C’è differenza tra rinnovamento e rottamazione. Ogni leader politico non può mutare i modelli dell’organizzazione che guida senza imporre anche un visibile cambiamento di uomini. Nuove culture annunciano sempre l’apparizione di diversi gruppi dirigenti che si cementano nel cuore di una lotta aperta. È nella battaglia delle idee che i portatori della discontinuità hanno il modo di farsi apprezzare. Non è così quando l’immissione di nuove leve di comando non è associata a una cesura culturale ma a un’operazione punitiva e di marketing.
In questo caso l’immissione di nuove leve non comporta affatto un’apprezzabile innovazione. In fondo nel 2008 non mancò un elevato ricambio, la giostra delle candidature nuove non introdusse però un salto nella qualità. Ciò perché la nomina ispirata ai leggeri canoni della comunicazione non era il risultato di una esplicita maturazione sul duro campo dell’azione politica di altre classi dirigenti.
Il Pd ha bisogno di un profondo rinnovamento che accompagni il riconoscimento collettivo del merito acquisito nella lotta politica da giovani dirigenti, amministratori, militanti. La rottamazione è però un’altra cosa. È il contrario della guerra delle idee, è la distruzione brutale di ogni storia comune che un partito custodisce con cura. La rottamazione è una ginnastica che prescinde dalle esperienze, dalle competenze, dalle storie diverse che arricchiscono una comunità politica. È solo una cattiva igiene raccomandata da chi rivendica la leadership ma non ha idee per convincere gli altri. Il termine stesso di rottamazione ha una ascendenza fascistoide che non per nulla scalda Dell’Utri e Santanchè, stuzzicati dalla mitologia della giovinezza, primavera di bellezza (bellezza, un altro termine caro agli atleti della rottamazione).
Quando non si dispone di una cultura politica nuova, è più comodo ricorrere a una spruzzatina di liberismo sempre utile per le èlite (quelle che regalano la copertura mediatica e il denaro necessario all’impresa) e a una dose massiccia di populismo necessario per incantare la massa (quella di ogni colore che alla sola idea di un repulisti violento mostra un rapimento mistico). La rottamazione è un arnese del populismo contemporaneo che scommette sull’istintualità irriflessiva del pubblico e sull’oblio della ragione critica: in nessuna democrazia si ingiuria la propria classe dirigente, per affidare la continuità della Repubblica a Bossi, Berlusconi, Cicchitto, Casini, Fini, La Russa, Gasparri, Tremonti. Il significato ideologico della rottamazione (nei partiti stalinisti si chiamava epurazione, la sostanza non cambia) è evidente: nel nome della morte alla nomenclatura si cerca di rimuovere con azioni di forza le culture, le storie della plurale sinistra italiana (post-comunitsa, prodiana, laico-socialista, popolare).
La rottamazione è una volgare arma contundente. La maneggia soltanto chi gioca sull’equivoco di stare un po’ dentro un organismo (al punto da rivendicarne il marchio che gli serve per andare al governo ma non di sporcarsi le mani partecipando alle discussioni nei gruppi dirigenti) e molto fuori (ai limiti della proclamazione di una alterità irriducibile rispetto alla politica). È tipico della mentalità populista operare ambiguamente all’interno di una organizzazione come se si abitasse però all’esterno di essa.
Il rottamatore è un politicante astuto, con una controversa esperienza nell’amministrazione della città (la soave neve fiorentina condannò alla paralisi mezza penisola!). Non ha nulla di significativo da dire, oltre la recitazione soporifera nei teatri d’Italia sul merito e la bellezza. Per questo ridesta dal sonno solo quando promette la caccia grossa ai dirigenti più prestigiosi. Confida, il rottamatore, sulla irreparabile decadenza della cultura politica diffusa, sulla volontà di oblio, e sul desiderio di punizione che poi è il sentimento più elementare e anche più facile da produrre in laboratorio. Non ci vuole granché a ottenere l’applauso scrosciante promettendo una demolizione dei dirigenti.
