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La sfida di Bersani «Patto di governo e primarie aperte entro l’anno», di Simone Collini

Mandato pieno per cambiare legge elettorale. Il segretario del Pd pensa a cessioni di sovranità tra alleati per garantire l’intesa e saldo ancoraggio istituzionale. Si candida a premier, annuncia primarie aperte, propone un patto di legislatura a tutte le forze democratiche e lancia un aut aut a Di Pietro. Bersani delinea il percorso che dovrà portare alle elezioni del 2013 e incassa un voto all’unanimità da parte della Direzione del suo partito. Al centro del ragionamento che fa il leader del Pd di fronte al resto del gruppo dirigente c’è la necessità di lavorare per una «ricucitura tra politica e cittadini». Il che vuol dire cambiare la legge elettorale, costruire un’alleanza che non sia un’«ammucchiata» e anzi garantisca governabilità, chiamare gli elettori a decidere chi dovrà essere il candidato premier alle prossime politiche. Che dovranno svolgersi la prossima primavera perché il Pd, come ribadisce il segretario, assicura lealtà al governo, a cui però chiede «un approccio meno ragionieristico» e non più annunci ma «qualche segno concreto» per fermare la crisi.
SUPERARE IL PORCELLUM
Per Bersani la priorità a cui devono dedicarsi i partiti, al di là del lavoro sulle questioni economiche e sociali, è superare il Porcellum, perché è chiaro che o un accordo viene trovato prima dell’estate oppure si tornerà alle urne con questo sistema di voto. Contatti tra il segretario del Pd e Alfano per far ripartire su un diverso binario la discussione sulla legge elettorale ci sono stati. Venti giorni è il lasso di tempo che si sono dati i leader di Pd e Pdl per convergere su un determinato modello. Bersani alla Direzione ha chiesto, e ottenuto, un pieno mandato a discutere partendo dalla proposta del doppio turno di collegio, ma con la disponibilità a cercare una possibile mediazione.
PATTO DI LEGISLATURA
Dipenderà in parte dal trovato o mancato accordo sul sistema di voto il modo in cui il Pd andrà alle urne, cioè se da solo o all’interno di una coalizione. Ma Bersani mette in chiaro fin d’ora che non intende impegnare il partito in un sistema di alleanze ad ogni costo. «Tocca al Pd prendere la guida del percorso di alternativa. Noi la proposta politica l’abbiamo da tempo e la teniamo ferma, centrosinistra di governo aperto a un patto di legislatura con forze democratiche e civiche moderate. Un patto di legislatura tra progressisti e moderati per la ricostruzione del Paese». L’idea di Bersani, nel far riferimento a un «centrosinistra di governo», è di chiedere agli eventuali alleati un «accordo di governabilità e una parziale cessione di sovranità». Ancora più in concreto significa che in caso di controversie fondamentali, i gruppi parlamentari decideranno a maggioranza, in una riunione congiunta, come votare in Aula. E non finisce qui. Fin d’ora Bersani mette non solo in chiaro che l’offerta è rivolta tanto ai partiti quanto ad associazioni, movimenti, amministratori e singole personalità del mondo della cultura e dell’impresa (già sono state fissate in agenda per dopo l’estate due iniziative per stringere i rapporti con questi mondi).
AUT AUT A DI PIETRO
Il leader del Pd precisa infatti che non tutti i partiti tradizionalmente alleati faranno parte anche questa volta della partita. «Al collega Di Pietro dico che c’è una ovvia condizione di base, il ri-
spetto reciproco e il saldo ancoraggio istituzionale. Veda un po’ se vuole insultarci o fare l’accordo, mancare di rispetto alle istituzioni della Repubblica o fare l’accordo. Le due cose assieme non possono stare. O l’una o l’altra». Il leader dell’Idv replica a distanza dicendo che vuole capire quale sia il programma del Pd «perché non intendiamo cadere nel tranello delle ipocrisie e della vendita di fumo». Parole che non piacciono a Bersani, che nella replica finale della Direzione rincara la dose: «Ci sono dichiarazioni di Di Pietro irraggiungibili per Grillo. C’è un limite a tutto».
PRIMARIE APERTE IN AUTUNNO
Oggi Bersani e Di Pietro saranno insieme, come anche Vendola, a un convegno organizzato dalla Fiom-Cgil sui temi del lavoro (ieri un gruppo di rappresentanti sindacali guidato da Ferrando del Partito comunista dei lavoratori è andato a contestare davanti alla sede del Pd al grido di «l’articolo 18 non si tocca»). Qui si capirà se la separazione tra Pd e Idv si può dare per assodata e anche se Vendola sfiderà Bersani alle primarie (manca l’ufficialità ma non ci sono dubbi). Il leader del Pd ha rotto gli indugi annunciando non solo che si candida alla premiership ma anche che entro l’anno si faranno primarie aperte per «far decidere ai cittadini» chi dovrà guidare la coalizione «dei progressisti e dei democratici»: «So di chiedere al mio partito un atto di generosità e il coraggio di una sfida. Conosco bene le contraddizioni, i problemi che dovremo affrontare. Ma ho sempre pensato che metterci al servizio di un processo più grande di noi non riduce né il ruolo né la forza del nostro partito». Diversi dirigenti del Pd, sia nei colloqui riservati che negli interventi, non hanno nascosto perplessità per la decisione del segretario. Ma Bersani è convinto che questa sia la scelta giusta: «Alla fine la democrazia è guardare la gente negli occhi e farla scegliere liberamente. Si dimostrerà che questo lo facciamo solo noi».

