Latest Posts

Ghizzoni domenica pomeriggio all’incontro su giovani e cultura

L’incontro coi candidati è organizzato dall’Arci presso il circolo Vibra di via IV novembre. Sarà la candidata alla Camera Manuela Ghizzoni a partecipare, per il Partito democratico, all’incontro con i candidati organizzato dall’Arci, per il pomeriggio di domenica, al circolo Vibra di Modena. Titolo dell’iniziativa “Do the right thing! Giovani e cultura nel programma del centro sinistra”.
“Do the right thing! Giovani e cultura nel programma del centro sinistra”: è questo il titolo dell’incontro-aperitivo con i candidati alle prossime elezioni politiche organizzato a Modena dall’Arci per il pomeriggio di domenica 17 febbraio. Parteciperanno la candidata Pd alla Camera Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera dei deputati, il candidato Sel al Senato Massimo Mezzetti, assessore regionale alla cultura e allo sport, e il presidente regionale di Arci Emilia-Romagna Paolo Marcolini. Coordina i lavori la presidente provinciale di Arci Modena Greta Barbolini.

Appuntamento al Circolo Vibra di via IV novembre 40, a Modena, dalle ore 17.30

"Da leghista a grillino: il Veneto cambia segno e il Pd va all’attacco", di Rudy Francesco Calvo

atteo Renzi di ieri riaccende nei dem le speranze del sorpasso, mentre il M5S drena i consensi di Pdl e Lega. Così il premio di maggioranza al senato torna contendibile. «Siamo vicinissimi». L’entusiasmo dei dem veneti è giustificato da una condizione per loro inedita: mai, infatti, il crollo di Pdl e Lega da queste parti era stato così evidente e mai il primato in questa regione era stato contendibile come oggi. Gli ultimi sondaggi pubblicati prima dell’embargo imposto dalla par condicio segnavano una forbice di 8-9 punti tra le due coalizioni. «Ma dopo il tour di Grillo qui è cambiato tutto», garantiscono dal quartier generale del Pd veneto. Dove già è stata preparata una strategia specifica per giocarsi il tutto per tutto nell’ultima settimana di campagna elettorale.

Grosse speranze, ad esempio, sono riposte in Matteo Renzi, che ieri ha girato «come una trottola» (metafora – manco a dirlo – bersaniana) tra Belluno, Vicenza e Padova. Nel suo mirino ci sono i delusi della Lega, con parole d’ordine che dimostrano la competition diretta con il M5S. Da Ponte nelle Alpi parla infatti di «consumo di suolo», «semplificazione amministrativa», «sviluppo tecnologico» e punta sulla garanzia di «un governo serio» di centrosinistra contro «un accordicchio». A rafforzare la presenza del sindaco fiorentino, sperando di prolungarne nel tempo l’effetto positivo, il Pd veneto ha organizzato un imponente battage mediatico con la sua immagine su giornali e tv locali, che proseguirà almeno fino a domenica. Poi saranno Enrico Letta, Dario Franceschini, Piero Fassino e Walter Veltroni a raccoglierne il testimone per la settimana che conduce alle urne. E allo studio ci sono anche iniziative specifiche contro i costi della politica.

Il target da raggiungere, ormai, è stato ben identificato. Lo studio della sezione regionale di Confartigianato (con il M5S primo partito tra gli iscritti), l’accoglienza della premiata ditta Grillo-Casaleggio da parte degli imprenditori della Confapri, la reazione della platea dell’Assindustria vicentina di fronte ai candidati di tutti gli schieramenti (durissima con Galan, ma fredda anche con la dem Puppato e perfino col leghista Tosi, mentre applausi sono piovuti sul capolista grillino Cappelletti e su Oscar Giannino): tutti inidizi chiari per capire verso dove si sta spostando l’elettorato veneto. Il serbatoio forza-leghista svuotato dai cinquestelle (la cui base di attivisti è – come denunciato da Berlusconi – effettivamente di provenienza sinistrorsa) diventa così improvvisamente comparabile a quello del centrosinistra, che però fatica a riempirsi ulteriormente.