Il rottamatore strizza l’occhio al rozzo spirito di vendetta che è distribuito nei bassifondi del Paese ma non contribuisce certo a rinnovare con la civiltà della politica. Di solito proprio l’apparato peggiore e la nomenclatura più scadente sono i più lesti, in un impeto di eterno trasformismo, a salire sul camper del rottamatore. Un vero rinnovamento esige la promozione di nuove classi dirigenti che nella lotta definiscono un percorso ideale comune. Con le primarie o salta tutto in aria, come propone chi sogna il big bang (il suicidio di un partito, che non può esplodere, senza negare la propria ragion d’essere) oppure, proprio grazie alla sconfitta del populismo interno, potrà nascere un partito vero con radici solide, tali da reggere una non più rinviabile rottamazione dei rottamatori. In tempi di cinici arrampicatori senza qualità, il rispetto è la prima virtù politica, preliminare in ogni conflitto, anche il più aspro.
l’Unità 16.10.12
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"L’Agenzia spaziale si salva. Il super Cnr verso il naufragio", di Roberto Giovannini
Pare naufragare l’ambizioso progetto del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Francesco Profumo di unificare in una sorta di super-Cnr i 12 enti di ricerca nazionali. Per adesso non ancora definitivamente: dopo la levata di scudi da parte di tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, e la vera e propria rivolta dei diretti interessati, nelle bozze della Legge di Stabilità lo schema che aveva per titolo «razionalizzazione del sistema della ricerca» esce completamente stravolto. Dunque, niente più accorpamento dei dodici enti scientifici oggi vigilati dal Miur (dall’Agenzia Spaziale Italiana all’Istituto di Fisica Nucleare fino agli istituti di astrofisica, geofisica e vulcanologia, in un «Centro Nazionale delle Ricerche». Una superstruttura affiancata da due nuove Agenzie che si sarebbero occupate rispettivamente di trasferimento di tecnologie e di finanziamento della ricerca. Dopo le prime indiscrezioni, sono bastati pochi giorni per suggerire al governo di modificare il progetto. Nella nuova stesura si prevede che presso il Ministero sia istituita una consulta formata dai presidenti dei 12 enti di ricerca coinvolti, coordinata dal presidente del Cnr Luigi Nicolais. Questa consulta dovrà proporre al Miur una revisione generale del sistema della ricerca entro il 31 gennaio 2013, ispirata a criteri di risparmio e di «governance unitaria e più efficace». Confermata. invece. l’istituzione dell’abilitazione scientifica unica nazionale, requisito per accedere a tutti i profili dei ricercatori e tecnologi degli enti pubblici di ricerca.
Ma non è affatto detto che anche in questa chiave più «concertativa» (tutti i presidenti degli enti erano insorti come un sol uomo contro il SuperCnr, progetto di cui non erano stati neanche informati) la riforma degli enti di ricerca possa andare in porto. Una prima ragione è politica: contro la riforma Profumo si sono schierati tutti i partiti. Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Pdl, parla di «intento sbagliato, antieconomico e da delirio di onnipotenza». «Proposta inaccettabile», tuona il capo dei deputati azzurri Fabrizio Cicchitto. Stesse perplessità da Pier Luigi Bersani, leader del Pd. E anche l’Italia dei Valori, con Maurizio Zipponi, ha parlato di «follia».
Un secondo problema è economico: a leggere gli stessi conti del governo, l’operazione comporterebbe un risparmio di 3,7 milioni, solo l’uno per mille dei finanziamenti agli enti. Ancora, a parte i rischi di sovrapposizioni con il Miur e di «scassare» enti scientifici di eccellenza, nel modello tedesco cui si ispira il ministro Profumo il mondo della ricerca è completamente autonomo e sganciato dalla politica. Da noi tutte le nomine sono governative. Infine, sul progetto pende una spada di Damocle: la legge di stabilità non dovrebbe contenere riforme ordinamentali. Tantomeno una riforma così complessa, e da varare entro così pochi giorni.
