Latest Posts

“Donne e lavoro l’Italia è in serie B”, di Flavia Amabile

Al lavoro quanto ai pari diritti uomo-donna, superano l’Italia anche Kenya e Brasile L’Islanda ottiene la prima posizione. «Essere donna in Italia è motivo di differenziazione, è un ostacolo oggettivo», dirà stasera il ministro Elsa Fornero agli italiani durante la trasmissione «Porta a Porta» registrata ieri. E la conferma è in tutte le cifre pubblicate. Le ultime arrivano dai dati Inps presenti in un’analisi del coordinatore generale statistico attuariale dell’istituto, Antonietta Mundo. Nel 2011 la retribuzione media annua lorda dei dipendenti privati (esclusa l’agricoltura) è stata di 21.678 euro per le donne contro i 30.246 euro degli uomini. Quasi un terzo in meno, lo svantaggio è del 28,3%, come è stato sottolineato durante il convegno sulle «Donne al lavoro» promosso dal Centro studi Progetto Donna, in collaborazione con Abbott e il patrocinio del ministro del Lavoro e delle politiche sociali con delega alle Pari opportunità.
Non è l’unico dato inquietante. Secondo il Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum pubblicato un mese fa, le donne italiane si piazzano all’ottantesimo posto su 135 Paesi, vivendo peggio persino delle donne del Ghana e del Bangladesh e perdendo 6 posizioni rispetto al 2011, quando erano al 74mo posto. Il declino italiano è cronico: dal 67esimo posto del 2008, al 72esimo del 2009, con una lieve ripresa nei due anni successivi: nel 2010 e 2011 si è classificato 74esimo.
Il risultato è ancora più drammatico se andiamo a considerare la partecipazione economica e le opportunità presenti: il nostro Paese è al 101mo posto con donne penalizzate nella carriera oltre che con salari più bassi rispetto ai colleghi. Tra i Paesi industrializzati solo Giappone e Malta ottengono risultati peggiori.
Per quel che riguarda gli uguali diritti uomo-donna superano l’Italia Paesi come Kenya, Brasile, Colombia e Vietnam. Il primato spetta al Nord Europa, in particolare all’Islanda, che ottiene la prima posizione in quanto a pari opportunità, seguita da Finlandia, Norvegia, Svezia.
Ma non va per nulla bene anche da un punto di vista di rappresentanza politica. Il rapporto sottolinea la limitata presenza di donne all’interno del governo, ad esempio.
Il divario è particolarmente forte per quel che riguarda i salari di lavori uguali ma affidati a uomini e donne: l’Italia si piazza 126esima. Come ricorda ancora Antonietta Mundo citando dati Inps, solo un terzo della popolazione femminile fa parte della forza lavoro mentre fra gli uomini è la metà a farne parte. Un unico dato positivo riguarda l’incremento tendenziale dello 0,4% dell’occupazione femminile accompagnato da un leggero calo dell’occupazione maschile. Ma ricorda l’esperta – «l’82% dei lavoratori a tempo parziale è rappresentato da donne». I lavori delle donne sono i meno importanti, quasi tutti in posizioni basse e intermedie. Le donne sono il 57% degli impiegati e i vertici in gran parte sono occupati da uomini. Tra i dirigenti e professionisti dove non sono previsti avanzamenti di qualifica sono assunti soprattutto uomini mentre le donne si fermano al 40%. Una tendenza che però sembra lentamente invertirsi. Nei tre anni che vanno dal 2009 al 2011 c’è stata una crescita delle donne quadro dell’8,3% e delle donne dirigenti del 4.4%. Aumentano anche le operaie del 3,1% al contrario di quanto accade per gli uomini.
Le differenze riguardano anche le pensioni. Le donne rappresentano il 47% dei pensionati eppure percepiscono il 34% dell’importo complessivo. Una pensionata su tre prende meno di mille euro al mese. E, in generale, nel pubblico la pensione media per le donne è di 18.400 euro lordi un terzo in meno degli uomini che sono su una media di 26.900 euro. L’80% delle pensioni integrate al minimo sono erogate alle donne. Una donna su due ha meno di 20 anni di contribuzione nel settore privato. Nel pubblico, invece, il 40% delle donne hanno più di 30 anni di anzianità contributiva.
La Stampa 22.11.12

“L´ultima legge ad personam per bloccare la sentenza Mondadori Ma il governo da l´altolà al Pdl”, di Alberto D’Argenio

Il Pdl cerca di forzare i codici di procedura, di stravolgere il principio secondo il quale dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione una sentenza civile o penale passa in giudicato. Lo fa con un emendamento al decreto Sviluppo presentato ieri a Palazzo Madama da drappello di senatori berlusconiani. La norma – retroattiva – vuole introdurre “un quarto grado di giudizio”. Il Partito democratico insorge. Il governo si schiera contro. Ma il sospetto che emerge, non solo tra i partiti ma anche in ambienti governativi, è che l´emendamento rappresenti solo l´ultima legge “ad personam” per tutelare gli interessi di Silvio Berlusconi. Ancora una volta un tentativo di cambiare il diritto per salvare il Cavaliere da processi e condanne. Passate e future. A partire dalla sospensione del pagamento di 560 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori (attesa a breve la pronuncia della Cassazione). «A tutti è venuto il sospetto che l´ex premier l´abbia fatto proprio per questo», è la denuncia che dei democratici in Senato.
