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"L’Operazione Tasse in onda sulle sue tv", di Sebastiano Messina

Il più bravo di tutti è senza ombra di dubbio Paolo Del Debbio, che dopo aver fatto da spalla lunedì sera a Berlusconi per un’intervista-fiume su Retequattro, ieri mattina su Canale 5 ha dato il buongiorno al medesimo principale domandandogli con invidiabile candore: «Presidente, ci dica: cosa intende fare sull’Imu?».
COME se non avessero parlato d’altro giusto la sera prima, per un’ora e venti, ultima puntata di “Quinta colonna” prima del voto. Del Debbio è una grande spalla perché non ha per nulla l’aria di esserlo. Anche quando si trova davanti al Cavaliere ha il feroce aplomb di un professore di etica (lo è davvero, sia pure a contratto), e dunque appaiono sincere la sua curiosità e la sua indignazione, quando manda in onda le voci e la rabbia dell’Italia che non ce la fa più, con il risultato che quando dà la parola a Berlusconi affinché offra soavemente le sue miracolose promesse alla gente disperata (e soprattutto al pubblico a casa) nessuno si ricorda più che Del Debbio non è un arruffapopolo televisivo, non è un Santoro di destra, ma è un berlusconiano a ventiquattro carati, un vero uomo di partito: già fondatore di Forza Italia, già direttore dell’ufficio studi forzista, già candidato alla presidenza della Regione Toscana.
Poi, siccome Del Debbio è bravo, s’è conquistato il suo posto in prima fila nel palinsesto di Mediaset, come conduttore di “Quinta colonna” (nome rivelatore, perché è quello con cui il generalissimo Franco battezzò i filomonarchici infiltrati clandestinamente a Madrid per aiutare le quattro colonne dell’armata franchista nella conquista della città). E ora è lui il vero protagonista di una campagna elettorale che non rispetta nessuna regola, nessuna legge, nessuna norma. Tranne una: aiutare Silvio. Una campagna non dichiarata, che un’invisibile regia ha lanciato già da molte settimane sulle tv della casa: che sono poi, incidentalmente, tre delle maggiori reti televisive italiane. Luoghi privilegiati — accanto ai soliti telegiornali — i programmi d’intrattenimento: quelli che di solito si occupano di attrici tradite, di ricette della nonna e di mirabolanti invenzioni. E’ qui che, ancora una volta, Berlusconi ha deciso di andare a caccia di voti.
Nelle ultime settantadue ore sulle reti Mediaset è scattata l’Operazione Imu. L’ha aperta Barbara D’Urso, già collaudata come intervistatrice del Capo. «Domenica Live», subito dopo il pranzo della festa. Invece delle ballerine e dei cantanti, un’antologia della disperazione con le voci di una disoccupata che non riesce a pagare l’Imu e di una donna che ha dovuto vendere la casa per pagarla. Poi, prima di passare alla laureata in chimica che s’è adattata a vendere trippa e lampredotto, e all’amico dell’operaio che s’è impiccato per la disperazione, la D’Urso ripete ossessivamente: «Mancano sette giorni alle elezioni! Mancano sette giorni alle elezioni!». Come a dire: ricordatevi tutto questo, quando avrete la matita in mano.
