prescindere dal reddito, le vittime di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili potranno essere ammesse al gratuito patrocinio. PROCESSI PIÙ RAPIDI Nella trattazione dei processi priorità assoluta ai reati di maltratamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuali con minori, corruzione di minori e violenza sessuale di gruppo. Si accelerano anche le indagini preliminari, che non potranno mai superare la durata di un anno per i reati di stalking e maltrattamenti in famiglia.
PIANO ANTIVIOLENZA Sul tavolo 10 milioni di euro per azioni di prevenzione, educazione e formazione. Il Piano, elaborato dal ministro per le Pari opportunità, dovrà tra l’altro promuovere il recupero dei maltrattanti e sensibilizzare i me- dia ad adottare codici di autoregolamentazione per una informazione che rispetti le donne. Ogni anno sarà presentata una relazione in Parlamento.
CASE-RIFUGIO Finanziamenti in arrivo anche per i centri antiviolenza e le case-rifugio. Nel 2013 10 milioni di euro, 7 nel 2014 e altri 10 all’anno a partire dal 2015.

www.deputatipd.it

Renzi: “Adesso tocca a noi”, da www.partitodemocratico.it

Ho sentito l’entusiasmo delle persone e di tutti i delegati che sono arrivati e mi sono domandato cosa oggi ci ha reso così uniti. Da tempo è facile attaccare il PD mediaticamente, addirittura come lo zimbello della politica italiana. In realtà si ignora che nell’Italia del 2013 a mantenere e a restituire dignità alla parola democrazia siamo rimasti soltanto noi. E lo facciamo per la comunità e per noi stessi.

Le associazioni rendono l’uomo più forte ne mettono in risalto le loro doti migliori. Tutto questo in un periodo dove il cittadino è considerato un utente e il sentimento dominante è la solitudine, noi non ci rassegniamo ad essere numerini o codici fiscali. Noi non ci rassegniamo. È da qui che noi partiamo.
E se a questo giro è capitato di stare in me in testa, significa che il PD è davvero un partito davvero libero e democratico. Un leader non crea seguaci ma altri leader. Liberiamoci dalla visione correntizia.

Noi siamo al centro della politica mediatica: Grillo fa il Vaffa Day la settimana precedente le nostre primarie e concentra in un giorno gli insulti agli altri, poi però negli altri 364 giorni i suoi parlamentari insultano gli elettori non realizzando le cose che si erano impegnati a realizzare. E si nascondono sui tetti invece di capire che dovrebbero stare al piano di sotto a fare politica.

Berlusconi ha annunciato un colpo segreto. Mi dicono: non hai paura? A me fa sufficiente paura il disegno chiaro che è quello di creare un centrodestra a la carte con Fi, Alfano, Fratelli d’Italia, la Lega e poi presentarsi insieme alle elezioni per sconfiggere la sinistra.

Ci siamo fatti dettare l’agenda dalla destra, ci siamo limitati a rincorrerli impauriti. Ora basta, ora tocca a noi. Soltanto il PD può salvare l’Italia. Dal 9 dicembre dovremo cambiare il rapporto con il governo senza alcuno sgambetto mantenendo la grande lealtà finora dimostrata. Il governo ha usato molto della nostra lealtà, pazienza e responsabilità, ora deve usare la nostra politica per andare avanti.

I nostri punti da cui vogliamo partire sono:
a) le riforme istituzionali compresa la riforma elettorale; b) adottare efficaci politiche sul lavoro; c) dare una vera svolta all’Europa.

Ha ragione Gianni Cuperlo a dire che non siamo il volto buono della destra, ma non possiamo essere neppure il volto peggiore della sinistra, quello che non ha risolto il conflitto di interessi e che ha mandato a casa Prodi. Chiedere di cambiare non significa ignorare la storia. Come in Cile durante il Pinochet, per uscire dalle difficoltà dobbiamo usare la carta dell’allegria. Dobbiamo farci carico del passato e progettare il futuro.

Gli ultimi 20 anni, la parola valore ha smesso di essere un riferimento culturale. Il valore è diventato un aspetto economico: tutto è incentrato su ciò che si ha e non su ciò che si è!
Il PD deve fare una gigantesca campagna sulla scuola, per la scuola e nella scuola. Non si riparte dallo spread ma dalla cultura. La prima iniziativa che vorrei fare e su cui chiedo il voto esplicito di tutti è sulla scuola, un’iniziativa che porti a capire che l’Italia ha ancora un’anima.