Quello dem potrebbe essere quindi il classico “sorpasso in discesa”, con Grillo e Giannino a mettere i bastoni tra le ruote di Berlusconi e Maroni. Il leader leghista si farà vedere da queste parti solo tra ieri e oggi, quando firmerà a Sirmione un accordo sulla fantomatica macroregione del nord con Cota e Zaia. Non è detto, però, che l’effetto sia quello sperato: proprio la base leghista veneta è la più in collera con il segretario, che l’ha portata nuovamente a braccetto con il Cavaliere solo per tentare la scalata personale al Pirellone.

da Europa Quotidiano 16.02.13

Bersani: «Berlusconi ci lascia una catastrofe», di Maria Zegarelli

Dopo il tacchino sul tetto, (quello che ha fatto impazzire Matteo Renzi) e il giaguaro da smacchiare, ecco che entra in campagna elettorale anche «la mucca in corridoio». Affollamento metaforico, tentazione irresistibile per il leader del centrosinistra Pier Luigi Bersani. Parla nel bolognese, ad un comizio, e sbotta contro quel continuo «misurare la distanza tra me e Monti, tra me e Vendola», senza rendersi conto che il problema è altro, il giaguaro, la mucca, cioè la destra, vale a dire Silvio Berlusconi, che punta all’ingovernabilità, che sdogana le tangenti, promette quattro milioni di posti di lavoro, poi fa un passo indietro, poi rilancia sull’Imu, sulle tasse… «Questi lunghi anni della destra dice la mattina da Repubblica Tv e ripete poi in Emilia Romagna, dove ci sono anche Dario Franceschini e Vasco Errani (altro nome in odor di ministero) ci hanno consegnato una catastrofe sociale, economica, etica e morale», distruggendo «gli anticorpi» giù fortemente indeboliti dalla crisi. «Quando senti uno che giustifica, hai capito da dove viene il problema. Dobbiamo invece pretendere che la magistratura vada fino in fondo», dice riferendosi agli arresti eccellenti che stanno mettendo in ginocchio le aziende e le banche più importanti del Paese. Non crede che sia tratti di una nuova Tangentopoli,«la storia non si ripete mai negli stessi termini», non vede «manone» che manovrano i fili, ma neanche nega «che possa esserci un’iniziativa talvolta un po’ troppo spinta rispetta a un giusto equilibrio, ma non posso accettare che non si vada fino in fondo e che non si faccia pulizia», soprattutto perché fino a quando non si sconfigge la corruzione a rischio sono «le nostre imprese».
Il rischio è che le vicende giudiziarie influiscano in maniera pesante sulla campagna elettorale andando a gonfiare le vele, già gonfie, di Beppe Grillo, o di Rivoluzione civile, creando i presupposti per una maggioranza zoppa al Senato. Per questo il segretario Pd dedica gli ultimi otto giorni di campagna elettorale a chiedere che non si disperda il voto, «l’unica coalizione in grado di garantire stabilità e di sconfiggere la destra è la nostra», ripete come un mantra. Ecco perché non ne può, spiega, di sentirsi chiedere come farà a tenere insieme Monti e Vendola. «Se sarà necessario, opportuno.. Lì ci penso io, eh, perché le primarie hanno deciso chi dirige il traffico», avverte. Sarà lui a dettare le condizioni manda a dire al premier uscente, ricordando a Vendola che il faro è la carta di intenti e lì in quel recinto ci si muove. «Dopodiché aggiunge le cose che stiamo dicendo passeranno purtroppo in second’ordine e voglio vedere chi si sottrae alla responsabilità di fare qualcosa, subito, per il cambiamento. Io non immagino di mettermi in segrete stanze a tirar lì con questo o con quell’altro. Io immagino di mettere lì 4-5 provvedimenti e vedere chi si tira dietro». L’alleanza con Vendola, d’altro canto, è solidissima. «Di Bersani mi fido dice il governatore pugliese -, è una persona di straordinaria lealtà, non è un cinico».
Bersani ricambia e a Monti fa sapere di essere stanco degli attacchi «stucchevoli a Vendola», mentre a Ingroia spezza ogni speranza di dialogo. «Impensabile». «Questi osserva mi hanno massacrato per un anno». Nega il patto di desistenza al Senato, «io non ho mai promesso niente, ho fatto un ragionamento. Politicamente non siamo componibili, Vendola ha sempre compreso la posizione del Pd, questi qua no». Non dimentica l’anno complicato del sostegno a Monti, con Di Pietro all’opposizione del Professore e all’attacco del Pd. «Cosa faccio, vado dagli elettori e dico “ora siamo insieme?”».
Il leader di centrosinistra sa cosa sta accadendo nella base elettorale dell’ex pm: saranno in molti a praticare il voto disgiunto. L’ultimo nome di peso quello di Moni Ovadia che ieri ha annunciato di votare Sel al Senato in Lombardia. «Io mi rivolgo agli elettori, è a loro che chiedo di darci fiducia», dice Bersani guardando quei sondaggi che dicono che la partita è aperta anche in Campania dove il Pdl, dopo aver perso i suoi pezzi da novanta come Nicola Cosentino, è in affanno.
Si può vincere con il 51% anche al Senato, dice ai militanti chiamandoli allo sforzo finale. «Bisogna vincere alla grande. Non un pochino. Vincere un pochino, lo sai benissimo, provoca rischi», gli augura in un video messaggio Romano Prodi che ricorda «non lo dovrei dire a te perché ogni volta che mi voltavo eri uno dei non molti che mi era sempre vicino. Proprio per questo insieme dobbiamo pensare ai rischi di vincere per poco. Bisogna vincere per molto. Questo è il mio augurio ed è l’augurio che facciamo tutti insieme a te e al Partito democratico». Prodi conclude avvertendo che sarà il lavoro il tema cruciale della prossima legislatura, tema «che sarà al centro della nostra azione, la nostra prima preoccupazione», assicura Bersani. Una delle prime, insieme alla legge sull’immigrazione che annuncia di voler cambiare, la legge sulla cittadinanza, quella sull’inasprimento delle pene per la corruzione, la reintroduzione del falso in bilancio, del conflitto di interessi.
Delinea il profilo del suo governo, ci saranno «presenze di esperienza», il ministero dell’Economia dovrà cedere «funzioni» a quello dello Sviluppo economico per aprire spazi all’economia reale, insomma ci sarà «gente che sappia governare il manico», tanto per restare nella metafora.

