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"Meno soldi ai partiti aiuti ai terremotati", di Alberto Custodero

È finalmente legge il taglio ai soldi destinati ai partiti e che verranno invece dirottati a favore dei terremotati. L’articolo 16 del ddl è stato approvato ieri al Senato. In tutto alle popolazioni dell’Abruzzo e dell’Emilia colpite dal sisma andranno 165 milioni in due trance. Una taskforce di magistrati controllerà i bilanci. Soldi dei partiti ai terremotati, è legge. Alle popolazioni colpite a partire dal 2009 dal sisma sono stati destinati 91 milioni di euro nel 2012 e 74 nel 2013: in tutto, 165 milioni. L’articolo 16 del ddl approvato ieri dal Senato prevede, fra l’altro, un sistema misto di finanziamento pubblico- privato, bilanci certificati affidati anche al controllo di magi-strati, l’obbligo ai tesorieri di rendere pubblici i loro patrimoni, la pubblicazione dei conti online. I sì sono stati 187, i no 17, gli astenuti 22. Favorevoli, Pdl, Pd e Terzo polo. Contrario l’Idv che ora annuncia un referendum abrogativo: «Confidiamo che i cittadini cancelleranno questa legge» ha detto Li Gotti. Astenuta la Lega. Ma all’interno della maggioranza non sono mancati i “frondisti”. “Dissidenti” i Radicali Bonino, Perduca e Poretti che hanno denunciato «un ritorno al finanziamento pubblico per legge nonostante il referendum abrogativo del 1993». I senatori democratici Della Seta e Ferrante non hanno partecipato al voto. L’articolo 16 è stato approvato in concomitanza con il decreto del governo che ha istituito il fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma il 20 e 29 maggio.
Per il 2013 e il 2014 Monti ha stanziato 2 miliardi di euro attraverso la riduzione delle principali voci della pubblica amministrazione. Il 95% delle risorse andrà all’Emilia Romagna, il 4% alla Lombardia, l’1% al Veneto.
Il perché il Senato ha approvato
l’articolo 16 a tempi record l’ha spiegata il capogruppo dei senatori Pd. «Abbiamo dovuto sopperire — ha detto Finocchiaro — a una dimenticanza della Camera che non aveva reso immediatamente esecutiva la legge». La Finocchiaro s’era poi battuta, nei
giorni scorsi, affinché l’articolo 16 venisse approvato entro i primi giorni di luglio. «La promessa è stata mantenuta», ha detto. Per questo, il Senato, per dirla con Rutelli, «s’è limitato con rammarico a ratificare il ddl senza proporre emendamenti» per consentire
che a favore dei terremotati sia destinata già la rata di luglio del finanziamento ai partiti. L’articolo 16, secondo il senatore Pd Agostini, è stato una risposta all’antipolitica: «Dalla sera alla mattina — ha spiegato — si dimezzano i bilanci dei partiti che diventano più trasparenti». Il ddl approvato a Palazzo Madama prevede anche la certificazione dei bilanci da parte di società di revisione iscritte nell’albo della Consob. Il controllo dei bilanci è affidato poi ad una commissione ad hoc composta da 5 magistrati designati dai vertici delle massime magistrature (uno dalla Cassazione, uno dal Consiglio di Stato, tre dalla Corte dei conti). Sono previste sanzioni per i partiti che non presentano i bilanci, e per quelli che non abbiano destinato il 5 per cento dei rimborsi ad iniziative che accrescano la partecipazione delle donne. Cambia pure il sistema di contribuzione pubblica alla politica: il 70% viene erogato a titolo di rimborso per le spese sostenute in occasione delle elezioni, il restante 30% è legato alla capacità di autofinanziamento dei partiti che ricevono 50 centesimi per ogni euro ricevuto a titolo di quote associative ed erogazioni liberali da parte
di persone fisiche o enti.

