Tutti gli articoli relativi a: politica italiana

Addio finanziamento ai partiti, in Cdm un testo «snello», di Maria Zegarelli

«La politica o si autoriforma o muore». Ieri il presidente del Consiglio Enrico Letta è stato perentorio nel rivendica- re l’urgenza di atti concreti. «Ho preso la fiducia anche sul mio impegno ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti e non intendo fare passi indietro», ha spiegato in Emilia dove si è recato per un sopralluogo nei centri colpiti dal terremoto un anno fa. E gli atti concreti arrivano oggi in Cdm nel corso del quale presenterà la proroga sull’Ecobonus per le ristrutturazioni e il ddl sullo stop ai fondi pubblici per i partiti annunciato già la scorsa settimana. Sorvola sulle battute che gli indirizza «l’amico» Matteo Renzi, quell’invito a non «vivacchiare» in questo governo di larghe intese che potrebbe diventare «di lunghe intese». Letta non si lascia tirare dentro le polemiche, «più o meno spregiudicate, più o meno quotidiane», raccontano dal suo staff, «neanche se arrivano da Renzi», e va dritto per la sua strada sapendo che le insidie sulla strada del suo esecutivo saranno costanti e non sempre arriveranno dal Pdl. «Alle critiche …

"La scomparsa della Lega tra liste civiche e lotte interne", di Toni Jop

Oggi, consiglio federale? Ma di che? Perché, piaccia o no, pare proprio che la Lega Nord sia finita, non ci sia più e non perché l’ha deciso il destino: hanno fatto tutto loro, Umberto Bossi, Roberto Maroni, Matteo Salvini e gli altri. Restano i nomi, la nomenclatura, alle loro spalle quasi nessuno; le recentissime amministrative hanno fatto un gran deserto degli orti leghisti della abortita Padania. Quindi, se si capisce bene e senza malizia, l’adunata di oggi si annuncia come l’apertura di un inevitabile processo di liquidazione; molto difficile, però, perché a dispetto delle cifre, quella nomenclatura governa. Il primo problema sta qui: rappresentano quasi nessuno ma governano tre grandi regioni del Nord, il Piemonte con Roberto Cota, la Lombardia con Roberto Maroni e il Veneto con Luca Zaia. Non sono mai stati tanto piccoli e con tanto potere tra le mani, anzi non ricordiamo una forza politica di queste modestissime dimensioni premiata simultaneamente da tre governatori in grado di orientare gli interessi di una ventina di milioni di esseri umani. Quel pur modesto quattro …

“Noi lavoriamo anche per Matteo la sua corsa non ha una scadenza”, di Francsco Bei

Dario Franceschini: sulla targa fuori dalla porta del suo ufficio c’è scritto “ministro dei rapporti con il Parlamento e al coordinamento delle attività di governo”. Ovvero, come traduce lui stesso vista l’attuale maggioranza precaria, «il ministro alle rogne». Stavolta però, nonostante Renzi accusi il governo di “vivacchiare”, Franceschini alza la voce per rivendicare il gol segnato due giorni fa sulle riforme: «È stata una giornata molto importante, purtroppo in parte oscurata dalle distinzioni che ci sono state sulla legge elettorale. Non ci avrebbe scommesso nessuno che, a un mese dalla nascita del governo, fosse possibile definire un percorso certo verso le riforme, con una larghissima maggioranza e la non ostilità delle opposizioni». Percorso «certo»? Viste le bicamerali del passato, consenta un certo scetticismo… «Lo scetticismo è fondato. In passato la durezza dello scontro politico e le convenienze reciproche hanno sempre bloccato il percorso delle riforme. Ma stavolta è diverso». Perché mai? «Perché gli avversari di sempre oggi collaborano al governo. E questa finestra del governo di servizio può consentire la collaborazione anche sulla definizione delle …

"Salvate il soldato Beppe (ma da se stesso)", di Francesco Merlo

Grillo, nonostante le tue canagliate, io vorrei che tu, Renzi ed io…”. Ancora potrebbe, questa prima sconfitta di Beppe Grillo, mutarsi in valore civile. E forse solo un Epifani dantesco potrebbe aiutare Grillo a salvarsi dal Grillo impazzito che sproloquia persino contro Rodotà, che pure è stato il suo fiore di purezza, il suo Garibaldi o meglio il suo Mazzini, il suo alibi di nobiltà. Ha avuto la fortuna, Beppe Grillo, di subire un imperioso alt degli elettori quando ancora non tutto è perduto. Ha infatti il tempo di rivedere, correggere e ripensare anche il se stesso tramutato in canaglia. E il segretario del Pd, ora che non ne ha bisogno per sopravvivere, dovrebbe chiamare il furioso attaccabrighe al confronto diretto, senza il corteggiamento trafelato e penoso ai gregari che umiliò Bersani, ma lanciando un ponte di sinistra, un osservatorio, un blog a due piazze, una cosa (“ah, cosa sarà?, che fa muovere il vento”) che sia fatta di dibattiti serrati e anche di quegli sbeffeggiamenti (reciproci, però) che Grillo ha trasformato in scienza della …

