Quella che stiamo attraversando è una fase critica nello sviluppo del nostro sistema scolastico. Ci troviamo infatti di fronte a cambiamenti capaci di incidere profondamente. Autentiche «mutazioni» che riguardano, non solo il modo in cui la scuola esercita il proprio compito di educazione, ma la stessa interpretazione di tale compito. Molti di questi cambiamenti sono comuni al nostro sistema scolastico e a quelli di altri paesi industrializzati, in Europa e altrove. La motivazione degli allievi nei confronti dell’apprendimento è cambiata, la professione degli insegnanti ha perso molte delle caratteristiche che in altri momenti le avevano conferito credito sociale, le famiglie rivolgono alle scuole una domanda di educazione che non si limita alla sola trasmissione di una cultura organizzata, ma si estende ad aspetti (sia cognitivi, sia affettivi e di relazione) che hanno acquistato rilevanza nella vita sociale.
Il fatto è che le scuole si trovano a far fronte alle nuove esigenze in un contesto sempre più difficile. Ed è il modo in cui si affrontano le difficoltà che distingue le politiche scolastiche nei diversi paesi. In Italia si è affermato uno stile di intervento basato su fattori sincronici. Si lamenta il livello scadente dei risultati di apprendimento conseguiti dagli allievi, si compara la consistenza del personale docente rispetto a quella di altri sistemi scolastici, si rileva l’entità della spesa e così via. E, dal momento che per qualche aspetto può sembrare che le risorse non siano impegnate nel modo più opportuno, non si sa fare di meglio che tagliare la parte di spesa considerata eccessiva. A questi interventi, che complicano il funzionamento delle scuole, si affiancano annunci di modernizzazione che il più delle volte sono solo cascami di un senso comune. Non ci si preoccupa di capire i cambiamenti in atto e la complessità degli elementi che sono alla loro origine. Si fa riferimento a dati che non spiegano in che modo si sia giunti alla condizioni che si sta lamentando, e si prendono provvedimenti che in molti casi non potranno che aggiungere nuove
difficoltà. Quel che si passa sotto silenzio è che la crisi del sistema scolastico non può essere affrontata in mancanza di un disegno d’insieme, a tracciare il quale concorrano sia specifiche conoscenze che derivino da un impegno prolungato nella ricerca, sia la definizione di intenti capaci di riconfigurare il rapporto tra la scuola e la società. In pratica, ciò equivale ad affermare che per uscire dalla crisi c’è bisogno di elaborare una politica scolastica. È ciò che non si fa in Italia, ma è ciò che si sta facendo altrove. L’esempio più recente è quello offerto dalla Francia. Da alcuni mesi, da quando Hollande si è insediato alla presidenza della Repubblica, ha avuto inizio un percorso che si propone di condurre a una vera e propria rifondazione della scuola della Repubblica. Il confronto che si è avviato non si limita a osservare che c’è una frazione consistente degli allievi che si colloca al di sotto dei livelli medi risultanti dalle rilevazioni periodiche dell’Ocse. In Francia, nel primo decennio del secolo, si è assistito ad un fenomeno non troppo diverso da quello che si è verificato anche in Italia, e cioè alla crescita dell’intervallo che, dal punto di vista qualitativo, separa gli allievi delle classi popolari da quelli appartenenti a strati sociali di livello superiore. Il problema che il sistema scolastico francese si trova ad affrontare è di ricreare le condizioni di una scuola della Repubblica, e cioè che si ponga l’educazione a fondamento dei rapporti sociali, assicurando le medesime opportunità di fruire del patrimonio culturale e di partecipare alla vita politica a tutti i cittadini.
Sono cinque le condizioni considerate indispensabili per dar vita alla nuova scuola, più giusta e più efficace. In qualche caso, non si tratta di novità in senso assoluto (per esempio, non mancano echi delle linee di politica scolastica della presidenza Kennedy), ma complessivamente il disegno configura una vera e propria rivoluzione: 1) occorre promuovere una forte integrazione sociale all’interno delle classi e delle scuole, nonché degli indirizzi di studio; 2) l’educazione deve essere il risultato di un impegno che coinvolge le scuole e le famiglie, ed al quale concorrano quanti sono in grado di fornire contributi utili (questa condizione è considerata il punto di forza delle scuole pubbliche rispetto a quelle private); 3) le scelte relative a indirizzi di studio che comportano una differenziazione dei percorsi debbono essere effettuate quando gli allievi sono effettivamente in grado di compierle; 4) c’è bisogno di migliorare le condizioni di continuità nel percorso educativo che investe il complesso della popolazione (è un impegno, questo, che richiede l’acquisizione da parte degli insegnanti di competenze particolarmente complesse; 5) è indispensabile rivedere l’intero sistema della formazione degli insegnanti e le condizioni per l’accesso alla professione. Le prime decisioni (come quelle relative alla valutazione e al reclutamento di nuovo personale) sembrano indicare che dalla enunciazione delle linee della nuova politica scolastica si è già passati alla sua attuazione. Sarà interessante seguire i passi successivi.
L’Unità 06.10.12
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"Il Pd oltre le primarie", di Adriano Sofri
Ignorando per un momento la vertenza sul regolamento delle primarie, vorrei dire perché la situazione non potrebbe essere più favorevole al Pd. La premessa è che il tracollo del centrodestra, Lega e Pdl, è il regalo insperato che insipienza, volgarità e ingordigia dei nuovi ricchi del governo e del sottogoverno hanno fatto al Pd, che non vi ha avuto un gran merito. Oltretutto la Lega aveva occupato lo spazio del rancore xenofobo e razzista. Così che il suo sprofondamento lo indirizza, non in una dichiarata estrema destra, ma nella reazione antipolitica, elettoralista o astensionista. Il Pd può essere il beneficiario di questo passaggio insieme drammatico e buffonesco, e può anche esserne travolto. Ci sono moltissime ragioni di delusione nei confronti del Pd, della sua deliberata confusione e della sua inefficacia; ma è infantile o vanesio non vederne la differenza dalla maggioranza berlusconista, anche dentro la grottesca necessità del sostegno comune al governo Monti. Chi veda lo scandalo di una crisi che esaspera le disuguaglianze ed espropria la politica democratica deve scegliere se confidare esclusivamente nei tempi lunghissimi della costruzione minoritaria di una conversione sociale ed ecologica, dando per indifferente un’alternativa di governo vicina, o se riconoscere nella vittoria del Pd una condizione più favorevole alla difesa del lavoro e degli impoveriti, al rovesciamento del ricatto