Poi, con tre mosse in ventiquattr’ore, è entrato in scena Del Debbio. Prima mossa, “Mattino Cinque” di lunedì (conduce anche quello, con Federica Panicucci). Prima ancora dell’oroscopo, appare il titolone: «Tutta la verità sull’Imu ». Lungo servizio per rivelarci che non basta ridurre o abolire l’Imu sulla prima casa, bisogna abolirla tutta «perché alle imprese l’Imu è costata il 154 per cento più dell’Ici». Gli imprenditori, intervistati, approvano.
Seconda mossa, la sera stessa a “Quinta Colonna”. Stavolta non ci sono collegamenti con le piazze né contraddittori a distanza. C’è lo studio apparecchiato con le poltrone bianche modello “Porta a porta”. Megaintervista a Berlusconi, un’ora e venti di diretta in prima serata. «Vorrei che chiarisse, presidente, cosa intende fare
sull’Imu», chiede Del Debbio con lo sguardo severo, come se fosse appena tornato da un viaggio in Papuasia e la domanda gli fosse venuta in mente in quel preciso istante. E allora Berlusconi parte in quarta. «La casa è sacra, non dev’essere pignorabile!». «L’Imu è una tassa dannosissima, l’abbiamo dovuta votare obtortissimo collo!». E, naturalmente, la promessa che tutti conoscono già: «Al primo Consiglio dei ministri… ». Il pubblico applaude, entusiasta.
La terza mossa è arrivata ieri a «Mattino Cinque». Lo studio è cambiato, ma ci sono sempre loro due, e la domanda è la stessa: «Presidente, ci dica: cosa intende fare sull’Imu?». Stesse risposte, stessi annunci, stesse istruzioni per andare a riscuotere alle Poste la restituzione della tassa. Con una domanda finale: «Da uno a dieci, quanto crede nella sua vittoria?». «Undici! ».
Ma sì, se uno guardasse solo le reti Mediaset non avrebbe dubbi. Il problema numero uno dell’Italia è questa stramaledetta Imu che strangola l’economia e spinge la gente a suicidarsi. E l’unico che vuole cancellarla e anzi restituirla è lui, «il presidente Berlusconi». Ricordiamocelo, perché «mancano sette giorni alle elezioni!».
I suoi telegiornali si occupano del fuoco d’artiglieria. «Berlusconi: restituiremo l’Imu», annuncia subito il Tg5, come se fosse la notizia del giorno. «Via l’Imu, dice Berlusconi», avverte Studio Aperto con un lungo servizio. E ancorché orfano di Emilio Fede, il Tg4 fa il suo dovere: «Cancelleremo e restituiremo l’Imu» fa dire al Cavaliere con un megaspot di un minuto e 40 secondi. Da giorni e giorni, del resto, qualunque cosa accada, sui telegiornali delle sue reti Berlusconi è il politico che parla per primo e più a lungo. Quando non può mostrarlo in diretta, il Tg5 ce lo mostra alla scrivania presidenziale, mentre saluta una folla adorante davanti a un Grand Hotel o davanti a tanti microfoni tutti per lui, foto degne di una casa reale, mentre per gli altri abbondano le interviste controluce in strade semibuie.
Dettagli, certo, ma la tv è fatta di dettagli e nessuno conosce meglio di Berlusconi cosa pensa il pubblico televisivo. Una sera del 1992, due anni prima che Forza Italia vedesse la luce, a un giornalista che gli chiedeva se volesse candidarsi a fare il sindaco di Milano, lui confidò un po’ seccato: «Ma lei lo sa che ogni giorno mi arrivano 400 lettere di casalinghe che mi ringraziano per averle liberate con i miei programmi dalla noia delle loro mattine? Ecco, con questa base elettorale, se io entrassi in politica, altro che sindaco: farei un partito reaganiano, vincerei le elezioni e diventerei presidente del Consiglio…». Diceva — purtroppo — la verità. Eppure, quella sera non gli credette nessuno.