Noi diciamo con forza al governo Letta che fa bene ad andare avanti, deve avere la certezza che in questo 2014 la legge ha tra caratteristiche.
La prima è che “chi vince, vince. Che non è mai chiaro in Italia, si sa sempre che non perde nessuno”. Due, “chi vince governa”. Infine, “chi vince governa per 5 anni, perché non è possibile che dal giorno dopo si cerchi di mandarlo a casa”.

Non voglio fare il presidenzialismo, prima di ragionarne intanto facciamo una legge elettorale che non richiede una modifica costituzionale. Mettiamoci d’accordo sui paletti e diciamo alla maggioranza: su questi tre paletti non si transige. Lo facciamo per l’interesse del paese.

Le altre priorità sono la trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie (Senato e province possono pure restare in vita, purché “senza indennità e senza elezione diretta” dei rispettivi componenti);
– il dimezzamento dei costi della politica (“Che senso ha il Cnel che da 67 anni rende pareri? E la Corte costituzionale che costa il doppio degli organi analoghi in tutto il mondo? E che i dirigenti pubblici italiani guadagnino il doppio che in Europa?);
– pensare all’Europa in maniera diversa: Basta con la frase “ce lo chiede l’Europa”. Cominciamo a dire cosa chiediamo noi all’Europa.

“Prima i sogni erano XXL, ora ci si sono ristretti così come le ambizioni. Mi candido per poter dire una volta per tutte che adesso tocca a noi, non faremo quelli che aspettano e che hanno paura, che torneremo grandi a condizione di sognare tutti insieme”.

Convenzione Pd, sfida Cuperlo-Renzi Messaggio al governo: “Ora si cambia”

Matteo Renzi ha chiuso una Convenzione Pd in cui non sono mancati slanci e polemiche tra i candidati e messaggi netti al governo del “collega” di partito Enrico Letta. Il sindaco fiornetino ha chiuso il suo discorso, ultimo dei quattro sfidanti che hanno parlato in ordine di “piazzamento”, evocando il ‘sogno’ come cifra della sua scommessa per la segreteria. «Prima i sogni erano XXL, ora ci si sono ristretti i sogni, le ambizioni», ha spiegato chiudendo il suo intervento alla convenzione. «Noi ci candidiamo per poter dire una volta per tutte che adesso tocca a noi, non faremo quelli che aspettano e che hanno paura, che torneremo grandi a condizione di sognare tutti insieme», ha assicurato.

RENZI: NON SIAMO VOLTO PEGGIORE DELLA SINISTRA
«Ha ragione Gianni Cuperlo a dire che non siamo il volto buono della destra, ma non possiamo essere neppure il volto peggiore della sinistra, quello che non ha fatto il conflitto di interessi e che ha mandato a casa Prodi. Lo ha detto Matteo Renzi alla convenzione del Pd. Renzi ha poi aggiunto: “Nell’Italia del 2013 è rimasto solo il Pd a restituire dignità alla parola democrazia. Ma dal 9 dicembre dobbiamo demolire la esasperazione correntizia che ci ha rovinato in questi anni…”. “Il governo deve usare le nostre idee e la nostra passione per essere più efficace nelle scelte – dice ancora Renzi -. Il Pd è l’unico soggetto che può aiutare il lavoro del governo e ridare speranza ai cittadini. Gli eletti M5S vanno sul tetto, non capendo che è al piano di sotto che si lavora. Auguro a ciascuno di voi di non rassegnarsi alla stanchezza di questo tempo. Se a questo giro sono in testa, vuol dire che Pd è davvero un partito scalabile”.

RENZI: BANCHIERI STAVOLTA NON VOTINO PER NOI
«Se alle primarie non vanno a votare i banchieri sono contento». Lo ha detto Matteo Renzi alla convenzione del Pd. «Non vengano, facciano per bene il loro lavoro, non si limitino a dare credito a chi ce l’ha e non alle famiglie», ha proseguito. Matteo Renzi ha chiesto al Pd di smettere di farsi dettare l’agenda dalla destra. «Non possiamo affrontare questa vicenda dominati dalla paura di loro, ci siamo fatti dettare l’agenda ma adesso tocca a noi raccontare con coraggio cosa vogliamo fare per l’Italia», ha spiegato alla convenzione del Pd. «Penso che purtroppo solo il Pd può salvare l’Italia. Se dall’altra parte ci fosse un partito serio la nostra responsabilità sarebbe meno grave, siamo gli unici ad aiutare il governo a fare il proprio lavoro e contemporaneamente a resistuire speranza», ha aggiunto.

