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Una cellula ci salverà, di Elena Dusi – La Repubblica 12.10.15

Non c’è solo Stamina. Con lentezza, lontano dal clamore, la ricerca sulle cellule staminali sta portando le sue promesse di cura un po’ più vicino ai pazienti. Alcune malattie del sangue e degli occhi già contano i primi successi. A febbraio per la prima volta al mondo la Commissione Europea ha autorizzato un farmaco a base di cellule staminali: un trattamento per le ustioni della cornea messo a punto da uno spin off dell’università di Modena e Reggio Emilia. Le sperimentazioni sull’uomo per le lesioni del midollo spinale e per la sclerosi laterale amiotrofica sono in corso – anche se nelle fasi iniziali – e quelle per il Parkinson stanno per partire. La rigenerazione del cuore dopo un infarto, dopo anni di tentativi che hanno dato pochi frutti, comincia a vedere risultati. E le cellule capaci di rigenerarsi all’infinito sempre più spesso vengono usate per costruire in laboratorio organi in miniatura. Usarli per trapianti è prematuro, ma i “modellini” di polmone, intestino, fegato, cuore, rene e perfino cervello sono usati per studiare in vitro le malattie e testare gli effetti dei farmaci.
Dopo che la magistratura ha definito “pericolose e non scientifiche” le promesse di cura di Stamina, il mondo della scienza ha ripreso la sua marcia tra prove di laboratorio e cautissimi test sui pazienti. Le sperimentazioni procedono sia usando staminali adulte – eventualmente corrette nel loro Dna per cancellare all’origine la malattia – che staminali embrionali (con forti limitazioni nel nostro Paese: le cellule possono solo essere importate). Nel primo caso l’istituto Tiget di Telethon e del San Raffaele è già riuscito a correggere le staminali del midollo osseo per curare in maniera eclatantei bimbi colpiti da gravi forme di immunodeficienza (fra cui quella che colpisce i cosiddetti “bambini nella bolla”, costretti a vivere isolati per non ammalarsi di gravi infezioni) e da alcune malattie del sistema nervoso.
In Giappone è iniziato il primo trial sugli uomini con le cosiddette staminali Ips, o staminali indotte. Si tratta di cellule adulte che vengono trattate in laboratorio in modo da recuperare la loro “gioventù”. Dopo essere state trasformate, tornano del tutto simili alle staminali embrionali. L’inventore di questo metodo – il giapponese Shinya Yamanaka ha pubblicato i suoi risultati nel 2007 e cinque anni più tardi è stato premiato con uno dei Nobel più rapidi nella storia del premio svedese. Il suo istituto oggi sta usando le cellule Ips per curare una malattia della retina, la degenerazione maculare senile. Ma il trial è stato sospeso dopo due pazienti trattati: si vuole capire se durante il loro viaggio di ritorno allo stato di staminali le cellule abbiano subito danni al Dna. In Gran Bretagna intanto, un paio di settimane fa, è stata approvata una sperimentazione simile che utilizza però staminali ricavate dagli embrioni. E in Italia viaggia a gonfie vele, dopo vent’anni di ricerche e applicazioni sui pazienti, la terapia Holoclar messa a punto da Michele De Luca e Graziella Pellegrini dell’università di Modena e commercializzata da Chiesi Farmaceutici. Al metodo – usato nei pazienti che hanno subito un’ustione alla cornea – l’Agenzia europea del farmaco ha dato la sua autorizzazione al commercio a febbraio, la prima al mondo per una terapia a base di staminali. «Con una biopsia di 1 o 2 millimetri – spiega Pellegrini – si raccolgono le cellule staminali dal tessuto al confine fra la cornea e la congiuntiva. In laboratorio riusciamo a ricostruire l’epitelio che ricopre la cornea e a trapiantarlo nel paziente, che recupera in pieno la vista». L’uso di cellule che provengono dal paziente stesso elimina il pericolo di una reazione di rigetto.
«Non è un caso che sangue e occhi siano gli organi più trattabili con le staminali», spiega Giulio Cossu, che insegna medicina rigenerativa all’università di Manchester ed è professore onorario di biologia delle staminali all’University College London. Questi tessuti possono essere raggiunti dalle infusioni, ed è facile eliminare il tessuto malato per fare posto a quello sano, ricreato proprio con le staminali. Cervello, cuore e muscolo pongono sfide più ardue». Cossu e la sua équipe stanno conducendo un trial di fase uno (dove l’unico obiettivo è dimostrare che il trattamento non è nocivo) sulla distrofia muscolare, usando cellule dei pazienti corrette geneticamente e poi reinfuse. «Ma i muscoli sono tessuti molto vasti e tridimensionali. Dobbiamo affrontare problemi importanti per quanto riguarda la distribuzione delle nostre cellule staminali corrette. Ostacoli simili esistono per il Parkinson e la Sla, dove bisogna raggiungere tessuti difficilmente accessibili ».
Sempre più sperimentazioni, dal mondo delle università, oggi approdano a quello dell’industria. «Servono investimenti ingenti, e in Italia di soldi non ne girano troppi. I privati che riescono a trovare dei venture capitals danno vita ad aziende biotech, spesso partendo da idee messe a punto da start up universitarie», spiega Giuseppe Novelli, genetista, esperto di staminali e rettore dell’università di Tor Vergata. Quasi tutte, fra la dozzina di sperimentazioni sull’uomo che usano staminali embrionali, appartengono ad aziende biotech omultinazionali del farmaco e sono concentrate fra Gran Bretagna, Usa e Corea.
In Italia anche Angelo Vescovi dell’università di Milano Bicocca, direttore scientifico dell’Istituto Casa Sollievo della Sofferenza, si avvale della collaborazione di una start up milanese, la Stem-Gen. Vescovi ha appena terminato una sperimentazione di fase uno per la Sla. La fase due – dove invece ci si comincia a chiedere se il metodo ha anche benefici per i pazienti – inizierà l’anno prossimo su 60-80 malati. «Presto partirà anche un trial in cui le staminali non sono la cura, bensì il bersaglio». Sembra infatti che nei tumori queste cellule – con la loro capacità di rigenerarsi all’infinito – giochino un ruolo importante. Le staminali sono più difficili da eliminare con i trattamenti attuali, e potrebbero causare il ritorno della malattia. «Puntiamo a colpire le staminali di un tipo di cancro al cervello, il glioblastoma, iniettando una determinata proteina. Stiamo aspettando solo un via libera finale», spiega Vescovi.