La Stampa 16.10.12
"L’Agenzia spaziale si salva. Il super Cnr verso il naufragio", di Roberto Giovannini
Pare naufragare l’ambizioso progetto del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Francesco Profumo di unificare in una sorta di super-Cnr i 12 enti di ricerca nazionali. Per adesso non ancora definitivamente: dopo la levata di scudi da parte di tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, e la vera e propria rivolta dei diretti interessati, nelle bozze della Legge di Stabilità lo schema che aveva per titolo «razionalizzazione del sistema della ricerca» esce completamente stravolto. Dunque, niente più accorpamento dei dodici enti scientifici oggi vigilati dal Miur (dall’Agenzia Spaziale Italiana all’Istituto di Fisica Nucleare fino agli istituti di astrofisica, geofisica e vulcanologia, in un «Centro Nazionale delle Ricerche». Una superstruttura affiancata da due nuove Agenzie che si sarebbero occupate rispettivamente di trasferimento di tecnologie e di finanziamento della ricerca. Dopo le prime indiscrezioni, sono bastati pochi giorni per suggerire al governo di modificare il progetto. Nella nuova stesura si prevede che presso il Ministero sia istituita una consulta formata dai presidenti dei 12 enti di ricerca coinvolti, coordinata dal presidente del Cnr Luigi Nicolais. Questa consulta dovrà proporre al Miur una revisione generale del sistema della ricerca entro il 31 gennaio 2013, ispirata a criteri di risparmio e di «governance unitaria e più efficace». Confermata. invece. l’istituzione dell’abilitazione scientifica unica nazionale, requisito per accedere a tutti i profili dei ricercatori e tecnologi degli enti pubblici di ricerca.
Ma non è affatto detto che anche in questa chiave più «concertativa» (tutti i presidenti degli enti erano insorti come un sol uomo contro il SuperCnr, progetto di cui non erano stati neanche informati) la riforma degli enti di ricerca possa andare in porto. Una prima ragione è politica: contro la riforma Profumo si sono schierati tutti i partiti. Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Pdl, parla di «intento sbagliato, antieconomico e da delirio di onnipotenza». «Proposta inaccettabile», tuona il capo dei deputati azzurri Fabrizio Cicchitto. Stesse perplessità da Pier Luigi Bersani, leader del Pd. E anche l’Italia dei Valori, con Maurizio Zipponi, ha parlato di «follia».
Un secondo problema è economico: a leggere gli stessi conti del governo, l’operazione comporterebbe un risparmio di 3,7 milioni, solo l’uno per mille dei finanziamenti agli enti. Ancora, a parte i rischi di sovrapposizioni con il Miur e di «scassare» enti scientifici di eccellenza, nel modello tedesco cui si ispira il ministro Profumo il mondo della ricerca è completamente autonomo e sganciato dalla politica. Da noi tutte le nomine sono governative. Infine, sul progetto pende una spada di Damocle: la legge di stabilità non dovrebbe contenere riforme ordinamentali. Tantomeno una riforma così complessa, e da varare entro così pochi giorni.
La Stampa 16.10.12
"Registri on line? Rinviati, costano troppo", di Arturo Colombo
I registri on line possono aspettare, troppo complessa e forse anche troppo costosa la procedura per attivarli fin da quest’anno scolastico. E poi ci vuole un personal computer in ogni aula, e al momento non sono moltissime a disporne. Entro il 5 ottobre doveva uscire il piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, ossia per l’eliminazione dei documenti cartacei a favore di quelli elettronici, così prescrive l’art. 7, comma 27, del decreto legge n. 95 del 2012 sulla Spending review, ed è invece uscita una semplice circolare del Miur, dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse (prot. n. 1682 del 3 ottobre scorso).