Il testo presentato ieri dai senatori pdl Giuseppe Valentino, Mariano Delogu, Franco Mugnai, Alberto Balboni e Carlo Sarro è nascosto tra i 1600 emendamenti che assediano il decreto Sviluppo del ministro Corrado Passera. E prende due piccioni con un fava. Riporta in auge il principio della responsabilità civile dei giudici e scardina i codici di procedura penale e civile. Prevede che «se una sentenza della Cassazione è affetta da manifesta violazione del diritto comunitario, la parte interessata può chiedere la correzione o la revocazione con ricorso presentato alle Sezioni Unite» della stessa Cassazione. Non solo per le sentenze future, bensì anche per quelle «depositate nei due anni precedenti l´entrata in vigore». Il condannato dovrà solo fare attenzione a chiedere il “quarto grado di giudizio” entro 180 giorni dall´effettiva operatività della nuova norma. Con la possibilità, oltretutto, di ottenere la sospensione delle sentenze. Così la Cassazione oltre che per errori materiali o di fatto potrà essere scavalcata con il facile appiglio della violazione del diritto comunitario.
Sospetti di legge ad personam. Per la democratica Donatella Ferranti «l´emendamento bloccherebbe il sistema giustizia, chi invoca il processo breve legalizza pratiche dilatorie che premiano chi dispone di mezzi economici sostanziosi». Secondo il capogruppo pd al Senato Anna Finocchiaro «con un emendamento su una materia estranea al decreto Sviluppo, si cerca di smantellare il sistema giudiziario italiano». Ma i sospetti non si fermano ai processi dell´ex premier. Come spiega il capogruppo del Pd in commissione Giustizia al Senato, Silvia Della Monica: «L´emendamento potrebbe far saltare la legge sull´incandidabilità» dei condannati in via definitiva che il governo Monti sta perfezionando.
Il ministro della Giustizia Paola Severino, intercettata dai cronisti quando la notizia dell´emendamento si era da poco diffusa, non si è espressa nel merito dicendo di «non avere ancora avuto il tempo di leggere» il testo. Ma il sottosegretario Salvatore Mazzamuto ha poi dato «parere negativo». Il che ha spinto il Pdl a promettere una nuova formulazione dell´emendamento che comunque rimane depositato e che sarà discusso al Senato. Con Carlo Sarro, tra i firmatari, che invita tutti a non fare «dietrologie»: «È per evitare che i cittadini spendano un sacco di soldi per chiedere giustizia in Europa. Per ora il nostro emendamento è stato accantonato, ma speriamo che venga approvato al più presto».
La Repubblica 22.11.12
******
“Mossa per congelare il lodo Mondadori”, di LIANA MILELLA
La richiesta di Berlusconi ai suoi è stata perentoria: «Prima che le Camere chiudano dovete immunizzarmi da possibili sentenze definitive. Io sono certo che non mi arriveranno addosso, ma se succederà ho bisogno di uno strumento che mi metta in salvaguardia».
Detto fatto. Il colpo di mano, l´ennesimo sulla giustizia, è maturato così. Richiesto e messo su carta al Senato. Per smarcare il Cavaliere dai suoi processi. A sera, di esso dice il presidente Monti: «È una cosa fuori dal mondo. Con noi sia chiaro che non passerà mai». Soprattutto perché, per liberare l´ex premier, comporterebbe il disastro epocale e definitivo della giustizia italiana. Anche questo un déja vu, visto che si è verificato con le intercettazioni, la blocca processi, i vari processi brevi e lunghi, il tentativo di tagliare la prescrizione. Leggi ad personam a misura di Silvio che però, una volta entrate nel codice, sarebbero servite in decine e decine di altri casi squassando i codici.
Eppure il quarto grado di giudizio sarebbe la chiave di volta per liberarlo del tutto, o magari anche solo per qualche tempo più o meno lungo, dal rimborso milionario che deve alla Cir di De Benedetti dopo la condanna in primo grado e in appello per il Lodo Mondadori e in vista di una possibile e definitiva condanna davanti alla Suprema corte. Quei 560 milioni di euro gli bruciano, non fa che parlarne e lamentarsi in ogni occasione ufficiale e privata, citandoli come la causa di una sua possibile crisi finanziaria. Sono un peso per lui di cui – continua a dire – «mi devo liberare a tutti i costi».
È in un clima torbido, di scarsa trasparenza e pieno di sotterfugi, ai margini della legge sullo Sviluppo, che a palazzo madama matura il nuovo emendamento a misura di Cavaliere. Pensato, come al solito e nella migliore tradizione delle leggi ad personam, dai Cirami ai Cirielli, da un manipolo di senatori non troppo noti vogliosi però di ottenere meriti in tempi di conta per le prossime candidature.
Dieci righe esplosive che – quando nel bel mezzo di un convegno con Letta e Catricalà alla Luiss – le mettono sotto il naso del Guardasigilli Severino lei ha uno scatto sulla sedia di evidente fastidio. Una cosa è certa, e lei lo comunica subito ai suoi sottosegretari Grullo e Mazzamuto, dicendogli che il parere del ministero della Giustizia dovrà essere negativo. E così accade di lì a poco.