l’Unità 09.06.12

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“Sì unanime e mandato al leader per la riforma” di Maria Zegarelli

Franceschini: la candidatura di Bersani è la scelta giusta D’Alema: prima c’è il progetto per l’Italia. Il Pdl fa le primarie? Scelga il nostro stesso giorno… Alla fine il mandato al segretario è pieno, unanimità nel voto della direzione. Il percorso indicato da Pier Luigi Bersani, e la sua candidatura, sono condivisi dai dirigenti del suo partito, pur con qualche dubbio sulla formula di nuovo conio, «primarie aperte», ma la sostanza convince tutte le anime democratiche, compreso Matteo Renzi, su cui sono accesi i riflettori in quanto (quasi) certo sfidante del segretario.
«Davvero una bella giornata», commentano dallo staff di Bersani. Quel percorso a tre tappe indicato dal segretario, dove il primo step non può che essere la legge elettorale, condicio sine qua non per passare al secondo e poi al terzo, unisce i democrat. Il segretario accetta la sfida lanciata da Alfano e dal Pdl: «Tre settimane e si decide se c’è l’accordo». Ed è evidente che qualche mediazione si dovrà fare, purché si cambi il Porcellum. E proprio alla legge elettorale resta appeso il destino delle alleanze e delle stesse primarie. Come il destino del governo Monti resta appeso al Pdl, perché dal Pd, pur con qualche critica, l’appoggio viene ribadito. Oggi più di ieri, dice Massimo D’Alema, dal momento che «i poteri forti lo hanno abbandonato». Poteri che non esitano ad alimentare l’antipolitica, che in Italia si fonda su due pilastri: «La fragilità del sistema politico democratico» e, appunto, «la disponibilità di una parte del ceto economico e intellettuale dominante a cavalcare questo fenomeno». Sostegno convinto ribadiscono anche Walter Veltroni, Dario Franceschini e Enrico Letta.
IL SOSTEGNO
«Bersani ha detto con chiarezza che si candida, è una scelta giusta dice Franceschini Lo sosterremo, non è l’avventura ma la competenza, il buon senso e la capacità di governo che servono al Paese». Beppe Fioroni avverte: «Se non riusciamo a cambiare il Porcellum almeno che si introducano le preferenze». «Peggio del Porcellum c’è solo il Porcellum con le preferenze ribatte Veltroni, arrivando in direzione a dibattito avviato. No, «peggio del Porcellum con le preferenze c’è il Porcellum con le primarie», sostiene Paolo Gentiloni.
Sulle primarie c’è chi chiede chiarezza e regole certe. «La proposta di Bersani dice il presidente del Copasir D’Alema è seria e convincente. Prima c’è il progetto per l’Italia, o tutto si riduce alla scelta del capo e poi la ligittimazione democratica di chi guida, le cose così sono nell’ordine giusto». E sulle primarie: «Ho posto da lungo tempo l’esigenza di regolarle, di farne non un evento salvifico, un camminare sui carboni ardenti, ma una forma organizzata e regolata di partecipazione democratica». E dal momento che anche il Pdl vuole farle, «facciamole lo stesso giorno così evitiamo che i loro elettori vengano a votare alle nostre».
Franco Marini invita alla cautela: «Vorrei parlare delle primarie aperte dopo la definizione delle alleanze. Perché altrimenti diventa difficile affrontare questo problema. L’idea di avere più candidati del Pd e figure che in astratto potrebbero essere quelle che guidano il Paese merita una ulteriore discussione». Soddisfatto Pippo Civati, «l’apertura alle primarie di coalizione è un nostro successo», cioè di chi come lui, Sandro Gozi e Paola Concia ha firmato l’ordine del giorno (ieri ritirato in vista dell’Assemblea nazionale) che le chiedeva insieme al limite dei tre mandati. Aggiunge che con Renzi si sta ragionando su una «sola candidatura nostra» e Renzi è al primo posto. Non è convinta Debora Serracchiani, vuole capire bene «di cosa stiamo parlando». Resta vaga anche sull’ipotesi di una sua candidatura.
IL CAMPO POLITICO
Resistenze, forti, su Antonio Di Pietro. Fioroni vede il rischio di una «dipietrizzazione vendoliana», gli ex popolari ne farebbero a meno, come Letta. Tutti concordi sul patto tra progressisti e moderati per un governo di alternativa e una legislatura costituente. Salutare e salvifica l’apertura alla società civile, ai movimenti, a tutto ciò che si muove nel ventre del Paese e che sta cercando rappresentanza. «La nostra proposta dice Franceschini deve essere quella di un’alleanza tra progressisti e moderati, tenendo presente che la prossima legislatura sarà dura e occorrerà dare un ampio consenso popolare al governo». Condivide l’«ispirazione della relazione» Veltroni, «non servono alchimie politiche in un momento in cui lo spaesamento dell’elettorato è molto profondo», aggiunge che «la ragione d’essere del Pd è il riformismo e noi dobbiamo essere all’altezza della soluzione perché altre non ce ne sono in questo momenti ma i vuoti in politica si riempiono». Per questo trova «assurda la discussione sulle liste civiche. Non siamo il partito dei contadini ungheresi, dobbiamo aprire il Pd e chiamare le forze e le energie dentro al Pd, ma se nasce qualcosa nella società si ha un rapporto, si ascolta, si sta attenti». Bene le primarie, sostiene Bindi, che dice «sì con convinzione» al percorso indicato da Bersani ma aggiunge che prima devono esserci il programma e le «scelte economiche e sociali». Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato, apprezza l’idea di arrivare alle primarie «alla fine di un percorso che veda in primo piano la costruzione di uno spazio politico aperto con il Paese». Anche Fassino che fa scintille con Rosy Bindi quando lo richiama al rispetto dei tempi è convinto che questa sia la strada. «L’amplissimo consenso sulla relazione di Bersani non è un fatto di facciata commenta Marina Sereni L’aver aperto alla stampa la nostra riunione non l’ha resa meno vera e seria e ha rimandato all’esterno l’immagine positiva di un partito in cui si discute e ci si confronta partendo dai problemi concreti dell’Italia».