Essa si limita a elencare i processi interessati (iscrizioni e registri on line; pagella e comunicazioni ad alunni e famiglie in formato elettronico) e a tranquillizzare le scuole in fibrillazione e incerte sul da farsi, ad esempio, sui registri dei docenti: «L’anno scolastico appena iniziato – afferma il capo del dipartimento Giovanni Biondi – rappresenta un periodo di transizione durante il quale le scuole dovranno attivarsi per realizzare al meglio il cambiamento». La circolare prosegue ricordando d’avere formalizzato un accordo «aperto a tutti i fornitori che volessero aderirvi, per la gestione delle attività delle segreterie amministrative e didattiche delle scuole», onde garantire la trasferibilità verso il sistema informativo centrale dei dati generati dalle applicazioni utilizzate. Il piano del ministero, se così si può definire, sembrerebbe consistere in questo, lasciare libere le scuole di acquistare i software necessari presso le ditte che hanno aderito all’iniziativa ministeriale, purché le applicazioni siano sempre in grado di colloquiare con il sistema informativo del ministero e siano costantemente aggiornate dalla ditte aderenti. Per il registro on line occorre poi che ogni aula sia dotata di computer collegato con il sistema informativo. Per questo il ministero, riconoscendo che non tutte le aule ne sono provviste, informa che intende fornire un personal computer alle scuole secondarie di primo e secondo grado, quelle che ne facciano richiesta con una procedura, ovviamente on line, definita in un secondo tempo. Vengono inspiegabilmente escluse le primarie, come se la dematerializzazione non fosse un obbligo di legge anche per loro e anche per le secondarie che non richiedano i personal computer. «È inoltre in fase di definizione e sviluppo la gestione dematerializzata di tutta la documentazione delle segreterie scolastiche e a tal fine si stanno approntando delle applicazioni che consentiranno la completa dematerializzazione della documentazione amministrativa sia presso le segreterie scolastiche, sia presso l’Amministrazione Centrale e periferica del Ministero». Un’indiretta conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che la dematerializzazione è solo in fieri. Forse il ministero non poteva fare di più, giacché la Spending review messa a punto dal commissario straordinario, Enrico Bondi, dispone anche l’invarianza della spesa (comma 31 dell’art. 7). Il fatto è che l’acquisto dei software rimane a carico delle scuole e non è detto che i costi non aumentino, se si devono richiedere maggiori prestazioni. Per restare all’esempio dei registri, materia al momento la più urgente visto che in molte scuole gli insegnanti non ne sono ancora in possesso e scrivono voti e annotazioni su foglietti volanti, uno dei requisiti è che i dati, una volta inseriti a sistema, non siano più modificabili o che lo siano, in caso di errore, solo attraverso una procedura che lasci traccia dei passaggi seguiti. E se, per risparmiare, le scuole pensano di ricorrere al registro elettronico, a ciò ambiguamente indotti dalla stessa circolare ministeriale, bisogna che sappiano anche che questa modalità (scrivere su foglio elettronico voti e annotazioni, e basta) non ha le stesse caratteristiche del registro on line, che presuppone invece un collegamento con il sistema informativo. Spesso poi il registro elettronico non garantisce l’immodificabilità dei dati inseriti, la tutela della privacy e soprattutto la loro autenticità e non consente nemmeno di realizzare risparmi, se prima o poi verrà stampato: non si saranno spesi soldi dal fornitore di registri tradizionali, in compenso se ne saranno spesi dal cartolaio per carta pregiata per fotocopie, inchiostro e il necessario per la rilegatura, senza contare l’usura delle macchine. Meglio allora comprare a costi contenuti i tradizionali registri cartacei. Nessuno potrà obiettare nulla, questo è un anno di transizione.
da ItaliaOggi 16.10.12
"Registri on line? Rinviati, costano troppo", di Arturo Colombo
I registri on line possono aspettare, troppo complessa e forse anche troppo costosa la procedura per attivarli fin da quest’anno scolastico. E poi ci vuole un personal computer in ogni aula, e al momento non sono moltissime a disporne. Entro il 5 ottobre doveva uscire il piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, ossia per l’eliminazione dei documenti cartacei a favore di quelli elettronici, così prescrive l’art. 7, comma 27, del decreto legge n. 95 del 2012 sulla Spending review, ed è invece uscita una semplice circolare del Miur, dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse (prot. n. 1682 del 3 ottobre scorso).
