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“Berlusconi si illude, gli italiani non dimenticano”, di Vanino Chiti

A pochi mesi dalla fine della legislatura, in un momento difficile della vita del paese, con il tasso di disoccupazione che ha raggiunto l’11,1 per cento, il che vuol dire quasi 3 milioni di italiani senza lavoro, la decisione di Berlusconi di rompere con il governo è di una gravità enorme.
Il Pdl ha dimostrato di essere una forza politica irresponsabile: prima negando l’esistenza della crisi economica; poi portandoci sull’orlo del baratro con le politiche di Berlusconi-Tremonti-Bossi; infine togliendo di fatto la fiducia all’esecutivo Monti. È la prova che la destra italiana non riesce ad assumere i connotati di una forza politica moderna ed europea e a liberarsi dai diktat del suo padre-padrone.
Anche se una pattuglia – tuttora purtroppo ristretta ma costituita da personalità significative – ha saputo ribellarsi e votare diversamente dalle indicazioni del “capo”. La legislatura, che in ogni caso aveva pochi mesi di vita, viene fatta precipitare in una crisi che impedirà l’approvazione di provvedimenti importanti per il paese.
A parte la legge di stabilità, che sarà comunque varata, viene gettata alle ortiche la possibilità di una nuova legge elettorale, a causa dei conflitti e delle divisioni interne al Pdl: infatti l’intenzione della destra non era quella di cambiare il cosiddetto Porcellum ma di dar vita a una legge peggiore di quella greca, così da provocare l’ingovernabilità dell’Italia, nella speranza di una rendita di posizione politica per le coorti berlusconiane.
Ancora, Pdl e Lega si sono assunti la responsabilità nei mesi scorsi di far naufragare un aggiornamento della Costituzione che riduceva del 20 per cento il numero di deputati e senatori e rafforzava il ruolo di un governo parlamentare. Di fronte all’indisponibilità del Pdl – il primo partito nell’attuale parlamento – è evidente che, approvate le misure fondamentali per la messa in sicurezza finanziaria del paese, la parola debba tornare ai cittadini. Saranno loro a valutare le responsabilità politiche.
Ha ragione il presidente della repubblica Giorgio Napolitano a chiedere che la conclusione della legislatura avvenga non in modo confuso e senza ferite ulteriori alle nostre istituzioni. Il riproporsi di Berlusconi a candidato premier dimostra il vuoto di prospettive e l’isolamento del Pdl: gli italiani non hanno la memoria così corta da dimenticare la crisi, l’emarginazione e la perdita di credibilità del nostro paese a livello internazionale né penso intendano vanificare sull’altare della destra e di Berlusconi i pesanti sacrifici già sopportati.
Noi, per responsabilità nei confronti dell’Italia, avevamo preso e abbiamo mantenuto un impegno di lealtà con il governo Monti: sia chiaro che non abbiamo timore delle elezioni. Siamo l’unica forza politica che può, con serietà, mettersi alla testa del cambiamento e della ricostruzione del paese.
da www.europaquotidiano.it

“Politica, ritorno al passato”, di Michele Brambilla

In una settimana il centro del dibattito politico si è spostato da Matteo Renzi, 37 anni, a Silvio Berlusconi, 76. Il sindaco di Firenze aveva perso le primarie, ma per mesi aveva tenuto l’attenzione di tutti fissa sul cambiamento, sul rinnovamento. Sul futuro. E anche dopo aver dovuto lasciare a Bersani la candidatura a Palazzo Chigi, Renzi continuava a esserci, pur nel suo silenzio, come una presenza che ti impone di volta re pagina, anche per non far regali al fronte dell’antipoliti ca. Non era solo il quaranta per cento degli elettori del centrosinistra alle primarie – quelli che lo hanno votato – a farci sperare in una novità: lo stesso Bersani, dichiarando di avere il senso della «cosa comune», aveva garantito che avrebbe portato il partito dentro il secondo decennio del Duemila.
Pochi giorni, e siamo invece risprofondati nel Novecento. Di Renzi non si parla più. L’agenda politica, ma anche ahimè quella dei mercati e della finanza internazionale, sono dettate da un uomo che si era presentato come il «nuovo» diciotto anni fa, quando peraltro aveva già cinquantotto anni, ventuno più del Renzi di oggi.