"L'Ilva di Taranto e le altre. Serve una regia pubblica", di Gianni Venturi*

A seguito delle ultime, clamorose iniziative giudiziarie, l’attenzione dell’opinione pubblica e del governo si è concentrata, in queste ore, sulle complicatissime vicende che hanno come epicentro lo stabilimento Ilva di Taranto e, intorno ad esso, il grande gruppo siderurgico di cui è proprietaria la famiglia Riva. Tuttavia non è possibile comprendere appieno implicazioni e conseguenze della vicenda Ilva se, andando oltre la cronaca politico-giudiziaria, non la si inserisce in uno specifico contesto industriale: quello del settore siderurgico nelle sue dinamiche europee e globali. L’11 giugno sarà reso noto, a Bruxelles, il Piano Ue per l’acciaio elaborato, in questi mesi, dalla Commissione e dal tavolo di alto livello presieduto da Antonio Tajani. Piano che deve confrontarsi con un fenomeno presente anche in altri settori industriali: un eccesso di capacità produttiva installata. Ebbene, se chiudesse l’Ilva di Taranto circa la metà di questa sovracapacità produttiva che pesa sugli impianti attivi nei Paesi dell’Unione sarebbe «tagliata»; almeno metà degli obiettivi di riduzione del Piano verrebbero raggiunti prima ancora della sua presentazione e tutti a carico del nostro Paese. …

"Migliaia di micro-cantieri riapriranno per l’Italia un jolly da 20 miliardi", di Ettore Livini

L’addio alla procedura Ue per debito eccessivo potrebbe regalare all’Italia un jolly a sorpresa (valore stimato 20 miliardi) da giocare sul tavolo delle infrastrutture. Riaprendo la storia infinita delle grandi opere e – soprattutto –– regalando a cascata una boccata d’ossigeno alle migliaia di micro-cantieri per la manutenzione ordinaria del Belpaese (strade, scuole, fogne, fiumi), bloccati da tempo tra le maglie strette del patto di stabilità e il dogma teutonico del tetto deficit/Pil al 3%. La partita per attivare questo tesoretto si giocherà nelle prossime settimane, quando il governo Letta busserà a Bruxelles chiedendo di “sterilizzare” dal deficit tricolore, almeno in parte, gli investimenti in infrastrutture inserite nei corridoi strategici europei (Helsinki-Brennero- Palermo, Lione-Torino-Venezia-Kiev e Genova Rotterdam). Le cifre in ballo sono importanti: 39 miliardi già spesi, difficili a questo punto da recuperare, e poco più di 20 ancora da spendere. Una pioggia d’oro che – se la Ue dirà sì – potrà dare una mano decisiva a far ripartire l’economia tricolore. IL “Cantiere Italia” prova, con la benedizione della Ue, a riaprire i battenti. …

"O si cambia o si muore", di Claudio Sardo

L’Italia ha bisogno delle riforme istituzionali E non può più tornare al voto con il Porcellum. Si tratta ormai di bisogni vitali della nostra democrazia, che rischia di essere travolta dal discredito, dall’impotenza, dalla crisi sociale. La giornata parlamentare di ieri ha formalizzato l’impegno in una mozione. Enrico Letta lo ha reso solenne, ribadendo che la vita stessa del governo sarà legata al raggiungimento dell’obiettivo. Alle sue spalle c’è la determinazione del Capo dello Stato, il quale ha già chiarito che non sopporterà l’ennesimo fallimento: se il processo riformatore verrà interrotto, Giorgio Napolitano si dimetterà rendendo drammatica la crisi di sistema e cercando di tagliare la strada ad eventuali profittatori della rottura. Tuttavia i nodi sono ancora aggrovigliati. E il confronto di ieri – compresa la frattura nel gruppo Pd – dimostrano che la strada per uscire dalla seconda Repubblica è quanto mai accidentata. Bisognerebbe anzitutto sconfiggere la cultura populista – dalla «religione del maggioritario» al mito del premier eletto dal popolo, e dunque «unto del Signore» – che si è sovrapposta alla cultura costituzionale, …