L’Unità 16.02.13

******

Bersani: “Tra Monti e Vendola dirigere il traffico spetta a me”. Il Professore: mi offrì Colle e premiership per non farmi correre, di Francesco Bei e Tommaso Ciriaco

«Le primarie hanno anche stabilito chi dirige il traffico: se sarà necessario, opportuno, praticabile» allearsi con il centro montiano «lo decido io». Pier Luigi Bersani, a Repubblica Tv, rivendica il suo ruolo guida nella formazione del governo e, soprattutto, riguardo al perimetro che dovrà avere la maggioranza. Con dentro Monti oppure no? Il segretario lascia aperta ogni possibilità: «Un conto è se abbiamo il 51%…Dopodiché, con i problemi che purtroppo abbiamo davanti, voglio vedere chi si sottrae alla responsabilità del cambiamento».
A una settimana dal voto la campagna impone a ciascuno di recitare la sua parte. E dunque Vendola avverte che l’alleanza «non è un guinzaglio e io non sono il cagnolino da salotto del centrosinistra ». Tuttavia nemmeno il leader di Sel pone pregiudiziali assolute contro il centro: «I compagni di viaggio mi interessano relativamente, quello che mi interessa è la direzione del viaggio ». In ogni caso, aggiunge, «non fasciamoci la testa prima che si sia rotta, abbiamo una settimana per impedire che vinca la palude, per questo spero che vinca il centrosinistra con pienezza di numeri ». Un’esortazione a Bersani arriva anche da Prodi con un videomessaggio: «Bisogna vincere alla grande. Non un pochino».
Scottato dalle polemiche suscitate nei giorni scorsi dalla sua apertura a Vendola (poi ritrattata), Monti ribadisce invece la sua equidistanza. In questo momento «le chance di un’alleanza con il centrodestra senza Berlusconi» e con il centrosinistra «sono le stesse». Ma ad Agorà il Professore svela anche un retroscena potenzialmente imbarazzante per il Pd. Lascia infatti intravedere i contorni di una trattativa scabrosa. Oltre alla presidenza della Repubblica, se Monti avesse deciso di non essere in campo alle elezioni, gli erano state offerte «posizioni di quasi vertice o di vertice nel governo». A distanza, Bersani minimizza: «Credo non ci sia nessuno che possa offrire il Quirinale, certamente ci può essere chi non avrebbe escluso un’ipotesi del genere». Ma Monti in tv insiste. Quella del Quirinale o di palazzo Chigi era «una possibilità». Avanzata da chi? Il leader di Scelta Civica in pubblico non fa nomi. Ma a telecamere spente rivela di aver avuto una «conversazione» di questo tipo proprio con Bersani. Che, a quanto pare, sarebbe stato disposto a lasciargli la poltrona a palazzo Chigi in cambio di un addio alla lista Scelta Civica. Offerta rifiutata, perché «solo avendo alle spalle la forza di un movimento si possono davvero cambiare le cose».
E tuttavia il «movimento» del Professore sembra al suo interno piuttosto lacerato. Nonostante le pressioni insistenti di Casini e Fini, finora non c’è stato un evento a cui i tre fondatori abbiano partecipato assieme. Manca insomma la “foto di gruppo”. E
Monti — sostenuto in questo da Riccardi e Montezemolo — continua a ritenere che non sia opportuno farsi vedere insieme ai due «politici di professione». Questa corsa separata del “tridente” rischia di essere però molto costosa per Udc e Fli, a cui i “civici” sottraggono visibilità e consensi. Per questo Casini è tornato all’attacco: «Caro Mario, non possiamo pagare questo prezzo. Almeno nell’ultima settimana di campagna dobbiamo salire tutti insieme sullo stesso palco». Ma il premier per ora fa finta di non sentire.