E ci mancherebbe altro, visto che l´emendamento Valentino – è lui che lo ha pensato e lo ha scritto, parlandone con altri senatori, mentre gli altri quattro lo hanno solo firmato – scardina dalle fondamenta le attuali regole giuridiche. Inaugura il processo super lungo, anzi infinito, in barba a qualsiasi regola, che proprio Severino si è imposta, di accorciare, e non certo di allungare i tempi dei processi. Giusto gli ordini che ci dà l´Europa. Ma per esorcizzare le angosce giudiziarie dell´ex premier serve altro, mentre i suoi dibattimenti andati male come Mediaset in sede penale e il Lodo Mondadori in sede civile camminano inesorabilmente verso l´ultimo grado di giudizio e il rischio concreto di sentenze passate in giudicato si avvicina. Il Cavaliere già se le sente addosso e vuole a tutti i costi sfuggirle. La tagliola dell´incandidabilità ha acuito ancor più le sue preoccupazioni.
Il volenteroso Valentino, da avvocato, si muove agile. Il decreto Sviluppo è lì, a portata di mano, fuori dai riflettori sempre puntati sulla commissione Giustizia. Deposita un testo che è una bomba, un «terremoto», come lo giudicano subito in Cassazione, dove già vedono definitivamente compromessa, qualora passasse, l´attività delle sezioni unite che verrebbero subissate da centinaia di ricorsi. L´idea è agile, modellata sul ricorso alla Corte di giustizia del Lussemburgo.
Così Valentino racconta il progetto ai colleghi. «Perché dobbiamo costringere gli italiani a fare un inutile giro all´estero? Portiamo in Italia la possibilità di fare ricorso, la incardiniamo in Cassazione, e se il ricorrente vince la sentenza va rivista». Trucco semplice. La formula è quella utilizzata per il tentato blitz sulla responsabilità civile dei giudici nella Comunitaria, la violazione delle leggi Ue. Stesso meccanismo, per il penale e per il civile, con la possibilità di fermare il corso delle sentenze. Un paracadute per tutti. Con la clausola per il passato. Sentenze vecchie di due anni coperte dalla nuova norma. Ancora un modo per agevolare Silvio e per coprire qualsiasi accidente giudiziario suo o dei suoi amici.
La Repubblica 22.11.12
******
Zanda accusa: “Nella mia vita di parlamentare non ho mai visto niente di più grave, impediremo la sua approvazione”. “Operazione grottesca, l´obiettivo è chiaro”
«Un´iniziativa assurda, irresponsabile, che non ha alcuna speranza di passare». Luigi Zanda, senatore pd, professione avvocato, battagliero sulle questioni che riguardano la giustizia, considera il tentativo di inserire nel nostro ordinamento un quarto grado di giudizio «grottesco». Ed è certo che, se una tale invenzione è stata fatta, non può che servire a Silvio Berlusconi.
Un emendamento al decreto Sviluppo che cambia i termini della giustizia italiana. Che senso ha?
«Nessuno. È un emendamento del tutto inammissibile, presentato come modifica a un decreto legge estraneo per materia. Nella mia esperienza parlamentare non ho mai visto qualcosa di così grave. Pensare che in un Paese in cui la Costituzione ammette tre gradi di giudizio se ne possa ipotizzare, dopo la Cassazione, un quarto, ci pone fuori dall´Europa, dal nostro ordinamento giudiziario e dalla Carta».
A chi conviene?
«Non è credibile che un´operazione del genere non abbia degli obiettivi “operativi” precisi. È certo che deve far comodo a qualcuno. E visto il partito da cui nasce l´iniziativa, visto che il primo firmatario è il senatore Valentino, del pdl, viene subito da pensare al lodo Mondadori. Ma potrebbe essere anche altro: questo è uno degli aspetti che vanno indagati. Per fermare ogni ulteriore forzatura».
È una legge ad personam fuori tempo massimo?
«Lo è. Con in più un dato politico che è gravissimo. Siamo dentro a una crisi grave, profonda, che non sappiamo quando finirà. Dovremmo pensare ai dati preoccupanti sull´occupazione, al prodotto interno lordo che non risale, e invece si impegna il Parlamento con questa iniziativa squallida e pericolosa. Nell´ipotesi inquietante che venisse approvato, quel solo emendamento produrrebbe il disastro più assoluto del sistema giudiziario italiano».
Potrebbe passare?
«Non succederà. Alzeremo delle difese assolute contro questa ignominia. Faremo tutte le battaglie, sia in commissione che in aula».
Su quali basi?
«A partire dall´inammissibilità. La giustizia è una materia del tutto estranea al decreto Sviluppo. È chiaro che quella norma è stata messa lì con la speranza che nessuno si accorgesse del suo reale significato. Siamo fin troppo abituati a questi colpi di mano. La modifica però è inammissibile, e se non lo dirà già subito il presidente della commissione Giustizia, se il decreto arrivasse in aula così, sarà lo stesso Renato Schifani a dichiararla tale. Sarebbe uno scandalo assoluto, è una norma impensabile in Europa».
(a.cuz.)
