Latest Posts

"Tanto rumore per quasi nulla", di Curzio Maltese

Gli amici tienteli stretti, ma i nemici ancora più stretti, consigliava il Padrino. Berlusconi e Santoro erano destinati a incontrarsi di nuovo. Sono due uomini di televisione, quindi il loro conflitto era fondato sulle leggi dello spettacolo e non su presunti valori. Sono entrambi narcisi sfrenati, di conseguenza
sfrenatamente vittimisti. In fondo si stimano, hanno lavorato insieme, durante uno dei tanti drammatici, ma in genere vantaggiosi periodi di esilio dalla Rai di «Michele chi?». Potrebbero tornare a farlo, se fosse conveniente, per esempio dopo una vittoria del Pd alle elezioni. Per Santoro l’epopea del Cavaliere è stata una manna di share dal cielo, compreso ieri sera. Berlusconi ha lucrato un’intera avventura politica sui vizi di una sinistra parolaia e gonfia di sé, ma alla fine disponibile al compromesso, che Michele Santoro ha sempre incarnato, fin dalla gioventù
nell’unione dei marxistileninisti, alla militanza nel Pci, alla carriera di tribuno televisivo.
In questi casi la domanda è chi sta fregando l’altro, una volta stabilito che tutti e due sono geniali nel fregare i seguaci. La risposta è nessuno. Berlusconi contro Santoro è un affare per i duellanti. Berlusconi ha bisogno di far notizia da qui alla vigilia del voto, altrimenti è politicamente
morto. La sua formula politica è finita. Accettare la sfida in trasferta è un colpo da maestro. Santoro ha un parallelo bisogno di far notizia e di sopravvivere a una formula televisiva moribonda, il talk show. Per anni ha fatto notizia contro Berlusconi, ora l’unica possibilità era di farla con Berlusconi.
La trasmissione parte come uno splendido campionario di repertorio dei duellanti. Santoro comincia con un pezzo classico, la disperazione di imprenditori
e operai nelle fabbriche dell’operoso Nord. La frase chiave è sempre: «La gente non riesce più ad arrivare alla fine del mese». Oggi è vera, ma siccome nei servizi delle samarcande la sentiamo ripetere uguale da venti anni, l’effetto si disperde. Manca pathos anche intorno al repertorio del Cavaliere. È sempre molto abile nell’arte di giustificare quanto non ha fatto al governo e nel promettere per il futuro quanto non farà. Ma ormai non esiste più il rischio che tanta brava gente possa credere alle sue panzane,
com’è avvenuto per molto tempo. Di conseguenza, a guardarlo arrampicarsi sugli specchi, ci si arrabbia molto meno. Non ti prende più allo stomaco, lo osservi con sguardo sereno e annoiato, come vedere il mago Silvan che estrae il foulard dal cilindro. Toh, l’ha fatto ancora.
Poco incalzato dalle due simpatiche intervistatrici, Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, che tuttavia lo innervosiscono come tutte le donne normali, Berlusconi comunque se
la cava bene. Per la duecentesima volta spiega nel dettaglio quanto sia pernicioso il sistema parlamentare voluto dalla nostra costituzione bolscevica e quanto sarebbe stato meglio per il Paese se gli italiani l’avessero eletto dittatore, invece di consegnargli per quindici anni sterminate ma inutili maggioranze.
Perfino Santoro capisce a questo punto che gli spettatori a casa, eccitati dagli spot stile corrida, si stanno ammazzando di
pizzicotti e cala l’asso. La requisitoria di Marco Travaglio è al solito documentata e intelligente, ma nella circostanza appare rituale. Sarebbe stato più interessante se fosse stato lui a intervistare Berlusconi, vista l’occasione speciale. Archiviata la pratica, si torna al repertorio e l’ospite colma una vistosa lacuna con un’intemerata di maniera sulle tragedie del comunismo. Ci stavamo giusto domandando: e i comunisti?
La recita si trascina senza colpi di scena, a parte la stramba letterina anti-Travaglio di Berlusconi. Viene quasi il sospetto maligno che il canovaccio sia stato concordato. Per fortuna Santoro, nel battibecco finale sulle querele di Travaglio, spazza gli equivoci e chiarisce che era davvero concordato. «Avevamo preso l’accordo di non entrare nel dettaglio dei processi» rivela a sorpresa. Ricorda la celebre uscita di Violante in parlamento: «Eravamo d’accordo che una volta al governo non le avremmo toccato le aziende
». Si chiude secondo copione, con le vignette di Vauro. Tanto rumore per quasi nulla, ma era prevedibile. La campagna elettorale è la più noiosa degli ultimi decenni, con un esito scontato, la vittoria del Pd e alleati. L’obiettivo massimo delle altre quattro coalizioni in campo, da Berlusconi a Monti, da Ingroia a Grillo, è cercare di impedire che il Pd ottenga una maggioranza al Senato, fosse pure per uno o due seggi. Se si realizzerà questo grandioso progetto comune, favorito da una schifosa legge elettorale, ciascun gruppo di opposizione dal giorno dopo le elezioni potrà trasformarsi in un nuovo Ghino di Tacco e contrattare
posti con i vincitori. Non è esattamente come nel ’48 e si comprendono gli sforzi dei salotti della tele politica per drammatizzare l’evento. Finora è andata male, perfino nel big match di ieri sera. Chissà se poi è finita col terzo tempo come nelle partite di rugby, con Berlusconi e Santoro a brindare insieme agli ascolti in trattoria.
«Lo vedi, là c’è Marino…».