La Repubblica 16.02.13

"Il Polo biomedico dopo il terremoto: lo Stato non rovini la rinascita", di Edoardo Segantini

A nove mesi dal terremoto che lo mise a terra nel maggio scorso, il polo emiliano di Mirandola è in ripresa. Stiamo parlando del primo distretto biomedico europeo, uno dei più importanti del mondo con Minneapolis negli Stati Uniti, che precede Francoforte, Losanna e Lund (in Svezia), e dove un centinaio di aziende italiane e internazionali, tra cui grandi marchi come Sorin, Bellco, Braun e Baxter, insieme a nomi meno noti, primeggiano globalmente in alcune aree cruciali del mercato: dalla dialisi alla cardiochirurgia. A spiegarne la vitalità, che le ha permesso di ripartire, c’è anche la sua origine: Mirandola è una Silicon Valley italiana che, come quella californiana, non nasce a tavolino, da un sogno dirigista, ma in un garage, da un farmacista-imprenditore geniale oggi ottantunenne, Mario Veronesi, che nel corso del tempo ha fondato cinque aziende (l’ultima nel 2003).
Alla base della ripresa c’è un tessuto imprenditoriale serio e credibile, nelle singole aziende come nell’insieme, che ha costruito un rapporto solidissimo, difficilmente sostituibile, con la clientela di tutto il mondo.
La vera minaccia, per chi è sopravvissuto al sisma per merito proprio, è di cadere per demerito altrui. La spending review sanitaria, giustamente finalizzata a ridurre gli sprechi, può danneggiare Mirandola nel momento in cui fissa tetti di spesa troppo bassi, tali da favorire solo i cost leader come i produttori asiatici e da scoraggiare le industrie italiane che sono leader in innovazione e in qualità. È vero, il distretto esporta il 50% nel mondo, ma per il resto dipende dal mercato italiano. E senza un mercato nazionale forte possono arrivare guai peggiori di quelli segnalati dalla scala Richter. Lo hanno capito i tedeschi, il cui governo si guarda bene dal deprimere il mercato interno. Perché anche in questo campo il dirigismo statalista fa male, ma l’assenza di politica industriale fa anche peggio.

Il Corriere della Sera 16.02.13

"Quella «strana» fretta per comprare La7 prima del voto", di Vittorio Emiliani

Nell’imminenza delle elezioni, lunedì prossimo, gli amici di Berlusconi potrebbero mettere le mani anche su LA7, embrione di un possibile terzo polo tv, che negli ultimi anni si è conquistata un interessante capitale di autonomia politica rispetto alla dominanza del Cavaliere (dilagato in questa campagna elettorale per ogni dove) e su di una rete dotata di antenne decisamente appetite da Mediaset. Perché una così vistosa accelerazione in vista del voto del 24-25 febbraio? Perché soprattutto il candidato premier Pier Luigi Bersani ha posto con forza la legge sul conflitto di interessi come una autentica priorità di governo in caso di vittoria, insieme all’incisiva revisione della legge Gasparri. Una delle leggi più smaccatamente favorevoli all’allora bi-presidente.