La Repubblica 22.11.12

“Primarie del centro-sinistra, le risposte su scienza e ricerca”, da lescienze.it

Fecondazione assistita, OGM, politiche energetiche, sicurezza del territorio e altro ancora. Un gruppo di giornalisti, blogger, ricercatori e cittadini chiede ai candidati alle primarie del centrosinistra di dichiarare la loro posizione concreta su sei temi centrali delle politiche della scienza e della ricerca
Alla fine, tutti e cinque i candidati alle primarie del centrosinistra hanno risposto alle domande in materia di scienza e ricerca che un gruppo di giornalisti scientifici, blogger, ricercatori e cittadini, ha proposto loro a partire dall’iniziativa proposta dal gruppo Facebook “Dibattito Scienza”.
Pubblichiamo qui le risposte dei candidati, ringraziando tutti coloro che con noi hanno lavorato con passione e impegno per portare la scienza sulla scena del dibattito politico.
Le domande e le risposte
1. Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
2. Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
3. Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
4. Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
5. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
6. Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?
Pierluigi Bersani
Laura Puppato
Matteo Renzi
Bruno Tabacci
Nichi Vendola
L’iniziativa è promossa e organizzata attraverso il gruppo Facebook “Dibattito Scienza”

Massa Finalese (mo) – Aperitivo per Bersani

Piazza Caduti Massa Finalese
Con
Manuela Ghizzoni parlamentare PD
Paolo Negro coordinatore comitato Bersani Modena
Andrea Ratti comitato Bersani Massa Finalese
Noi votiamo Pier Luigi Bersani perché:
• Ha rafforzato il PD rinnovandolo e dandogli un ruolo nel Paese
• Garantisce i rapporti nella sinistra e il dialogo con i moderati
• Ha competenze amministrative e credibilità internazionale
• L’Italia ha bisogno di equilibrio, buon senso, concretezza
• Lavoro, Giustizia Sociale, Legalità, Europa sono le nostre idee
Firmato: Baldini Claudio, Barbieri Paola, Barbieri Raffaella, Benati Ferdinando, Borghi Giovanna, Borghi Giuliano, Borghi Luigi, Corazzari Lorenza, Ferioli Vanna, Govoni Angelo, Guerra Vittorina, Martelli Giancarlo, Minarelli Silvano, Poletti Andrea, Ratti Andrea, Saltari Stefano, Simoni Lorenzo, Zironi Enzo
Al termine dell’iniziativa andremo a mangiare insieme al ristorante pizzeria President

Tutte le bugie -e le verità- sulla legge di autogoverno delle scuole statali (ex 953 – ex Aprea)

C’è una proposta che sta facendo discutere il mondo della scuola: è quella sull’autogoverno, che rforma gli organi collegiali. La posizione del Pd è chiara: o ci sarà una buona legge o nessuna legge. E non si fanno leggi senza il consenso del mondo della scuola.
Il Pd sostiene la legge Aprea che privatizzerà la scuola pubblica.
Questa è una bugia “tecnica” e “politica”. Cominciamo col dire che non esiste nessuna legge Aprea. La legge Aprea, così com’era stata scritta dall’ex deputata del Pdl Valentina Aprea, non esiste più. Non esiste più tecnicamente e politicamente. E poi non c’è ancora nessuna legge, ma una proposta di legge che è stata già approvata dalla Camera dei Deputati e che è ora all’esame del Senato della Repubblica.
Questa proposta reca il numero 3542. Il testo nasce da ben 11 proposte di legge, di cui 2 presentate da deputate e deputati del Partito Democratico. In origine si trattava di proposte che affrontavano vari temi, non solo gli organi di autogoverno, ma anche questioni complesse come quello dello stato giuridico e del reclutamento del personale.
Le proposte di legge partivano da visioni diverse: la visione del PD era ed è del tutto alternativa a quella contenuta nella proposta del gruppo del PDL che aveva come prima firmataria l’on. Aprea. Attraverso un lungo lavoro, il Pd è riuscito a fare della 953 una legge che ha ancora diversi aspetti da migliorare, ma che è completamente altra cosa rispetto al precedente testo Aprea.
Perché la Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati ha ripreso proprio il progetto di legge Aprea?
La deputata del Pdl Aprea è stata presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera per tutto il mandato del ministro Gelmini, ma durante il governo Berlusconi, per contrasti interni al Pdl, il ministro Gelmini non ha voluto dare spazio a Valentina Aprea.
Caduto il governo Berlusconi e prima di dimettersi dalla Camera per andare a ricoprire il ruolo di assessore in Lombardia, Aprea ha tentato in ogni modo di far marciare speditamente il progetto di legge che portava il suo nome.
Perché la discussione e l’approvazione del testo è avvenuto nella sola VII Commissione della Camera dei Deputati e non nell’assemblea plenaria?
Non è stato uno strappo alla regola, perché la nostra Repubblica prevede che le Commissioni parlamentari possano lavorare in “sede legislativa”, cioè con il potere di deliberare.
Ma facciamo un passo indietro. Nel momento in cui Aprea decide di rimandare avanti il suo progetto di legge, c’è già un patto fra Pdl e Lega, su cui stanno per convergere anche Udc e Fli, con l’obbiettivo di approvare una legge con tanto di chiamata diretta degli insegnanti, di trasformazione delle scuole in fondazioni, di svilimento del sistema pubblico e statale delle scuole italiane.