l’Unità 09.06.12

"Relazione della Grandi rischi. Due miliardi dal governo", di Ernesto Menicucci

La «vicinanza» del governo, espressa da Mario Monti che arriva in conferenza stampa con tre ministri: il responsabile dello Sviluppo economico Corrado Passera, quella dell’Interno Anna Maria Cancellieri, quello della Difesa Giampaolo Di Paola e il sottosegretario Antonio Catricalà. Ma c’è anche una doccia fredda per l’Emilia-Romagna, un allarme che sconcerta la popolazione locale. Scrive la commissione Grandi rischi: «Nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata, è significativa la probabilità che si attivi il segmento tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati nella sequenza». L’emergenza, cioè, rischia di allargarsi. Franco Gabrielli, capo della Protezione civile, convoca il Comitato operativo: il sistema di presidio del territorio sarà rafforzato.
E Palazzo Chigi, varato il decreto legge sulla ricostruzione (con lo stanziamento di un miliardo sia nel 2013 che nel 2014), scende di nuovo in campo. Monti annuncia: «Il governo è impegnato con tutti gli strumenti disponibili a fronteggiare l’emergenza e assicura uno sforzo straordinario in termini di risorse, competenze e strumenti». Sul rischio di nuovi terremoti, il premier assicura: «Stiamo intensificando tutte le attività di prevenzione, sulla base degli orientamenti della commissione Grandi rischi. Le faglie e gli eventi succedutisi dal 20 maggio permettono di formulare alcuni orientamenti per l’evoluzione futura».
Il premier si rivolge alla gente dell’Emilia: «Vorrei dire una parola alle popolazioni colpite da un terremoto frazionato nel tempo che ha aumentato sofferenza e incertezza. Un governo non può scongiurare i terremoti né prevederli, ma vogliamo incoraggiarvi a non vedere le cose in modo ancora più grave e preoccupato di come già le vedete. Quello che ci sentiamo in dovere di fare lo stiamo facendo». E ancora: «Spero per voi sia una rassicurazione sapere che il governo è impegnato ad essere vicino a voi concretamente». Messaggio ripetuto dagli altri componenti dell’esecutivo: «Lo Stato non farà mancare nulla», dice Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno. Catricalà aggiunge: «Il decreto prevede la durata dell’emergenza di un anno, perché si tratta di un evento non ordinario».
Anche la Difesa si attiva: «Le Forze Armate daranno il loro contributo», dice Di Paola. Passera pensa alle aziende: «Bisogna fare in modo di tornare al lavoro il prima possibile, in condizioni di sicurezza».
Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, plaude al governo: «Gli errori fatti con noi hanno insegnato qualcosa. Noi fummo lasciati soli, con questo esecutivo c’è più attenzione ai fatti più che all’immagine». Anche la Regione Emilia-Romagna si muove: accelerate le verifiche e la messa in sicurezza degli edifici, con l’arrivo di 300 vigili del fuoco in più. Si mobilitano professionisti, università, militari per presidiare la zona. Sperando, naturalmente, che non serva.

Il Corriere della Sera 09.06.12

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“I sindaci perplessi: che cosa dobbiamo fare? Il governatore Errani: solo un dato statistico E Gabrielli: la situazione non è prevedibile”, di Francesco Alberti