RENZI, NON TEMO ‘COLPO SEGRETO’
DI SILVIO MA IL SUO DISEGNO E’ CHIARO
«Berlusconi ha preparato il colpo segreto, dice non hai paura? No a me basta il disegno chiaro, di creare un centrodestra a la carte, self service». Lo ha detto Matteo Renzi alla convenzione del Pd. «Se sei a favore di Letta voti Alfano, se sei contro voti la Santanche e con questo meccanismo tornare alle eleizoni per sconfiggere il centrosinistra», ha spiegato.

CUPERLO: INSOPPORTABILE
ATTACCARE SINDACATI E PENSIONATI
Gianni Cuperlo ha puntato il dito sulla ricetta economica e per le riforme di Matteo Renzi. «Se tra noi c’è chi pensa che la via – dopo vent’anni – sia privatizzare le ferrovie e la Rai, prelevare 4 miliardi alle pensioni lorde sopra i 3.500 euro, avere un contratto unico e abolire l’articolo 18, tenersi la riforma Fornero al netto degli esodati, sposare la flessibilità e col Sindaco d’Italia passare da un regime parlamentare a una Repubblica presidenziale, è giusto che lo dica. Ma è giusto dire – e io mi sento di dirlo qui – che quel disegno, quella visione, sono radicalmente sbagliati». «E che parlare quella lingua e proseguire su quella strada non significa chiudere il ventennio. Vuol dire riprodurlo. Magari ammodernato. Con una nuova veste. Nuova scenografia. E nuovi testimoni. Ma riprodurlo», ha assicurato. «Dire che l’Italia è ridotta così per causa dei pensionati, per colpa dei sindacati, per colpa dei partiti, non è soltanto un’affermazione sbagliata. È una dichiarazione insopportabile», ha spiegato in evidente riferimento alle parole di Davide Serra alla Leopolda.

PD: CUPERLO, SINISTRA HA SMARRITO
CANONE RIPARTIRE DA DIGNITÀ
Gianni Cuperlo ha invitato il Pd ha ritrovare il proprio ‘canone’. «Chi ama la musica sa cos’è un canone. Io non sono un esperto e provo a dirlo così: il canone è una forma, una specie di codice o matrice», ha detto nel suo intervento alla convenzione del Pd. «Ce ne sono diversi, ma uno fondamentale venne composto più o meno tre secoli fa. Da lì ha attraversato il tempo arrivando sino a noi, e con un numero di variazioni impressionante. Dall’inno nazionale russo a Questo piccolo grande amore passando per Let it be, Albachiara e Jovanotti.», ha sottolineato «Ecco, se un prezzo la sinistra ha pagato in questi anni è stato avere smarrito il nostro canone. Una regola. Pensavamo fosse vecchia. Ma le idee – e i valori – se sono giusti non invecchiano», ha spiegato. «E allora forse, se ripartiamo dal canone della sinistra – e se lo ripensiamo per un tempo nuovo – magari capiterà che una Canzone popolare torni a sorprendere la società. Ecco perchè parliamo di una ‘rivoluzione della dignita»: perchè è il canone con cui pensare il mondo«, ha assicurato.

CUPERLO: SEGRETARIO PD NON E’ SECONDO LAVORO…
«Io penso di aver fatto la scelta politica più importante della mia vita. Comunque vada. E penso che se ti assumi questa responsabilità – anche solo l’idea – non lo puoi fare mentre ti candidi a qualcos’altro». Lo ha sottolineato Gianni Cuperlo nel suo intervento alla convenzione del Pd. «Se ti proponi di cambiare tutto, nel centrosinistra e nel tuo Paese, non lo fai come secondo lavoro. Non solo perchè viene male, ma perchè non è giusto. Perchè in mezzo a tutta quella umanità ci devi andare», ha sottolineato.