La Repubblica 11.01.13

"La ricostruzione terminerà nel 2019", di Natascia Ronchetti

La ricostruzione post-terremoto in Emilia sarà più veloce rispetto all’esperienza di altri territori, in Italia e all’estero, colpiti da un sisma, ma non potrà comunque considerarsi definitivamente conclusa fino al 2019. Questa l’ipotesi formulata da uno studio Ervet Prometeia commissionato da Regione e Unioncamere Emilia-Romagna, in base alla quale ci vorranno circa sette anni per archiviare la drammatica esperienza di un terremoto che ha provocato oltre 11,5 miliardi di danni, dei quali quasi tre alle sole imprese dell’industria, del commercio e dei servizi, altri 2,3 all’agricoltura e al sistema agroindustriale.
La squadra di Errani ha però un obiettivo chiaro: trasformare questi anni di cantiere in un’occasione unica di innovazione del tessuto produttivo e trasformare il cratere in una grande fucina di innovazione. Si muove in questa direzione il bando annunciato ieri dalla Regione da 40 milioni di euro all’interno del quale sono previsti nella “zona rossa” fino a 200mila euro di contributo a fondo perduto per ogni pratica (il 45% dell’investimento complessivo) per innovazione e adeguamento tecnologico, nuove ricollocazioni produttive, efficienza ambientale. E sullo stesso solco va letto l’annuncio di un centro innovazione di riferimento europeo nel biomedicale, che avrà sede a Mirandola, previsto all’interno del bando sulla ricerca industriale e su cui la Regione ha già raccolto l’interessamento dei privati.