La Repubblica 06.07.12

"Una verità in ritardo", di Miguel Gotor

La tragica notte della Diaz è di quelle che segnano la memoria di una generazione. La vita di chi c’era ma anche di quanti, davanti alla tv o al pc, assistettero impotenti a quella brutale violenza di Stato e alla manipolazione propagandistica dei giorni successivi da parte dell’allora premier Berlusconi e del ministro Scajola. Iragazzi e le ragazze vittime di quella feroce prepotenza hanno finalmente trovato giustizia: soltanto undici anni dopo, però, ora che sono diventati uomini e donne e le ferite di quella notte si sono rimarginate, ma non le cicatrici che bruciano ancora. Di recente un film di Daniele Vicari, fedelmente tratto dagli atti processuali, ha riportato alla memoria la macelleria di quei giorni, le ore sudamericane che toccarono in sorte alla Genova civile e antifascista del luglio 2001, ma tra il pubblico ha prevalso un sentimento di estraniamento: è possibile che tutto questo è stato? E se è vero che è andata così, io dove ero e cosa facevo quando ciò avveniva?
Dei fatti della scuola Diaz, come di quelli della caserma di Bolzaneto, non contano soltanto il dolore e la violenza subita dalle vittime, ma la facilità con cui scattò una sorta di trappola totalitaria: le forze dell’ordine, consapevoli degli abusi commessi, che fabbricarono prove false per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica l’assalto, la propaganda asciugacervelli del premier e delle sue televisioni, la sospensione della legge, la consapevolezza dell’impunità, la coscienza che si poteva allentare il freno perché ci sarebbero state tolleranza e protezione da parte del governo. Una trappola scattata come una tagliola che leva il respiro lasciandoti impotente, come se determinati marchingegni e dispositivi culturali avessero continuato a funzionare silenziosamente, una generazione dopo l’altra, dai tempi del fascismo a quelli della lotta al terrorismo negli anni Settanta. Reperti archeologici ancora affilati ed efficaci, pronti a colpire nel 2001 approfittando dell’impreparazione delle forze politiche e dell’apatia della società civile.
Ma i fatti della Diaz ricordano anche un’altra amara verità. Questi undici anni sono passati malamente un po’ per tutti, come se ciascuno avesse preferito fuggire da quella brutta notte. I partiti non hanno avuto il coraggio di aprire un’inchiesta parlamentare per acclarare non solo le responsabilità delle forze dell’ordine, ma anche quelle del governo. Ed è ancora più grave che nessuna figura istituzionale abbia avvertito in questo periodo l’esigenza di chiedere ufficialmente scusa alle vittime di quella violenza, un atto doveroso, a prescindere dalla questione della responsabilità penale dei singoli. La polizia, per bocca del suo massimo vertice, ha assicurato, in una lettera indirizzata nel 2008 a questo giornale, che si sarebbe mossa «nelle sedi istituzionali e costituzionali» per rispondere all’esigenza del Paese di avere spiegazioni su quel che è realmente accaduto a Genova. In questi quattro anni nulla è avvenuto ed è auspicabile che la sentenza di ieri possa finalmente rappresentare la svolta tanto attesa. Resta il dato di fatto che in questi undici anni gli imputati di allora, oggi condannati, hanno proseguito la loro carriera, passando da una promozione all’altra. In ogni caso la sentenza della Quinta sezione penale della Cassazione è importante perché accoglie l’impianto colpevolista dell’appello e cancella la lettura sostanzialmente assolutoria consegnata dalla sentenza di primo grado. Si tratta di un ventaglio di reati gravi per un tutore dell’ordine: dall’arresto arbitrario alla calunnia, dal falso aggravato alle lesioni. Non ci saranno pene detentive, ma è rilevante che per i colpevoli sia scattata l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Sono stati prescritti, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al settimo nucleo speciale della Mobile, e quindi per loro non ci sarà neppure la pena accessoria dell’interdizione. Su questo punto resta l’amaro in bocca perché non bisogna dimenticare che la prescrizione estingue il reato, ma non cancella i fatti, ed è figlia, in questo caso giuridicamente degenere, della lentezza del processo.
Diaz è stata insieme con Bolzaneto la «più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale», secondo la definizione di Amnesty International, perché tutto è avvenuto con furia cieca e selettiva nella quiete operosa di una democrazia, che si scoprì all’improvviso fragile e insicura. Questa sentenza ce lo ricorda, e così ci aiuta a non dimenticare.

