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"In picchiata verso la catastrofe? Il governo dell’università italiana in un grafico", di Andrea Mariuzzo

Il 21 febbraio scorso, al secondo convegno organizzato da ROARS su Politiche per la ricerca e formazione terziaria in Europa. Le sfide per l’Italia, Paolo Rossi, docente all’Università di Pisa, ha presentato un documentato intervento su Il reclutamento accademico nel contesto della crisi, in cui ha commentato l’andamento delle curve di assorbimento di personale nei ruoli universitari. Rinviando al video del suo intervento integrale per ulteriori specificazioni, mi limiterò a prendere in considerazione uno dei grafici da lui presentati, efficacemente riassuntivo della situazione: Le curve mostrano rispettivamente il numero di ricercatori universitari a tempo indeterminato, professori associati e professori ordinari selezionati dal sistema di reclutamento universitario dal 2006 al 2013. Un primo elemento salta chiaramente agli occhi: la comune tendenza alla decrescita fino ad avvicinarsi quasi allo zero. Si tratta di un andamento significativo se si tiene conto di due fattori destinati a pesare nel medio-lungo periodo. In primo luogo, che questi numeri (al contrario di quanto ingenuamente assumono i non addetti ai lavori) sono al lordo delturnover con i pensionati: in pratica, in un …

"Abilitazione scientifica serve subito chiarezza", di Manuela Ghizzoni

L’abilitazione scientifica nazionale (ASN) è un requisitio indispensabile per partecipare ai concorsi banditi dalle singole università per reclutare/promuovere i docenti. Mira a contemperare due diverse, legittime esigenze: quella delle comunità disciplinari nazionali di valutare i candidati per escludere dai concorsi coloro che non raggiungano uno standard accettabile per la fascia accademica richiesta; quella degli atenei di reclutare i professori in base alle proprie necessità didattiche e scientifiche. L’Asn era stata inizialmente apprezzata da coloro, come i ricercatori precari, che speravano in valutazioni di maggiore obiettività per la presenza di commissioni nazionali sorteggiate e di parametri quantitativi da rispettare. Si è però ingenerato l’equivoco che l’Asn sia una sorta di mega-concorso di reclutamento e non una verifica ad personam della maturità scientifica raggiunta. Non v’è intervento, anche in Parlamento, che non utilizzi la parola «concorso» parlando dell’abilitazione! L’equivoco abilitazione=concorso ha portato addirittura a scandalizzarsi per l’indicazione preventiva dei futuri abilitati quando è evidente che la qualificazione di ciascun ricercatore è già ben nota a tutti i membri di comunità disciplinari relativamente piccole. Non si tratta di …

"In università pochi apprendisti", di Claudio Tucci

Nato una decina di anni fa con le migliori intenzioni di integrare mondo della formazione terziaria e impresa, l’apprendistato in università stenta ancora a decollare. Con numeri che parlano chiaro: nel 2012 a fronte di 504mila contratti di apprendistato “professionalizzante” (quello di secondo livello, utile “a imparare un mestiere”) appena 234 hanno riguardato l’apprendistato per l’alta formazione e la ricerca (di cui 142 solo in Lombardia). Performance che segnano forti distanze rispetto a Paesi nostri competitor, come la Francia che su 420mila giovani occupati ogni anno con contratti di apprendistato, oltre il 10% (vale a dire più di 42mila unità) frequentano studi a livello terziario. Il confronto è praticamente impari con la Germania che con il suo “sistema duale” occupa, anche se prevalentemente nel ciclo secondario, quasi 1,7 milioni di ragazzi che vengono ospitati dalle aziende tedesche (70% nel settore dell’industria e commercio; il restante 30% nelle imprese artigiane). E anche in Inghilterra è in corso un dibattito su una nuova proposta di riforma dell’apprendistato (la «Richard Review») che fa perno sulla necessità di porre …