Ricostruzione farà dunque rima con innovazione e tempi certi, ma questo implica, sottolinea il commissario straordinario alla ricostruzione, l’impegno di tutti i soggetti istituzionali coinvolti per far funzionare gli ingranaggi. Anche perché da oggi, con la piena disponibilità dei 6 miliardi previsti dalla legge sulla spending review per la ricostruzione, si apre il capitolo della liquidità e di una rimonta del Pil regionale che ha subìto un’emorragia pari al 3,1% a causa delle due scosse di fine maggio. A partire dal 2014 e fino al 2016 le spese per la ricostruzione dovrebbero incidere in modo significativo – dice lo studio Ervet Prometeia – sull’incremento del valore aggiunto, con una quota stimata tra il 50 e il 70 per cento. Del resto anche la perdita di ricchezza, in termini di mancata produzione, non esaurirà i suoi effetti nel breve periodo. Secondo le stime nei 54 comuni emiliani delle aree terremotate, questa perdita ammonta a 3,8 miliardi di euro, con un picco del 4,5% nelle zone a maggiore densità produttiva. La perdita di ricchezza incide sul 2012 solo per un 40%, con strascichi pesanti durante l’anno appena iniziato (con un’altra quota del 40%) ma anche nel biennio successivo, fino al 2015. A pagare il prezzo più alto saranno i 12 comuni del cratere, dove la perdita di reddito raggiunge il 36,1% (il resto è ripartito tra i restanti 42 comuni). In ogni caso, come ribadisce la Regione, una stima definitiva e aggiornata del Pil perso a causa del terremoto potrà essere realizzata solo a partire dalla prossima primavera.
Oggi per tutti gli interventi di ricostruzione e per far ripartire l’economia la regione può contare complessivamente su circa 9 miliardi di euro, tra cui i 6 miliardi di contributi a fondo perduto della Cdp. Proprio ieri la Regione ha annunciato entro martedì prossimo l’ordinanza che metterà in pista altri 80 milioni di fondi Inail (riferiti al 2012), per eliminare le carenze strutturali e ottenere così l’agibilità provvisoria. Una cifra di analogo importo dovrebbe arrivare anche per quest’anno e sarà destinata a coprire le spese di adeguamento antisismico, due misure molto attese dalle imprese. Così come è prevista per le aziende agricole la riapertura a breve del bando da 100 milioni, finanziato dal Psr, per ripagare attrezzature e scorte.

I NUMERI
8,3%
Il peso dei danni diretti sul Pil
È l’incidenza degli 11,53 miliardi di danni stimati lungo la via Emilia
3,8 miliardi
Mancato reddito
Nei 54 comuni terremotati è andato in fumo un valore della produzione pari al 3,1% del Pil regionale, con una punta del 4,5% nell’industria
40 milioni
Il bando per l’innovazione
La Giunta Errani presenterà a giorni misure per finanziare nel cratere innovazione high tech, ricollocazioni produttive, efficienza con contributi pari al 45% dell’investimento totale