Mai legge fu più invocata di questa, purtroppo mai nata, in presenza del colossale conflitto di interessi incrociati di Silvio Berlusconi fra informazione, comunicazione, assicurazione, finanza, ecc. Mai legge fu più avversata della legge Gasparri che «regola» a vantaggio di Mediaset il comparto delle emittenti radio-tv e che ha praticamente messo la Rai alla catena del governo e del ministro dell’Economia in carica (all’epoca, Berlusconi e Tremonti).

Il governo Monti è ancora in carica, anche se la salita in campo del suo leader complica le cose. Le Autorità sulle comunicazioni e sulla concorrenza sono pienamente operanti. Bisogna che da esse non uno, ma cento riflettori vengano attivati per sapere cosa si sta realmente preparando in Telecom per lunedì di fronte alle due proposte di acquisto: dell’editore Urbano Cairo per la sola rete tv, in ascesa negli ascolti ma ancora considerevolmente passiva a fronte di cospicui investimenti ancora recenti; del Fondo Clessidra guidato dall’ex ad di Fininvest, Claudio Sposito, che acquisirebbe sia La 7 che gli impianti di trasmissione, per poi eventualmente «spacchettarli», cedendo la rete a Marco Bassetti che per anni ha lavorato per il Biscione, marito e socio di Stefania Craxi, deputata Pdl. Cairo e Sposito sono entrambi uomini cresciuti in Fininvest, ma il primo si è poi affermato autonomamente come editore. Sposito ieri ha negato nel modo più assoluto che la famiglia Berlusconi sia «uno dei principali investitori del fondo Clessidra». Ma alcuni membri del CdA di Telecom hanno rapporti con Clessidra o con Mediobanca partecipata da Mediolanum. La7 dà palesemente fastidio sul piano politico a Berlusconi con giornalisti come Lerner, Formigli, Gruber, Mentana ai quali metterebbe volentieri il silenziatore.

I tre multiplex di Telecom rafforzerebbero le posizioni di Mediaset sul piano delle tecnologie e, domani, nella telefonia a banda larga. Il governo Berlusconi, nel 2001, fece annullare dal fido Gasparri la vendita del 49 % di Rai Way, impianti di trasmissione, ai texani di Crown Castle che portava nelle casse Rai 724 miliardi di lire dopo le tasse (per un digitale terrestre «ricco») e producendo un’alleanza fra rete Rai e rete Poste dal grande futuro. La Rai venne così azzoppata e più tardi costretta a scendere dalla piattaforma satellitare di Sky per salire su quella di Mediaset perdendo soldi e affidabilità presso i propri utenti dotati di contratto Sky. Per contro Mediaset venne generosamente rafforzata anche nelle tecnologie dov’era più debole. Figuriamoci coi tre multiplex Telecom. Lunedì, giocando di anticipo, Berlusconi, destinato a perdere queste elezioni, diverrebbe dominante in comparti strategici. Governo e Autorità possono, se vogliono, evitare una simile disastrosa eventualità.