finanziario e a un europeismo e un internazionalismo dei diritti. Nel secondo caso la sorte del Pd ha un’importanza determinante. Perché dunque mi pare che la situazione non potrebbe essere più favorevole per il Pd? Perché le circostanze, abbastanza fortuitamente, hanno fatto sì che nelle primarie si giochi una posta essenziale. I suoi protagonisti, Bersani e Renzi (Vendola ha una grande responsabilità, ma è fuori dal Pd), hanno finito per incarnare un dilemma cruciale del nostro tempo. Renzi lo immagina e lo fa immaginare come un tempo novissimo. Bersani lo immagina e lo fa immaginare come un tempo di trasformazione. Renzi non è candidato di programmi, troppo affini a una linea politica, troppo affine a sua volta a parole come destra e sinistra, perché la sua offerta viene prima dei programmi: è il “tutti a casa”, il ricominciare daccapo, la definizione di sé secondo “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. La sua idea forte è che la politica vigente, anche quella non compromessa col malaffare, sia ancora dentro il Novecento, e non abbia capito quanto il mondo e i suoi linguaggi siano nuovi. È un’idea nient’affatto distante da quella che sventola il movimento 5 stelle, salvo che Renzi la trasferisce dentro il Pd, di cui ha sperimentato la debolissima resistenza agli assalti (un suicidio collettivo di vecchie volpi nel caso delle primarie per Firenze) e il credito e il seguito residuo che può dare. Il giovanilismo di Renzi sarebbe poco attraente se non coincidesse con il rigetto popolare e populista verso un’intera classe dirigente, e con l’impazienza verso i partiti storici. Oltretutto, nel Pd, benché abbia le ali impiombate dai notabili, un ricambio di generazione si compie, e non solo di facciata: nella Toscana di Renzi molti dirigenti del Pd sono più giovani di lui. Renzi gioca a modo suo la carta di un entrismo, perché l’entrismo storico (la tattica di stare dentro i partiti comunisti per condizionarli dissimulando la propria eterodossia) era il colmo della dedizione ideologica, mentre Renzi è per così dire il colmo del disinteresse per l’ideologia, che può voler dire della spregiudicatezza senza principii o di un eclettismo pragmatista. All’obiezione: con quale competenza starai di fronte ai capi delle potenze internazionali, Renzi può rispondere con un’alzata di spalle. La competenza ho il tempo di farmela. Se non fosse che il mondo è terribilmente cambiato, e così in fretta, e sempre più in fretta vada cambiando sotto il nostro naso raffreddato, si potrebbe concludere che Renzi propone una variante dell’antica tabula rasa, della piazza pulita (termini in voga nelle nostre arene) che fondava le rivoluzioni. A essere un po’ cattivi, una tabula rasa “per le dame”. E però Renzi non ha a che fare con Berlusconi, e il paragone è visceralmente sentito ma del tutto insussistente, e quando dichiara che il primo rottamato da lui sarebbe Berlusconi, Renzi non fa solo una battuta per respingerne il furbo corteggiamento, dice una cosa vera. Renzi non è miliardario, non è vecchio, non è arrapatissimo: è il portabandiera estemporaneo dell’idea diffusa che bisogni liberarsi di ogni arretrato e riguardare la realtà con occhi nuovi e ingenui. Non è un leader carismatico e non ci prova, non è un profeta-buffone: è un ragazzo svelto, e la sua idea di modernità mira alla velocità. Non è detto che sveltezza e velocità coincidano, non è detto nemmeno che più veloce sia di per sé più buono. Col che siamo a Bersani.
È curioso che l’improntitudine di Renzi abbia sigillato la sfida con Bersani dentro una doppia terminologia automobilistica, la rottamazione contro l’usato sicuro, in un’epoca in cui l’automobile va in rimessa. Nemmeno Bersani è un leader carismatico, e lo sa fin troppo: a furia di rinfacciarglielo gli avevano messo addosso un po’ di complesso da “figlio della serva”, poi è arrivato Crozza e gliel’ha tolto. Raro caso in cui un comico ha dato molto a un politico, e il politico ha restituito moltissimo a un comico. Che i due contendenti non siano “carismatici” è affare di cui congratularsi, dopo la sbornia. Bersani è appunto affidabile, sa che cosa significhi amministrare e governare, ha una sensibilità sociale incomparabile con quella del suo rivale. Ma non sarà questo a decidere. L’offerta di Bersani si è fatta molto più chiara grazie alla sfida di Renzi. La dico con le parole che mi sembrarono decisive al momento di congedarsi dal sogno della palingenesi politica: qualunque cimento intraprendessimo, da allora in poi, non avremmo avuto altra eredità cui affidarci se non quel nostro (e di tanti altri prima di noi) passato esausto. Non il poetico “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, la cui incertezza Renzi ha mutato in baldanza e buttato in politica, ma quello stesso pensiero con l’aggiunta di un minuscolo avverbio di tempo: più.
Ciò che non siamo più, ciò che non vogliamo più. Non voglio chiudere Bersani nelle mie parolette, ma il vero senso della sua candidatura mi pare consistere di quello: c’è un passato che si è ereditato e cui si è appartenuti, benché non al punto di finirne ostaggi, e la distanza presa da quel passato è un criterio prezioso per misurarsi col futuro. L’usato sicuro dice male questa condizione, ne fa una rassicurazione moderata e intimidita. Al contrario, essa ha bisogno di radicalità almeno quanto la scommessa di ripartire da zero. Vincendo chiaramente le primarie aperte, Bersani avrebbe le mani molto più libere per compiere lo svecchiamento e il rinnovamento indispensabili, senza cedere alla demagogia. La questione del governo tornerebbe nel campo della politica elettiva, e al tempo stesso si limiterebbe la distorsione delle elezioni verso la vendetta antipolitica e la lotteria degli aspiranti. I cambiamenti avverranno, sono già avvenuti, spettacolosi. Ma non c’è ingenuità in politica che rifaccia il mondo. È la storia di Mani pulite, ma soprattutto dell’ecologismo e del femminismo: cioè dei punti di vista che più di tutti avrebbero richiesto una rottura antropologica. I candidati principali alle primarie sono maschi. Anche qui si può immaginare una differenza fra chi non è più maschilista –piuttosto: si sforza di non esserlo più– e chi crede di non esserlo mai stato, di essere venuto dopo l’invenzione dei vaccini. E ancora, fidarsi di più di un antinuclearista di sempre, o di un nuclearista pentito? Il fatto è che la storia del genere umano è andata avanti così a lungo, così generosamente e così ottusamente, in una direzione, che non esiste un solo campo in cui un acquisto non abbia bisogno di un passo indietro, una nuova strada non sia anche la retrocessione da un vicolo cieco. Insomma, le primarie per la candidatura sono una vera scelta fra i modi possibili di trattare la cosa pubblica e la scritta che corre sul suo imballaggio: Fragile.