Essa si limita a elencare i processi interessati (iscrizioni e registri on line; pagella e comunicazioni ad alunni e famiglie in formato elettronico) e a tranquillizzare le scuole in fibrillazione e incerte sul da farsi, ad esempio, sui registri dei docenti: «L’anno scolastico appena iniziato – afferma il capo del dipartimento Giovanni Biondi – rappresenta un periodo di transizione durante il quale le scuole dovranno attivarsi per realizzare al meglio il cambiamento». La circolare prosegue ricordando d’avere formalizzato un accordo «aperto a tutti i fornitori che volessero aderirvi, per la gestione delle attività delle segreterie amministrative e didattiche delle scuole», onde garantire la trasferibilità verso il sistema informativo centrale dei dati generati dalle applicazioni utilizzate. Il piano del ministero, se così si può definire, sembrerebbe consistere in questo, lasciare libere le scuole di acquistare i software necessari presso le ditte che hanno aderito all’iniziativa ministeriale, purché le applicazioni siano sempre in grado di colloquiare con il sistema informativo del ministero e siano costantemente aggiornate dalla ditte aderenti. Per il registro on line occorre poi che ogni aula sia dotata di computer collegato con il sistema informativo. Per questo il ministero, riconoscendo che non tutte le aule ne sono provviste, informa che intende fornire un personal computer alle scuole secondarie di primo e secondo grado, quelle che ne facciano richiesta con una procedura, ovviamente on line, definita in un secondo tempo. Vengono inspiegabilmente escluse le primarie, come se la dematerializzazione non fosse un obbligo di legge anche per loro e anche per le secondarie che non richiedano i personal computer. «È inoltre in fase di definizione e sviluppo la gestione dematerializzata di tutta la documentazione delle segreterie scolastiche e a tal fine si stanno approntando delle applicazioni che consentiranno la completa dematerializzazione della documentazione amministrativa sia presso le segreterie scolastiche, sia presso l’Amministrazione Centrale e periferica del Ministero». Un’indiretta conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che la dematerializzazione è solo in fieri. Forse il ministero non poteva fare di più, giacché la Spending review messa a punto dal commissario straordinario, Enrico Bondi, dispone anche l’invarianza della spesa (comma 31 dell’art. 7). Il fatto è che l’acquisto dei software rimane a carico delle scuole e non è detto che i costi non aumentino, se si devono richiedere maggiori prestazioni. Per restare all’esempio dei registri, materia al momento la più urgente visto che in molte scuole gli insegnanti non ne sono ancora in possesso e scrivono voti e annotazioni su foglietti volanti, uno dei requisiti è che i dati, una volta inseriti a sistema, non siano più modificabili o che lo siano, in caso di errore, solo attraverso una procedura che lasci traccia dei passaggi seguiti. E se, per risparmiare, le scuole pensano di ricorrere al registro elettronico, a ciò ambiguamente indotti dalla stessa circolare ministeriale, bisogna che sappiano anche che questa modalità (scrivere su foglio elettronico voti e annotazioni, e basta) non ha le stesse caratteristiche del registro on line, che presuppone invece un collegamento con il sistema informativo. Spesso poi il registro elettronico non garantisce l’immodificabilità dei dati inseriti, la tutela della privacy e soprattutto la loro autenticità e non consente nemmeno di realizzare risparmi, se prima o poi verrà stampato: non si saranno spesi soldi dal fornitore di registri tradizionali, in compenso se ne saranno spesi dal cartolaio per carta pregiata per fotocopie, inchiostro e il necessario per la rilegatura, senza contare l’usura delle macchine. Meglio allora comprare a costi contenuti i tradizionali registri cartacei. Nessuno potrà obiettare nulla, questo è un anno di transizione.
da ItaliaOggi 16.10.12
"Mezzo milione di posti in meno e record della Cig nell'industria", di Massimo Franchi
La Cgil scalda i motori in vista della manifestazione di sabato. I preparativi per il ritorno a piazza San Giovanni si intersecano con una settimana molto delicata dominata dalla trattativa imprese-sindacati sulla produttività. Ieri, da Bolzano, Susanna Camusso ha ribadito che «stiamo ancora discutendo ma non siamo ancora nelle condizioni di raggiungere un accordo», mentre questa mattina riunirà i segretari di federazione e territoriali proprio per discutere del tema e dell’impegno in vista di sabato. Al centro della manifestazione ci saranno le crisi aziendali e i dati che la Cgil sta elaborando in questi giorni tinteggiano con note ancora più fosche un quadro già tetro. Analizzando in profondità il settore industriale, si scoprono infatti i segni di una