Nessuno è così ingenuo da pensare che basti la carta d’identità per garantire un miglioramento della classe dirigente. Anzi, la Bibbia dice che il giovane è stolto e necessita della correzione del bastone. Che l’esperienza porti saggezza, lo abbiamo sperimentato in questi ultimi anni grazie al presidente Napolitano, che in politica ha dato il meglio di sé proprio da ottuagenario. Non avessimo avuto al Quirinale un simile inquilino, chissà dove saremmo finiti.
Ma il «vecchio» che sta ritornando da un paio di giorni a questa parte è ben di più di una questione anagrafica. È quel brutto film di cui ci illudevamo di aver visto da un pezzo i titoli di coda. I partiti come questioni personali, la rissa come propaganda politica, gli insulti. Anche chi non ha partecipato alle primarie del centrosinistra non può non ammettere che ben diverso era stato il clima dello «scontro» tra Renzi e Bersani. Avevamo sperato di aver imparato qualcosa dagli Stati Uniti, io mi confronto con te sui programmi e se perdo comunque ti do una mano perché siamo tutti sulla barca.
Come non detto. Torna il clima da guerra civile e quel che è peggio torneremo a discutere di conflitto d’interesse, del ruolo della magistratura (ogni inchiesta o sentenza sarà chiamata, d’ora in poi, «a orologeria»), di pericolo comunista, e così via. Tutte cose di cui l’Italia non ha bisogno. Un anno fa, quando era nato il governo Monti, ci eravamo illusi che questo scenario fosse ormai da consegnare ai libri di storia. Pdl e Pd avevano sospeso le ostilità e tutti eravamo contenti di addormentarci davanti alla televisione quando andava in onda Porta a porta o Ballarò. Sembrava che ciascuno avesse messo da parte i propri interessi e i propri istinti, pur di collaborare con gli ex nemici per il bene del Paese. Pensavamo che il governo Monti, che si reggeva su una tregua fra destra e sinistra, fosse solo il primo momento di una nuova fase che sarebbe continuata dopo la fine della legislatura, con un nuovo esecutivo eletto dal popolo, ma con lo stesso senso di responsabilità.
Il perché dello sconsolante ritorno al passato cui stiamo assistendo è forse da ricercare più nei meandri della mente umana che in quelli della politica. L’angoscia per il tempo che se ne va, la paura di veder spegnere accanto a sé le luci della ribalta, la convinzione di essere ancora il migliore anzi l’unico, la sete di rivincita… Chissà. Cose che appartengono al mistero della psiche. Ma forse ancora più misteriosa è la poco virile accondiscendenza di chi permette la messa in azione, all’indietro, di questa pericolosa macchina del tempo. Di chi non capisce che, assecondando e sottomettendosi ancora una volta, non rende un buon servigio né a se stessi, né al Paese, né alla propria parte politica, e ultimamente neppure al proprio capo.
da La Stampa

“Il Cavaliere chiama la sua guardia armata”, di Carlo Galli

Un’avventura che si ripropone, una vicenda personale che ancora una volta pretende di diventare un brano di storia patria. La ridiscesa in campo di Berlusconi ha un evidente sentore di déjà vu, la fisionomia di una coazione a ripetere. È uno stanco attore sul viale del tramonto.
E recita ancora il suo cavallo di battaglia, che un tempo era l’insegna della sua ascesa e oggi lo è del suo declino: la chiamata a raccolta degli italiani in una situazione di rischio, l’appello populista alla pancia del Paese per scatenare la mobilitazione regressiva, il rinculare di massa davanti a un ostacolo, a un passaggio difficile.
Lo fece nel 1994, quando gli elettori in libertà del pentapartito trovarono nella neonata Forza Italia una nuova casa accogliente, nella quale darsi con ancora maggiore convinzione agli stessi antichi vizi che avevano coltivato negli anni terminali delle Prima repubblica; e lo fa oggi, dopo che l’ultima delle sue creature politiche, il Pdl, era sul punto di collassare davanti alla prova-Monti. La prova della comune responsabi-lità, della politica orientata, per una volta, a qualcosa che assomiglia a un progetto collettivo (per quanto correggibile e modificabile) e non a un interesse individuale del leader.