«Oh, mio Dio…». Maria si mette le mani davanti alla bocca, gli occhi come due fari, punta il dito contro lo schermo del suo computer portatile: «Ma avete letto? Arrivano altre scosse, qui, e più forti, lo dicono quelli di Roma…».
Un fremito attraversa la tendopoli. Qualcuno non capisce. È quasi ora di cena quando l’allarme della commissione Grandi rischi entra come una slavina nei campi degli sfollati. Il sindaco Stefano Draghetti sembra un leone in gabbia, cerca di controllarsi per non agitare la sua gente, ma se li avesse davanti quei signori di Roma: «Tra i tanti problemi che ha l’Italia — sbotta — c’è anche quello di chi, per coprirsi le spalle e in forza di una competenza molto presunta, parla a vanvera. Io mi chiedo se qualcuno a Roma è impazzito: ma si rendono conto di quale veleno stanno mettendo in giro? Proprio adesso che la gente lentamente stava tornando nelle case, per non parlare poi delle aziende».
Bastano poche ore perché il report della commissione Grandi rischi, diffuso da Palazzo Chigi, faccia il giro delle zone dell’epicentro. Una botta allo stomaco. Un colpo basso. «Di più — tuona il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, pd —: questa è un’enorme sciocchezza comunicativa. Sono sbalordito. In quel rapporto sono contenute affermazioni senza alcuna logica: “se…, nel caso…, significativa probabilità…”. E io adesso cosa devo fare? Evacuare Ferrara? E su quali basi? Su un terremoto che potrebbe arrivare adesso come tra 500 anni?». A Finale Emilia, indicata nel report come il segmento lungo il quale potrebbe tornare a scatenarsi la furia della terra, il sindaco Fernando Ferioli sta seriamente meditando di far partire una serie di denunce per procurato allarme: «Sono allibito e scandalizzato. Chiederò agli altri sindaci della zona di scrivere un documento pubblico per chiedere che gli esperti della commissione vengano qui, davanti alla nostra gente, a spiegare su quali basi scientifiche hanno formulato quel report: ma non ci hanno sempre raccontato che i terremoti non si potevano prevedere?».
Aria pesante anche ai vertici della Protezione civile. Il responsabile dell’Emilia-Romagna, Demetrio Egidi, va in dribbling: «Sono in riunione, non posso…». Franco Gabrielli, il gran capo, tenta un’interpretazione del report della commissione: «È un’analisi dei tre segmenti della faglia: due si sono spezzati e uno no. Si ritiene probabile che si rompa anche il terzo, ma è una situazione assolutamente imprevedibile». Questo per l’ufficialità.
Dietro alle quinte, invece, c’è chi racconta di «reazioni inorridite» nello staff che coadiuva Gabrielli alla notizia della divulgazione dell’analisi. La stessa irritazione (eufemismo) che si respira attorno al presidente dell’Emilia-Romagna, nonché commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, che ha tentato di neutralizzare l’impatto devastante dell’allarme: «Leggete bene il comunicato: è solo un dato statistico» ha detto, forse cercando di convincere anche se stesso. In realtà, a quanto trapelato, il governatore ha tentato in ogni modo di bloccare l’uscita del comunicato. Giovedì, saputo della previsione della Commissione e