"Dottori di ricerca, chi va all'estero guadagna il doppio", da Agenzia Dire

I dottori di ricerca italiani che decidono di andare a lavorare all’estero guadagnano in media il doppio di chi non ha intrapreso percorsi di mobilità. E’ quanto emerge dall’Indagine sulla Mobilità Geografica dei Dottori di Ricerca svolta dall’Isfol, di cui oggi l’Istituto mette a disposizione una prima anticipazione. I dati si riferiscono a un vasto campione di individui che hanno conseguito il dottorato nel 2006 e sono stati intervistati sei anni dopo. A fronte di un reddito medio annuo dei dottori di ricerca pari a 20.085 euro netti, chi sceglie di lasciare l’Italia percepisce circa 10.000 euro in più (con un reddito medio di 29.022 euro). Un vantaggio retributivo si riscontra, pur se in forma minore, anche per coloro che affrontano percorsi di mobilità geografica all’interno del territorio nazionale (con un reddito medio di 20.524 euro, contro i 19.180 euro di chi non si muove affatto). Tra gli altri fattori che determinano disparità di reddito particolarmente rilevanti emerge il peso della dimensione di genere: i dottori di ricerca maschi hanno retribuzioni maggiori del 19,6% rispetto …

"Giovani talenti in fuga dall'Italia", di Francesco C. Billari

Un vero e proprio “boom” nella propensione dei giovani italiani a esplorare la possibilità di andarsene via. Un segnale, forte, del rischio di una nuova ondata di emigrazione dalle proporzioni d’altri tempi. Proporzioni impreviste, nonostante la crisi, che potrebbero portarci a un modello “polacco”: essere paese di emigrazione (più qualificata) e allo stesso tempo d’immigrazione (meno qualificata). Questo il messaggio proveniente dai dati recentemente pubblicati. Se continuassero le migrazioni come nel 2013 per i prossimi anni, infatti, su 13 giovani italiani uno si trasferirebbe, per cercare lavoro o lavorare in modo esplicito, nel Regno Unito. Quarantaquattromila giovani italiani hanno ricevuto un nuovo NINo (“National Insurance Number”), essenziale per lavorare nel Regno Unito. Nel 2013 l’Italia è, per la prima volta, il terzo paese per nuove emissioni di NINo, dietro Polonia e Spagna. Il nostro è il paese caratterizzato dalla crescita dei numeri più marcata, +66% rispetto al 2012 (con circa 27 mila NINo). Per avere una misura dell’ordine di grandezza demografico di questo flusso possiamo calcolare la dimensione di una “coorte media” dei potenziali italiani …

L'appello degli scienziati «Un'Europa di progresso», da unita.it

Il prossimo martedì 8 aprile presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Piazzale Aldo Moro a Roma verrà presentato il “Manifesto per un’Europa di progresso” (ore 11.00, Sala Convegni). Si tratta di un contributo che un folto gruppo di scienziati italiani, alcuni di loro con incarichi istituzionali rilevanti, hanno inteso dare per un concreto rilancio del sogno degli Stati Uniti d’Europa, proprio nel momento di maggior difficoltà della sua realizzazione. Il Manifesto origina dalle preoccupazioni che gli scienziati valutano nei riguardi di un processo d’integrazione delle nazioni europee in profonda crisi. Dalla consapevolezza che la piena estensione dei confini oltre i limiti nazionali rischi d’interrompersi bruscamente a causa delle inadeguatezze strategiche di chi fino ad ora ha condotto questo progetto. Dalla constatazione che le opportunità di reale progresso per i cittadini europei, in ambito di sviluppo civile, economico, democratico, culturale, pacifico, non possano prescindere dalla realizzazione di un’Europa dei popoli. Scienza, sapere e nuova conoscenza tendono a svilupparsi in modo naturale e hanno da sempre oltrepassato qualunque limite geografico, artificiale o mentale che si sia …

"Perché i «nativi digitali» snobbano le scienze?", di Antonella De Gregorio

I numeri sono importanti: negli Stati Uniti, tra cinque anni ci saranno due milioni e mezzo di posti da occupare, per esperti di discipline «Stem» (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). In Francia il buco, lo scorso anno, era di 130mila unità, con il 10% di scienziati e tecnici in meno rispetto al 2000. Nel Regno Unito, il calo in dieci anni è stato del 18%. Arretra anche il Giappone. E in Italia, Unioncamere e ministero del Lavoro contano in 47mila le figure professionali introvabili, principalmente tra i profili tecnici. Una tendenza contraria a quella che sembra interessare le economie «emergenti», Asia in testa, come ha sottolineato nei giorni scorsi il quotidiano Les Echos. Ma qual è il motivo per cui, nei Paesi più sviluppati (a eccezione della Germania) la «generazione Y» (i nati tra il 1981 e il 1995) e i fratellini della «generazione Z» (quelli che oggi sono alle superiori) sembrano schivare sicure opportunità di carriera? Distanti «Adolescenti connessi», nativi digitali che usano regolarmente smartphone, Internet e videogiochi, raramente i liceali sognano di fare …