CUPERLO: SENZA ISCRITTI NON C’È PARTITO
Gianni Cuperlo ha difeso l’importanza degli iscritti del Pd. «Loro sono l’umanità che ci fa essere quello che siamo. Un partito. Non un’altra cosa. Ma un partito», ha detto alla convenzione del Pd. «Se noi siamo qui – se tutto questo c’è: primarie, candidati, mozioni – è perchè esistono loro. E nessuno tra noi – ma davvero nessuno – può immaginare di cavarsela da solo senza questa umanità. Mentre quell’umanità da sempre ha forza e passione per affrontare il mondo anche senza il migliore di noi», ha insistito. «Per questo -vedete- non è una buona idea annunciare che di loro si può fare a meno. Perchè è più facile accada il contrario. E se a un partito togli gli iscritti è come levare le gambe al tavolo. Semplicemente non è più un partito. E nasce un’altra cosa, che non per forza sarà migliore. Il punto è che inventarsi un nome o un simbolo tutto sommato è più facile. Invece i militanti non li inventi», ha sottolineato.

CIVATI: VORREI SEL ALLA PROSSIMA CONVENZIONE PD
Tocca a Civati intervenire alla Convenzione Pd: “A chi chiede cosa ci fate nel Pd dico: ‘cosa ci fate fuori’. Grazie ai ragazzi giovanissimi che hanno fatto campagna con me, sono strepitosi. Se usciremo dal ventennio sarà per merito dei ventenni”. Poi Civati cita il leader Fiom Landini e Fabrizio Barca, l’ex ministro e neo-iscritto Pd, e dice: “Ci sono 3-4 milioni di persone che non ci hanno votato a febbraio perché chiedevano radicalità e fermezza”.

PITTELLA: ALLARME ELEZIONI EUROPEE
“Dobbiamo dare risposte ai grandi temi del Paese, primo fra tutti la povertà. Alle Primarie abbiamo posto il problema del Mezzogiorno. Non si riprende Italia senza Sud. L’Europa del rigore, odiata dai cittadini, ha massacrato il modello sociale europeo. Stiamo attenti alle elezioni europee, o diamo modello alternativo oppure movimenti estremi avranno il sopravvento…” così nel suo intervento Gianni Pittella.

MESSAGGIO DI LETTA: SIAMO COMUNITA’ UNITA
“Il Pd è, e deve essere, a servizio dell’Italia e dell’Europa. Orgoglioso di far parte di una comunità unita”. Questo uno dei messaggi contenuti nel breve testo inviato dal premier Enrico Letta alla Convenzione Pd. Enrico Letta ha rivendicato con orgoglio la sua appartenenza al Pd e annunciato ufficialmente che andrà a votare l’8 dicembre. «Come sapete, ho scelto di rimanere fuori dal Congresso. Non potevo fare altrimenti. Le istituzioni prima di tutto: fa parte del mio modo di vivere la cosa pubblica. Fa parte, ne sono certo, dello stesso Dna del Pd. Rivendico questa scelta», ha detto il premier nel messaggio alla Convenzione del Pd. Letta ha comunque reso omaggio agli «iscritti che ogni giorno nei circoli si impegnano con dedizione. I milioni di elettori che, spesso a dispetto dei nostri stessi errori, si mobilitano e partecipano. A loro va il mio pensiero oggi», ha spiegato. «E accanto a loro sarò in fila, l’8 dicembre, per scegliere il nuovo segretario. Con l’orgoglio di far parte di una vera e solida comunità. La ‘nostra’ comunità democratica».

EPIFANI: BERLUSCONI USA ESPRESSIONI SGANGHERATE
Guglielmo Epifani è tornato a criticare Silvio Berlusconi per la reazione alla prossima decadenza. «Ricordo che disse che la condanna non avrebbe influito sulle scelte politiche sue e del partito, ieri ha usato l’espressione ‘colpo di stato’ e ha fatto ragionamento incomprensibile sulla grazia», ha detto il segretario del Pd alla convenzione del partito. Sono «moduli ed espressioni sgangherari da una parte e assolutamente irricevibili. Non ha nè la forza nè la ragione, sta cerando un clima pesante che finitrà per non fare bene a lui, al suo partito o al Paese», ha assicurato. «Non abbiamo intese colpire un avversario politico, è l’ultima cosa che possiamo volere – ha chiarito – c ha mosso il principio elementare ed è che la legge deve essere intesa ugualmente per tutti».