dell’intenzione di renderla pubblica, Errani non ha esitato ad abbandonare il corteo che accompagnava il presidente Napolitano nei paesi colpiti dal terremoto per correre a Roma. Lì, giocando di sponda con alcuni ministri del governo Monti, ha poi tentato di bloccare o perlomeno diluire il contenuto del report. Operazione solo parzialmente riuscita. A quanto raccontano, la prima stesura della nota era ancora più drastica di quella poi divenuta di pubblico dominio: oltre a Ferrara, tra le città a rischio di forti scosse pare fosse citata anche Reggio Emilia. Il cui sindaco, Graziano Delrio, che è anche presidente dell’Anci, ora tenta di tenere calmi gli animi: «Abbiamo capito che non si può abbassare la guardia. Prendiamo atto che purtroppo siamo in una zona sismica e dobbiamo imparare a convivere con questa realtà: la prima cosa da fare, quindi, è costruire bene case e fabbriche». In Regione, dove ieri si è svolto un vertice tra Errani e gli amministratori delle quattro province coinvolte dal sisma (Modena, Ferrara, Bologna, Reggio Emilia), l’incredulità regna sovrana. Emanuele Burgin, assessore alla Protezione civile a Bologna, cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno: «Niente panico, ma bisogna accelerare la messa in sicurezza di tutto quello che si può». L’ipotesi prevalente è che all’origine della singolare sortita della Commissione vi sia il timore, come già avvenuto nella tragedia dell’Aquila, di ritrovarsi coinvolti in un’inchiesta con l’accusa di aver sottovalutato il tasso di sismicità di questo pezzo d’Emilia-Romagna. Un modo, insomma, per mettere avanti le mani. Enzo Boschi, ex presidente dell’Istituto di geofisica, ha il tono cupo: «Sarebbe bene che la Grandi Rischi spiegasse com’è giunta a questo comunicato. Non mi risulta che si possano prevedere i terremoti, a meno che non si dicano certe cose tanto per stare sul sicuro…».

Il Corriere della Sera 09.06.12

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“Senza aule né studenti, è caos esami”, di Adriana Comaschi

Tra ansiolitici e pagelle fatte a mano gli alunni terremotati preparano la maturità. I professori aspettano un segnale dal Ministero. «Prof, non sapevo che un pavimento si potesse sollevare». Di questo parlano ora, studenti e docenti. A Mirandola, S.Felice sul Panaro, Finale Emilia. L’anno scolastico si è concluso in anticipo, nei comuni vessati quando non semi distrutti dal terremoto nel modenese. Gli scrutini? Sotto le tende, nei giardini. La maturità? Il 20 e 21, come per tutti. Questo dal punto di vista del ministero. La quotidianità degli insegnanti racconta però una storia diversa. Fatta di impegno e insieme di paura costante, di registri recuperati casco in testa tra le macerie delle aule dal soffitto crollato, di pagelle compilate a mano perché non va nulla, né pc né internet. C’è chi prende ansiolitici, sfollato come i propri alunni; chi con i genitori organizza una raccolta fondi per ricostruire le elementari («adotta un pezzo di futuro», il c/c su terremotosanfelice.org); chi va a “caccia” dei propri studenti, dispersi in varie tendopoli, per sapere come va, dare consigli su come preparare gli esami.