Davanti a una prova politica il partito della destra italiana vacilla, barcolla, va in fibrillazione; perde pezzi del ceto dirigente e dell’elettorato, dimostra di non essere un partito ma un insieme di problemi, di velleità, di ambizioni, di paure. Uno strumento inservibile, tanto per i moderati quanto per il fondatore-padrone. Che se lo riprende, constatandone la debolezza e la divisione interna, per rifarlo nuovo – dopo avere perfino pensato di farne nascere un altro –; cioè per rifarlo vecchio, del tutto personale, del tutto privo di dialettica politica interna, del tutto fungibile e disponibile per i propri interessi.
Che sono, nell’ordine: bloccare il decreto legislativo sulla non eleggibilità dei condannati; entrare in campagna elettorale (la cosa che sa fare meglio) e legittimamente (così crede) sottrarsi alle fasi finali del processo Ruby; bloccare la riforma della legge elettorale per avere in mano il partito (nominando i parlamentari) e trasformarlo in una sorta di granitica guardia del corpo personale; puntare al colpaccio del pareggio (o quasi) al Senato (come nel 2006) o in ogni caso garantirsi una sorta di atterraggio morbido come esito non traumatico del proprio declino. Il tutto attraverso un pauroso indebolimento del governo, che non nasce tuttavia dall’apertura di un diverso orizzonte politico ma risponde semmai all’esigenza di lucrare consensi, di giocare con l’esasperazione dei cittadini, di sfruttare la rabbia (giustificata) degli italiani per la crisi, per la recessione, per la disoccupazione, per l’Imu, per le tasse, per l’assenza di prospettive di ripresa. E scommettendo sul fatto di riuscire a trasformare questo diffuso malessere in ribellione, guidata proprio da colui che dell’impreparazione dell’Italia, dei dieci anni perduti, è largamente corresponsabile. Scommettendo insomma sul fatto che gli italiani nella ricerca del “colpevole” si fermino al medico (non infallibile, certo) e non risalgano alla ma-lattia, che nel mirino del loro rancore inquadrino Monti e non Berlusconi.
Tutto è possibile, naturalmente, anche se improbabile; è possibile che gli italiani si lascino sedurre da una campagna anti-euro, da una ritrovata vena “sociale” del miliardario, dalla prospettiva del ritorno alla lira e alle svalutazioni competitive. E per evitare questo esito grottesco prima ancora che infausto, questa nuova disastrosa fuga di massa nei dorati giardini dell’illusione, sarà bene che le forze politiche di centrosinistra e di centro moderato sappiano prendere sul serio la nuova (vecchia) discesa in campo: che non lascino a Berlusconi il monopolio della gestione del disagio sociale, e lo assumano anzi come questione-chiave dell’agenda politica, ma sappiano declinarlo senza rabbia e senza irrazionalità; e che capiscano che il tema conduttore della campagna elettorale da oggi non è più la contrapposizione fra montismo e antimontismo di sinistra (vero o presunto), ma fra forze responsabili e forze irresponsabili, fra un fronte – variegato e articolato fin che si vuole – che va dall’Udc a Vendola, da una parte, e, dall’altra, l’accoppiata dei competitor che si muovono sul medesimo terreno e sulla medesima lunghezza d’onda, dei due attori che si contendono lo stesso pubblico: Berlusconi e Beppe Grillo.