L’Unità 16.02.13

"Crisi continua: in gennaio richiesta record di Cig", di Marco Tedeschi

La crisi economica passa da un anno all’altro, senza aprire speranze di miglioramento della situazione. I primi dati della cassa integrazione del 2013 sono drammatici. Le ore di Cig autorizzate a gennaio 2013 sono state quasi 89 milioni, con un incremento del 2,72% rispetto al dicembre 2012 e del 61,64% rispetto al gennaio 2012. Il dato più alto dal 1980. In forte aumento anche la richiesta di Cig straordinaria: a gennaio 2013 le aziende in Cigs aumentano del 98,44% rispetto a gennaio 2012 e del 25,46% rispetto al dicembre 2012. Sono questi i dati principali del rapporto dell’Osservatorio Cig del dipartimento Settori produttivi della Cgil. Questi numeri, secondo il segretario confederale Cgil, Elena Lattuada «dimostrano che lo spessore della crisi industriale ed economica è sempre più profondo, una conferma viene anche dall’andamento della produzione industriale rilevata dai dati dell’Istat in forte riduzione del 6,7%, rispetto all’anno precedente, e con flessioni dei comparti produttivi su percentuali a due cifre». Dunque «ci troviamo di fronte ad una vera emergenza prosegue il sistema industriale è stato lasciato andare alla deriva, in questi anni non è stato fatto nessun intervento significativo, nessuna scelta strategica, quasi nessuna crisi aziendale è stata risolta positivamente. Le scelte governative hanno riguardato più gli effetti, il mercato del lavoro, che non le cause: sistema industriale non più competitivo per qualità, prezzi, contenuti tecnologici. Come poco e niente si è fatto verso quei fattori di competitività per tutto il sistema: energia, trasporti, semplificazioni burocratiche, alleggerimento fiscale, ricerca, sistema finanziario». Il fallimento di «chi ha maggiormente governato negli ultimi venti anni conclude Lattuada sta tutto nei numeri della crisi, un disastroso debito pubblico, un Pil che continua a diminuire (2,4%), mentre i disoccupati continuano a crescere, (nel 2012 del +21,4%), l’inflazione è al 3%, ma per i redditi medi e bassi va peggio, perché la spesa è cresciuta del 4,3%». I settori più in difficoltà e con più ore di Cig richieste restano il meccanico (più 79%), il commercio (più 80,12%) e l`edilizia (più 57,46%). Per quanto riguarda invece le aree geografiche la richiesta di Cig aumenta in quattordici regioni, tra cui Lombardia (+56,94%), Lazio (+60,05%), Piemonte (+66%), in Emilia Romagna (+82,32%).

L’Unità 16.02.13

"Yacht, cosmetici, brioche la dolce vita a sbafo del Celeste Formigoni", di Francesco Merlo