Il Sole 24 Ore 10.01.13

Bersani a Monti: «Non aiutare Pdl e Lega», di Maria Zegarelli

C’è una «lepre da smacchiare», visto che la pratica «giaguaro» è ormai stata archiviata. Pier Luigi Bersani attinge alle sue note metafore per dire dagli studi di SkyTg24 che il Pd corre avanti e gli altri sono costretti a stargli dietro, ma quando si tratta di parlare a Mario Monti va dritto al punto: «Deve dirci contro chi combatte. Deve dirci da che parte sta. Va bene tutto quello che sta facendo ma se poi, alla fine, queste mosse servono per togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi e alla Lega, allora qualcuno dovrà risponderne».
Evidente il riferimento alla candidatura a cui sta pensando il Professore di Gabriele Albertini al Senato e alla Regione in quella Lombardia così importante per assicurarsi la maggioranza a Palazzo Madama. Il leader del centrosinistra ribadisce quanto poche ore prima il suo vice al Nazareno, Enrico Letta ha detto sul futuro: dopo le elezioni il Pd guarderà ai centromontisti perché «quello che penso lo dico da tre anni: alleanza dei progressisti e poi dialogo con tutte le forze riformiste, europeiste, antipopuliste». E se il professore ha mandato in soffitta l’aplomb che lo ha distinto durante la fase del governo tecnico, Bersani avvisa: «Quando vai in politica tante ne dici e tante te ne senti dire. Ora Monti è sceso in politica e penso ci sia il diritto da parte nostra di rispondere a delle accuse. Non intendo essere aggressivo, ma non accetto accuse non vere». Alla domanda se è vero che non esiste più destra e sinistra, come sostiene il premier uscente, il segretario Pd replica: «Lo andasse a dire in Europa, verrebbe visto come un marziano. In tutta Europa esiste un centrosinistra e un centrodestra».
Dunque, ferma restando la stima e la correttezza, non sarà certo il Pd a fare sconti al premier dimissionario neanche in vista di quell’accordo post-elettorale che potrebbe rivelarsi fondamentale dopo le elezioni, malgrado il segretario sia ottimista sui risultati elettorali. Il Pd punta a concentrare proprio su Lombardia, Sicilia e Campania, lo sforzo dei militanti e dei candidati per cercare di assicurarsi la maggioranza: in Campania l’insidia arriva dagli arancioni di Ingroia, mentre in Lombardia e in Sicilia dal rinnovato patto Pdl-Lega. Bersani, spiega, confida negli italiani, nel fatto che il Pd fa quello che dice, «dal sostegno leale al governo Monti,alle primarie per la scelta dei parlamentari. In due ore abbiamo fatto le liste, siamo stati i primi a presentarle; avremo il 75% di parlamentari eletti tramite il meccanismo delle primarie con una quota femminile del 40%. Questa è la vera rivoluzione. Il Pd è alternativo a tutto quello che si è visto negli ultimi 20 anni. Sarò l’unico che non metterà il proprio nome sul simbolo». Non teme Silvio Berlusconi, «è un combattente», dice, ma «non scommetterei su di lui». Pronto anche ad un confronto a tre con Monti e il Cavaliere, «una bella rimpatriata».
Idee chiare sulla squadra di governo: «sarà un mix» di facce nuove e esperienza, maturata con l’«apprendistato» nei governi locali, sorvola sul ministro del Lavoro. Fassina o Dell’Aringa? «Magari ho in mente un altro nome». Sul programma di governo dice che non si può raccontare «che gli asini volano», né per il lavoro, né per l’economia. Il 2013 sarà un anno difficile, anche «per la finanza pubblica», ma il Pd ha in mente misure per la crescita, correttivi per la riforma Fornero perché oggi stabilizzare il lavoro ancora non costa meno del lavoro precario, sull’Imu progressione dell’imposta, più bassa per i ceti medio-bassi, più alta per i patrimoni più consistenti; riorganizzazione delle aliquote fiscali, con alleggerimento di quelle più basse e aumento di quelle più alte. Ma prima di tutto, dice, bisogna pensare «al tasso di fedeltà e trasparenza fiscale».
Se si è pentito di aver piazzato Papa Giovanni XXIII° nel Pantheon ideale? Per niente, se si vanno a vedere gli appunti di quando «scrisse pacem in terris, lui osò scrivere che la donna era uguale all’uomo. Gli arrivò una reprimenda in un messaggio da parte del Sant’Uffizio». Il Papa, ricorda Bersani, «a fianco ai suoi appunti scrisse a mano “pazienza”». «Un riformista, che cambiava rasserenando», per questo l’ha messo nel suo Pantheon.
Un cruccio? Riguarda la sua segretaria, Zoia Veronesi, finita sotto inchiesta. «Ho sofferto moltissimo. È per causa mia, mia, perché è la mia segretaria, che è stata sottoposta a tutto questo».

L’Unità 10.01.13

"Boccata d’ossigeno per oltre 1.000 istituti: arrivano 54 milioni di euro", da La Tecnica della Scuola

Serviranno per coprire le spese per supplenze e personale. Scelte le scuole che vantavano maggiori crediti: per quelle più in difficoltà i rimborsi saranno anche di 200mila euro. Ma altri 8.000 istituti rimarranno a bocca asciutta. Boccata d’ossigeno per poco più di mille istituti scolastici. Attraverso un comunicato, il Miur ha fatto sapere che 1.076 scuole, su un totale di oltre 9mila, riceveranno complessivamente, 54,4 milioni di euro. Lo stanziamento, che potrà oscillare da un minino di 800 euro ad un massimo di 200mila euro, andrà a coprire le spese per le supplenze e per il personale (progetti e attività approvate attraverso il Pof e gli organi collegiali).
Ma quali saranno gli istituti prescelti? Nel comunicato c’è scritto, genericamente, che le risorse alle “scuole con le maggiori difficoltà finanziarie. Attraverso un’attenta verifica dei debiti di tutte le scuole italiane, il Miur ha individuato gli istituti che, dopo aver anticipato con risorse proprie i pagamenti delle supplenze e di altre spese per il personale, si trovano a dover gestire le maggiori difficoltà di bilancio. Le scuole in questione sono.
In media saranno assegnati ad ogni scuola beneficiaria oltre 50mila euro. Nello specifico, in base alle particolari necessità di ogni istituto,. Al momento, tre quarti della somma complessiva, circa 40milioni di euro, sono già stati assegnati e sono quindi a disposizione delle scuole individuate. La parte restante sarà trasferita a giorni agli istituti ancora inattesa delle risorse previste.
Il Miur ha quindi sottolineato che “questo provvedimento, che dà respiro ai bilanci degli istituti scolastici più in difficoltà, è parte di un intervento più ampio elaborato dal Ministero nel corso del 2012 per semplificare le procedure amministrative e trasferire con maggiore tempestività le risorse dall’amministrazione centrale alle scuole”.
E quindi d’ora in poi le assegnazioni dei fondi, compresi quelli previsti dalla Legge 440/97 che in passato giungevano alle scuole anche con diversi anni di ritardo, avverrà in modo celere: “potranno essere messi a disposizione delle scuole con un solo Decreto del Ministro, da emanare già nel mese di gennaio, in modo da garantire risorse certe nei tempi necessari per programmare le attività amministrative e didattiche per l’intero anno solare”.