crisi che è precedente a quella mondiale e che sta trasformando il Dna manifatturiero del nostro Paese. Elaborando i dati seriali sulla Cassa integrazione e occupazione, si scopre infatti che dal 2008 il settore industriale ha perso il 6,18 per cento, circa 500mila posti di lavoro, con Regioni però in cui la percentuale raddoppia, come in Campania (-19,68%) e Toscana (-15,91%). Contemporaneamente è esplosa la Cassa integrazione (+281,22% dal 2008) e il combinato disposto ha fatto aumentare l’incidenza della Cig sugli addetti “sopravissuti”: le ore di cassa del solo settore industriale sono passate dalle 36 per addetto del 2008 alle 151 del 2011, per un incredibile più 319,44%. Una situazione così sconfortante si può riassumere in un dato che colpisce: è come dire che ogni addetto del settore industriale ha lavorato un mese in meno ogni anno dal 2009 ad oggi. Ma, anche qui, la situazione è diversificata sul territorio e molto più grave al Sud, con Lazio e Sardegna incluse. «Il quadro che viene fuori spiega Salvatore Barone, coordinatore del dipartimento Industria della Cgil è che la crisi globale ha inciso su una situazione già strutturalmente grave in cui da anni non si investiva più, non si faceva più innovazione di prodotto. La nostra produzione industriale è tornata ai livelli degli anni ‘90, con un meno 17 per cento dall’inizio della crisi, mentre nella classifica mondiale del volume manifatturiero prodotto siamo scivolati dal quinto all’ottavo posto, mentre gli investimenti fissi lordi dei privati sono calati del 24 per cento, a conferma che sulla frontiera dell’innovazione stiamo perdendo sempre più colpi», conclude Barone. Logico quindi che la Cgil chieda al governo un impegno concreto per rilanciare una politica industriale e la cronaca dei tavoli industriali è lì a confermarlo. Oggi è in programma un incontro tra la Outokumpo, i finlandesi che vogliono chiudere le acciaierie di Thyssen di Terni, e il ministro Passera. I sindacati (che questa mattina terranno una conference callcon l’Antitrust europea) però contestano il fatto che proprio il silenzio del governo italiano, di contralto all’attivismo del governo tedesco, abbia convinto i finlandesi a cambiare idea: inizialmente volevano chiudere due impianti in Germania, ora puntano invece a di-smettere Terni. Per questo i sindacati chiedono a Passera un incontro, per ora non accordato. Notizie migliori invece si attendono invece per la vicenda della Vynils di Porto Marghera: lo stabilimento dovrebbe essere rilevato dall’Oleificio Medio Piave, che vorrebbe produrre lì mangimi e oli vegetali per biodisel.
LE SETTE PROPOSTE DELLA CGIL Tornando alla manifestazione di sabato “Il lavoro prima di tutto”, ieri sono arrivate notizie aggiornate sul programma. Come anticipato la scorsa settimana, in piazza San Giovanni ci saranno una trentina di stand che comporranno il “villaggio del lavoro”: venti stand regionali dove saranno rappresentate le aziende in crisi dei diversi territori, più una dozzina di stand delle federazioni di categoria che illustreranno le diverse crisi dei settori di riferimento. Sul palco si alterneranno delegati, attori, lavoratori e lavoratrici, giovani, musicisti. Molti gli interventi di gruppi musicali: P-funking band, Noarrembì, Casa del vento, Peppe Voltarelli, Tosca, Enzo Avitabile & Bottari, Eugenio Finardi. Presentatore della manifestazione sarà Rolando Ravello. Susanna Camusso terrà il suo intervento dalle ore 16. Al centro del suo discorso ci saranno le proposte che il sindacato di Corso Italia vuole riportare all’attenzione del Paese e della politica, convinta che sia necesario cambiare da subito l’agenda Monti. Sette proposte che vanno da una politica industriale che punti sull’innovazione dell’industria e ai servizi assicurando gli investimenti necessari, alla detassazione della tredicesima per sostenere i consumi delle famiglie; dalla proroga di almeno un anno dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, al rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga con particolare attenzione ai precari; dalla soluzione strutturale per la vergogna esodati e un uguale sistema di pensionamento per lavoratori pubblici e privati inesubero, ad un intervento straordinario per favorire l’occupazione giovanile e femminile; infine, all’allentamento del Patto di stabilità per consentire ai Comuni di dare corso alle opere infrastrutturali finanziabili.