GIÀ, GLIESAMI «Perché non fare come a L’Aquila?». Un solo giorno di prove di maturità, magari orali. A breve si attende un decreto del ministero sul tema, «abbiamo sollecitato la massima flessibilità e alleggerimento – spiega Raffaelle Morsia segretaria regionale FLC Cgil – , per i professionali gli alunni di origine straniera ora tornati all’estero potranno recuperare le prove al ritorno». Chi consulta il sito del Miur però a oggi rimane spiazzato dal freddo linguaggio della burocrazia: si prevede solo che qualora il 20 e 21 o in una sola delle due giornate «si dovesse interrompere la prova per eventi sismici, entrambe o la sola non effettuata avranno luogo il 4 e 5 luglio». Stesso discorso per lo scritto Invalsi, confermato: «l’eventuale interruzione comporterà il rinvio alla sessione suppletiva». «Le pare una risposta sufficiente alla tensione e allo stress?», si chiede e chiede Maria Grazia Frilli, docente delle superiori e sindacalista modenese, «mi pare che a livello nazionale ci sia molta indifferenza, non si coglie la drammaticità della situazione». Come lei, molti si fanno la stessa domanda. «Conosco i mie ragazzi da cinque 5 anni , hanno voglia di studiare – premette Laura Zoccheddu, da 15 docente di lettere al liceo scientifico-tecnologico Galilei di Mirandola -.Masono preoccupatissimi. Prepararsi in una tenda è davvero difficile. E non passa giorno o notte senza una scossa, anche se fanno notizia solo quelle più forti qui si avvertono tutte». Così chi riesce a connettersi a Fb inonda di messaggi la bacheca della prof. Per chiedere consigli sugli esami o anche solo «per sfogarsi, “com’era bello avere una casa, neanche ce ne rendevamo conto». Si oscilla tra malinconia e dignità, «ho offerto loro ospitalitàma tutti mi dicono “non lascio i miei genitori”». Allora è la docente ad arrabbiarsi anche per loro, «ho fischiato Napolitano quando è venuto, lo ammetto, i 3 milioni per la parata del 2 giugno erano più utili qui». «La capacità di concentrazione semplicemente non c’è più – riflette sconsolata Maria Rosaria Esposito, da 11 anni insegnante di diritto all’istituto tecnico del Galilei nonché madre di una ragazza alle prese con la maturità-, vale per gli studenti e vale per noi. Siamo fermi ai momenti del sisma, a quel terrore. E intorno a noi troviamo il nulla: chiusi tutti i negozi, l’ipercoop come l’ospedale andranno abbattuti. I 1200 studenti del nostro plesso, che comprende anche un professionale, non sanno dove faranno lezione da settembre. E ancora prima dove potranno sostenere gli esami quelli di quinta: qui non è questione di indulgenza dei docenti, ma di logistica ». Difficile oggi immaginare di trovare una tenda da 400 posti dove tenere gli esaminandi per 6 ore, con le scosse ancora presenti. Insomma «dal ministro ci saremmo aspettati decisioni più “umane”. Poi come sempre ci atterremoalle disposizioni. Del resto siamo sotto choc, agiamo come automi». E dunque, si lavora. Per dare un segnale di normalità, dove normalità non si sa più cosa significhi. «Dal 20 maggio non abbiamo più visto i bimbi. Ma manteniamo i contatti con le famiglie – racconta una maestra delle elementari di S.Felice – Gente che ha perso casa e lavoro, tutto, ci ferma per avere i nomi dei libri per i compiti delle vacanze. C’è bisogno di riti che ridano umanità e dignità al nostro quotidiano. E allora ci teniamo la paura e facciamo gli scrutini, presto daremo le 400 pagelle. Nella mensa della tendopoli».

Il Corriere della Sera 09.06.12

"Quel «no» alla speculazione che costa 200 milioni", di Gian Antonio Stella

A Siracusa l’isolamento istituzionale di chi fa solo il suo dovere di tutela di un bene unico dall’imbecillità altrui. Dovrebbero lavorare 2.222 anni Rosa Lanteri e i suoi due colleghi della Soprintendenza di Siracusa, per pagare i danni che vengono loro chiesti per aver fatto il proprio dovere. Cioè preteso d’applicare la legge che vieta di cementificare il Porto Grande ricordato dagli scrittori dell’antichità. E lo Stato che fa? Invece che dare loro una medaglia d’oro fa impazzire quei suoi servitori tra le scartoffie. Senza precipitarsi a difenderli.