La Tecnica della Scuola 10.01.13

******

“Bilanci scolastici: in arrivo 54,4 milioni”, da Tuttoscuola

Il Miur ha individuato gli istituti che, dopo aver anticipato con risorse proprie i pagamenti delle supplenze e di altre spese per il personale, si trovano a dover gestire le maggiori difficoltà di bilancio. Risorse in arrivo per le scuole con le maggiori difficoltà finanziarie. Attraverso una rigorosa verifica dei debiti di tutte le scuole italiane, il Miur ha individuato gli istituti che, dopo aver anticipato con risorse proprie i pagamenti delle supplenze e di altre spese per il personale, si trovano a dover gestire le maggiori difficoltà di bilancio.

Le scuole in questione sono 1.076, su un totale di oltre 9mila. Ad esse saranno assegnati, complessivamente, 54,4milioni di euro. In media saranno assegnati ad ogni scuola beneficiaria oltre 50mila euro.

In base alle particolari necessità di ogni istituto, lo stanziamento potrà oscillare da un minino di 800 euro ad un massimo di 200milaeuro. Al momento, tre quarti della somma complessiva, circa 40milioni di euro, sono già stati assegnati e sono quindi a disposizione delle scuole individuate. La parte restante sarà trasferita a giorni agli istituti ancora in attesa delle risorse previste.

Questo provvedimento, che dà respiro ai bilanci degli istituti scolastici più in difficoltà, è parte di un intervento più ampio elaborato dal Ministero nel corso del 2012 per semplificare le procedure amministrative e trasferire con maggiore tempestività le risorse dall’amministrazione centrale alle scuole. Così, a partire da quest’anno, tutti ifondi – compresi quelli previsti dalla Legge 440/97 che in passato giungevano alle scuole anche con diversi anni diritardo – potranno essere messi a disposizione delle scuole con un solo decreto del Ministro, da emanare già nel mese di gennaio, in modo da garantire risorse certe nei tempi necessari per programmare le attività amministrative e didattiche per l’intero anno solare.