La Repubblica 06.10.12
"Il Pd oltre le primarie", di Adriano Sofri
Ignorando per un momento la vertenza sul regolamento delle primarie, vorrei dire perché la situazione non potrebbe essere più favorevole al Pd. La premessa è che il tracollo del centrodestra, Lega e Pdl, è il regalo insperato che insipienza, volgarità e ingordigia dei nuovi ricchi del governo e del sottogoverno hanno fatto al Pd, che non vi ha avuto un gran merito. Oltretutto la Lega aveva occupato lo spazio del rancore xenofobo e razzista. Così che il suo sprofondamento lo indirizza, non in una dichiarata estrema destra, ma nella reazione antipolitica, elettoralista o astensionista. Il Pd può essere il beneficiario di questo passaggio insieme drammatico e buffonesco, e può anche esserne travolto. Ci sono moltissime ragioni di delusione nei confronti del Pd, della sua deliberata confusione e della sua inefficacia; ma è infantile o vanesio non vederne la differenza dalla maggioranza berlusconista, anche dentro la grottesca necessità del sostegno comune al governo Monti. Chi veda lo scandalo di una crisi che esaspera le disuguaglianze ed espropria la politica democratica deve scegliere se confidare esclusivamente nei tempi lunghissimi della costruzione minoritaria di una conversione sociale ed ecologica, dando per indifferente un’alternativa di governo vicina, o se riconoscere nella vittoria del Pd una condizione più favorevole alla difesa del lavoro e degli impoveriti, al rovesciamento del ricatto finanziario e a un europeismo e un internazionalismo dei diritti. Nel secondo caso la sorte del Pd ha un’importanza determinante. Perché dunque mi pare che la situazione non potrebbe essere più favorevole per il Pd? Perché le circostanze, abbastanza fortuitamente, hanno fatto sì che nelle primarie si giochi una posta essenziale. I suoi protagonisti, Bersani e Renzi (Vendola ha una grande responsabilità, ma è fuori dal Pd), hanno finito per incarnare un dilemma cruciale del nostro tempo. Renzi lo immagina e lo fa immaginare come un tempo novissimo. Bersani lo immagina e lo fa immaginare come un tempo di trasformazione. Renzi non è candidato di programmi, troppo affini a una linea politica, troppo affine a sua volta a parole come destra e sinistra, perché la sua offerta viene prima dei programmi: è il “tutti a casa”, il ricominciare daccapo, la definizione di sé secondo “quel che non siamo, quel che non vogliamo”. La sua idea forte è che la politica vigente, anche quella non compromessa col malaffare, sia ancora dentro il Novecento, e non abbia capito quanto il mondo e i suoi linguaggi siano nuovi. È un’idea nient’affatto distante da quella che sventola il movimento 5 stelle, salvo che Renzi la trasferisce dentro il Pd, di cui ha sperimentato la debolissima resistenza agli assalti (un suicidio collettivo di vecchie volpi nel caso delle primarie per Firenze) e il credito e il seguito residuo che può dare. Il giovanilismo di Renzi sarebbe poco attraente se non coincidesse con il rigetto popolare e populista verso un’intera classe dirigente, e con l’impazienza verso i partiti storici. Oltretutto, nel Pd, benché abbia le ali impiombate dai notabili, un ricambio di generazione si compie, e non solo di facciata: nella Toscana di Renzi molti dirigenti del Pd sono più giovani di lui. Renzi gioca a modo suo la carta di un entrismo, perché l’entrismo storico (la tattica di stare dentro i partiti comunisti per condizionarli dissimulando la propria eterodossia) era il colmo della dedizione ideologica, mentre Renzi è per così dire il colmo del disinteresse per l’ideologia, che può voler dire della spregiudicatezza senza principii o di un eclettismo pragmatista. All’obiezione: con quale competenza starai di fronte ai capi delle potenze internazionali, Renzi può rispondere con un’alzata di spalle. La competenza ho il tempo di farmela. Se non fosse che il mondo è terribilmente cambiato, e così in fretta, e sempre più in fretta vada cambiando sotto il nostro naso raffreddato, si potrebbe concludere che Renzi propone una variante dell’antica tabula rasa, della piazza pulita (termini in voga nelle nostre arene) che fondava le rivoluzioni. A essere un po’ cattivi, una tabula rasa “per le dame”. E però Renzi non ha a che fare con Berlusconi, e il paragone è visceralmente sentito ma del tutto insussistente, e quando dichiara che il primo rottamato da lui sarebbe Berlusconi, Renzi non fa solo una battuta per respingerne il furbo corteggiamento, dice una cosa vera. Renzi non è miliardario, non è vecchio, non è arrapatissimo: è il portabandiera estemporaneo dell’idea diffusa che bisogni liberarsi di ogni arretrato e riguardare la realtà con occhi nuovi e ingenui. Non è un leader carismatico e non ci prova, non è un profeta-buffone: è un ragazzo svelto, e la sua idea di modernità mira alla velocità. Non è detto che sveltezza e velocità coincidano, non è detto nemmeno che più veloce sia di per sé più buono. Col che siamo a Bersani.
È curioso che l’improntitudine di Renzi abbia sigillato la sfida con Bersani dentro una doppia terminologia automobilistica, la rottamazione contro l’usato sicuro, in un’epoca in cui l’automobile va in rimessa. Nemmeno Bersani è un leader carismatico, e lo sa fin troppo: a furia di rinfacciarglielo gli avevano messo addosso un po’ di complesso da “figlio della serva”, poi è arrivato Crozza e gliel’ha tolto. Raro caso in cui un comico ha dato molto a un politico, e il politico ha restituito moltissimo a un comico. Che i due contendenti non siano “carismatici” è affare di cui congratularsi, dopo la sbornia. Bersani è appunto affidabile, sa che cosa significhi amministrare e governare, ha una sensibilità sociale incomparabile con quella del suo rivale. Ma non sarà questo a decidere. L’offerta di Bersani si è fatta molto più chiara grazie alla sfida di Renzi. La dico con le parole che mi sembrarono decisive al momento di congedarsi dal sogno della palingenesi politica: qualunque cimento intraprendessimo, da allora in poi, non avremmo avuto altra eredità cui affidarci se non quel nostro (e di tanti altri prima di noi) passato esausto. Non il poetico “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, la cui incertezza Renzi ha mutato in baldanza e buttato in politica, ma quello stesso pensiero con l’aggiunta di un minuscolo avverbio di tempo: più.
Ciò che non siamo più, ciò che non vogliamo più. Non voglio chiudere Bersani nelle mie parolette, ma il vero senso della sua candidatura mi pare consistere di quello: c’è un passato che si è ereditato e cui si è appartenuti, benché non al punto di finirne ostaggi, e la distanza presa da quel passato è un criterio prezioso per misurarsi col futuro. L’usato sicuro dice male questa condizione, ne fa una rassicurazione moderata e intimidita. Al contrario, essa ha bisogno di radicalità almeno quanto la scommessa di ripartire da zero. Vincendo chiaramente le primarie aperte, Bersani avrebbe le mani molto più libere per compiere lo svecchiamento e il rinnovamento indispensabili, senza cedere alla demagogia. La questione del governo tornerebbe nel campo della politica elettiva, e al tempo stesso si limiterebbe la distorsione delle elezioni verso la vendetta antipolitica e la lotteria degli aspiranti. I cambiamenti avverranno, sono già avvenuti, spettacolosi. Ma non c’è ingenuità in politica che rifaccia il mondo. È la storia di Mani pulite, ma soprattutto dell’ecologismo e del femminismo: cioè dei punti di vista che più di tutti avrebbero richiesto una rottura antropologica. I candidati principali alle primarie sono maschi. Anche qui si può immaginare una differenza fra chi non è più maschilista –piuttosto: si sforza di non esserlo più– e chi crede di non esserlo mai stato, di essere venuto dopo l’invenzione dei vaccini. E ancora, fidarsi di più di un antinuclearista di sempre, o di un nuclearista pentito? Il fatto è che la storia del genere umano è andata avanti così a lungo, così generosamente e così ottusamente, in una direzione, che non esiste un solo campo in cui un acquisto non abbia bisogno di un passo indietro, una nuova strada non sia anche la retrocessione da un vicolo cieco. Insomma, le primarie per la candidatura sono una vera scelta fra i modi possibili di trattare la cosa pubblica e la scritta che corre sul suo imballaggio: Fragile.
La Repubblica 06.10.12
"Il Movimento Cultura e Scuola nasce dalla base. L’esigenza di una connessione fra politica e logica", di Giuseppe Grasso
È tempo di impegno e di mobilitazioni. Anche per il sistema della conoscenza. Il Comitato promotore del Movimento Cultura e Scuola, sorto dal seno del Comitato Civico “Quota 96”, ha provveduto a ratificare qualche giorno fa, nello studio di un noto avvocato romano, la nascita dello stesso, del quale è stato approvato un documento con il programma/manifesto in vista dell’ormai imminente costituzione in cui saranno eletti presidente e segretario politico (per il momento nulla è trapelato). Alla prossima riunione del Comitato verranno infatti sottoscritti l’atto costitutivo e lo statuto, operazioni a seguito delle quali saranno predisposte le relative schede di adesione.
Chi vivrà – come si dice – vedrà.