Occorreva sventare quel tentativo. Accettando la sede legislativa e dunque in lavoro in Commissione e non in Aula, il PD ha ottenuto un gran numero di cambiamenti che, nel passaggio in aula, potevano essere annullati con colpi di mano, come è accaduto, ad esempio, alla legge elettorale al Senato.
Il Pd, quindi, ha accettato di esaminare nel merito, punto per punto, quel che c’era scritto nel testo. Se il Pd avesse fatto come l’Idv, si fosse cioè ritirato sull’Aventino rifiutandosi di lavorare sulla 953, il centrodestra avrebbero avuto campo libero. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i numeri in Parlamento sono gli stessi del 2008: il centrodestra ha la maggioranza dei parlamentari e oggi ci saremmo ritrovati con il reclutamento diretto dei docenti e con la privatizzazione delle scuole.
Ma il lavoro del Pd di modifica del testo della legge ha portato a qualche risultato?
Certo, innanzi tutto è sparito completamente qualsiasi riferimento al reclutamento diretto degli insegnanti. La legge oggi interviene sulla ‘governance’ delle scuole, non sull’assunzione dei lavoratori della scuola né sul contratto di lavoro.
Ma perché allora alcuni sostengono che la nuova legge permetterà l’assunzione diretta dei docenti da parte dei presidi o attraverso concorsi di istituto?
Sono solo bugie elettorali di chi intende screditare il lavoro del PD e dei tanti insegnanti che, nei forum e nei gruppi Pd Scuola, lavorano concretamente per il bene del sistema di istruzione nazionale.
Nel nuovo testo è stato completamente cancellato il Capo III riguardante lo stato giuridico, le modalità di formazione iniziale e il reclutamento, di fatto una chiamata diretta dei docenti. Tutte quelle pericolose, quanto velleitarie, proposte del Pdl e della Lega sono così sparite.
La legge, però, permette ancora la trasformazione delle scuole in fondazioni.
No, è assolutamente falso. L’Art. 2 che portava come titolo: “Trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni” semplicemente non esiste più.
Rimane la possibilità di finanziamenti esterni.
Parlando con alcuni studenti e insegnanti, è più volte emersa la paura che arrivino capitani di impresa che, a fronte di finanziamenti forti (ad esempio per strutture o laboratori), possano poi chiedere modifiche dell’offerta formativa. Chi teme questo non sa che la possibilità per le scuole di ricevere finanziamenti esterni esiste già oggi e che in proposito la nuova proposta di legge introduce restrizioni e regole di trasparenza che prima non c’erano.
Non sa, inoltre, che i programmi scolastici non sono nella disponibilità delle scuole autonome: non sono proprio argomento di questa legge, perché rientrano nelle norme generali sull’istruzione, che rimangono di competenza nazionale.
Certo, come la vecchia legge, anche questo nuovo testo prevede che il Consiglio dei docenti (l’odierno Collegio docenti) possa arricchire, rispetto a quanto obbligatoriamente previsto dalle indicazioni nazionali, l’offerta formativa, e che nel farlo possa anche cercare di coinvolgere enti locali o associazioni o imprese del proprio territorio.
Questa opportunità governata dalla scuola autonoma, sia oggi sia con la nuova legge, con identiche garanzie democratiche e nazionali, è stata purtroppo colta in pochi territori: più che il pericolo di invasione da parte dei privati, c’è stato un quasi totale disinteresse dei vari soggetti a contribuire a progetti formativi capaci di arricchire e collegare la scuola e il territorio.
Il testo approvato dalla Camera non prevede, quindi, nessun arretramento delle responsabilità dello Stato nel dover garantire le risorse per il funzionamento delle scuole.
Nel nuovo testo, invece, -cosa molto importante- non trova più posto il Capo II riguardante l’autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie. L’articolo 11 del testo Aprea proponeva la privatizzazione del sistema scolastico. Anche con le Fondazioni, come si è visto, si perseguiva tale obiettivo. Le risorse finanziarie, umane e strumentali presenti nel Bilancio dello Stato (circa 45 MLD di euro per la sola istruzione) sarebbero state trasferite alle Regioni, alle Province e ai Comuni e da essi alle scuole statali e paritarie. Di fatto nel Bilancio del Miur sarebbero rimaste solo le spese riguardanti l’Università e la Ricerca e quelle riguardanti il funzionamento e le competenze dell’amministrazione centrale e periferica.
Nella legge Aprea, ogni scuola statale o paritaria anche di nuova istituzione avrebbe ricevuto una quota del bilancio statale e della più generale spesa pubblica per l’istruzione, comprendente le retribuzioni dei docenti e del personale, corrispondente alla quota capitaria moltiplicata per il numero degli studenti iscritti. Le scuole di fatto si sarebbero istituite o avrebbero cessato di funzionare per decisione delle famiglie. Sarebbe così cessato il compito costituzionale della Repubblica di istituire scuole statali di ogni ordine e grado (art 33 c.2 della Costituzione). Ma nel nuovo testo tutto ciò è stato del tutto cancellato.
Nel consiglio dell’autonomia la legge prevede la presenza di privati. E questa non è di fatto una forma di privatizzazione delle scuole?