La Repubblica 06.07.12

"Istruzione Profumo critica i critici Ma i fondi sono in bilico", di Mariagrazia Gerina

Il ministro Profumo se la prende con chi, davanti ai tagli ipotizzati nella spending review, grida in soccorso della scuola e dell’università italiana. Riflessi condizionati, più degni dei «cani di Pavlov» che di «autorevoli commentatori», assicura l’ex rettore del Politecnico. La bistecca, però, per stare alla metafora suggerita dallo stesso Profumo, c’è. Ed è grossa e indigesta. Un taglio da 200 milioni, che alla fine ripetono da viale Trastevere non sarà applicato al Fondo di finanziamento ordinario, ma che gli atenei italiani dovranno lo stesso mandare giù. E lo stesso dovranno fare enti di ricerca e scuole pubbliche, alle prese con esuberi, mobilità e blocchi del turn over, totale per i bidelli. Mentre per il diritto allo studio le risorse “aggiuntive”, 90 milioni, non bastano a ripristinare adeguatamente il fondo. Dov’è allora il riflesso condizionato di chi grida in soccorso della scuola? Per tentare di spiegarlo, il ministro ha fatto diramare una nota, pubblicata anche sul sito del Miur. Con tanto di foto di pastore tedesco ad illustrare il concetto. Titolo, per chi non avesse capito: «Il cane di Pavlov». «Come infatti il noto cane dello scienziato russo Ivan Pavlov aveva una forte salivazione da acquolina in bocca anche in assenza del cibo se semplicemente veniva fatto suonare il campanellino che per mesi aveva accompagnato la pappa, così», spiega con tono irritato e didascalico la nota del Miur, «è bastata l’identità della cifra proposta per il taglio al fondo di funzionamento ordinario delle Università (200 milioni) con quella postata in bilancio (come ogni anno, prima dell’estate) a completamento della dotazione ordinaria per le scuole paritarie, oltre che la coincidenza temporale, a far scattare in prestigiosi commentatori un vivacissimo riflesso condizionato: si toglie all’università pubblica per dare alla scuola privata». La lista dei commentatori, a cui la nota piuttosto esplicitamente pare riferirsi, è piuttosto lunga. In testa agli “indiziati”, il presidente della Conferenza dei rettori, Marco Mancini, che ieri sull’Unità ha criticato aspramente le misure messe in campo dal governo Monti: «Nemmeno Tremonti era arrivato a tanto!». Il ministro, suo ex collega, sembra non abbia gradito per niente. Su tutte le furie, ha attaccato a testa bassa. E con insolita veemenza. Ma al netto della metafora canina, nella sua risposta non ci sono molte rassicurazioni. Se non che i 200milioni alle scuole private sono in realtà una cifra con il segno meno rispetto ai finanziamenti stanziati in precedenza. E che i tagli alle università sono un «processo ancora in itinere, che deve essere preso seriamente e dunque valutato alla fine». Di certo, non si sono sentiti per niente rassicurati studenti e sindacati. «Si tagliano risorse alle università, si conferma il quasi azzeramento del diritto allo studio, si accorpano e sopprimono enti di ricerca, si riducono ulteriormente gli organici nel sostegno, si tagliano i collaboratori scolastici, già drasticamente ridotti negli anni scorsi, per appaltare all’esterno le pulizie a costi superiori», passa in rassegna i tagli il segretario della Flc Cgil Domenico Pantaleo, invocando lo sciopero generale. Mentre gli studenti della Rete della conoscenza avvertono che se lo «scempio» verrà confermato, loro non staranno a guardare.

L’Unità 06.07.12

Sisma: Ghizzoni, primo passo verso la normalità

“Oggi è stato fatto un primo passo per il ripristino della normalità nelle aree colpite dal sisma. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura della Camera, dopo aver ottenuto parere favorevole del Governo all’emendamento 5.22 presentato al dl 74/12 – I 76 milioni previsti dal decreto sul terremoto non erano sufficienti a dare una risposta concreta a sanare la difficile situazione dell’edilizia scolastica. Il parere favorevole allo stanziamento del 60% dei fondi destinati alla scuola, già nella disponibilità del bilancio dello Stato, porterà – ha spiegato Ghizzoni – risorse aggiuntive per circa 120 milioni. Con l’approvazione degli emendamenti le amministrazioni locali potranno immaginare interventi di più lungo respiro, che partano dalla messa in sicurezza dei plessi scolastici e prevedano un piano pluriennale di ricostruzione.
Oggi le istituzioni hanno dato un primo segnale a chi, con grande dignità, ha chiesto un aiuto per avviare un percorso di ricostruzione di medio e lungo periodo e per la tutela del diritto allo studio.”