La Repubblica 20.02.13

Corruzione: Ghizzoni, firmo campagna "riparte il futuro"

Bloccare infiltrazioni perché non si aggiungano danni della mafia a quelli del terremoto. “Aderisco con convinzione alla campagna “senza corruzione riparte il futuro” perché il primo modo che un candidato ha per abbattere la corruzione è partire da sé e dalla trasparenza del proprio operato. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati, annunciando di aver firmato l’appello ai candidati promosso da Libera e dal Gruppo Abele. – Ho la consapevolezza che la corruzione e le mafie sono nemici da affrontare quotidianamente. Infatti – spiega la candidata modenese del Partito democratico – proprio nel momento di massima difficoltà del mio territorio, dopo il sisma del maggio scorso, ho chiesto, insieme al gruppo del Pd, che le istituzioni locali e nazionali facessero fronte alla ricostruzione non solo con adeguati finanziamenti, ma con un segno distintivo rispetto a quanto accaduto in altre simili occasioni, introducendo norme vincolanti per impedire che la mafia, già presente e infiltrata nei nostri territori, potesse mettere le mani sulla ricostruzione. La volontà di riprendere il nostro lavoro e le nostre attività, per ripartire e far ripartire l’economia del Paese, non può prescindere dalla necessità di trasparenza e legalità degli appalti, del rispetto delle norme sul lavoro, di garanzie sull’applicazione delle norme antisismiche. L’impegno costante per bloccare le infiltrazioni della mafia nei lavori pubblici è un dovere – conclude Ghizzoni – perché oltre ai danni del terremoto non possano aggiungersi quelli generati dalla criminalità organizzata.”

Mirandola, mercoledì incontro sulla scuola con Bianchi e Ghizzoni

Ci saranno anche l’assessore regionale alla scuola Patrizio Bianchi e la presidente della Commissione Istruzione della Camera Manuela Ghizzoni, la sera di mercoledì 20 febbraio, a Mirandola, all’incontro pubblico incentrato sui temi dell’istruzione e della ricerca organizzato dal Pd. Appuntamento al Centro Età Libera a partire dalle ore 21.00. “Più sapere e più ricerca per ricostruire l’Emilia e l’Italia”: è questo il titolo dell’incontro pubblico organizzato dal Pd per la sera di mercoledì 20 febbraio a Mirandola. Particolarmente qualificato il gruppo dei relatori invitati per parlare di istruzione e ricerca: ci saranno, infatti, l’assessore regionale alla scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro Patrizio Bianchi e la presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei deputati Manuela Ghizzoni, candidata Pd alla Camera. Interverranno, inoltre, il segretario Pd di Mirandola Maurizio Cavicchioli, il coordinatore della segreteria provinciale del Pd Paolo Negro e il consigliere provinciale del Pd Giorgio Siena. L’incontro si terrà a Mirandola, presso il Centro autogestito Età Libera di via Mazzone 2, a partire dalle ore 21.00.

Appello agli indecisi: "Governeremo per cambiare"

“Il disamoramento, l’incertezza, la rabbia si possono capire. Ma con la protesta e il distacco non si risolvono i problemi che il Paese ha di fronte e aggiungo che un governo senza cambiamento non risolverebbe nulla. Dateci le condizioni per governare, promettendo che si governa per cambiare”. Lo ha detto Pier Luigi Bersani, alla video chat del Corriere.it, lanciando un appello per convincere gli indecisi.

“Ma io sono convinto che la gente andrà a votare, deciderà e sceglierà. La disaffezione troverà un canale per esprimersi”, ha aggiunto il leader del PD, intervistato da Ferruccio De Bortoli e Giovanni Floris.

A chi gli chiede di un possibile sorpasso del centrodestra, il leader democratico ha risposto ironico: “Sorpasso? Berlusconi ha preso l’autostrada contromano.. Non ho mai rincorso Berlusconi – ha chiarito – dico che sono alternativo a lui. Faccio un sacco di proposte, ma non hanno i titoli sui giornali. Se dicessi che rimborso viaggi di nozze il titolo me lo darebbero. Ma quando sento parlare di 4 milioni di posti di lavoro e ancora aspettiamo la prima milionata di dieci anni fa non posso che rispondere sbigottito”.

Bersani, nel corso dell’intervista ha commentato le ultime esternazioni del leader del M5S. “Vogliamo uscire dalla democrazia? Grillo vuole portare il Paese fuori dalla democrazia e dall’Europa. Uno che non risponde alle domande – ha avvertito – e che dice che non c’è più né destra né sinistra, via dall’euro e non paghiamo i debiti, mette il nostro Paese fuori dalle democrazie del mondo. Non si può vincere sulle macerie, sulle macerie sta bene solo chi ha i soldi, se uno non ripaga i debiti e dà mille euro a tutti, finiamo peggio della Grecia” ha dichiarato critico.