Assolutamente no. A differenza del testo Aprea che prevedeva, come componenti esterni del Consiglio, un rappresentante degli enti locali e un numero indefinito di esperti con diritto di voto, il nuovo testo approvato dalla Camera indica, invece, uno o al massimo due membri esterni che saranno senza diritto di voto.
Inoltre la loro presenza non è obbligatoria: solo se all’interno del Consiglio (eletto da insegnanti, ATA genitori e studenti) una maggioranza di almeno i due terzi decide di designarli, essi ne vengono a far parte.
Infine, scrivere ‘privati’ anziché ‘componenti esterni’ è sbagliato, perché le parole non sono neutre e chi è in malafede vorrebbe far passare l’idea -sbagliata anch’essa appunto- che la proposta di legge ‘privatizzi’ la scuola.
Questi ‘esterni’, infatti, potrebbero essere rappresentanti di enti locali, del mondo della cultura, del volontariato, dell’associazionismo, dell’università, delle professioni e così via, e non necessariamente rappresentanti di imprese.
La nuova proposta di legge mette in mano tutto ai dirigenti scolastici, che diventano, quindi, padri-padroni delle scuole.
Anche questa è una bugia bella e buona. Se vogliamo fare un richiamo storico, sarà opportuno ricordare che fu proprio la sinistra politica e sociale a scardinare il rapporto autoritario e disciplinare che c’era fino agli anni ’70 fra preside-insegnanti-studenti.
Per tornare al testo approvato dobbiamo dire con chiarezza che il Consiglio dell’autonomia è presieduto da un genitore e non più dal dirigente scolastico, come prevedeva il testo Aprea. Da parte sua, il dirigente scolastico –come prevede l’articolo 4- agirà, esattamente come succede ora, nell’ambito della legge attuale.
La nuova proposta di legge in realtà distrugge le forme di partecipazione nate con la riforma dei decreti delegati del 1973-74.
Questa è la bugia più rilevante dal punto di vista politico. Il nostro obbiettivo è rilanciare la partecipazione e raccordarla con l’autonomia scolastica, ponendo rimedio allo stato di crisi in cui si trova, ormai da anni, il sistema partecipativo nato nella prima metà degli anni ’70, non distruggere quel sistema che sotto la spinta della sinistra fu istituito.
Alcuni di coloro che criticano la 953 sono gli stessi che, magari in un lontano passato, criticavano gli organi collegiali nati dalla riforma del 1974. A quel tempo ritenevano che gli organi collegiali fossero un vergognoso compromesso volto ad ingabbiare la spinta innovatrice delle lotte studentesche del ’68, oggi difendono paradossalmente quella riforma dicendo che la nuova proposta di legge distrugge gli organi collegiali.
Questa è una visione profondamente conservatrice e di destra, infatti la proposta di legge potenzia quelle forme di partecipazione e le adegua alla società di oggi, ben più complessa di quella di metà anni Settanta.
Ma ci sono o no punti della legge che si possono migliorare?
Ce ne sono, sì, e il PD ha sempre dichiarato la propria incondizionata disponibilità ad ascoltare il mondo della scuola, così è stato alla Camera, con l’approvazione degli ultimi emendamenti elaborati con il coinvolgimento informale delle varie componenti della scuola (perché le audizioni si erano già svolte sul vecchio testo), e così sarà al Senato dove stanno prendendo avvio le audizioni.
Questa legge è fatta per valorizzare chi nella scuola vive e lavora e per il Pd non ha davvero senso approvare un testo che non sia condiviso dalla larga maggioranza di questo mondo.
Quali sono, dunque, i punti che il Pd propone di migliorare?
Partecipazione di studenti e genitori. In diversi articoli è richiamata la partecipazione dei genitori e degli studenti, non solo attraverso la presenza negli organi di autogoverno ma anche con la promozione e la tutela di altre forme di partecipazione. In particolare l’art. 7 stabilisce che le istituzioni scolastiche debbano prevedere e garantire l’esercizio dei diritti di riunione, di associazione e di rappresentanza degli studenti e delle famiglie.
Questa norma a nostro avviso non limita la partecipazione rispetto alle vecchie norme ma, semmai, consente di ampliarla sia nelle forme che nelle modalità attraverso l’elaborazione e la definizione degli statuti (ad esempio prevedendo forme e regole di autogestione nelle superiori).
Tuttavia, il Pd pensa che questo sia uno dei punti che richiedono un ascolto e confronto attento con i genitori e gli studenti e il passaggio della legge al Senato è l’occasione per promuovere un nuovo attento ascolto del mondo della scuola, in base al quale decidere se introdurre nella legge ulteriori paletti che tutelino, ad esempio, i “minimi assembleari” della vecchia legge.
Statuti dell’autonomia. Un’altra preoccupazione diffusa è l’introduzione di un statuto autonomo per ogni singola scuola. Gli statuti sono un banco di responsabilità forte per le scuole dell’autonomia e sono anche un argine contro l’imprevedibilità dei cambi di dirigenza scolastica.
E’ bene chiarire che gli statuti non potranno essere testi di “libera creatività”: i loro confini sono ben stabiliti dalla legge e dalle norme generali sull’istruzione (tra cui quelle che tutelano il diritto di assemblea e di associazione contenute nello Statuto delle studentesse e degli Studenti), e non potranno in alcun modo scavalcarle.