"Divisi sul premio e sui collegi: in salita la legge elettorale", di Simone Collini

Tre settimane per trovare un’intesa sulla legge elettorale, era stata la sfida lanciata da Alfano. Bersani l’ha raccolta. E però ora che le tre settimane sono abbondantemente passate, non è stato siglato alcun accordo per superare il “Porcellum”. Anzi, ultimamente le distanze tra Pdl e Pd sono aumentate, ed è già alle spalle l’ipotesi di una legge che assegni il 50% di seggi in collegi uninominali a un turno e l’altro 50% col proporzionale in circoscrizioni medio-piccole e lo sbarramento al 5%.
È soprattutto su due punti che si è bloccata la trattativa: quale meccanismo introdurre per permettere agli elettori di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento e come garantire la governabilità. Insomma, i due punti cardine. E a poco è servito che sia cambiata la compagine degli sherpa che stanno portando avanti il confronto. Gli ultimi colloqui tra Maurizio Migliavacca (Pd), Denis Verdini (Pdl) e Ferdinando Adornato (l’Udc) non sono bastati a trovare la quadra.
PREFERENZE CONTRO COLLEGI
A rendere impossibile l’accordo, spiegano nel Pd, sono le divisioni e le ambiguità che dominano nel Pdl. Nel Pdl puntano invece il dito contro il niet posto dal Pd all’introduzione delle preferenze. Sono vere entrambe le cose.
I vertici di via dell’Umiltà sono divisi tra chi vuole le preferenze, chi i collegi uninominali e chi delle liste bloccate corte. E un vertice notturno a palazzo Grazioli non è servito a scegliere una posizione univoca. Berlusconi, spiega chi ha partecipato all’incontro, si sarebbe detto favorevole alle preferenze (opzione che per l’ex premier premierebbe la scelta di presentare insieme alla lista del Pdl una serie di liste civiche utili a interecettare il voto degli indecisi). In questo segnalando già un primo asse con il leader leghista Roberto Maroni («utile introdurre almeno una preferenza, dice). Ma già ieri mattina una fetta del partito si è scagliata contro l’ipotesi, parlando del «peggio della vecchia politica (Capezzone) e di aumento esponenziale dei costi della politica «con tutte le conseguenti degenerazioni (Calderisi e La Loggia).
È esattamente questa la posizione del Pd, che per la scelta dei parlamentari propone di ricorrere ai collegi: anzitutto maggioritari, per ricostruire un legame con i territori, ma con una quota anche di proporzionale. Bersani, dopo il muro alzato dal Pdl nei confronti del doppio turno, ha inviato alla controparte un messaggio molto esplicito sul fatto che il suo partito non accetterà una riforma al ribasso basata sul sistema delle preferenze. È vero che tra i Democratici c’è anche ci non vede di cattivo occhio questo strumento (Beppe Fioroni in primis). Ma non si aprirà su questo nessun braccio di ferro, nel Pd. Anche perché l’Udc, storicamente difensore delle preferenze, è disposto a rinunciarvi pur di portare a casa una riforma che faccia superare il “Porcellum”.
IL NODO PREMIO DI MAGGIORANZA
C’è poi un’altra questione su cui Pd e Pdl sono in disaccordo: come garantire la governabilità. Il che si traduce in una discussione sul premio di maggioranza. Il Pd non accetta che si assegni il 55% dei seggi alla Camera a chi arriva primo qualunque sia la percentuale di voti incassata alle urne. Tra le ipotesi in discussione c’è la previsione di un premio che vada dal 10 al 15%, e che verrebbe assegnato soltanto in caso di un 35-40% ottenuto alle urne (al di sotto scatterebbe un meno consistente premio di consolidamento).
Dopodiché la discussione non manca su chi potrebbe ottenere il premio, ovvero il partito o la coalizione. E anche, nel caso si decida per la seconda opzione, se escludere dall’assegnazione dei seggi ulteriori le forze della coalizione che non abbiano superato la soglia di sbarramento (che dovrebbe essere fissata al 4 o 5%).