Intanto cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Il Movimento Cultura e Scuola, che ingloba più comparti della conoscenza, intende «puntare ai contenuti» e «dialogare con i partiti» – recita il programma/manifesto – «nel rispetto della propria autonomia». Se è vero che il sistema educativo e i giovani costituiscono la vera «ricchezza» del Paese, non è meno vero che questi due momenti della vita nazionale sono stati, fin qui, «troppo a lungo trascurati». Per questo alcuni rappresentanti della scuola e dell’Afam si sono ritrovati insieme, per dar vita a un movimento di pensiero dal profilo «moderno, rigoroso, alternativo». Non è loro intenzione – fanno sapere al MCS – fondare un partito ma contribuire a supportare un’azione riformatrice il cui obiettivo è la riqualificazione del sistema d’istruzione. «La società ci chiede uno slancio innovatore che provenga dalla base», si ribadisce nel documento programmatico, uno slancio che abbia la capacità di «dar fiducia ai disillusi» e di «realizzare argini appropriati contro ogni forma di iniquità». La politica deve capire, insomma, che «solo dalla base potrà scaturire un processo di rinnovamento generale». Un monito difficile da non condividere visti certi esempi tutt’altro che edificanti.
Partendo da alcuni «indicatori di sofferenza», quali la «crisi del prestigio» e la «depressione collettiva» di tutti i professionisti che operano in questo importante e variegato settore, il Comitato del movimento ha individuato un significativo «principio» ispiratore: la democrazia dovrà dipendere, d’ora in avanti, da una più stretta «connessione» fra «politica» e «logica», connessione giudicata «irrinunciabile e costitutiva». Ciò significa che se nell’odierno dibattito democratico certi politici tendono a puntare più alla «seduttività degli argomenti» che alla loro «coerenza e verità», allora la democrazia è un «regime utopico» perché è governata da «un’ideologia» che «recide e disprezza» proprio quel «legame». Rifacendosi ad un rapporto promosso di recente dalla Commissione Europea, in cui si ribadisce che la cultura, anziché subire tagli, dovrebbe essere una «priorità» per il nostro paese, il MCS denuncia un sistema ormai logoro e guasto dove non c’è alcuna «strategia nazionale», sia essa provvisoria o generale, per lo sviluppo del settore artistico/culturale.
Molti i «punti fermi» nell’agenda, tutti in linea, d’altra parte, con le problematiche più rilevanti oggi dibattute nel mondo dell’educazione: dalla richiesta di stabilizzazione dei precari alla discussione di nuove forme di reclutamento, dalla petizione per una più equa gradualità della riforma Fornero alla rivendicazione di investimenti per la sicurezza dell’edilizia scolastica, dalla rimodulazione della legge 508/99 di riforma dei conservatori e delle accademie alla valorizzazione del patrimonio bibliotecario. Nell’intestazione del documento campeggiano, oltre al logo, due sintomatiche citazioni di Tullio De Mauro e di Roberta De Monticelli.
Abbiamo a che fare con un movimento corporativo? Non proprio. Il sistema della conoscenza rappresenta – come ben sappiamo – l’ossatura della società civile ed è dunque naturale che se la classe dirigente «è orientata al governo delle ruberie, degli inganni e dei privilegi», si legge nel documento programmatico, il mondo dell’educazione «non serve alla politica». Eppure esso «è necessario allo sviluppo democratico, politico ed economico» del paese. Una «convinzione» quasi lapalissiana, si direbbe, ma che, invece di costituire «la rotta di un impegno serio ed efficace», è ormai una «litania» vana.
Da più parti si auspicava l’esigenza di un risveglio di questo settore, assopitosi negli ultimi decenni in un torpore improduttivo. Il bisogno di «ripristinare la legalità e la garanzia dei diritti di ogni cittadino», si legge ancora nel documento, e di «denunciare chi indebitamente li calpesta con misfatti o sopraffazioni», è in perfetta sintonia con l’aria di malcontento che si respira oggi. Dichiarazioni di principio perciò condivisibili cui dovrebbe seguire un impegno costruttivo che faccia davvero uscire il Paese da quell’«immobilità sociale» che ha impedito alla scuola pubblica di riqualificarsi e di fare il necessario salto qualitativo per stare al passo con l’Europa e con i tempi.
Fra i sostenitori della prima ora Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, Roberto Amorosi, magistrato ordinario distaccato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, Fabrizio Peronaci, stimato giornalista del «Corriere della Sera», Rosario Portale, professore ordinario presso l’Università di Catania e altri ancora. Ma il dialogo proficuo con intellettuali, accademici, opinionisti ed educatori – assicurano al MCS – è solo all’inizio.
Per contatti con il neo-movimento c’è la seguente pagina fb (riservata) cui si accede previa domanda: http://www.facebook.com/groups/movimentoculturascuola/
da affaritaliani.it
Il perché di un Movimento
«La scuola italiana, più di quella di altri paesi, versa in uno stato di degrado. Dal passato ereditiamo un pesante analfabetismo strumentale e funzionale. Non basta lamentarsi di tutto ciò. Occorre comprenderne a fondo le cause e poi delineare una proposta di intervento che sia al tempo stesso radicale e ragionevole» (Tullio De Mauro)
«Come per noi, anche per Dio c’è un limite, una soglia, una barriera: non è vero che tutto è permesso. Non è permesso a nessuna volontà ciò che è ingiusto» (Roberta De Monticelli)
Il nostro «Manifesto»
È tempo di impegno e di mobilitazioni. Anche per il sistema della conoscenza e della formazione. Mai come adesso si è sentito il dovere di prendere iniziative tese a supportare coloro che ritengono improrogabile un mutamento risolutivo nella vita morale e civile della nostra nazione. Il Movimento Cultura e Scuola, sorto dal seno del Comitato Civico «Quota 96», mira a ripristinare la legalità e la garanzia dei diritti di ogni cittadino e a denunciare chi indebitamente li calpesta con misfatti o sopraffazioni. Un Paese può distinguersi per diversi fattori: un alto livello tecnologico, una grande competizione industriale, la particolare bellezza della sua natura, lo spessore della sua civiltà artistico/letteraria. Il venir meno di un livello culturale apprezzabile, nelle avanzate società occidentali, ha costituito da sempre un elemento di assoluto decadimento di quelle stesse civiltà, tanto da creare dei guasti di cui il cittadino ha finito per pagare le conseguenze.
Non è nostra intenzione fondare un partito. Non abbiamo ambizioni né bramosie di potere. Vogliamo solo contribuire a sostenere un’azione politica riformatrice tale da mettere in primo piano la riqualificazione del nostro sistema d’istruzione e da restituire il giusto credito al sistema della conoscenza e della formazione, costretto a lavorare, spesso, in condizioni di precarietà e in strutture fatiscenti. È necessario che a quest’ultimo venga nuovamente assegnato un ruolo cardine nell’educazione del cittadino.
I tempi sono maturi per favorire la rinascita di un movimento di pensiero dal profilo moderno, rigoroso, alternativo. La società ci chiede uno slancio innovatore che provenga dalla base, uno slancio capace di dar fiducia ai disillusi e di realizzare argini appropriati contro ogni forma di iniquità. Si tratta di far capire che solo dalla base potrà scaturire un processo di rinnovamento generale. Il Movimento Cultura e Scuola, che ingloba più settori della conoscenza, punterà soprattutto ai contenuti e dialogherà con i partiti nel rispetto della propria autonomia. Rifugge dalle propagande aziendalistiche e non ama confondere l’efficacia con l’efficienza.
Segnaliamo, quali segni tangibili di un disagio e di un’erosione di senso in atto, tre indicatori di sofferenza che il linguista Raffaele Simone ha individuato con particolare attenzione al comparto scuola: il primo è legato alla «crisi del prestigio» che l’istituzione ha avuto presso la società italiana; il secondo al fatto che è un luogo in cui si concentra «troppo malessere psicologico», dove le dinamiche tra le persone sono spesso «generatrici di sofferenza»; il terzo si riferisce, emblematicamente, alla «depressione collettiva» dei professionisti che vi operano, depressione che si esprime, in modo superficiale, «come scontento sindacale permanente», e, in modo più profondo, «come disturbo persino patologico».