L’Unità 16.10.12
"Mezzo milione di posti in meno e record della Cig nell'industria", di Massimo Franchi
La Cgil scalda i motori in vista della manifestazione di sabato. I preparativi per il ritorno a piazza San Giovanni si intersecano con una settimana molto delicata dominata dalla trattativa imprese-sindacati sulla produttività. Ieri, da Bolzano, Susanna Camusso ha ribadito che «stiamo ancora discutendo ma non siamo ancora nelle condizioni di raggiungere un accordo», mentre questa mattina riunirà i segretari di federazione e territoriali proprio per discutere del tema e dell’impegno in vista di sabato. Al centro della manifestazione ci saranno le crisi aziendali e i dati che la Cgil sta elaborando in questi giorni tinteggiano con note ancora più fosche un quadro già tetro. Analizzando in profondità il settore industriale, si scoprono infatti i segni di una crisi che è precedente a quella mondiale e che sta trasformando il Dna manifatturiero del nostro Paese. Elaborando i dati seriali sulla Cassa integrazione e occupazione, si scopre infatti che dal 2008 il settore industriale ha perso il 6,18 per cento, circa 500mila posti di lavoro, con Regioni però in cui la percentuale raddoppia, come in Campania (-19,68%) e Toscana (-15,91%). Contemporaneamente è esplosa la Cassa integrazione (+281,22% dal 2008) e il combinato disposto ha fatto aumentare l’incidenza della Cig sugli addetti “sopravissuti”: le ore di cassa del solo settore industriale sono passate dalle 36 per addetto del 2008 alle 151 del 2011, per un incredibile più 319,44%. Una situazione così sconfortante si può riassumere in un dato che colpisce: è come dire che ogni addetto del settore industriale ha lavorato un mese in meno ogni anno dal 2009 ad oggi. Ma, anche qui, la situazione è diversificata sul territorio e molto più grave al Sud, con Lazio e Sardegna incluse. «Il quadro che viene fuori spiega Salvatore Barone, coordinatore del dipartimento Industria della Cgil è che la crisi globale ha inciso su una situazione già strutturalmente grave in cui da anni non si investiva più, non si faceva più innovazione di prodotto. La nostra produzione industriale è tornata ai livelli degli anni ‘90, con un meno 17 per cento dall’inizio della crisi, mentre nella classifica mondiale del volume manifatturiero prodotto siamo scivolati dal quinto all’ottavo posto, mentre gli investimenti fissi lordi dei privati sono calati del 24 per cento, a conferma che sulla frontiera dell’innovazione stiamo perdendo sempre più colpi», conclude Barone. Logico quindi che la Cgil chieda al governo un impegno concreto per rilanciare una politica industriale e la cronaca dei tavoli industriali è lì a confermarlo. Oggi è in programma un incontro tra la Outokumpo, i finlandesi che vogliono chiudere le acciaierie di Thyssen di Terni, e il ministro Passera. I sindacati (che questa mattina terranno una conference callcon l’Antitrust europea) però contestano il fatto che proprio il silenzio del governo italiano, di contralto all’attivismo del governo tedesco, abbia convinto i finlandesi a cambiare idea: inizialmente volevano chiudere due impianti in Germania, ora puntano invece a di-smettere Terni. Per questo i sindacati chiedono a Passera un incontro, per ora non accordato. Notizie migliori invece si attendono invece per la vicenda della Vynils di Porto Marghera: lo stabilimento dovrebbe essere rilevato dall’Oleificio Medio Piave, che vorrebbe produrre lì mangimi e oli vegetali per biodisel.
LE SETTE PROPOSTE DELLA CGIL Tornando alla manifestazione di sabato “Il lavoro prima di tutto”, ieri sono arrivate notizie aggiornate sul programma. Come anticipato la scorsa settimana, in piazza San Giovanni ci saranno una trentina di stand che comporranno il “villaggio del lavoro”: venti stand regionali dove saranno rappresentate le aziende in crisi dei diversi territori, più una dozzina di stand delle federazioni di categoria che illustreranno le diverse crisi dei settori di riferimento. Sul palco si alterneranno delegati, attori, lavoratori e lavoratrici, giovani, musicisti. Molti gli interventi di gruppi musicali: P-funking band, Noarrembì, Casa del vento, Peppe Voltarelli, Tosca, Enzo Avitabile & Bottari, Eugenio Finardi. Presentatore della manifestazione sarà Rolando Ravello. Susanna Camusso terrà il suo intervento dalle ore 16. Al centro del suo discorso ci saranno le proposte che il sindacato di Corso Italia vuole riportare all’attenzione del Paese e della politica, convinta che sia necesario cambiare da subito l’agenda Monti. Sette proposte che vanno da una politica industriale che punti sull’innovazione dell’industria e ai servizi assicurando gli investimenti necessari, alla detassazione della tredicesima per sostenere i consumi delle famiglie; dalla proroga di almeno un anno dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, al rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga con particolare attenzione ai precari; dalla soluzione strutturale per la vergogna esodati e un uguale sistema di pensionamento per lavoratori pubblici e privati inesubero, ad un intervento straordinario per favorire l’occupazione giovanile e femminile; infine, all’allentamento del Patto di stabilità per consentire ai Comuni di dare corso alle opere infrastrutturali finanziabili.
L’Unità 16.10.12