l’Unità 05.07.12

"È un raggio di luce sull’oscurità", di Margherita Hack

I fisici delle particelle stavano cercando il Bosone di Higgs da parecchi mesi, ora sembra proprio che l’abbiano trovato. Si tratta di una bella conferma della teoria chiamata Modello Standard. Il Modello Standard spiega concretamente vari comportamenti delle particelle elementari, ma, per fare questo, ipotizza che ci sia una particella più grossa del protone, il Bosone di Higgs appunto, che spiegherebbe come si formano tutte le altre particelle che conosciamo. Sarebbe questo Bosone, infatti, a dare a tutte le altre particelle la massa. Il Bosone di Hoggs sarebbe, quindi, un po’ come il babbo e la mamma di tutte le particelle elementari. Io lo chiamo addirittura dio. Se dio infatti ha fatto tutto quello che vediamo, allora la particella che spiega come si forma la materia delle altre particelle dalle quali poi deriva tutto le stelle, gli elementi che abbiamo sulla Terra, compresi quelli che compongono gli esseri umani è veramente dio.
Questa particella però non era mai stata trovata. Come l’hanno cercata? Noi sappiamo che esiste un’eguaglianza tra massa ed energia, da questa conoscenza possiamo dedurre che se c’è sufficiente energia, si può creare una particella. Large Hadron Collider (Lhc), l’acceleratore di Ginevra, avrebbe potuto trovare questa particella perché è il più potente, quello che raggiunge livelli di energia mai raggiunti finora in laboratorio. Così Lhc ha cominciato a funzionare alla massima energia nella speranza di trovare il Bosone di Higgs. Sembra ci sia riuscito. Ora si comincia a capire concretamente la struttura della materia.
Qual è il prossimo passo? Dal punto di vista della fisica delle particelle non saprei dirlo, però so che noi astrofisici cerchiamo di capire cosa siano la materia oscura, che costituirebbe la maggior parte della materia dell’universo e sarebbe fatta da particelle elementari ancora sconosciute, e l’energia oscura. Non so se il Bosone di Higgs ci possa dare un aiuto in questa direzione, ma è possibile. Poi bisogna cercare di capire perchè l’universo è fatto di materia e non di antimateria. Oggi l’astrofisica riesce a vedere direttamente come era fatto l’universo 400mila anni dopo l’inizio dell’espansione. Dalle temperature e dalla densità della materia in quel momento, come i fisici, anche noi possiamo risalire ai valori di temperatura e densità della materia che si trovavano frazioni infinitesimali di secondo dopo il Big Bang.

l’Unità 05.07.12

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“Fabiola e Peter, l’abbraccio della scienza”, di Emanuele Perugini

Coronate dall’emozione di ieri, due storie che si incrociano: quella di un grande fisico ormai in odor di Nobel e di una giovane «eccellenza italiana. Da una parte Fabiola Gianotti, con la sua polo rossa, i capelli raccolti dietro l’orecchio, e le mani che si nascondevano nelle enormi tasche dei pantaloni color cachi. Dall’altra, Peter Higgs, con i suoi pochi capelli bianchi e gli enormi occhiali da vista. Entrambi ieri mattina nell’emiciclo della sala conferenze del Centro di ricerche nucleari (Cern) di Ginevra, si sono scambiati spesso gli sguardi. Era infatti dai dati che Fabiola Giannotti stava illustrando al mondo intero, che l’anziano ricercatore aspettava la conferma attesa per una vita intera che la sua intuizione, era esatta.
Era infatti nel lontano 1964, mentre camminava sulle colline scozzesi, che la sua mente partorì il bosone che poi sarebbe stato chiamato «di Higgs. Come spesso accade, l’idea arrivò all’improvviso al punto che Higgs fuggì lasciando tutta la compagnia di stucco, perché aveva avuto una «big idea e aveva bisogno di doverla fissare. Ieri mattina, quella sua Big Idea, che avrebbe potuto mettere insieme una teoria che riuscisse a spiegare almeno in parte il funzionamento dell’Universo, veniva snocciolata, da una donna italiana di 48 anni, che sul grande schermo non faceva che rovesciare dati, numeri e grafici in sequenza impressionante.
Da un lato il vecchio professore delle Highlands e dall’altro una ricercatrice, figlia dell’Unità d’Italia nata a Torino da padre piemontese e di professione geologo e madre siciliana amante delle lettere, Fabiola Gianotti ha vissuto e studiato a Milano. L’Europa è anche questo.
L’EMOZIONE
Per l’ormai ottantetrenne scienziato britannico i circa 40 minuti della presentazione di Fabiola devono essere sembrati davvero interminabili, anche perché dalla bocca della fisica italiana non è mai uscita la frase «abbiamo scoperto il bosone di Higgs. Gianotti è infatti stata sempre molto prudente e non ha mai tradito l’emozione. «Ci sono forti indicazioni della presenza di una nuova particella attorno alla regione di massa di 126 GeV, ha detto. «È il bosone più pesante mai trovato, ha aggiunto. «Siamo dinanzi a risultati preliminari sottolinea e prima di sbilanciarci troppo è necessario ancora un po’ di tempo. Ma quando una scienziata dice «abbiamo osservato chiaramente una nuova particella, con probabilità di 5 sigma, significa che c’è una probabilità di errore dello 0,000028%. Così mentre tutto il mondo aspettava che venisse pronunciata quella frase, solo la platea dei fisici che era lì a Ginevra riusciva a cogliere il significato: anzi, loro direbbero, «la consistenza di tutti quei dati.
Lì in prima fila, tra gli altri grandi della fisica italiana ed europea, proprio Peter Higgs, che quando la Gianotti ha concluso la sua presentazione, non è riuscito a trattenere le lacrime della commozione. Mentre tutti in sala applaudivano, e urlavano e gioivano per il grande risultato raggiunto e per la grande fatica che è stata necessaria per raggiungerlo. «È la cosa più incredibile che sia successa nella mia vita. Sono le sole parole che Peter Higgs è riuscito a dire mentre tutti lo guardavano con affetto e mentre Fabiola Gianotti gli si è avvicinato e lo ha abbracciato.
Ora per il fisico, ne sono sicuri in molti, si tratterà solo di aspettare novembre, quando verrà annunciato il premio Nobel. Mentre per Fabiola Gianotti, l’altra grande protagonista della giornata, si aprono ancora di più le frontiere della ricerca, a cui, lei stessa con il suo lavoro, ha contribuito non poco ad allargare l’orizzonte. «Non avrei mai scommesso che la mia vita sarebbe andata così, confessa. «Spero che la mia esperienza sia da stimolo a tutte le giovani donne a intraprendere questa strada. Una strada ricca di ostacoli ma ineguagliabile come emozioni e soddisfazioni. Ora l’avventura di Gianotti si fa sempre più affascinante. «Non so dove i nostri risultati ci porteranno conclude ma sarà fantastico avere l’opportunità di fare ricerca su campi ancora inesplorati.