Di emergenza in emergenza, dunque; da quella, economica, che ha investito il governo Monti a questa, politica ed etica, di una perenne mistificazione (suadente o urlante, secondo i casi e secondo i diversi accompagnatori del solista principe) e di un eterno cinismo che offre un’altra mela avvelenata a un Paese che si presume popolato da eterni immaturi. Insomma, di un passato
che non vuole passare.
da www.repubblica.it

Camera dei Deputati dichiarazioni di voto di Pier Luigi Bersani sul decreto-legge finanza e funzionamento degli enti territoriali

Signor Presidente, non vorrei rubare il mestiere ai commentatori politici, ma mi sembra che la situazione che si è venuta a creare sia piuttosto chiara. In primo luogo, l’onorevole Berlusconi ha deciso di scendere in campo. In secondo lungo, scende in campo con il suo piatto forte da spartirsi con la Lega, come abbiamo sentito, cioè: no Stato, no Europa, no regole, no tasse, no comunisti e così via. La discesa in campo e l’avvio, perché di questo si tratta, della sua campagna elettorale vengono suonate in la maggiore, cioè dichiarando subito che Monti è un usurpatore e un affamatore del popolo. Ora, una persona in buona sede potrebbe chiedere: ma tutto questo dalla sera alla mattina? Tutto questo su un provvedimento che incide fortemente sui costi della politica? Tutto questo esponendosi alla critica di volersi opporre a norme sull’incandidabilità? Queste domande sarebbero giuste, ma fatte da uno che avesse vissuto su Marte negli ultimi dieci anni, perché in realtà noi conosciamo bene l’incoerenza e la spregiudicatezza di chi ha compiuto questi gesti in queste ore e sappiamo quindi che non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Invece, si potrà dire seriamente dell’amarezza di vedere l’eterno ritorno di quelle strade che ci hanno portato al disastro, in un Paese che avrebbe un drammatico bisogno di una nuova assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Ma, alla fine, mi chiedo e chiedo ai colleghi del PdL, glielo chiedo sinceramente: come poteva aspettarsi qualcosa d’altro? Poco più di un anno fa è caduto il Governo Berlusconi e in un intero anno noi non abbiamo mai, dico mai, avuto notizia di una discussione in casa vostra sul seguente ordine del giorno: ma negli ultimi dieci anni abbiamo forse sbagliato qualcosa(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Noi non abbiamo mai saputo che questa ipotesi vi abbia sfiorato per un attimo, né a proposito dell’azione di Governo né a proposito della natura personalistica, si potrebbe dire padronale, del vostro meccanismo politico. È evidente che, se non vi è niente da riflettere su questo, niente da cambiare, è ovvio che il Governo Monti, dal vostro punto di vista, non sia una transizione verso un’altra cosa, come è per noi.
No, è una parentesi: la apri, la chiudi e torna tutto come prima. Il problema, cari colleghi del PdL, è che in Italia ci siamo anche noi (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà) e le domande che voi non vi fate, le domande che voi non vi fate, ve le facciamo noi, una a una (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), a proposito anche dell’intervento di ieri dell’onorevole Cicchitto.
Cominciate a rispondere a questa domanda: pensate o no di avere qualche responsabilità se l’Italia è là dove non doveva essere, sul punto più esposto della crisi? Non vi era ragione che fossimo lì, non vi era ragione che fossimo in squilibrio di finanza pubblica: più spesa corrente, più tassazione, più debito, ancora prima della crisi. Colleghi leghisti, venite a dire di recessione? Ma lo sapete che è dal 2007 che noi perdiamo 20 punti di produzione industriale? Lo sapete che sono cinque anni buoni che il reddito delle famiglie va giù, e quindi i risparmi, e quindi i consumi?
Attenzione bene: ci si raccontava, in quegli anni, che la crisi era psicologica, che stavamo meglio degli altri. Voi ci avete raccontato questo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Siete stati degli irresponsabili, degli irresponsabili(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), voi e tutti quelli, in giro per l’Italia, che hanno fatto finta di credervi, sperando che si bagnasse solo la terza classe, per egoismo sociale.
E non vi era neanche ragione che vi fosse un solco così profondo fra istituzioni politiche e i cittadini, che fosse così ampio il discredito. Pensate di non avere avuto niente a che fare con questo? Pensate di avere sempre svolto il vostro compito con disciplina e onore, come dice la Costituzione? Pensate questo o avete qualcosa da chiedervi (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)?
E chi ha firmato in Europa – lo ha detto il collega Della Vedova – non potendo portare riforme e credibilità, un patto del pareggio strutturale di bilancio per l’anno prossimo? Solo noi ce lo abbiamo, il Paese più in recessione dopo la Grecia! Chi ha firmato? Ha firmato Monti? No, hanno firmato Berlusconi e Tremonti! Loro hanno firmato (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo)!