Su questo punto dobbiamo comunque riaprire il confronto con il mondo della scuola, disponibili anche qui a ogni proposta costruttiva di modifica del testo, così da fugare ogni dubbio e timore.
Quali sono le novità contenute nel nuovo testo?
Promozione o partecipazione alla costituzione di reti, consorzi e associazioni di scuole autonome. E’ in tale cornice che le Autonomie scolastiche possono ricevere contributi da soggetti pubblici e privati, finalizzati al sostegno economico della loro attività, per il raggiungimento degli obiettivi strategici indicati nel piano dell’offerta formativa e per l’innalzamento degli standard di competenza dei singoli studenti e della qualità complessiva dell’istituzione scolastica.
Rendicontazione sociale. La Conferenza di rendicontazione a livello di scuola è un’altra innovazione importante che non era prevista nell’originario progetto Aprea. Con tale strumento il Consiglio dell’autonomia promuove annualmente una conferenza di rendicontazione, aperta a tutte le componenti scolastiche ed ai rappresentanti degli enti locali e delle realtà sociali, economiche e culturali del territorio.
Rappresentanza studenti, docenti e genitori. Studenti e genitori avranno una presenza paritaria nel Consiglio dell’autonomia (così si chiamerà l’ex Consiglio di Circolo o di Istituto) delle scuole secondarie superiori. E’ paritaria anche la presenza dei rappresentanti dei docenti e dei genitori nelle scuole primarie e secondarie di primo grado. E’ confermata la presenza di genitori e studenti nei Consigli di classe tramite elezione diretta, contrariamente a quanto fatto circolare nelle scuole in questi giorni. Una volta che tutti i genitori e tutti gli studenti avranno eletto i loro rappresentanti di classe, risulteranno costituiti i Comitati di istituto degli studenti e dei genitori. Che nel precedente ordinamento, appunto, erano costituiti dai rappresentanti eletti di tutte le classi.
I consigli di intersezione (per le scuole dell’infanzia) e di interclasse (per le scuole primarie ) non sono indicati esplicitamente nella legge, cosi come invece avviene nel Testo unico, ma sono implicitamente previsti laddove si parla di articolazioni del collegio dei docenti che dovranno essere esplicitate negli statuti. E’ questo uno dei pochi margini che si lasciano agli statuti e, come ribadito dal PD, sarà possibile precisare anche nel testo di legge, durante l’esame della proposta al Senato, l’esistenza di tali organi collegiali che sono per il Pd di fondamentale importanza.
Qual è la visione politica e ideale che ha mosso il Pd?
Il PD ha voluto battere una visione e una gestione centralistica e burocratica, puntando invece su un nuovo assetto che riguarda anche gli organi collegiali territoriali e regionali, i quali da tempo non funzionano più, e invece sono necessari in un processo di decentramento e di attuazione del Titolo V della Costituzione.
Un processo che sia capace di salvaguardare e rafforzare il sistema nazionale di istruzione, con l’attuazione concreta dell’autonomia scolastica per renderlo più moderno, semplificato, sburocratizzato, in linea con le indicazioni e gli obiettivi europei, nonché capace di garantire pari diritti e opportunità di istruzione e formazione, in tutto il nostro territorio, a tutti i bambini e le bambine, a tutti i ragazzi e le ragazze e non a uno di meno, italiani e non, presenti nel nostro Paese.
Il testo è all’esame del Senato: cosa farà il PD se dovessero esserci modiche peggiorative?
Come detto, il Partito Democratico è consapevole dei nodi irrisolti sulla rappresentanza studentesca e gli statuti autonomi, e confermiamo il nostro impegno per cambiare il testo con le indicazioni che ci arriveranno anche dalla nuova fase di ascolto del mondo della scuola. Infatti il PD ha chiesto e ottenuto nuove audizioni in Senato con le associazioni degli insegnanti, degli studenti e dei genitori, proprio per arrivare a un progetto condiviso con tutto il mondo della scuola.
Se il risultato sarà positivo, avremo fatto un buon servizio al nostro Paese che ha bisogno di una profonda opera di ricostruzione delle istituzioni democratiche e dei valori che guidano chi, come noi, crede nella Costituzione. Se invece nel confronto parlamentare non riusciremo ad arrivare ad un disegno condiviso e giudicato positivamente dal mondo della scuola, fermeremo la legge.
E se la futura legge si rivelasse buona nelle intenzioni ma pessima nell’attuazione, se, insomma, non dovesse funzionare?
Grazie al PD, è stato previsto un monitoraggio della legge per poterne valutare l’efficacia nel tempo, perché è ora che la politica impari a verificare se le sue leggi funzionino o meno.
www.partitodemocratico.it

Sisma, On. Ghizzoni “Non scambiamo aiuti con condoni”

La presidente della Commissione cultura “Le aree terremotate non sono “lavatrici”. Dopo la bocciatura al Senato, i senatori Pdl cercano di riaprire la partita del condono offrendo di far arrivare i fondi raccolti in questo modo alle popolazioni dell’Emilia terremotata. “Non c’è alcuna ottica solidaristica in una iniziativa come questa – spiega la presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati Manuela Ghizzoni – Le aree terremotate non possono essere usate come “lavatrici” dei soldi provenienti dalla legalizzazione dell’illegalità”.