Sui candidati di M5S ha spiegato: “Ci sarà da fare uno scouting in Parlamento, per capire se saranno eterodiretti, prendendo ordini da uno che non si fa fare domande, o se non avranno vincolo di mandato. Non intendo fare campagna acquisti, ma se avrò il 51% mi comporterò come se avessi il 49%, mi confronterò con tutti”.

Infine Bersani ha ipotizzato con buon auspicio i titoli dei quotidiani del giorno dopo le elezioni: “‘Vittoria del centrosinistra e ora si metta a governare’. Non sono d’accordo quando si dice che siamo tutti uguali – ha concluso – ma noi dobbiamo comunque fare di più perché è giunto il momento di sgomberare le macerie”.

corriere.it

Alberto Asor Rosa «Serve una vittoria piena. Il rischio è la crisi greca», di Rachele Gonnelli

Riprendere la voce per evitare la catastrofe. Alberto Asor Rosa in realtà la sua voce e la sua penna non ha mai cessato di usarle, e oggi crede fermamente che si debba «fare di tutto, con tutte le forze, a tutti i costi, perché il centrosinistra esca dal voto con una maggioranza autosufficiente».
Quale scenario vede? Il centro studi di Mediobanca parla di un nuovo ritorno alle urne, stile Grecia. È questo?
«Quanto alle previsioni non so, faccio riferimento a impressioni che si possono avere in superficie da ciò che si legge sui giornali e si vede in televisione. È chiaro che un eventuale ritorno al voto sarebbe una catastrofe e non è da escludere ma bisogna fare di tutto per evitarlo. Questo è uno dei motivi del nostro appello che sono scritti esplicitamente nel testo. Il ritorno alle urne rappresenterebbe l’ingresso dell’Italia nella fase più oscura della sua storia».
Perciò gli intellettuali sono usciti dal silenzio? Lei ha lanciato la Piattaforma Toscana per la difesa del paesaggio e dell’ambiente e Rodotà la Commissione sui beni comuni, la giustizia e il reddito di cittadinanza.
«Le cose fatte da Stefano Rodotà e da me, insieme ad altri, con la costituzione di una rete di comitati per la difesa del territorio appartengono ad una medesima sfera, una sfera diciamo extra istituzionale cresciuta negli ultimi anni anche in considerazione del fatto che la sfera istituzionale, la sfera dei partiti, è risultata in gran parte impenetrabile da quest’altro mondo. In questa nuova sfera le divisioni partitiche e di voto contano poco e non a caso si è parlato di società civile che si autorganizza. Sono stato invitato venerdì scorso al Teatro Valle da Rodotà e ci sono molti punti di contatto tra ciò che stiamo facendo perciò ho preso l’impegno a rivederci presto. Ciò non impedisce ad alcuni di noi io e Rodotà ma anche Piero Bevilacqua e gli altri che hanno sottoscritto l’appello di pronunciarci anche sulla politica partitica e istituzionale invece di rimanere silenziosi su questo». Lei non ha mai rinunciato a essere molto critico verso il centrosinistra e verso il suo maggiore partito, che cosa è cambiato?
«Su questo devo rispondere per me anche se cerco di interpretare anche il pensiero degli altri che hanno aderito all’appello al voto per il centrosinistra. Sono persuaso che nessuno intenda sottoscrivere toto corde la politica e gli orientamenti delle formazioni che costituiscono il centrosinistra, per intenderci né il Pd né Sel. Il nostro ragionamento non è un’apertura di credito illimitata. È la sottolineatura dell’urgenza di una scelta che renda possibile aprire le porte a una discussione complessiva degli assetti del centrosinistra italiano nel suo complesso. È la scelta di una strada per riaprire una discussione che oltre al Pd e a Sel riguardi anche i tanti movimenti che agiscono nella realtà sociale del Paese».
Parla di «Cambiare Si Può»? A chi non vuole andare a votare? A chi vi rivolgete?
«Cambiare Si Può è uno dei movimenti, ce ne sono anche altri che si battono per la difesa dei territori, per cause di diritto, nella grande battaglia per l’acqua bene comune. C’è un universo complesso, che si vede ma che non è rappresentato, perché le forze politiche non lo hanno saputo cogliere. Vincere le elezioni per me, per noi, potrebbe significare riaprire un discorso strategico di più vasta portata. L’appello si rivolge alla cittadinanza nel suo complesso». Si rivolge anche agli elettori di Grillo? «I firmatari scartano come prodromica alla catastrofe di cui parlavo all’inizio una affermazione di Grillo. Distinguerei però la predica del populismo insurrezionale dalla massa dei consensi che in questo momento riceve perché i partiti “tradizionali” non hanno saputo raccogliere lo spirito che la anima o perché identificati con un debito istituzionale. Si può lavorare in questo senso e con l’appello ci siamo rivolti anche a coloro che tra demotivazione e protesta non vedono un’altra strada rispetto al catastrofismo grillino». Siamo tornati a declinare il concetto di catastrofe. Negli anni scorsi lei parlava soprattutto di «potere affaristico-delinquenziale». È ancora il protagonista di ciò che rischiamo?
«Ne è una delle componenti. La decadenza italiana ha prodotto effetti a grappolo. Uno che emerge di continuo dalle procure è rappresentato dalla rottura diffusa di ogni regola sia etica sia politico-istituzionale. Anche per questo c’è bisogno di reagire con una fase di buon governo».
Rischia ancora la dissolvenza il nostro sistema democratico?
«Queste elezioni sono un passaggio decisivo per questa parte della vicenda. Direi che queste votazioni tendono a determinare con esattezza se andremo ancor più verso la dissolvenza del sistema politico-istituzionale italiano e in buona sostanza della democrazia o se riusciremo a fare il giro di boa attorno all’ostacolo. Vorrei aggiungere una cosa».
Cosa?
«Sarei moderato sugli obiettivi da raggiungere. Quello che si può sperare di conseguire non è un grande successo ma un’inversione di rotta. Che può avviare, con forza di volontà e attenzione, un processo di mutamento della realtà politica e istituzionale. Il voto non è un punto d’arrivo ma di partenza».