L’Unità 05.07.12

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La scoperta dell’ultimo tassello apre la strada a «nuovi mondi»
a cura di Giovanni Caprara

1 Che cosa è il bosone di Higgs?
Il bosone noto anche come «particella di Dio» era l’ultimo tassello del Modello Standard, la teoria quantistica che spiega l’architettura di base della natura costruita con particelle elementari, come l’elettrone e il protone, e tre delle quattro forze fondamentali (interazione forte, debole ed elettromagnetica). Alcune teorie avevano immaginato l’esistenza di una famiglia di cinque tipi di bosoni e quello individuato sarebbe il più leggero secondo quell’idea. Ma non è detto che esistano gli altri. La sua presenza stabilisce la massa delle altre particelle e di se stesso.
Per dare una raffigurazione del bosone di Higgs possiamo immaginare un lago con la sua superficie tranquilla. Questo è il campo di Higgs. Soffia una leggera brezza e si creano delle increspature, delle onde. Le onde sono i bosoni di Higgs e quando il vento cessa scompaiono. Altrettanto i bosoni che decadono in altre particelle (fotoni, ecc).
2 Che cosa hanno scoperto esattamente al Cern?
Innanzitutto si è visto che il bosone di Higgs esiste davvero e che ha una massa di 126 GeV (miliardi di elettronvolt) equivalente a 126 volte la massa del protone (il quale è nel nucleo di un atomo assieme al neutrone).
Scoprendolo «si è raggiunta una pietra miliare nella conoscenza della natura», come sottolinea il direttore del Cern Rolf Heuer perché se non ci fosse non avrebbero massa le stelle, i pianeti, le cose in genere e neanche noi stessi. Il bosone era nato assieme alle altre particelle nel primo millesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang da cui ha avuto origine l’Universo. Ed è in questo frammento di tempo primordiale che gli strumenti di Lhc riescono a guardare. Ora gli scienziati del Cern presenteranno la loro scoperta in Australia, a Melbourne, ad un convegno dedicato all’argomento e iniziato ieri.
3 Si è trovato veramente ciò che si cercava?
In parte sì e in parte no. Il bosone quando si manifesta decade in tre tipi di altre particelle. Quindi si è constatato che genera più fotoni e meno particelle quark e tau rispetto a ciò che si era previsto. Invece produce una quantità normale di particelle W-Zzero (scoperte da Carlo Rubbia). Adesso si dovranno misurare bene queste «anomalie» per capire di che cosa si tratta e che cosa significano. Potrebbero essere l’anello di congiunzione tra la fisica nota e la nuova.
4 Quali possibilità si aprono dopo questa scoperta?
Notevoli, varie e fantascientifiche per certi aspetti. Proprio le «anomalie» emerse, infatti, potrebbero essere il segno di una fisica nuova portandoci a trovare le particelle della materia e dell’energia oscura che riempiono il 96 per cento del cosmo. La materia visibile costituita da stelle e pianeti e galassie rappresenta solo il 4 per cento. Il bosone ha provocato la rottura della simmetria iniziale esistente immediatamente dopo il Big Bang consentendo quindi la formazione dei corpi celesti. Inoltre si apre la possibilità di scoprire la supersimmetria la quale dice che in natura esisterebbero, oltre alle particelle note come elettrone, quark e neutrino, altre particelle perfettamente simmetriche ma con una caratteristica diversa legata allo spin, come la chiamano i ricercatori. E queste particelle sarebbero selettrone, squark, sneutrino. Un altro mondo insomma. Inoltre si potrebbero scoprire nuove dimensioni oltre alle quattro in cui viviamo (altezza, larghezza, profondità e tempo). La teoria delle stringhe ne immagina una decina, ma anche quella non è mai stata dimostrata finora.
5 E il superacceleratore potrà aiutare a indagare la nuova fisica?
Anzi è stato costruito apposta. Ora si continueranno a prendere, ancora per tre mesi, ulteriori misure del bosone e poi verso la fine dell’anno Lhc sarà spento per un periodo di manutenzione di due anni nei quali si estrarranno molti degli aspetti enigmatici contenuti nei dati disponibili e ottenuti con scontri fra nuvole di protoni ad un’energia massima di 8 TeV. Quando la macchina verrà riaccesa sarà spinta a funzionare alla sua massima capacità e allora negli scontri tra protoni si arriverà a 14 GeV.
6 Ma il Modello Standard ora completato dal bosone mancante spiega tutto?
No. Ci sono aspetti fondamentali ancora non considerati da questa teoria. Ad esempio non vengono per nulla trattate la materia oscura e la forza di gravità, due elementi importanti e determinanti nella descrizione dell’universo. Quindi il Modello Standard non è ritenuto completo per decifrare la natura.