Quindi, da lì derivano le manovre, i tagli, le tasse. L’IMU non è la tassa di Monti, è la tassa di Berlusconi e Tremonti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo, Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Misto-Alleanza per l’Italia – Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!
Non tutto quello che ha fatto e fa il Governo Monti a noi piace, lo sapete benissimo, lo abbiamo detto, però noi abbiamo una parola sola: abbiamo detto qui un anno fa che noi saremmo stati leali, e saremo leali, cercando di correggere e dicendo le cose che non ci piacciono. Saremo leali, siamo pronti ad essere leali fino alla fine della legislatura (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), leali nel sostegno al Governo e leali alle indicazioni del Capo dello Stato, che, ancora una volta, saprà guidarci in questo frangente difficile.
Leali sì, leali sì (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)…
State buoni. Leali sì, ma ingenui no (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Ingenui no, perché non potete mica pensare che noi, oltre il peso della transizione, ci mettiamo sulle spalle anche il peso della vostra propaganda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Questo non esisterà. Questo non esisterà!
Quindi attenzione agli argomenti. Voi avete il coraggio di motivare la vostra improvvisa decisione con la situazione del Paese. La venite a dire a noi la situazione del Paese? Che non c’è lavoro, che saltano le imprese, che non girano i soldi? Lo venite a dire a noi? Lo sappiamo bene! Ma non penserete mica che si possa credere in giro per l’Italia che la medicina possa venire da Berlusconi, Tremonti, Calderoli e così via, quelli che ci hanno portato fin qua (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
O pensate anche di logorare la situazione, caricando su noi tutto quello che capita? Venite via da questi tatticismi, se mai li avete in mente. Oggi è successo qualcosa di più profondo: non è una buona giornata per l’Italia, perché qui muore la speranza che il centrodestra italiano possa dare un suo contributo di cambiamento, di innovazione, di cui il Paese ha bisogno da tutti i lati(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
È questa la notizia importante di oggi: è una speranza che muore, è una possibilità che muore. E davanti a questa speranza che muore, noi ci prendiamo l’impegno, noi come partito, per quel che riguarda noi ed il nostro fronte, a continuare a costruire sul nostro versante una politica nuova, una politica che rivendichi il suo ruolo ma conosca il suo limite, una politica non personalistica e non demagogica, una politica aperta e trasparente, che attiva la partecipazione, che accetta la contendibilità dei ruoli che ci sono in politica e che fa da supporto ad espressioni del libero civismo, una politica al servizio dell’espressione di un civismo, di una riscossa civica di questo Paese.
Noi siamo fuori da ogni logica di formazioni politiche personali, che hanno portato guai per l’Italia. Noi ribadiamoPag. 57che invece il nostro messaggio sarà quello di uno sforzo collettivo, dove chi ha di più dovrà dare di più, non siamo quelli dell’uomo solo al comando, non ci crediamo.
Voi oggi, per così dire, scuotete l’albero di questa transizione.
PIER LUIGI BERSANI. Sto per concludere Signor Presidente. Ne impedite uno svolgimento ordinato, prendete a pretesto problemi del Paese che voi stessi avete ingigantito, vi predisponete ad una campagna, di cui si vedono già le note, quelle del populismo. Gli italiani decideranno. Se voi proporrete favole, noi non le proporremo. Non proporremo favole (Commenti dei deputati dei gruppo Popolo della Libertà)! Se voi proporrete l’uomo del miracolo, noi parleremo di uno sforzo comune, dove chi ha di più deve dare di più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Nel solco classico di quelli che hanno già visto – ve lo dico da subito – lasceremo a voi tutti gli effetti speciali e le campagne di comunicazione, i cieli azzurri ed i soli in tasca: tutto a voi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Noi andremo sobri, dicendo due parole: moralità e lavoro. Non ce le ha spiegate nessun comunicatore, le abbiamo sentite in un viaggio che abbiamo fatto con milioni di persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Quindi, se per voi è ancora il tempo dell’uomo solo al comando, per noi è il tempo nuovo della verità, della partecipazione, della riscossa civica, del cambiamento.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bersani.
