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"Migliaia di micro-cantieri riapriranno per l’Italia un jolly da 20 miliardi", di Ettore Livini

L’addio alla procedura Ue per debito eccessivo potrebbe regalare all’Italia un jolly a sorpresa (valore stimato 20 miliardi) da giocare sul tavolo delle infrastrutture. Riaprendo la storia infinita delle grandi opere e – soprattutto –– regalando a cascata una boccata d’ossigeno alle migliaia di micro-cantieri per la manutenzione ordinaria del Belpaese (strade, scuole, fogne, fiumi), bloccati da tempo tra le maglie strette del patto di stabilità e il dogma teutonico del tetto deficit/Pil al 3%.
La partita per attivare questo tesoretto si giocherà nelle prossime settimane, quando il governo Letta busserà a Bruxelles chiedendo di “sterilizzare” dal deficit tricolore, almeno in parte, gli investimenti in infrastrutture inserite nei corridoi strategici europei (Helsinki-Brennero- Palermo, Lione-Torino-Venezia-Kiev e Genova Rotterdam). Le cifre in ballo sono importanti: 39 miliardi già spesi, difficili a questo punto da recuperare, e poco più di 20 ancora da spendere. Una pioggia d’oro che – se la Ue dirà sì – potrà dare una mano decisiva a far ripartire l’economia tricolore.
IL “Cantiere Italia” prova, con la benedizione della Ue, a riaprire i battenti. In ballo – se Bruxelles darà l’ok alla Golden rule che scorpora dal deficit gli investimenti nei corridoi strategici Ue – c’è lo sblocco “diretto” di un’ottantina di interventi: oltre 6,5 miliardi andrebbero a pioggia sull’asse ferroviario Nord-Sud, quello inserito nel progetto di trasporti comunitario che va da Helsinki fino a La Valletta, con una cifra importante destinata a migliorare le strutture della linea Battipaglia-Reggio Calabria. Una decina di miliardi finanzierebbero i lavori sulla rete stradale e dei treni tra Torino e Trieste e quasi quattro servirebbero ad ammodernare la Milano- Genova, parte integrante del network di collegamenti prioritari fino a Rotterdam.
Ancora più importanti, però, potrebbero essere gli effetti collaterali di questo attesissimo dividendo targato Ue: l’inserimento dei progetti trasnfrontalieri in una sorta di “zona franca” del bilancio tricolore consentirebbe al Governo di concentrare la sua attenzione – e i suoi soldi – su quelle grandi e piccole opere che da almeno un decennio sono al palo. E a beneficiarne in presa diretta sarebbe un settore, l’edilizia, che dall’inizio della crisi ad oggi ha perso 320mila addetti, una cifra – come ricorda spesso il presidente dei costruttori Claudio De Albertis – «pari a 27 Ilva».
L’elenco dei cantieri in attesa di fondi è lunghissimo. La legge obiettivo per le grandi opere di interesse infrastrutturale, vecchia di due lustri, è stata completata solo per il 10% con 40,5 miliardi spesi contro i 374 previsti. Ma a soffrire sono stati soprattutto i mini-lavori di manutenzione quotidiana – la riparazione delle buche stradali, gli interventi sugli acquedotti, la messa in sicurezza dei letti dei fiumi – bloccati dalla burocrazia tricolore (e su quella la Ue può poco) e dalla cronica assenza di fondi: il piano di interventi contro il dissesto idrogeologico, per dire, è stato completato solo per uno sconfortante 16%. Ancor peggiore è il bilancio sul fronte dei depuratori, malgrado sulla testa dell’Italia penda la spada di Damocle delle multe di Bruxelles: in questo caso i lavori chiuso sono solo il 35%, meglio comunque del drammatico 8% alla voce delle ristrutturazioni degli edifici scolastici. Tutti capitoli di spesa su cui ora il governo, grazie all’aiutino di una Ue finalmente orientata a far qualcosa anche per la crescita, potrebbe tornare presto a mettere mano.
Il rischio, come sempre, è che l’Italia riesca a farsi male da sola. E che una volta sbloccato il tesoretto da 20 miliardi targato Ue («ogni miliardo di investimenti in più significa 12mila nuovi posti di lavoro», ha calcolato il ministro alle infrastrutture Maurizio Lupi) non riesca a spenderlo a dovere. La storia del Belpaese, purtroppo, è piena di esperienze di questo tipo: vale per tutti l’esempio dei Fondi strutturali, 99 miliardi di cui 28 miliardi stanziati dalla Ue nel periodo di programmazione 2007-2013. Roma, come ha calcolato il ministero della Coesione territoriale, ne ha utilizzati solo il 31%. «L’attuazione di questi progetti in Italia ha subito dei ritardi e il divario di risultati tra Nord e Sud del Paese continua ad aumentare », ci ha tirato le orecchie il Commissario alle politiche territoriali Johannes Hahn. Un modo garbato per dire che gli aiuti di Bruxelles, anche quelli che potrebbero arrivare al “Cantiere Italia” con la Golden rule, dobbiamo imparare a meritarceli.

La Repubblica 30.05.13