L’Unità 19.02.13

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Bersani: «Con Grillo e Pdl si va alla deriva» Il leader Pd contro le sparate dell’ex comico: «È antipolitica, come tutti i populismi è di destra». Renzi contro Ingroia: «Tradisce i giudici perbene. In Guatemala hanno stappato champagne», di Simone Collini

C’è una cosa, dei sondaggi che continuano a ricevere, che li preoccupa. Non sono le intenzioni di voto degli elettori di Lombardia e Sicilia, anzi. Né è la possibile rimonta di Berlusconi, che nonostante i suoi annunci di «sorpasso» si è da tempo arrestata. Ciò a cui i vertici del Pd guardano con molta attenzione è il dato degli indecisi. E a come modificandosi questo, si modifichi la percentuale di possibili consensi per Beppe Grillo. Il timore è che una fetta consistente di elettori delusi dalla politica opti non per l’astensione ma per il voto di protesta. Non a caso, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, la strategia comunicativa in parte avrà una correzione e si intensificherà l’offensiva nei confronti delle «sparate» del comico genovese.
Muovendosi tra Gioia Tauro, Vibo Valentia e Cosenza, Pier Luigi Bersani ne dà una prima dimostrazione, parlando sì del fallimento della destra alla prova del governo, dei danni provocati soprattutto nel Mezzogiorno da un ventennio di Berluscon-leghismo, della totale mancanza di credibilità dell’ex premier, ma mettendo in guardia anche dal pericolo rappresentato dalle tesi propinate di piazza in piazza da Grillo. «Io capisco le ragioni di tanta gente che è arrabbiata, ma questa gente non puoi prenderla in giro», dice il leader del Pd, accusando il leader del Movimento 5 Stelle di voler lucrare sulla sfiducia e anche disperazione che investe tanti per arrivare a una situazione di instabilità e ingovernabilità. «Grillo è uno che non ha mai risposto ad una domanda in vita sua e questo ci porterebbe fuori dalle democrazie, è uno che tranquillamente dice via dall’euro, non paghiamo i debiti, mille euro a tutti per tre anni, e questo ci porta verso la Grecia». E ancora: «Chi ha i soldi, chi è miliardario, può anche vincere sulle macerie, ma la gente normale non può essere presa in giro. Io dico che ci vuole un governo di cambiamento, ma un governo ci vuole. Non si possono invocare le macerie». E poi, visto che da diversi studi è emerso che una quota di elettori di M5S viene da sinistra, il leader del Pd dedica questo passaggio alla questione della collocazione politica di Grillo: «È antipolitica, che come tutti i populismi finisce sempre a destra».
Che non si tratti di un semplice sfogo di Bersani ma di una strategia precisa lo dice il fatto che anche il resto del gruppo dirigente del Pd va all’attacco del comico. Compreso Matteo Renzi, che ironizza sul nome e sull’annullamento dell’intervista a Sky dicendo: «Più che Grillo mi sembra un coniglio, per aver deciso di non andare in tv».