Tuttoscuola 10.01.13

"Welfare e diritti. L'Italia che vorrei", di Carla Cantone

Dopo il berlusconismo e il montismo arrivano le elezioni per il Parlamento e la parola passa agli elettori, che dovranno scègliere fra le forze politiche che si candidano a governare il nostro Paese. Nei quattro anni passati ci è capitato di tutto ed ora assistiamo a tanta ipocrisia e tanta faccia tosta in chi ha governato in questo periodo il nostro Paese. Il governo Berlusconi ha fortemente sottovalutato la crisi economica, negandone la sua reale esistenza, ed ha nel contempo messo in atto un drammatico smantellamento del welfare, principalmente attraverso la riduzione della spesa sociale, l’introduzione di ticket sulle prestazioni di carattere sanitario e la riduzione dei redditi da pensione. D’altronde per riassumere l’impostazione del governo Berlusconi, basta richiamare alla memoria il Libro Bianco dell’ex Ministro Sacconi, chiaramente volto in modo monodirezionale al concetto di dovere del cittadino nei confronti della società, la quale non deve più essere accudita e seguita da un welfare paternalistico, ma deve invece guardare con serenità alla privatizzazione. Il governo Monti ha invece attuato una politica di rigore a tutti i costi, non preoccupandosi del grave rischio di spaccatura sociale, e ponendo invece come unico obiettivo quello di restituire credibilità al Paese, senza tuttavia applicare scelte volte all’equità ed alla redistribuzione delle ricchezze, ad esempio attraverso politiche volte alla legalità ed allo sviluppo. Un esempio per tutti: la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro non ha prodotto un posto di lavoro in più, impedendo invece ai lavoratori di lasciare il proprio posto dopo oltre 40 anni di lavoro, operando danni attraverso il blocco della rivalutazione delle pensioni sopra tre volte la soglia minima, ignorando il problema dei lavori usuranti, colpendo tragicamente la categoria degli esodati e le donne. È chiaro che sarebbe stato necessario avanzare un’idea di crescita e di politiche produttive capaci di rendere competitivo il nostro Paese, mentre la scelta si è indirizzata nuovamente verso la riduzione dei servizi sociali e sanitari, tagli ai Comuni e alle Regioni. Si è giocato negli ultimi anni con provvedimenti che hanno messo in contrapposizione giovani pensionati/ anziani mentre sarebbero necessarie linee di intervento per l’avvio di un patto tra generazioni perché il rapporto intergenerazionale è insostituibile. Con i giovani bisogna stringere un patto dí alleanza, per restituire loro fiducia nelle capacità del Paese di supportare la realizzazione dei progetti di lavoro e di vita. È per questo che dal futuro governo e dalla politica tutta, pretendiamo e pretenderemo che sia fatto qualcosa a garanzia di un posto di lavoro certo e adeguatamente retribuito. Credo fortemente nel welfare come sostanziale strumento di sviluppo e crescita, così come credo in un forte rilancio dei diritti di cittadinanza per un modello di società basato sull’uguaglianza, affinché i pensionati e con loro i giovani e i lavoratori e le lavoratrici e le famiglie non siano gli unici su cui gravano provvedimenti e sacrifici come avvenuto con il rigore del Prof. Monti. Quello che serve è un progetto politico in grado di affermare la giustizia sociale vera e non finta o paternalistica e ripristinare la democrazia, il confronto e il rispetto del ruolo delle parti sociali, scegliendo come priorità l’attuazione dell’art. 39 della Costituzione. L’astensionismo, causato dal profondo distacco dei cittadini dalla politica, può essere un forte rischio cuivanno incontro queste elezioni, mentre invece è importante non mancare a questo appuntamento. Partecipare alla scelta delle persone che formeranno il nuovo governo vuol dire anche attivarsi per progettare insieme un modello differente di società. E questo credo che sia un motivo più che valido per essere cittadini partecipi della programmazione politica del Paese, che riguarda tutti noi. Penso inoltre che in Italia ci sia una politica pulita, e penso che è a questa che dobbiamo guardare: alle proposte fatte da uomini con la faccia pulita e dal passato onesto, rimanendo però ben consapevoli che la capacità di governare dipende dalla capacità e dai valori delle persone, e non dalla loro età.