Il corriere della Sera 05.07.12

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“La scienza e la sapienza”, di Vito Mancuso

A QUANTO pare Stephen Hawking ha perso la partita con Peter Higgs, visto che aveva scommesso sulla non esistenza della particella subatomica oggi mondialmente nota come “bosone di Higgs”. Ma il richiamarlo ora ha un altro motivo, cioè il fatto che il suo libro più noto, Dal Big Bang ai buchi neri (1988) si conclude così: “Se riusciremo a trovare la risposta a questa domanda decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di Dio”.
Hawking ha affermato che è stata questa frase finale a fare del suo libro un bestseller mondiale, e non a caso la medesima trovata è presente in molti altri libri di divulgazione scientifica, tra cui Paul Davies, La mente di Dio (1992) ; Riccardo Chiaberge, La variabile Dio ( 2008) ; Margherita Hack Il mio infinito. Dio, la vita e l’universo (2011) ; Edoardo Boncinelli, La scienza non ha bisogno di Dio (2012). La logica che ha condotto a denominare il bosone di Higgs “particella di Dio” è la medesima che muove l’industria editoriale.
Ma perché la connessione tra religione e argomenti scientifici risulta così efficace? Per due motivi a mio avviso. Il primo è la capacità pressoché immediata del termine “Dio” di far comprendere l’importanza della posta in gioco quando si tratta degli ambiti fondamentali della scienza come l’origine dell’universo, della materia e di quella particolare materia dotata di movimento e di intelligenza che è la vita. Parlando della particella responsabile della massa, o dell’unificazione delle quattro forze fondamentali, o dell’unificazione tra relatività e meccanica quantistica perseguita dalla teoria delle stringhe, si toccano territori primordiali, di rilievo non solo fisico ma anche filosofico per l’importanza sul senso complessivo del nostro essere qui. E il termine Dio con solo tre lettere ha questa capacità evocativa. Era esattamente per questo che, volendo far comprendere la razionalità ordinata dell’universo, Einstein ripeteva: “Dio non gioca a dadi”.
Il secondo motivo è il bisogno primordiale della nostra mente di conciliare scienza e sapienza. Noi avvertiamo infatti l’esigenza non solo di conoscere dati e ricevere informazioni, ma anche di valutare il loro significato per l’esistenza e per i criteri con cui pensiamo la giustizia, la bellezza,
il bene e il male. Le civiltà del passato erano in grado di conciliare scienza e sapienza, si pensi al titolo posto da Newton al suo capolavoro, Elementi matematici di filosofia naturale, che indica il fatto che per Newton essere scienziato ed essere filosofo (ed essere biblista vista la sua passione per la Sacra Scrittura) erano la medesima cosa. Oggi però tale conciliazione è infranta e il risultato è l’attuale separazione tra discipline scientifiche e umanistiche, simbolo di una più complessa lacerazione interiore. Per questo, quando si prefigura la possibilità di ritornare all’antica visione unitaria, la mente umana si fa attenta e partecipe, si tratti di un’invisibile particella subatomica o di libri ben in vista in vetrina.