PIER LUIGI BERSANI. E abbiamo l’ambizione – ve la dico – di metterci alla testa di questo cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Italia dei Valori – Prolungati applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Congratulazioni).
www.camera.it

Scuola: Ghizzoni, a Scampia non chiudano presidi democratici

“Non possiamo permettere che, a causa dell’incuria politica nei confronti della scuola, chiudano tre edifici scolastici nel quartiere di Scampia. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera dei Deputati, dopo la denuncia del presidente della municipalità. – La scuola non è solo luogo di istruzione e formazione, ma un vero e proprio presidio democratico e di socialità. In un territorio vessato dalla criminalità organizzata, quale è Scampia, la scuola diviene lo strumento necessario per garantire la presenza dello Stato e fornire alternative al modello culturale e sociale quotidianamente imposto. Per troppo tempo il Parlamento e i Governi si sono disinteressati dell’edilizia scolastica, sia sul piano normativo sia su quello finanziario. Dall’approvazione della “legge Masini” del ’96, che consentì di predisporre e di attuare piani di intervento nell’edilizia scolastica grazie che affidavano alle regioni l’attività programmatoria, si sono susseguiti, invece, piani straordinari con un approccio verticistico che ha esautorato gli Enti Locali dalla programmazione e non ha dato certezze nei tempi e nei modi dell’erogazione dei finanziamenti. Per fare luce sullo stato del sistema nazionale degli edifici scolastici e per avviare un monitoraggio dei risultati ottenuti – spiega la presidente Ghizzoni – ho presentato una proposta di legge per l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta parlamentare, perché solo attraverso la conoscenza della programmazione dei finanziamenti e della capacità di spesa si può ripartire per avviare un percorso di lungo termine sull’edilizia scolastica. Garantire la presenza di strutture statali sicure – conclude Ghizzoni – è il primo passo verso la valorizzazione della scuola e per la tutela del diritto allo studio.”

Censis: “Italia più povera e arrabbiata”. Redditi ai livelli del ’97, crollo per il ceto medio”, di Rosaria Amato

Una crisi peggiore delle altre, “perfida”, la definisce il Censis nel Rapporto 2012, presentato stamane al Cnel, che ci ha resi inermi di fronte a “eventi estremi”, quasi incomprensibili: non solo siamo stati costretti a imparare rapidamente il significato di parole come spread e default, ma le abbiamo viste travolgere la nostra vita, le nostre certezze. E allora gli italiani si sono trincerati nella “restanza”, cercando di “sfruttare al massimo tutte le più nascoste ma solide componenti del modello pluridecennale che ha fatto l’Italia di ieri e anche di oggi”. Risparmio, rinuncia e rinvio sono diventate per necessità le direttrici dei comportamenti familiari, le tre “r”, le chiama il Censis.
Ma non c’è solo paura, trincea, lo sguardo rivolto al passato non è solo nostalgico. Intanto, gli italiani non sono rassegnati. Se si chiede loro qual è la reazione alla crisi della politica, indicata come la causa prima del disastro attuale, la risposta prevalente è “rabbia” (52,3%). La rabbia è anche superiore alla voglia di reagire (20,1%), che però non manca. Gli italiani stanno cercando faticosamente di “riposizionarsi”. I giovani si orientano verso “percorsi di formazione tecnico-professionale dalle prospettive di inserimento occupazionale più certe”.
Emergono a tutti i livelli modelli di cooperazione: si va dai sempre più consistenti aiuti della rete familiare al boom del modello delle
imprese cooperative, cresciute in dieci anni del 14%, al noleggio e al car sharing come superamento dell’auto di proprietà. Si condivide, e si innova anche: la scuola si “internazionalizza”, favorendo gli scambi e i soggiorni all’estero di studenti e insegnanti. L’agricoltura diventa più organizzata e competitiva, il commercio inventa nuove reti e nuove forme di distribuzione. Cresce il numero delle imprese attente ai controlli e alle certificazioni di qualità, cambia il modo di informarsi degli italiani, sempre più legato ai social network e meno ai fenomeni tradizionali. Non è tutto sfacelo: il Censis vede consistenti “segnali di reazione degli italiani”, e coglie numerosi “processi di riposizionamento nel sociale e nell’economia”.