Noi vogliamo, con la nostra azione, promuovere un’inversione di tendenza e costruire, attraverso il rilancio di Cultura e Scuola, una nuova società fondata su più autentici valori, se è vero – come ha affermato Noam Chomsky in polemica con le misure adottate dai governi europei – che «quella economica non è l’unica crisi che dobbiamo affrontare». Né, del resto, dal rigore e dall’austerità potranno nascere nuovi posti di lavoro. La scuola e i giovani costituiscono la vera ricchezza di un Paese. Eppure questi due soggetti della vita nazionale sono stati troppo a lungo trascurati. Per supplire a tale disattenzione si è sviluppato, in questi ultimi mesi, un serrato e proficuo confronto fra rappresentanti della Scuola e dell’Afam da cui è nato questo movimento.
Un principio generale ci guiderà nell’itinerario attraverso la società civile, principio che riprendiamo da alcune considerazioni della filosofa Franca D’Agostini: la democrazia dovrà dipendere, da ora in avanti, da una più stretta connessione fra politica e logica, connessione che reputiamo irrinunciabile e costitutiva. Purtroppo, però, la nostra democrazia odierna è un regime utopico perché è retto da un’ideologia che recide e disprezza proprio quel legame. Che la logica non abbia a che fare con la politica e che, nel dibattito democratico, i politici puntino più alla «seduttività degli argomenti» che alla loro «coerenza e verità», è un’idea oggi molto diffusa, idea che noi vogliamo contestare con forza. Se un politico, impiegando argomenti visibilmente illogici o errati, ci convince a votare per lui, delle due l’una: o noi ignoriamo che i suoi argomenti sono insensati, o ciò che di lui ci convince non sono gli argomenti ma ben altro (menzogne, promesse, facili guadagni, favoritismi, ecc.).
Ci aspettiamo un gran numero di adesioni perché il programma che vogliamo attuare in vista di una nuova stagione politica è scevro da ogni condizionamento e, al tempo stesso, esaustivo delle più rilevanti problematiche oggi dibattute nel vasto campo della conoscenza. È il momento di un risveglio cui nessuno può sottrarsi dato che non c’è più spazio per dolersi dei propri mali né per delegare ad altri la soluzione dei problemi irrisolti.
Il nostro «Programma»
Il programma del Movimento Cultura e Scuola, riportato qui schematicamente e nelle sue linee essenziali, potrà essere suscettibile di aggiustamenti lungo il cammino. Se esso sembrerà ambizioso è perché ambizioso deve essere l’obbligo, nel nostro Paese, di occuparsi seriamente (e saggiamente) del sistema della conoscenza e della formazione. Siamo riusciti a dimenticare il nostro passato, la nostra storia, tutte quelle peculiarità che ci hanno contraddistinto per molti secoli. Cosa dovremmo dire delle nostre eccellenze abbandonate a se stesse come gli istituti culturali, le accademie, i conservatori e le fondazioni? Il caso della Fondazione Marotta di Napoli, per fare un esempio recente, rende bene l’idea dello stato delle cose. È nostro intento dare un apporto apprezzabile per recuperare il legame fra politica, istituzioni e cittadini che parta dall’educazione dell’individuo e punti ad un ripensamento del sapere capace di produrre crescita e sviluppo nel Paese.
La Rete europea degli esperti sulla cultura ha reso noto un rapporto, richiesto dalla Commissione Europea e pubblicato sul sito del Commissario Androulla Vassilou, in cui si ribadisce che la cultura, anziché subire tagli immotivati, dovrebbe costituire una «priorità» per il nostro Paese. Il fatto è che in Italia, a causa di un sistema ormai deteriorato, non c’è alcuna strategia nazionale, sia essa provvisoria o generale, per lo sviluppo del settore artistico/culturale. Per questo dobbiamo impegnarci in tal senso. La cultura «potrebbe essere il petrolio dell’Italia», si legge in quel rapporto, ma il menefreghismo, da noi, regna sovrano. L’Europa ci ha invitato a compiere quel passo. Il Movimento Cultura e Scuola – che intende ribadire il valore dell’ascolto e della consapevolezza – ritiene di dover andare in quella direzione.
Non si tratta, come qualcuno potrebbe ritenere, di un movimento corporativo. Il sistema della conoscenza e della formazione rappresenta l’ossatura della società civile. È dunque naturale che se la classe dirigente è orientata al governo delle ruberie, degli inganni e dei privilegi, quel sistema non gli serve. Invece esso è necessario allo sviluppo democratico, politico ed economico del paese. Di questo siamo tutti convinti. Eppure tale convinzione, lungi dal costituire la rotta di un impegno serio ed efficace, si è ridotta a una mera e vana litania. Abbiamo contribuito più di altri settori del pubblico impiego al risanamento dei conti. È giunto il momento, per noi, di ricevere.
Da più parti si auspicava l’esigenza di un risveglio di questo importante e variegato settore, esigenza perfettamente in linea con quell’aria di malcontento e di sfiducia che si respira oggi. Alle aspirazioni dovranno seguire le realizzazioni, un impegno cioè costruttivo e incisivo che faccia uscire il Paese da quell’immobilità sociale che ha impedito alla scuola pubblica di riqualificarsi e di fare il necessario salto qualitativo per stare al passo con l’Europa e con i tempi.
Fra i sostenitori della prima ora Mariangela Bastico, già vice-ministro dell’Istruzione, Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, Roberto Amorosi, magistrato ordinario distaccato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, Fabrizio Peronaci, giornalista del «Corriere della Sera», Rosario Portale, professore presso l’Università di Catania e molti altri ancora. Il dialogo proficuo con intellettuali, accademici, opinionisti ed educatori è difatti solo all’inizio.
Per contatti con il Comitato promotore del neo-movimento è attiva la seguente pagina facebook (riservata) cui si accede previa domanda: http://www.facebook.com/groups/movimentoculturascuola/
Alcuni «punti fermi»
– Favorire la graduale risoluzione dei precari e la loro stabilizzazione;
– Bandire concorsi «misti» (50% destinati ai giovani, 50% ai precari) SOLO dopo la risoluzione dello spinoso punto precedente;
– Creare un movimento di pensiero che abitui la comunità all’idea di sottrarre i futuri concorsi universitari alla gestione (e all’arbitrio) dell’establishment accademico locale;
– Sollecitare una riforma previdenziale meno drastica dell’attuale e che faciliti il turn over dei giovani;
– Investire in istruzione e cultura per uscire dalle secche dell’immobilismo sociale che impedisce alla scuola pubblica di aggiornarsi e di potenziarsi;
– Disincentivare la ‘filosofia’ aziendalistica volta a operare tagli sempre più cospicui alla Scuola e all’Afam per la semplice ragione di far cassa e non già perché dettati da nobili intenti;
– Bonificare l’edilizia di quegli istituti scolastici, di quelle accademie e di quei conservatori che versano in uno stato di degrado e di abbandono sempre più allarmanti, in modo da renderli adeguati in termini di sicurezza, di vivibilità e in linea con le innovazioni didattiche;
– Investire in strutture equipaggiate di biblioteche, laboratori, aule multimediali, computer (o altro materiale informatico), palestre e attrezzature sportive utili ai docenti e ai discenti;
– Valorizzare, in sintonia con gli standard europei, il prestigio sociale dei docenti e degli operatori delle scuole, delle accademie e dei conservatori con relativa, adeguata remunerazione;
– Riconoscere la situazione personale degli alunni diversamente abili in tutti i gradi di istruzione e garantire ai docenti di sostegno un numero di ore adeguato alla situazione di ogni alunno;
– Ridurre il rapporto numerico esistente, in alcune zone del nostro Paese, fra docenti e alunni nella scuola dell’infanzia;
– Assicurare l’insegnamento di almeno una lingua straniera per ogni classe nella scuola primaria;
– Rimodulare la legge 508/99 di riforma dei conservatori e delle accademie affinché venga restituito a questi importanti istituti il compito di formare professionalmente musicisti e artisti;
– Puntare ad un aumento dell’organico del personale amministrativo ed ausiliario di scuole, accademie e conservatori in ragione della complessità del lavoro da svolgere;
– Calmierare gli stipendi d’oro dei parlamentari e dei rappresentanti degli enti locali in modo da eliminare l’eccessivo divario esistente fra quelli e i salari dei cittadini;
– Incrementare il servizio di bibliopoint – già esistente nella capitale – anche nel resto d’Italia;
– Utilizzare gli edifici delle scuole, delle accademie e dei conservatori per manifestazioni culturali, incontri con rappresentanti autorevoli della società civile, presentazioni di libri, convegni, dibattiti, laboratori di pensiero, di filosofia, di teatro e di danza, per una didattica musicale integrativa (corale e strumentale).
