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Post-sisma, questi cinque anni visti “da fuori”


A volte può essere utile sapere come ci vedono da fuori, per inquadrare i nostri problemi, che comunque rimangono, in un più ampio spettro di esperienze e comparazioni. Si avvicina il quinto anniversario dal terribile sisma del 20 e 29 maggio 2012 che devastò le nostre terre, con un carico di morti e danni che ancora pesano sui nostri cuori e sulle nostre braccia. Il quotidiano La Stampa ha mandato un inviato a verificare il percorso della ricostruzione post-sisma: cinque anni sono un tempo ancora corto, ma comunque significativo in caso di calamità naturali. Il giornalista elenca i risultati non scontati dell’opera di ricostruzione: nessuno vive più nei Map, i moduli abitativi temporanei; non c’è più cassa integrazione da post-sisma; 9 famiglie su 10 sono rientrate nelle loro abitazioni; ricostruite il 60% delle abitazioni private. E’ evidente che dalla famiglia sulle dieci ancora fuori casa, o dal titolare e dai lavoratori dell’impresa o dell’ufficio a cui non sono ancora arrivati i fondi pubblici per ripartire (o che hanno chiuso dopo il sisma, per non riaprire più) arriverà un legittimo giudizio critico, in particolare sulla burocrazia e sugli intoppi che hanno impedito di procedere con celerità. Ed è altrettanto evidente che si poteva fare ancora meglio. Ma ciò non toglie che, al giro di boa dei primi 5 anni, molto è stato fatto (soprattutto se diamo uno sguardo ad altre realtà che hanno vissuto il nostro stesso dramma). Certamente tanto altro è ancora da fare, a partire dalla ricostruzione di tutto il patrimonio pubblico. Ma anche il post-terremoto che oggi tutti prendono come esempio, quello del Friuli, si è misurato su tempi almeno doppi rispetto ai primi cinque anni dalle scosse. Insomma, se la strada è ancora lunga, un pezzo lo abbiamo già compiuto grazie a tutti coloro – ad iniziare dai cittadini e dai volontari – che ai diversi livelli si sono impegnati e hanno lavorato con pervicacia e dedizione a sostegno e a servizio delle nostre comunità.

a questo link il testo dell’articolo uscito su La Stampa giovedì 4 maggio 2017
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