Il sindaco di Firenze, che domani parteciperà con Bersani e Rosario Crocetta a un’iniziativa elettorale a Palermo, non nega che su alcune questioni Grillo abbia «ragione», però sottolinea subito dopo che «il suo metodo non è democratico». Dice Renzi, che non risparmia bordate a Ingroia perché «tradisce il lavoro di tanti giudici perbene» («in Guatemala quando se n’è andato hanno stappato una bottiglia di quello buono») e ha dato vita a «una lista di collocamento dei leader falliti della sinistra»: «Non mi stupirei se Grillo fosse il terzo o addirittura il secondo partito alle prossime elezioni, ma il voto a Grillo mette a posto la coscienza non il Paese».
IL PATTO CON I CITTADINI
Per mettere a posto il Paese o, come dice Bersani, per «aggiustare l’Italia», servono quello che il leader del Pd definisce «un governo da combattimento», e anche «serietà e verità, non le favole che da più parti continuano a propinarci». Per questo, al di là degli aggiustamenti per alzare il tiro su Grillo, non modificherà né il messaggio fondamentale di questa campagna elettorale né la strategia delle alleanze.
Ecco perché a Monti, che dice di non avere niente in comune con la coalizione di centrosinistra, e a Casini, che dice che i progressisti di oggi sono uguali all’Unione di Prodi, replica in modo duro. «La coalizione che guido e di cui fa parte anche Vendola, ma non solo, ha stretto un patto davanti a 3 milioni e 200 mila persone. Siamo gente seria, non è pensabile che chi non ha preso nessun impegno paragonabile al nostro, parli tutti i giorni di Vendola». E poi: «L’Unione erano 12 partiti e non c’era il Pd, che è di gran lunga il primo partito del Paese. Noi abbiamo fatto le primarie di coalizione, abbiamo un documento che certifica l’accettazione di una cessione di sovranità, siamo in una situazione del tutto diversa. La nostra coalizione è solida e durerà, le altre no».
NO A BALLETTI SUL CONFRONTO TV
Ora Bersani va al rush finale continuando ad alternare le trasferte nelle regioni chiave per ottenere la maggioranza al Senato (oggi è in Lombardia, domani in Sicilia, dopodomani in Campania) con i passaggi televisivi (oggi su La7 in prima serata e a “Porta a Porta” in seconda serata). Non è invece intenzionato a cedere né alle pressioni di Berlusconi per fare un faccia a faccia televisivo a due né a quelle di Monti per fare un confronto a tre. «Sono disponibilissimo a un confronto con tutti. Cosa vuol dire confronto a due, a tre? Finiamola con il balletto. Ogni giorno qualcuno se ne inventa una», sbotta davanti ai giornalisti che a Gioia Tauro gli chiedono cosa risponda a ex e attuale premier. «Sono aperto al confronto con tutti. Se accettassi non saprei come rispondere agli altri candidati, come Giannino o Ingroia. Sono disponibilissimo al confronto, così come abbiamo fatto durante le primarie, ma con tutti. Questa è una posizione chiara e logica». E Monti che insiste sul confronto soltanto con i due dati dai sondaggi in testa? «Vorrei tranquillizzare Monti che io non ho problemi a fare il confronto tv. Però un conto sono i sondaggi, un conto sono le elezioni. Tutti devono avere pari condizioni, diamoci qualche regola civile».