L’Unità 10.01.13

"Patrimoniale: quella tassa che divide la politica italiana", di Massimo Riva

«Il miracolo che l’imposta patrimoniale è chiamata a compiere in Italia è davvero grande: niente meno che mutare a fondo la psicologia del contribuente». Queste parole scritte dal campione liberale Luigi Einaudi nel 1946 restano tuttora una prima e indispensabile chiave di lettura per cercare di spiegarsi il furore politico e la strumentalità demagogica che agitano oggi la campagna elettorale attorno al tema di un prelievo sulla ricchezza accumulata. Da economista acuto lo studioso, che sarebbe diventato governatore di Bankitalia e poi capo dello Stato, soggiungeva che con questa riforma fiscale si doveva porre fine della lunga era di incrementi continui delle imposte ordinarie sul reddito.
C’era, insomma, nel disegno einaudiano una duplice razionalità. La più evidente di stampo economico: prelevando più dai patrimoni che dai redditi, lo Stato avrebbe creato le condizioni migliori per un aumento della domanda ovvero di quei consumi che restano la fonte principale di stimolo alla crescita di investimenti
e occupazione.
Non meno importante, però, era anche la matrice etica della sua proposta che sottintendeva la necessità di riaggiustare nel senso di una maggiore equità sociale il carico fiscale sui contribuenti.
Va ricordato che, da autentico politico liberale, Luigi Einaudi era ossessionato dal principio della “eguaglianza dei punti di partenza” ritenendo che compito fondamentale dello Stato dovesse essere quello di offrire piena parità di condizioni nella competizione sociale. Illuminanti al riguardo le sue pagine a favore di un’imposta sulle successioni tale da assicurare il riassorbimento dei privilegi ereditari nel volgere di poche generazioni.
A quasi settant’anni di distanza le condizioni dello Stato fiscale tendono ad avvicinarsi – soprattutto per il peso abnorme del debito pubblico – a quelle dell’immediato dopoguerra in cui maturò la provocazione einaudiana. Ma non può certo dirsi che il dibattito politico sull’imposta patrimoniale abbia fatto grandi progressi. Nel frattempo c’è stato anche qualche esperimento di prelievo sulla ricchezza accumulata e però in forma straordinaria di imposizione limitata e abborracciata sotto la pressione dell’emergenza occasionale. Lo ha fatto il governo di Giuliano Amato quando nel settembre nero del 1992 ha dovuto fare cassa in tutta
fretta mettendo le mani sui conti correnti degli italiani per scongiurare il “default” dello Stato. Ci ha riprovato ora, in condizioni d’urgenza analoghe, il governo di Mario Monti con la nuova Imu, che si prospetta come un embrione di imposta patrimoniale ma limitata alla ricchezza immobiliare e per giunta viziata dalla base d’appoggio su un impianto catastale che per le sue scandalose scorrettezze fa rimpiangere i solerti e occhiuti funzionari di Maria Teresa.
Oggi tanto il programma del centro sinistra quanto la cosiddetta Agenda Monti prevedono, sia pur genericamente, una forma di imposizione sul patrimonio. Ma la campagna elettorale in corso, anche attraverso le esagerazioni strumentali della demagogia, offre elementi importanti per capire le vere difficoltà che si oppongono nel nostro paese a una svolta in senso patrimoniale del regime fiscale. Quando il fronte berlusconiano fa una vera e propria chiamata alle armi dei ceti più abbienti contro ogni prelievo sui risparmi delle famiglie – come con qualche eccesso di disinvoltura viene classificata dalla destra la ricchezza accumulata al riparo dal fisco – non si limita a rendere chiaro quanto si sia ancora lontani dal miracolo di una mutazione della psicologia del contribuente vagheggiato da Einaudi. Questa posizione riflette qualcosa di più profondo e tangibile di un’ostilità soltanto psicologica all’introduzione di un’imposta patrimoniale. Essa è lo specchio di un conflitto d’interessi economici concretissimi che mette le sue radici nella sempre più distorta distribuzione delle ricchezze che si sta consolidando da anni nella società italiana. C’è, insomma, un’altra chiave di lettura dello scontro politico in materia che ingloba, aggiorna e sporca di materialità storica l’astratta purezza ideologica della visione liberale einaudiana. Le statistiche più recenti indicano che in Italia il dieci per cento della popolazione possiede oltre il 45 per cento delle fortune censibili, mentre il 50 per cento degli italiani – ovviamente le famiglie meno abbienti – si deve accontentare di controllare non più del 10 per cento delle ricchezze complessive. Cosicché il rimanente 40 per cento della popolazione – che per comodità può definirsi ceto medio – dispone del restante 45 per cento di valori patrimoniali.
Questa mappa statistica, che la crisi economica sta facendo peggiorare di giorno in giorno in termini di crescente disuguaglianza, induce a reintrodurre nel dibattito politico-economico nozioni e concetti troppo sbrigativamente accantonati.
In particolare, guardando a quella metà di italiani che possiede il dieci per cento delle fortune nazionali, torna di sicura attualità per molti di costoro il termine “proletario” che definisce la misera condizione di chi dispone come ricchezza soltanto dei propri figli. E di pari passo con il ritorno del proletariato e lo scivolamento di parte del ceto medio verso questa posizione marginale si riaffaccia un altro motore della storia invano esorcizzato negli ultimi decenni. Che è, come si direbbe in America, la lotta di classe, bellezza!
Tante sono le forme che può assumere un’imposta patrimoniale. Essa può essere reale, personale, immobiliare e/o mobiliare, permanente o straordinaria. Ma aldilà della sua migliore veste operativa, oggi in Italia deve avere come obiettivo principale una redistribuzione del carico fiscale che ponga rimedio a una distribuzione della ricchezza così socialmente iniqua da risultare nefasta – vedi il crollo dei consumi – per la crescita economica.