Famiglie allo stremo
I consumi delle famiglie, incapaci ormai di elaborare strategie innovative di sopravvivenza e prostrate da una crisi spietata, sono ritornati ai livelli del 1997: 15.700 euro annui pro capite, complice anche una flessione tendenziale del 2,8% nel primo trimestre di quest’anno, e del 4% nel secondo. La propensione al risparmio si è ridotta al lumicino, passando dal 12% del 2008 all’attuale 8%. L’83% delle famiglie ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte speciali e cibi meno costosi, il 65,8% ha ridotto gli spostamenti per risparmiare sulla benzina, il 42% ha rinunciato ai viaggi e il 39,7% all’acquisto di abbigliamento e calzature. Le parole d’ordine sono “risparmio, rinuncio, rinvio”. Con qualche operazione “straordinaria” di sopravvivenza: 2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro o altri oggetti preziosi, 2,7 milioni di italiani coltivano ortaggi e verdura per l’autoconsumo, 11 milioni di italiani preparano tutto in casa, dal pane ai gelati.
(Più) ricchi e (più) poveri
Negli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria netta è passata da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, con una riduzione del 40,5%. Ma questa è la media. Nel dettaglio, le cose sono andate in maniera diversa: la quota di famiglie con una ricchezza finanziaria netta superiore a 500.000 euro è raddoppiata, passando dal 6% al 12,5%, mentre la quota di ricchezza del ceto medio (compresa tra i 50.000 e i 500.000 euro, e comprensiva anche dei beni immobili) è scesa dal 66,4% al 48,3%. C’è stato inoltre uno slittamento della ricchezza verso le componenti più anziane della popolazione: se nel 1991 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie, nel 2010 tale quota è scesa al 5,2%.
Mai così tanti senza lavoro
Anziché usare banalmente il termine “disoccupati”, il Censis parla di 2.753.000 job seekers. Ma non si tratta di un “inglesismo” superfluo: è che questi quasi tre milioni di persone, in eccezionale aumento (+34,2% tra il primo semestre del 2011 e il primo del 2012) sono effettivamente “persone in cerca di lavoro”. Attive, dunque, anche se in difficoltà. Un quarto ha tra i 35 e i 44 anni, un altro quarto si colloca nelle fasce più anziane, gli altri sono under 35, i più penalizzati. Il 20,4% ha perso l’occupazione nel corso del 2011.
Il sostegno della famiglia
Nel corso del 2012 “il 29,6% delle famiglie ha realizzato un trasferimento economico a favore di un proprio componente, con un esborso annuo complessivo intorno ai 20 miliardi di euro”. La famiglia, in una situazione così drammatica, senza più punti di riferimento, fa da baluardo economico e da welfare. Per il resto, ci si arrangia come si può: la casa diventa un bed & breakfast (scelta compiuta dal 2,5% delle famiglie nelle grandi città), si affittano alloggi prima tenuti vuoti (3,9%, la quota delle famiglie in affitto nei centri urbani sfiora il 30%) o in ultima analisi si vende la propria casa, senza ricomprarne una nuova e rassegnandosi all’affitto (2,6%).
Il boom della cooperazione
Mentre i modelli produttivi tradizionali scricchiolano (nel manifatturiero si registra il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi) si affermano nuovi settori, come quelli legati alle applicazioni Internet, o si rivalutano nicchie di mercato guardate a lungo con sufficienza, come la cooperazione. Le imprese cooperative sono cresciute del 14% tra il 2001 e il 2011, l’occupazione ha visto l’8% in più di addetti tra il 2007 e il 2011 (+2,8% nei primi nove mesi del 2012), a fronte del -1,2% degli occupati in Italia.