La Repubblica 05.07.12

"Il futuro. Seconde generazioni: Italiani, ma senza poterlo essere", di Francesca Paci

Si sentono chiamati in causa quando la disoccupazione under 24 sfiora il 37%, quando il presidente Napolitano esorta i giovani a scendere in campo, quando Montolivo sbaglia il rigore contro l’Inghilterra e soprattutto quando l’icona Balotelli castiga due volte la Germania (e pazienza per la coppa d’Europa mancata). Si sentono italiani dentro ma fuori così così. Sono le seconde generazioni d’immigrati, il Paese del futuro, oltre un milione di ragazzi e ragazze che in virtù dello ius sanguinis faticano a ottenere la cittadinanza pur essendo nati o cresciuti a Roma, Bologna, Vercelli, Lecce (in Italia, come in Grecia e parzialmente in Germania, la cittadinanza dipende dal fatto che almeno uno dei genitori ce l’abbia e non dall’essere nato sul territorio dello Stato come in Francia e negli Stati Uniti) .
«Rispetto ai nostri padri abbiamo la consapevolezza di non essere più portatori di bisogni ma di diritti e doveri» spiega il responsabile dei nuovi italiani del Pd Khalid Chaouki al termine del sit-in organizzato ieri davanti a Montecitorio per chiedere la modifica della legge sulla cittadinanza. Il segretario Pierluigi Bersani ha appena garantito alle decine di manifestanti avvolti nel tricolore che, una volta al governo, sostituirebbe lo ius sanguinis con lo ius soli perché «chi nasce e cresce qui è italiano». E pazienza se nel frattempo il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri definisce quella promessa una «regolarizzazione facile e in controtendenza con l’Europa»: chi s’identifica nel siculo-ghanese-bresciano in maglia azzurra SuperMario Balotelli non ha mai avuto veri dubbi circa la propria identità.
«Parlo meglio l’italiano del dialetto marocchino, il mio film preferito è “La ricerca della felicità” di Muccino, fino a poco tempo fa avevo una fidanzata italiana, eppure a settembre, quando compirò 18 anni, sarò tecnicamente un clandestino» lamenta Adil el Youssoufi, emigrato da Marrakesh nel 1999 e cresciuto con i genitori e i fratelli a Imola, dove frequenta l’istituto tecnico e soprattutto le briose discoteche della riviera. Il connazionale venticinquenne Abderrahmane Amajou, «cittadino» ma solo grazie alla moglie italiana, ammette che, per esempio, non potrebbe affrontare un libro in arabo: «Sono arrivato nel Cuneese a 7 anni, ho studiato scienze politiche a Torino, ascolto Jovanotti e Vasco Rossi e leggo molto, ho appena terminato “Il mio migliore amico”, la mia lingua è l’italiano».
Quasi tutti quelli in sit-in a Montecitorio sono originari del Maghreb o dell’Albania. C’è qualche sudamericano come la commessa di McDonald’s Vanessa Cuvas, padre peruviano e madre colombiana ma entrambi senza cittadinanza italiana, o il grafico capoverdiano trentunenne Ireneo Spencer che vede e rivede su internet i film di Totò e, dice, non cambierebbe Roma con nessuna città del mondo. Ci sono un paio di pakistani, qualche nigeriano. Mancano i cinesi, una delle comunità straniere più numerose, ma il loro è un caso a parte perché Pechino non riconosce il doppio passaporto e diventare italiani significherebbe un aut aut. Tutti diversi e tutti simili. Per capire a che nazionalità sentono d’appartenere basta chiudere gli occhi e ascoltarli mentre si prendono in giro in romagnolo, romano o pugliese.

La Stampa 05.07.12