La Repubblica 10.01.13

"L'economia lumaca", di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

C’è un’attesa spasmodica per la crescita dell’economia ma ancora non è chiaro in quali modi essere suscitata. La politica non riesce a dare l’impulso capace di determinare l’inversione del ciclo per far ripartire una nuova fase di sviluppo. Occorre mettere in moto un meccanismo virtuoso in grado di autoalimentarsi.
Per questo sono essenziali aspettative ottimistiche che possano rompere il clima di sfiducia che paralizza l’economia. Ma, per affermarsi, tali aspettative hanno bisogno di azioni concrete ed efficaci.
Finora le maggiori banche centrali hanno praticato una politica di espansione monetaria. Ma la maggiore offerta di moneta non è stata accompagnata da un aumento equivalente della velocità di circolazione. Dalla fine del 2008 la velocità di circolazione, cioè la frequenza media con cui un’unità di moneta è spesa in beni e servizi, è letteralmente crollata su valori più bassi di quelli che si ebbero dopo la Grande Crisi del 1929. Di conseguenza, la maggiore quantità di moneta immessa nell’economia non ha prodotto finora un significativo recupero dei consumi delle famiglie e degli investimenti delle imprese. La moneta deve riprendere a circolare e per questo è vitale che vengano rovesciate le aspettative improntate al pessimismo e sia messo in moto un processo virtuoso.
Una spinta verso un nuovo ciclo di crescita può provenire da grandi ondate di innovazioni tecnologiche. Le innovazioni permetterebbero di aumentare il potere di acquisto delle famiglie e potrebbero creare nuove opportunità di investimento. Ma grandi innovazioni tecnologiche non sono per ora visibili.
Secondo la maggior parte degli economisti liberisti, un’altra strada per riattivare l’economia passa per una maggiore competitività da ottenersi attraverso l’abbassamento del costo del lavoro. Si tratta di un’opzione che non è né praticabile né consigliabile, poiché deprimerebbe ulteriormente i consumi.
Crediamo, invece, che aspettative più ottimistiche possano consolidarsi attraverso una netta ripresa della domanda pubblica. Si tratta della vecchia, ma sempre attuale, ricetta keynesiana: un’espansione dell’occupazione nel settore pubblico che sia accompagnata da un deciso rilancio delle commesse statali per trainare l’occupazione, la produzione e gli investimenti delle imprese private. In questo ambito si pongono due questioni: che tipo di intervento pubblico e come finanziarlo.
Quanto al primo punto, sembra opportuno puntare sulla riconversione ecologica dell’economia per ridurre la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili; e l’inquinamento. In particolare, si potrebbe promuovere: a) corsi di educazione ambientale per i giovani; b) impianti per la selezione, il trattamento e il riciclo dei rifiuti e per la depurazione delle acque; c) la sostituzione dei mezzi di trasporto pubblici a gasolio e a benzina con quelli ibridi ed elettrici; d) la sostituzione delle materie plastiche e i prodotti chimici con prodotti biologici e biodegradabili; e) impianti che permettano di ottenere energia pulita; f) l’agricoltura biologica, la difesa del suolo e un vasto programma di riforestazione, di bonifiche di aree industriali e di recupero di zone urbane degradate.
Per il finanziamento sarebbe finalmente il momento di lanciare i famosi “Eurobond”, unico modo per superare i limiti dei singoli bilanci nazionali in un’Europa integrata e solidale.

La Repubblica 10.01.13