– Far diventare gli istituti delle scuole, delle accademie e dei conservatori dei «luoghi di cultura» nel territorio per aggregare il sociale, diffondere la conoscenza del patrimonio artistico, abituare alla riflessione sulla nostra storia, educare alla consapevolezza di vivere nel luogo più ricco di tesori dell’umanità.
– Progettare e/o ristrutturare gli edifici delle scuole, delle accademie e dei conservatori per concorso di idee con i fondi dell’otto per mille.
Il Comitato promotore del Movimento Cultura e Scuola
"Il Movimento Cultura e Scuola nasce dalla base. L’esigenza di una connessione fra politica e logica", di Giuseppe Grasso
È tempo di impegno e di mobilitazioni. Anche per il sistema della conoscenza. Il Comitato promotore del Movimento Cultura e Scuola, sorto dal seno del Comitato Civico “Quota 96”, ha provveduto a ratificare qualche giorno fa, nello studio di un noto avvocato romano, la nascita dello stesso, del quale è stato approvato un documento con il programma/manifesto in vista dell’ormai imminente costituzione in cui saranno eletti presidente e segretario politico (per il momento nulla è trapelato). Alla prossima riunione del Comitato verranno infatti sottoscritti l’atto costitutivo e lo statuto, operazioni a seguito delle quali saranno predisposte le relative schede di adesione.
Chi vivrà – come si dice – vedrà.
Intanto cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Il Movimento Cultura e Scuola, che ingloba più comparti della conoscenza, intende «puntare ai contenuti» e «dialogare con i partiti» – recita il programma/manifesto – «nel rispetto della propria autonomia». Se è vero che il sistema educativo e i giovani costituiscono la vera «ricchezza» del Paese, non è meno vero che questi due momenti della vita nazionale sono stati, fin qui, «troppo a lungo trascurati». Per questo alcuni rappresentanti della scuola e dell’Afam si sono ritrovati insieme, per dar vita a un movimento di pensiero dal profilo «moderno, rigoroso, alternativo». Non è loro intenzione – fanno sapere al MCS – fondare un partito ma contribuire a supportare un’azione riformatrice il cui obiettivo è la riqualificazione del sistema d’istruzione. «La società ci chiede uno slancio innovatore che provenga dalla base», si ribadisce nel documento programmatico, uno slancio che abbia la capacità di «dar fiducia ai disillusi» e di «realizzare argini appropriati contro ogni forma di iniquità». La politica deve capire, insomma, che «solo dalla base potrà scaturire un processo di rinnovamento generale». Un monito difficile da non condividere visti certi esempi tutt’altro che edificanti.
Partendo da alcuni «indicatori di sofferenza», quali la «crisi del prestigio» e la «depressione collettiva» di tutti i professionisti che operano in questo importante e variegato settore, il Comitato del movimento ha individuato un significativo «principio» ispiratore: la democrazia dovrà dipendere, d’ora in avanti, da una più stretta «connessione» fra «politica» e «logica», connessione giudicata «irrinunciabile e costitutiva». Ciò significa che se nell’odierno dibattito democratico certi politici tendono a puntare più alla «seduttività degli argomenti» che alla loro «coerenza e verità», allora la democrazia è un «regime utopico» perché è governata da «un’ideologia» che «recide e disprezza» proprio quel «legame». Rifacendosi ad un rapporto promosso di recente dalla Commissione Europea, in cui si ribadisce che la cultura, anziché subire tagli, dovrebbe essere una «priorità» per il nostro paese, il MCS denuncia un sistema ormai logoro e guasto dove non c’è alcuna «strategia nazionale», sia essa provvisoria o generale, per lo sviluppo del settore artistico/culturale.
Molti i «punti fermi» nell’agenda, tutti in linea, d’altra parte, con le problematiche più rilevanti oggi dibattute nel mondo dell’educazione: dalla richiesta di stabilizzazione dei precari alla discussione di nuove forme di reclutamento, dalla petizione per una più equa gradualità della riforma Fornero alla rivendicazione di investimenti per la sicurezza dell’edilizia scolastica, dalla rimodulazione della legge 508/99 di riforma dei conservatori e delle accademie alla valorizzazione del patrimonio bibliotecario. Nell’intestazione del documento campeggiano, oltre al logo, due sintomatiche citazioni di Tullio De Mauro e di Roberta De Monticelli.
Abbiamo a che fare con un movimento corporativo? Non proprio. Il sistema della conoscenza rappresenta – come ben sappiamo – l’ossatura della società civile ed è dunque naturale che se la classe dirigente «è orientata al governo delle ruberie, degli inganni e dei privilegi», si legge nel documento programmatico, il mondo dell’educazione «non serve alla politica». Eppure esso «è necessario allo sviluppo democratico, politico ed economico» del paese. Una «convinzione» quasi lapalissiana, si direbbe, ma che, invece di costituire «la rotta di un impegno serio ed efficace», è ormai una «litania» vana.
Da più parti si auspicava l’esigenza di un risveglio di questo settore, assopitosi negli ultimi decenni in un torpore improduttivo. Il bisogno di «ripristinare la legalità e la garanzia dei diritti di ogni cittadino», si legge ancora nel documento, e di «denunciare chi indebitamente li calpesta con misfatti o sopraffazioni», è in perfetta sintonia con l’aria di malcontento che si respira oggi. Dichiarazioni di principio perciò condivisibili cui dovrebbe seguire un impegno costruttivo che faccia davvero uscire il Paese da quell’«immobilità sociale» che ha impedito alla scuola pubblica di riqualificarsi e di fare il necessario salto qualitativo per stare al passo con l’Europa e con i tempi.
Fra i sostenitori della prima ora Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, Roberto Amorosi, magistrato ordinario distaccato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, Fabrizio Peronaci, stimato giornalista del «Corriere della Sera», Rosario Portale, professore ordinario presso l’Università di Catania e altri ancora. Ma il dialogo proficuo con intellettuali, accademici, opinionisti ed educatori – assicurano al MCS – è solo all’inizio.