Poi il “Celeste Signore” — la definizione è del Parini — si ritira in bagno e si imbelletta il viso con la Genescience, duecento euro al barattolo, a base ovviamente di miracolosi peptidi, e spesso si accorge che l’ha quasi terminata e allora afferra il cellulare d’ordinanza e poiché “da tutto è servito e a nullo serve” spedisce da Chenot il suo Willy, segretario “d’amabil rito” che però non sempre riesce a ottenere il rifornimento — pagato a sbafo — dei preziosi Actif Essential: «Tu riesci a farmela avere entro lunedì mattina? Perché se no mi spacca le palle. Ecco, la Genescience viso, non il contorno occhi. Due ne ha consumate nel giro di…». Quindi, mentre la biacca sul viso si condensa, gli capita persino di inorridire perché l’impertinente Willy, scosso il giogo della servile rima se ne va libero in versi sciolti: «La usi come colla per i manifesti».
Ecco, la polizia giudiziaria ha tradotto in linguaggio gelido e tuttavia crudo il delicato giorno pariniano del Celeste Signore, e dunque adesso anche quel matto vestire e gli squillanti colori di cui s’orna le vesti non sono più un’estetica bizzarra, ma il curriculum dello scroccone, conti di sartoria pagati da chissà chi, la giacca arancione di Gianni Campagna, i maglioni che egli stesso ribattezzò compiaciuto formaglioni…. «Gli stilisti Iceberg, Gerani, Richmond, hanno a cuore il mio guardaroba» spiegò in un’intervista a Panorama. E a Massimo Giannini disse: «Non li scelgo io, me li regalano». E le mille scarpe le confeziona un artigiano della Brianza. Chi paga?
Ricordate le domande di Nanni Moretti: «Che lavoro fai? Come campi? Chi paga l’affitto? Questa sigaretta qui come l’hai avuta?». La giovane alternativa ma scroccona rispondeva: «Giro, vedo gente, mi faccio ospitare». Ecco, lo scroccone, anche nella versione ideologica di Moretti, non maneggia mai il denaro che sporca invece le mani dei suoi succubi benefattori. Scrive la polizia: «L’esame dei conti di Formigoni permette pacificamente di constatare come di fronte ad un elevato tenore, non risultino uscite o addebiti riconducibili a tali importanti spese». Una vita di degnazioni, offerte ed oboli dovuti riempiono dunque i mattinali di polizia, cifre milionarie, bonifici con danaro misterioso per l’acquisto della casa della fidanzata Emanuela Talenti e contanti di centinaia di migliaia di euro di provenienza illecita per «un grande amore vero, pulito e lontano dai riflettori mediatici» durato dal ‘97 al 2005 «con strascichi sino al 2009». Il soldato di Cristo non l’ha mai sposata e perciò è un’altra voce di spesa, ancora «utilità di provenienza illecita», soldi in contanti per l’amore lussureggiante, insieme alle barche e allo champagne perché «il presidente beveva solo quello», come il Ludwig (Helmut Berger) di Visconti che tendeva la mano ormai tremante e qualcuno gli porgeva il bicchiere già pieno. Gad Lerner gli ha chiesto: lei si piace, vero? E lui, come Helmut Berger: «No. Una volta mi piacevo, quando ero bello».
Vizi privati e pubbliche virtù? Formigoni non si occupa mai di annoiante economia domestica e così, tornando al suo giorno pariniano, le focaccette, per euro soltanto 36,6, si posano da sole sulla “parca mensa”; e i pesci, per euro appena 380, forse sono gli stessi di cui raccontano Matteo e Marco e Luca perché gli si moltiplicano davanti mentre mangia la brioche senza versare i 7,6 euro dovuti. La polizia annota, con serietà, che persino il cappuccino è scroccato. E anche le iscrizioni ai cavalieri di San Giorgio, a Forza Italia e al Pdl gli sono pagate con i contanti di Daccò.
Più che la parassita di Moretti, sembra il Fomà Fomìç di Dostoevskij, il prepotente e ipocrita della provincia russa che si arrabbia quando non è bene servito: «Sono io che vi faccio un favore a vivere presso di voi e non voi a me». E difatti il proprietario del ristorante racconta al giudice, senza rendersi conto di parlare come il russo, che la vita a sbafo la «pagava sempre Daccò» anche quando Formigoni andava «da solo a mangiare da Sadler » e però era lui «l’autoritario, lui che decideva, qualche volte era anche po’ incazzato e Daccò era sempre attento ai suoi umori, e se il presidente mostrava disappunto per qualche cosa, Daccò era molto nervoso e ci trasmetteva una certa tensione ». E c’è del genio nel Formigoni che rimprovera Daccò e gli rinfaccia di essere un delinquente, come nel film “Lo scroccone e il ladro” con Danny De Vito, dove il ladro viene derubato dal padrone della casa che sta rapinando.
Qui si capisce finalmente che Formigoni ha con il denaro lo stesso rapporto che ebbe con la castità, che non è solo astinenza sessuale ma è rinunzia ai godimenti del mondo e che fu il suo battesimo pubblico mentre ora è uno scialo «di ospitalità in ville con servitù e cuochi, di posti meravigliosi» e «tre yacht a sua disposizione» sempre noleggiati «con i pagamenti illeciti ricevuti dalla fondazione Maugeri e dal San Raffaele a favore di Piero Daccò e della sua famiglia». Daccò addirittura «aveva un angolo di cantina dedicata a lui» e «c’è persino una bottiglia da sei litri di champagne valutata 15000 euro».
Dunque Formigoni cancella la secolare simpatia alla figura allegra dello scroccone italiano, allo scroccone plautino, al vivere bene senza pagare del nostro teatro e del nostro cinema, ai parassiti ma sfigati Totò e Macario, alle maschere napoletane, agli Arlecchino e ai Brighella che mangiano a spese altrui ma hanno l’anima buona. Formigoni invece pretende lo scrocco e trasforma la tangente in capriccio, vuole essere pagato in “erba voglio”.
E mentre leggo tutte queste pagine di rapporti di polizia mi sembra quasi di vederlo seduto su una montagna di brioche, di pomatine, di cipria materiale, di costosissime robine, ninnoli e accessori che si porta dietro sugli yacht e nelle case che gli mettono a disposizione in Sardegna e ai Caraibi, tra camerieri che si inchinano, bottiglie che si svuotano, persone che, se non si umiliano, vengono cacciate come capita al comandante di una delle barche. Ogni volta che respira, Formigoni riceve il pizzo, un pizzo alla carriera per tutti gli appalti passati, presenti e futuri della Regione Lombardia.
Figura straordinaria dell’Italia moderna, Formigoni ha dunque aggiornato il mascalzone italiano con l’innocenza dell’onnivoro che mangia qualsiasi cosa e trasforma lo scrocco in una divisa, uno statuto, e chissà come avrebbe commentato Fellini se gli avessero detto che, cinquant’anni dopo il suo capolavoro, un politico italiano, un lombardo, un cattolicissimo peccatore di governo per 17 anni filati avrebbe preteso come tangente la Dolce Vita.

La Repubblica 16.02.13