L’Unità 19.02.13

Bersani: "Nei primi 100 giorni inasprirò la legge anticorruzione"

Pier Luigi Bersani ha aderito alla campagna ‘Riparte il futuro’, per la completa trasparenza della politica, a cominciare dai candidati premier. E ha preso l’impegno di inasprire la legge anticorruzione, nei primi cento giorni di governo, rafforzando la previsione del codice penale sul voto di scambio.

Il leader del PD ha pubblicato online sul sito di Riparte il futuro curriculum vitae, reddito e patrimonio, situazione giudiziaria e conflitti di interesse e può ora fregiarsi del “braccialetto bianco”, il simbolo dell’iniziativa.
Tra i candidati premier, al momento solo Bersani ed Antonio Ingroia hanno accettato il protocollo della massima trasparenza.

Non risultano pervenuti, invece, Berlusconi, Grillo, Giannino e Monti.
Bersani nel sottoscrivere l’impegno ha promesso “di riformare la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter del codice penale) entro i primi cento giorni di attività parlamentare. Rafforzerà cioè l’attuale previsione di legge per il voto di scambio, contemplando non solo i soldi nell’oggetto dello scambio, ma anche ‘qualsiasi altra utilità”.

Chi ad esempio promette posti di lavoro in cambio di voti, sarà perseguibile ai sensi del codice.
Nel suo profilo di “braccialetto bianco”, il Segretario del PD ha dichiarato inoltre “di non avere procedimenti giudiziari passati in giudicato o in corso e di non avere potenziali conflitti di interesse”.

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Il Segretario democratico da Gioia Tauro, tappa del suo tour elettorale in Calabria ha rassicurato sulla tenuta della coalizione di centrosinistra dopo il voto.
“Noi abbiamo stretto un patto di fronte a 3,2 milioni di notai, sono le altre coalizioni a dover rispondere della loro unità”, lo ha ribadito il leader del PD, Pier Luigi Bersani, nel corso di una conferenza stampa a Gioia Tauro, tappa della campagna elettorale in Calabria, rispondendo a una domanda sulla tenuta della coalizione di centrosinistra dopo il voto.

“Non li ho visti davanti a un notaio – ha ribadito – non li ho visti sottoscrivere una carta, non li ho visti fare una foto di gruppo, rispondano loro. Noi siamo gente seria, non siam mica qui a pettinare le bambole”. Sempre da Gioia Tauro ha replicato all’editoriale del Financial times sul rischio che dalle urne esca un quadro frammentato. “Ai tempi di Prodi c’erano 12 partiti e non c’era il PD, non so se è una cosuccia da poco. Il tema governabilità, cioè dare a qualcuno una maggioranza solida in grado di guidare il Paese è comunque oggetto di questa campagna elettorale”, ha affermato Bersani, che si è dichiarato tuttavia convinto che “il giorno dopo le elezioni ne uscirà un quadro diverso”.

www.partitodemocratico.it

"Verso un Parlamento più rosa con la vittoria del centrosinistra", di Emanuele Lauria