Per contatti con il neo-movimento c’è la seguente pagina fb (riservata) cui si accede previa domanda: http://www.facebook.com/groups/movimentoculturascuola/
da affaritaliani.it
Il perché di un Movimento
«La scuola italiana, più di quella di altri paesi, versa in uno stato di degrado. Dal passato ereditiamo un pesante analfabetismo strumentale e funzionale. Non basta lamentarsi di tutto ciò. Occorre comprenderne a fondo le cause e poi delineare una proposta di intervento che sia al tempo stesso radicale e ragionevole» (Tullio De Mauro)
«Come per noi, anche per Dio c’è un limite, una soglia, una barriera: non è vero che tutto è permesso. Non è permesso a nessuna volontà ciò che è ingiusto» (Roberta De Monticelli)
Il nostro «Manifesto»
È tempo di impegno e di mobilitazioni. Anche per il sistema della conoscenza e della formazione. Mai come adesso si è sentito il dovere di prendere iniziative tese a supportare coloro che ritengono improrogabile un mutamento risolutivo nella vita morale e civile della nostra nazione. Il Movimento Cultura e Scuola, sorto dal seno del Comitato Civico «Quota 96», mira a ripristinare la legalità e la garanzia dei diritti di ogni cittadino e a denunciare chi indebitamente li calpesta con misfatti o sopraffazioni. Un Paese può distinguersi per diversi fattori: un alto livello tecnologico, una grande competizione industriale, la particolare bellezza della sua natura, lo spessore della sua civiltà artistico/letteraria. Il venir meno di un livello culturale apprezzabile, nelle avanzate società occidentali, ha costituito da sempre un elemento di assoluto decadimento di quelle stesse civiltà, tanto da creare dei guasti di cui il cittadino ha finito per pagare le conseguenze.
Non è nostra intenzione fondare un partito. Non abbiamo ambizioni né bramosie di potere. Vogliamo solo contribuire a sostenere un’azione politica riformatrice tale da mettere in primo piano la riqualificazione del nostro sistema d’istruzione e da restituire il giusto credito al sistema della conoscenza e della formazione, costretto a lavorare, spesso, in condizioni di precarietà e in strutture fatiscenti. È necessario che a quest’ultimo venga nuovamente assegnato un ruolo cardine nell’educazione del cittadino.
I tempi sono maturi per favorire la rinascita di un movimento di pensiero dal profilo moderno, rigoroso, alternativo. La società ci chiede uno slancio innovatore che provenga dalla base, uno slancio capace di dar fiducia ai disillusi e di realizzare argini appropriati contro ogni forma di iniquità. Si tratta di far capire che solo dalla base potrà scaturire un processo di rinnovamento generale. Il Movimento Cultura e Scuola, che ingloba più settori della conoscenza, punterà soprattutto ai contenuti e dialogherà con i partiti nel rispetto della propria autonomia. Rifugge dalle propagande aziendalistiche e non ama confondere l’efficacia con l’efficienza.
Segnaliamo, quali segni tangibili di un disagio e di un’erosione di senso in atto, tre indicatori di sofferenza che il linguista Raffaele Simone ha individuato con particolare attenzione al comparto scuola: il primo è legato alla «crisi del prestigio» che l’istituzione ha avuto presso la società italiana; il secondo al fatto che è un luogo in cui si concentra «troppo malessere psicologico», dove le dinamiche tra le persone sono spesso «generatrici di sofferenza»; il terzo si riferisce, emblematicamente, alla «depressione collettiva» dei professionisti che vi operano, depressione che si esprime, in modo superficiale, «come scontento sindacale permanente», e, in modo più profondo, «come disturbo persino patologico».
Noi vogliamo, con la nostra azione, promuovere un’inversione di tendenza e costruire, attraverso il rilancio di Cultura e Scuola, una nuova società fondata su più autentici valori, se è vero – come ha affermato Noam Chomsky in polemica con le misure adottate dai governi europei – che «quella economica non è l’unica crisi che dobbiamo affrontare». Né, del resto, dal rigore e dall’austerità potranno nascere nuovi posti di lavoro. La scuola e i giovani costituiscono la vera ricchezza di un Paese. Eppure questi due soggetti della vita nazionale sono stati troppo a lungo trascurati. Per supplire a tale disattenzione si è sviluppato, in questi ultimi mesi, un serrato e proficuo confronto fra rappresentanti della Scuola e dell’Afam da cui è nato questo movimento.
Un principio generale ci guiderà nell’itinerario attraverso la società civile, principio che riprendiamo da alcune considerazioni della filosofa Franca D’Agostini: la democrazia dovrà dipendere, da ora in avanti, da una più stretta connessione fra politica e logica, connessione che reputiamo irrinunciabile e costitutiva. Purtroppo, però, la nostra democrazia odierna è un regime utopico perché è retto da un’ideologia che recide e disprezza proprio quel legame. Che la logica non abbia a che fare con la politica e che, nel dibattito democratico, i politici puntino più alla «seduttività degli argomenti» che alla loro «coerenza e verità», è un’idea oggi molto diffusa, idea che noi vogliamo contestare con forza. Se un politico, impiegando argomenti visibilmente illogici o errati, ci convince a votare per lui, delle due l’una: o noi ignoriamo che i suoi argomenti sono insensati, o ciò che di lui ci convince non sono gli argomenti ma ben altro (menzogne, promesse, facili guadagni, favoritismi, ecc.).
Ci aspettiamo un gran numero di adesioni perché il programma che vogliamo attuare in vista di una nuova stagione politica è scevro da ogni condizionamento e, al tempo stesso, esaustivo delle più rilevanti problematiche oggi dibattute nel vasto campo della conoscenza. È il momento di un risveglio cui nessuno può sottrarsi dato che non c’è più spazio per dolersi dei propri mali né per delegare ad altri la soluzione dei problemi irrisolti.
Il nostro «Programma»
Il programma del Movimento Cultura e Scuola, riportato qui schematicamente e nelle sue linee essenziali, potrà essere suscettibile di aggiustamenti lungo il cammino. Se esso sembrerà ambizioso è perché ambizioso deve essere l’obbligo, nel nostro Paese, di occuparsi seriamente (e saggiamente) del sistema della conoscenza e della formazione. Siamo riusciti a dimenticare il nostro passato, la nostra storia, tutte quelle peculiarità che ci hanno contraddistinto per molti secoli. Cosa dovremmo dire delle nostre eccellenze abbandonate a se stesse come gli istituti culturali, le accademie, i conservatori e le fondazioni? Il caso della Fondazione Marotta di Napoli, per fare un esempio recente, rende bene l’idea dello stato delle cose. È nostro intento dare un apporto apprezzabile per recuperare il legame fra politica, istituzioni e cittadini che parta dall’educazione dell’individuo e punti ad un ripensamento del sapere capace di produrre crescita e sviluppo nel Paese.
La Rete europea degli esperti sulla cultura ha reso noto un rapporto, richiesto dalla Commissione Europea e pubblicato sul sito del Commissario Androulla Vassilou, in cui si ribadisce che la cultura, anziché subire tagli immotivati, dovrebbe costituire una «priorità» per il nostro Paese. Il fatto è che in Italia, a causa di un sistema ormai deteriorato, non c’è alcuna strategia nazionale, sia essa provvisoria o generale, per lo sviluppo del settore artistico/culturale. Per questo dobbiamo impegnarci in tal senso. La cultura «potrebbe essere il petrolio dell’Italia», si legge in quel rapporto, ma il menefreghismo, da noi, regna sovrano. L’Europa ci ha invitato a compiere quel passo. Il Movimento Cultura e Scuola – che intende ribadire il valore dell’ascolto e della consapevolezza – ritiene di dover andare in quella direzione.
Non si tratta, come qualcuno potrebbe ritenere, di un movimento corporativo. Il sistema della conoscenza e della formazione rappresenta l’ossatura della società civile. È dunque naturale che se la classe dirigente è orientata al governo delle ruberie, degli inganni e dei privilegi, quel sistema non gli serve. Invece esso è necessario allo sviluppo democratico, politico ed economico del paese. Di questo siamo tutti convinti. Eppure tale convinzione, lungi dal costituire la rotta di un impegno serio ed efficace, si è ridotta a una mera e vana litania. Abbiamo contribuito più di altri settori del pubblico impiego al risanamento dei conti. È giunto il momento, per noi, di ricevere.