EPIFANI, RINNOVARCI PER ESSERE
CREDIBILI SU RINNOVAMENTO
Guglielmo Epifani ha fatto appello al futuro segretario del Pd affinchè rinnovi il partito. «Noi rappresentiamo l’unica forza politica non personale, questo vuol dire un carico di responsabilità», ha spiegato nel suo intervento alla convenzione del partito. «Bisogna fare un’azione di rinnovamento nella vita del nostro partito, saremo credibili nel chiedere rinnovamento agli altri se e quando saremo capaci di fare il rinnovamento al nostro interno», ha sottolineato.

SEGRETERIA PD COMUNICA DATI UFFICIALI
Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati sono i candidati alla segreteria nazionale e ammessi alle primarie dell’8 dicembre. Lo ha annunciato alla convenzione del Pd Davide Zoggia, responsabile organizzazione del partito, sulla base dei risultati delle 7200 riunioni di circolo in Italia e 89 all’estero, cui hanno partecipato 296mila cittadini pari al 55% degli iscritti, con 285mila i voti validi. Questi i risultati certificati: Matteo Renzi, 133.892 voti pari al 45,34%; Gianni Cuperlo, 116.454 voti pari al 39,44% Pippo Civati, 27.841 voti pari al 9,43%; Gianni Pittella, 17.117 voti pari al 5,8 per cento.

FEDELI: BATTAGLIA CONTRO FEMMINICIDIO
DEVE RIGUARDARE ANCHE UOMINI
«La violenza contro le donne è una questione strutturale che riguarda tutti. Per combatterla serve una battaglia di civiltà per condurre la quale è fondamentale attivare il protagonismo degli uomini.» Lo dichiara la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli (Pd), nell’ambito di uno speciale su L’Unità dedicato al 25 novembre. «Perchè troppo spesso succede che gli uomini, nelle discussioni sulla violenza contro le donne, sono un soggetto invisibile – aggiunge – Affrontare e battere questo tipo di violenza vuol dire attivare un profondo e lungo cambiamento culturale che deve necessariamente partire dall’educazione e dalla formazione».

PD: CON INNO MAMELI PRENDE
IL VIA CONVENZIONE NAZIONALE
L’Inno di Mameli ha aperto la convenzione nazionale del Pd. In piedi i mille delegati per ascoltare l’inno d’Italia. Sul palco il segretario Guglielmo Epifani, Davide Zoggia, Valeria Fedeli (oggi presidente della Convenzione) e Ivan Scalfarotto. La prima a prendere la parola è stata la segretaria del partito in Sardegna, Angela Corda, che ha chiesto con forza un impegno per la sua terra. Poi l’assemblea ha tributato un minuto di silenzio alle vittime dell’alluvione.

PD: CANDIDATI A SEGRETERIA
GIUNTI A CONVENZIONE ROMA
Tutto pronto all’hotel Ergife per la convenzione nazionale del Pd in vista delle primarie per la segreteria. I quattro candidati sono arrivati all’albergo romano che ospita i mille delegati, ma saranno solo tre ad accedere al congresso dell’8 dicembre: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Fuori Gianni Pittella che ieri ha annunciato il suo sostegno a Renzi. Sarà Davide Zoggia ad annunciare ufficialmente i risultati dei 7.900 congressi che si sono svolti in Italia, più gli 89 all’estero. Dal computo sono stati esclusi Salerno, ‘sub iudicè dopo l’inchiesta della magistraturà e Vibo Valentia (dove è stata annullata la metà delle assise), oltre a Catanzaro dove i congressi non si sono tenuti.

Sarà il fischio d’inizio al congresso quello che si celebrerà oggi all’Hotel Ergife di Roma. L’ultima tappa statutaria, la Convenzione nazionale, prima dell’8 dicembre con i mille (delegati) che arrivano da tutta Italia, senza camicia rossa, ché adesso va tanto il chiodo, per ratificare i risultati delle consultazioni locali.

Gianni Cuperlo, Matteo Renzi e Pippo Civati, ognuno convinto di arrivare primo e aggiudicarsi la segreteria del Nazareno, oggi parleranno dal palco e c’è da star sicuri che qualche stilettata alla fine se la manderanno perché le questioni – e le polemiche – aperte sono tante e il fair play, forse, andrà a farsi benedire. Ieri il viceministro Stefano Fassina ha scaldato il clima: «Le primarie le dobbiamo ancora fare e ricordo che Renzi era partito come trionfatore nel Congresso, nella parte che riguarda gli iscritti e invece si è fermato al 45%, cioè meno della maggioranza. Credo che il Pd esca da questa fase congressuale meno sbilanciato di come Renzi immaginava all’inizio».