“Le popolazioni dell’Emilia-Romagna e della Lombardia colpite dal sisma chiedono diritti e un sostegno fiscale da parte del governo, non chiedono invece di essere usati come scusa per riproporre un condono edilizio. – lo dichiara la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, in merito alla proposta dei senatori del PdL eletti in Campania di destinare le risorse che lo Stato potrebbe incassare dal pagamento delle sanzioni sugli abusi edilizi in Campania alle popolazioni terremotate – Dopo la recente bocciatura al Senato, i senatori del PdL ancora una volta cercano di riaprire una partita che ha come effetto principale quello di alimentare l’edilizia illegale. Proprio quello che chi proviene da un area terremotata non vuole, lottando ogni giorno per una ricostruzione trasparente e per la sicurezza sismica dell’edilizia abitativa e scolastica. Non c’è alcuna ottica solidaristica in una iniziativa come quella di cui si fa portavoce Nitto Palma. Le aree terremotate – conclude Ghizzoni – non possono essere usate come “lavatrici” dei soldi provenienti dalla legalizzazione dell’illegalità.”

“Cosa dobbiamo imparare dalla barista che ha spento le slot”, di Beppe Severgnini

Santa, no. Ma commendatore subito. Se l’onorificenza tardasse, attraverserò i quaranta chilometri di Nebraska padano che separano Crema da Cremona e recapiterò i miei omaggi a Monica Pavesi, la barista che ha spento le slot. Perché ormai si dice così: slot, e basta. Quattrocentomila trappole luminose per i più deboli, sparse per l’Italia. Sono presenze familiari, ormai. Perché chiamarle «macchine»?
La signora Pavesi ha spento le slot perché «non sopportava più di vedere persone che si rovinano in quel modo», spiega al Corriere (cronaca di Luigi Corvi e Gilberto Bazoli). Lo spettacolo non preoccupa invece lo Stato italiano, che dal gioco d’azzardo incassa 12,5 miliardi di euro l’anno (che vanno ad aggiungersi a quanto ricava dalle sigarette e dall’alcol). Il biscazziere tabagista alcolista moralista: materiale per filosofi politici.
Se il totocalcio, il bingo e il gratta-e-vinci avevano un aspetto giocoso – difficile rovinarsi con le partite, i numeri e le schedine, sebbene qualcuno ci sia riuscito – le slot sono implacabili. Sono la rappresentazione suoni-e-luci dell’illusione: a Las Vegas, Atlantic City e Macao lo sanno da un pezzo. Chi le propone punta sulla parte più vulnerabile della popolazione: adolescenti, persone sole, gente in difficoltà economica che cerca distrazione e speranze, raccattando solo perdite e sconfitte. Stessa strategia commerciale dell’industria del tabacco, stessi ottimi – quindi pessimi – risultati.
L’Italia è il maggiore mercato europeo, e il terzo nel mondo, per il gioco d’azzardo legale (c’è anche l’altro, come vedremo). Il bombardamento pubblicitario per videopoker e scommesse lo dimostra. Il fatturato è enorme: nei primi dieci mesi del 2012 si è arrivati a 60 miliardi di euro, il che ne fa la terza industria del Paese, dopo Fiat e Eni. Spesa pro capite, neonati compresi: 1.200 euro. C’è poi il sommerso, stimato per difetto in altri 10 miliardi: infiltrazioni nelle società di gestione di scommesse e sale-bingo, imposizione ai commercianti del noleggio di apparecchi di videogiochi, gestione di bische, scommesse clandestine.
Secondo l’Associazione Libera (Don Ciotti) i giocatori dipendenti sono circa 800.000; a rischio, due milioni. Le sale giochi vengono spesso utilizzate per adescare le persone in difficoltà, che diventano così vittime dell’usura. Vien voglia, guardando le scariche di spot televisivi, di indirizzare i figli adolescenti verso lo sci acrobatico e il paracadutismo: molto meno pericolosi.
È l’assalto scientifico alla fragilità umana. E noi lo accettiamo. E l’erario è ben contento di guadagnarci sopra. I liberali – quelli veri – dovrebbero preoccuparsi davanti a questo spettacolare sfruttamento, a questa diseducazione sistematica di cui lo Stato è complice. I liberali da quattro soldi – no, non si sono ridotti così giocando alle slot machine – sostengono invece che l’uomo è libero: di ubriacarsi fino a stramazzare a terra, di fumare fino morirne, di correre in auto fino a uccidersi e uccidere. E, di conseguenza, di buttare la pensione o lo stipendio dentro una macchinetta lampeggiante.
La signora Monica Pavesi, per fortuna, è una liberale vera: pensa, non ripete slogan e citazioni. Le slot machine nel suo locale incassavano 40-50 mila euro al mese (!), e una percentuale (6%) andava a lei. Nella sua ridotta padana – bar tabaccheria «Gio» di via Mantova, periferia cremonese, profumo di nebbia e aria di fiume – ha deciso di gridare «basta!». Se, tra un convegno e l’altro, qualche ministro volesse fare lo stesso, sarebbe una bella cosa. Non c’è bisogno che gridi. Basta che parli: lo sentiremo lo stesso.
da corriere.it