Da più parti si auspicava l’esigenza di un risveglio di questo importante e variegato settore, esigenza perfettamente in linea con quell’aria di malcontento e di sfiducia che si respira oggi. Alle aspirazioni dovranno seguire le realizzazioni, un impegno cioè costruttivo e incisivo che faccia uscire il Paese da quell’immobilità sociale che ha impedito alla scuola pubblica di riqualificarsi e di fare il necessario salto qualitativo per stare al passo con l’Europa e con i tempi.
Fra i sostenitori della prima ora Mariangela Bastico, già vice-ministro dell’Istruzione, Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, Roberto Amorosi, magistrato ordinario distaccato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, Fabrizio Peronaci, giornalista del «Corriere della Sera», Rosario Portale, professore presso l’Università di Catania e molti altri ancora. Il dialogo proficuo con intellettuali, accademici, opinionisti ed educatori è difatti solo all’inizio.
Per contatti con il Comitato promotore del neo-movimento è attiva la seguente pagina facebook (riservata) cui si accede previa domanda: http://www.facebook.com/groups/movimentoculturascuola/
Alcuni «punti fermi»
– Favorire la graduale risoluzione dei precari e la loro stabilizzazione;
– Bandire concorsi «misti» (50% destinati ai giovani, 50% ai precari) SOLO dopo la risoluzione dello spinoso punto precedente;
– Creare un movimento di pensiero che abitui la comunità all’idea di sottrarre i futuri concorsi universitari alla gestione (e all’arbitrio) dell’establishment accademico locale;
– Sollecitare una riforma previdenziale meno drastica dell’attuale e che faciliti il turn over dei giovani;
– Investire in istruzione e cultura per uscire dalle secche dell’immobilismo sociale che impedisce alla scuola pubblica di aggiornarsi e di potenziarsi;
– Disincentivare la ‘filosofia’ aziendalistica volta a operare tagli sempre più cospicui alla Scuola e all’Afam per la semplice ragione di far cassa e non già perché dettati da nobili intenti;
– Bonificare l’edilizia di quegli istituti scolastici, di quelle accademie e di quei conservatori che versano in uno stato di degrado e di abbandono sempre più allarmanti, in modo da renderli adeguati in termini di sicurezza, di vivibilità e in linea con le innovazioni didattiche;
– Investire in strutture equipaggiate di biblioteche, laboratori, aule multimediali, computer (o altro materiale informatico), palestre e attrezzature sportive utili ai docenti e ai discenti;
– Valorizzare, in sintonia con gli standard europei, il prestigio sociale dei docenti e degli operatori delle scuole, delle accademie e dei conservatori con relativa, adeguata remunerazione;
– Riconoscere la situazione personale degli alunni diversamente abili in tutti i gradi di istruzione e garantire ai docenti di sostegno un numero di ore adeguato alla situazione di ogni alunno;
– Ridurre il rapporto numerico esistente, in alcune zone del nostro Paese, fra docenti e alunni nella scuola dell’infanzia;
– Assicurare l’insegnamento di almeno una lingua straniera per ogni classe nella scuola primaria;
– Rimodulare la legge 508/99 di riforma dei conservatori e delle accademie affinché venga restituito a questi importanti istituti il compito di formare professionalmente musicisti e artisti;
– Puntare ad un aumento dell’organico del personale amministrativo ed ausiliario di scuole, accademie e conservatori in ragione della complessità del lavoro da svolgere;
– Calmierare gli stipendi d’oro dei parlamentari e dei rappresentanti degli enti locali in modo da eliminare l’eccessivo divario esistente fra quelli e i salari dei cittadini;
– Incrementare il servizio di bibliopoint – già esistente nella capitale – anche nel resto d’Italia;
– Utilizzare gli edifici delle scuole, delle accademie e dei conservatori per manifestazioni culturali, incontri con rappresentanti autorevoli della società civile, presentazioni di libri, convegni, dibattiti, laboratori di pensiero, di filosofia, di teatro e di danza, per una didattica musicale integrativa (corale e strumentale).
– Far diventare gli istituti delle scuole, delle accademie e dei conservatori dei «luoghi di cultura» nel territorio per aggregare il sociale, diffondere la conoscenza del patrimonio artistico, abituare alla riflessione sulla nostra storia, educare alla consapevolezza di vivere nel luogo più ricco di tesori dell’umanità.
– Progettare e/o ristrutturare gli edifici delle scuole, delle accademie e dei conservatori per concorso di idee con i fondi dell’otto per mille.
Il Comitato promotore del Movimento Cultura e Scuola
Violenza donne: Ghizzoni, Parlamento agisca con urgenza
“È necessario che chi ha responsabilità pubbliche e istituzionali faccia tutto quanto è in proprio potere per fermare il femminicidio. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, in occasione della manifestazione per l’avvio dei processo agli autori dei femminicidi di Barbara Cuppini, avvenuto a Serramazzoni (Modena) il 18 Giugno 2011, e di Giuseppa Caruso, avvenuto a Carpi il 22 marzo 2011– È il momento del protagonismo, è il momento della denuncia di un contesto culturale maschilista e ipocrita e di una politica inadeguata e talvolta inerte. I femminicidi non possono più essere considerati come fatti isolati: siamo di fronte ad un vero e proprio bollettino ci guerra che annovera tra le sue vittime 90 donne dall’inizio del 2012. Eppure – prosegue Ghizzoni – c’è chi ancora si ostina a definire gli omicidi basati sul genere “delitti passionali”, se compiuti da un connazionale e “delitti d’onore” causati dall’effetto di pratiche religiose o culturali, se compiuti da uno straniero. Sono, in realtà, crimini di Stato. Ce lo dicono le statistiche, ce lo dice l’Onu quando afferma che sono “tollerati dalle pubbliche istituzioni per l’incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita”, ce lo dice la realtà che osserviamo e viviamo quotidianamente. È un fenomeno dalle proporzioni allarmanti e nei confronti del quale la politica ha mostrato finora la sua inadeguatezza e colpevole disattenzione. È necessario che il Parlamento agisca con urgenza e prima della fine della legislatura ratifichi la convenzione di Istanbul e che faccia proprie le raccomandazioni Onu rivolte alle Istituzioni italiane per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e la prevenzione del femminicidio. Già a partire dai prossimi giorni – conclude la Presidente Ghizzoni – porterò all’attenzione della commissione che presiedo il fenomeno del femminicidio, affinché si possa giungere ad una risoluzione condivisa che impegni il governo ad attuare misure efficaci a sovvertire lo stato di cose esistente, anche a partire dai percorsi educativi.”
Terromoto: Ghizzoni, su tasse figli e figliastri
“Gli emiliani non sono cittadini di serie B, soprattutto alla luce della nostra fedeltà fiscale: è necessario che tutto il Parlamento agisca per consentire un alleggerimento del carico fiscale adeguato alla situazione – lo dichiara la deputata modenese Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, in merito al pagamento dei tributi per le popolazioni colpite dal terremoto del 20 e 29 maggio scorso. – Ora occorre – spiega Ghizzoni – che in sede di conversione del decreto si migliori questa norma. Non possono esserci figli e figliastri. Bisogna ristabilire una forma di equità per le popolazioni colpite dal terremoto nel maggio scorso e che risultano destinatari di misure fiscali meno favorevoli di quelle emanate in precedenza per i soggetti colpiti da analoghe calamità in altre aree. È necessario che tutte le forze politiche lavorino in questo senso: non chiediamo privilegi – ha concluso Ghizzoni – ma un aiuto concreto rispetto ad una tragedia che ha colpito il cuore pulsante dell’economia italiana.”