Fassina, cuperliano, attacca anche su un altro fronte, il rapporto del Pd post 8 dicembre con il governo: «Se Renzi intende far naufragare il governo vedremo come risponderanno i gruppi parlamentari, se invece vuole avere un ruolo costruttivo deve tenere conto che questo non è il governo del Pd, è un governo di coalizione che anche al sottoscritto non va bene».

Renzi, dal canto suo, non fa mistero di cosa intende fare se, come i sondaggi dicono, sarà il futuro segretario: il Pd non farà più la bella statuina ma detterà l’agenda politica del governo. Dichiarazioni queste che provocano fibrillazioni non soltanto tra i lettiani doc, ma anche tra gli ex popolari che lo appoggiano. Areadem (che fa capo al ministro Franceschini) non ha alcuna intenzione di appoggiare le spallate a Palazzo Chigi, «Renzi dovrà fare i conti anche con noi – dice un deputato vicino al ministro – e speriamo che lo capisca subito».

L’altro fronte caldo riguarda il potente sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, raggiunto da un avviso di garanzia, nonché grande sostenitore del sindaco di Firenze, così grande da avergli procurato nella sua città un punto percentuale alle primarie. «Stiamo parlando di una indagine che risale alle tessere del 2012, l’inchiesta non c’entra niente con il sindaco De Luca – lo ha difeso Renzi – il sindaco è stato eletto con l’80 per cento dei consensi quando De Luca appoggiava Bersani. Oggi dice che ha simpatia per Renzi, ma il sindaco De Luca non è indagato per quella vicenda lì».

E se Valeria Valente, deputata che sostiene Cuperlo, accusa il sindaco di «relativismo e superficialità» e di usare due pesi e due misure con De Luca e Annamaria Cancellieri, è Simona Bonafé a ribattere che «si tratta di due vicende completamente diverse perché il sindaco di Salerno ha ricevuto un avviso di garanzia per fatti amministrativi e non una condanna, mentre il ministro Cancellieri ha amicizie imbarazzanti e fa telefonate inopportune dalle quali il messaggio che viene fuori è che la giustizia non è uguale per tutti». Si chiede anche, Bonafé, «come mai oggi attaccano Matteo per De Luca ma nessuno si preoccupa del caso Crisafulli».

È evidente che per Renzi il collega di Salerno è un sostenitore «pesante» in tutti i sensi, perché si porta dietro il doppio incarico, non è il nuovo che avanza e non collima esattamente con quell’idea di rinnovamento che ha in testa il sindaco fiorentino. Matteo Orfini gira il coltello nella piaga: «È vero che bisogna essere garantisti ma bisogna esserlo sempre, con De Luca come con Crisafulli e non a giorni alterni». Che il clima sia surriscaldato è scontato (persino Silvio Berlusconi annuncia un colpo segreto contro il sindaco che, dal canto suo, commenta: «È una notizia»), ma stavolta c’è un tarlo che rode sull’appuntamento dell’8 dicembre: il rischio che ai gazebo vadano meno di due milioni di elettori. Renzi ne ha parlato con i suoi, «faranno di tutto per mandare meno gente a votare così il giorno dopo inizieranno a delegittimare il vincitore». Per questo li ha sguinzagliati sul territorio «perché noi dobbiamo spiegare che l’8 dicembre è una grande occasione per cambiare il Pd e il Paese».

Per Orfini, convinto che sarà Cuperlo a riservare sorprese alle urne, «se qualcuno pensa di lavorare per una scarsa affluenza è un pazzo che non vuole bene al Pd». Ma sicuro di vincere si dice anche Pippo Civati che durante il suo tour elettorale parla soprattutto ai delusi. Promette vita breve alle larghe intese e rinnovamento totale, «perché i dirigenti stanno tutti con gli altri candidati». L’unico segnale di distensione lo lancia Matteo Renzi verso Massimo D’Alema: «Vai, promesso, non litighiamo più, d’ora in poi faccio il bravo». Sarebbe una notizia, se non fosse che scherza al microfono di Enrico Lucci, la Iena.

da unita.it