Sarà di certo un Parlamento più rosa. Ma lo sarà soprattutto se vincerà il centrosinistra: un successo della coalizione di Bersani a scapito del centrodestra porterebbe da 80 a 100 donne in più nelle aule legislative. È uno dei dati che emerge da uno studio di Arcidonna sulle candidature per le politiche. L’associazione, nella ricerca che sarà resa pubblica oggi, non si è fermata ai dati generali delle liste ma ha posato la lente sulle posizioni “eleggibili”. Giungendo a una conclusione: i partiti (sette quelli presi in considerazione dall’indagine) hanno sì rispettato l’obbligo di mettere negli elenchi per Camera e Senato almeno un terzo di presenze femminili. Relegando però queste, spesso, in posizioni di retroguardia, non utili per l’ingresso in Parlamento. Nei primi tre posti delle liste per la Camera analizzate, in media, c’è meno del 25 per cento di donne. E nella corsa per Palazzo Madama la percentuale scende al 24,2.
Un risultato figlio di scelte diverse fatte dalle singole forze politiche: se Pd, Sel e 5 stelle hanno piazzato un numero congruo di donne nei primi posti, non altrettanto si può dire dei partiti della coalizione montiana e del Pdl. Il partito di Berlusconi in particolare al Senato fornisce una performance negativa: nelle teste di lista delle 20 regioni ci sono appena cinque donne e 55 uomini. Il Popolo della libertà, nella competizione per Palazzo Madama, non presenta neppure un capolista di sesso femminile. E la situazione non varia di molto se si considerano le prime dieci posizioni di ogni lista: Pd e Sel sono in vantaggio sia alla Camera che al Senato.
Fra i movimenti che debuttano in questa tornata elettorale meglio M5S di Rivoluzione Civile: se i grillini hanno diviso equamente fra i sessi gli incarichi di capolista, la formazione di Ingroia è ultima per numero di donne candidate nelle prime tre posizioni alla Camera. Questi dati, elaborati dall’osservatorio di Arcidonna guidato da Francesca Massimi, proiettano una composizione diversa del prossimo parlamento in funzione dello schieramento che s’imporrà nelle urne: «Se vincerà il centrosinistra – dice Valeria Ajovalasit, presidente dell’associazione – avremo una rappresentanza femminile che potrebbe attestarsi sul 38 per cento o raggiungere anche il 40 nel caso in cui il Pd e gli alleati dovessero conquistare i premi di maggioranza al Senato nelle regioni in bilico come Lombardia e Sicilia. Se prevarrà il centrodestra la percentuale di donne dovrebbe oscillare fra il 28 e il 30». Fatti i calcoli, in palio nelle Politiche di domenica e lunedì ci sono pure 80-100 seggi «rosa» in più o in meno.
Per carità, ci sono dati come la qualità e l’esperienza che sfuggono a queste statistiche: varranno di più le 47 cittadine «a cinque stelle» piazzate in cima alle liste da Grillo o volti noti come quelli di Rosy Bindi e Anna Finocchiaro? Offrono maggiori garanzie la Prestigiacomo capolista del Pdl in Sicilia o sportive che debuttano in politica come Valentina Vezzali (Scelta Civica) o Josefa Idem (Pd)? Quel che conta, secondo la presidente Ajovalasit, è che l’Italia si avvicini a medie europee: «Nel resto del Continente – dice – la percentuale delle donne nelle assemblee elettive è di 4 su 10. Noi possiamo avvicinarci a quei livelli. Anche se è evidente che di una legge pessima, il Porcellum, i partiti hanno fatto un uso opinabile, dando spesso alle donne il ruolo di riempiliste». Detto ciò, la Ajovalasit non nasconde che «la possibilità di realizzare una forma più compiuta di democrazia paritaria è affidato ai partiti di sinistra che nella loro cultura hanno l’investimento sulle risorse femminili. Anche se Ingroia, almeno sul piano numerico, fa eccezione».
Arcidonna fornisce pure un quadro delle candidature femminili regione per regione. I numeri non premiano una zona geografica in particolare: se la Lombardia ha il maggior numero di donne in quota eleggibile (23), a seguire c’è la Sicilia (18) e il Veneto (15). Ma è un dato che risente soprattutto della grandezza e del numero di circoscrizioni elettorali di queste regioni. Positivo il dato della Calabria, quarta in classifica. A riprova che anche il Sud contribuirà al riscatto rosa in Parlamento.

La Repubblica 19.02.13