Piccoli Bill Gates crescono
Ci sono poi germogli di novità: nelle circa 800 start-up del 2011 nel settore delle applicazioni Internet l’età media degli imprenditori è di 32 anni. Molti inoltre gli investimenti nelle green technologies. Nell’industria digitale è ormai avvenuto il passaggio “all’era biomediatica”, caratterizzata dalla miniaturizzazione dell’hardware e dalla proliferazione delle commessioni mobili.
La scuola: “internazionalizzazione” e percorsi tecnici
In un sistema che si sgretola non ci sono più certezze, e i giovani a fronte al deserto di opportunità cercano nuove strade. Aiutati anche dalla scuola, che, per quanto abbandonata e “tagliata” da ogni nuovo governo che s’insedia, non rinuncia ad affiancare gli studenti nella ricerca di un percorso formativo adeguato a un mondo sempre più complesso. Il 68,1% dei dirigenti scolastici dichiara che la propria scuola negli ultimi cinque anni ha partecipato a percorsi di “internalizzazione”, il che significa non solo che gli studenti sono andati all’estero per scambi culturali (il 76,6% dei progetti va in questa direzione) ma che ci sono andati anche i professori (nel 38% delle scuole). E’ dunque una scuola sempre meno chiusa quella attuale. I giovani che hanno deciso di completare all’estero la loro formazione superiore sono aumentati del 42,6%. Un altro cambiamento degli ultimi anni è la disaffezione verso l’università (le immatricolazioni sono diminuite del 6,3%) e soprattutto verso le facoltà “generaliste”, e l’orientamento verso percorsi di studi di tipo tecnico-scientifico, che registrano un progresso del 2,7% tra il 2007 e il 2010.
larepubblica.it

“Caro Scola, laicità dello Stato non è nichilismo”, di Gian Enrico Rusconi

Il discorso alla città di Milano pronunciato ieri sera dal cardinal Scola in occasione di Sant’Ambrogio contiene alcuni passaggi cruciali sul tema dello Stato laico che sono sorprendenti per l’atteggiamento che li sottende, per il tono, prima ancora che per alcuni loro contenuti. C’è diffidenza, sfiducia, allarme di fronte a una presunta involuzione della laicità nello Stato, che si configurerebbe addirittura come minaccia alla libertà della coscienza religiosa.
L’assunto da cui parte il discorso del cardinale è la centralità della «società civile», «la cui precedenza lo Stato deve sempre rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla».
Questa affermazione sarebbe anche condivisibile (nessuno infatti vuole uno Stato etico) se non contenesse un fraintendimento. Non è chiaro, infatti, che cosa significa che lo Stato deve «limitarsi a governare la società civile» senza «pretendere di gestirla». Definire le leggi, le norme di comportamento vincolanti per tutti i cittadini – tramite un dibattito pubblico e costituzionale che tiene presente l’intera «società civile» in tutta la sua complessità – è una «gestione» intrusiva della società?
Proprio su questo punto invece il card. Scola usa parole pesanti: «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».
Innanzitutto non si capisce come una legislazione neutrale rispetto ai valori religiosi impedisca, a coloro che lo desiderano, di condurre la propria vita e operare le proprie scelte sulla base di quei valori. Salvo garantire che si tratti di scelte effettivamente libere e non di imposizioni familiari o comunitarie.
Inoltre a quale Stato in concreto si riferisce il cardinale? Certo non al nostro Paese con la sua legislazione sull’insegnamento della religione nelle scuole, con la normativa sui simboli religiosi negli spazi pubblici, sul sostegno indiretto alle scuole confessionali, sulla forte (e formalmente legittima) influenza della Chiesa sulla problematica bioetica – per non parlare della deferenza pubblica e dei partiti politici verso la Chiesa.
Non mi è chiaro quali altri spazi possa aprire uno Stato laico «in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Non a caso sono i laici spesso a non vedere riconosciuti i propri come «valori» (ma sempre come apertura al peggio) e la legittimità delle proprie opzioni.
E’ deplorevole che la laicità dello Stato sia identificata tout court con una idea di secolarizzazione che sconfina di fatto con il nichilismo. Se c’è uno spazio che dovrebbe essere aperto è il confronto pubblico competente e leale sui valori positivi della laicità, che sono l’unica garanzia della libertà di coscienza.
La Stampa 07.12.12