Il decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 30 settembre 1988 è chiarissimo fin dal titolo: «Dichiarazione di notevole interesse pubblico del bacino del Porto Grande e altre aree di Siracusa». Vi si dice che «constatato che lungo la costa che dal Castello Maniace va sino alla punta della Mola si gode lo spettacolo affascinante di Ortigia, dello stesso Castello Maniace, dello scosceso Plemmirio, e da lì la foce dei fiumi Ciane e Anapo e l’area delle Saline di Siracusa, il tutto dominato, sullo sfondo, dall’altopiano dell’Epipoli su cui si erge la fortezza del Castello Eurialo con la cinta delle Mura Dionigiane» e che «lo spettacolo di mare costituente l’insenatura portuale, oltre ad essere ricordato da Tucidide a Diodoro a Cicerone, è stato teatro di avvenimenti di fondamentale importanza»: il bacino è «un insieme unico al mondo». E va dunque vincolato. Dubbi interpretativi? Zero.

Tutte le zone nevralgiche di quella che è stata probabilmente la più importante città della Magna Grecia dovrebbero stare a cuore agli amministratori. Basti ricordare che già nel 1947 il soprintendente alle antichità Bernabò Brea ammoniva che il turismo dovrebbe essere «la maggiore risorsa economica di Siracusa. La cura della propria bellezza, il rispetto e la valorizzazione dei propri monumenti non sono quindi per Siracusa solo un lusso o l’adempimento di un dovere verso la cultura, ma un’intima ragione di vita e di benessere, anche dal punto di vista economico».Parole al vento. Per decenni il territorio è stato preso d’assalto dalla speculazione più insensata. Non solo nella parte nord dell’Ortigia, dove è tutto un ammasso di capannoni e ipermercati. Ma fin dentro la grandiosa cinta muraria di 21 chilometri fatta costruire dal tiranno Dioniso I, che secondo Diodoro impiegò sessantamila contadini e si spinse ad affiancarli nei lavori più pesanti così che «il muro fu terminato, al di là di ogni speranza, in 20 giorni».

In un paese serio, in una città seria, quelle mura sarebbero sacre e intoccabili. Tanto più che il Castello Eurialo che domina Siracusa è l’unica fortezza di quel periodo esistente al mondo. E invece? Invece, come denunciano Italia Nostra, Wwf, Legambiente, «Energie nuove» e mille altre associazioni che si riconoscono in «SoS Siracusa» guidata da Enzo Maiorca, hanno costruito dappertutto minando seriamente il Parco delle Mura Dionigiane. Villette a schiera sulla balza della Neapolis. Un centro commerciale ai piedi del castello. Un progetto per 840 alloggi di edilizia popolare in contrada Tremilia…

Tutti edifici tirati su in aree, sulla carta, di rispetto. Sul giornale «La Civetta» Marina De Michele ha denunciato la costruzione di una villetta (autorizzata, pare!) perfino dentro una «latomia», cioè un’antica cava teoricamente protetta. Per non dire di un progetto di lottizzazione alla Pirillina, un magnifico tratto di costa a sud, dove gli ambientalisti tra i quali c’è don Rosario Lo Bello, un prete cugino di Ivanhoe, il leader degli industriali protagonista della svolta nella guerra alla mafia, lottano contro la costruzione di un mega villaggio turistico di 80 mila metri cubi di cemento. Bloccato (per ora) dal vincolo provvisorio che riconosce la necessità di una riserva naturale.

Ma torniamo al Porto Grande. I porti turistici previsti sono in realtà due. Il primo, in fase di realizzazione, si sviluppa a partire dal già esistente Molo sant’Antonio, si chiama «Marina di Archimede» (ogni speculazione è meno vistosa con un nome poetico: c’est plus facile), ha dietro Francesco Caltagirone Bellavista, già finito in manette per il porto a Imperia e, dice il sito web, «prevede opere a terra per 49.467 mq e opere a mare su una superficie di oltre 97.000 mq» per 500 posti barca. Il secondo si chiama «Marina di Siracusa», ha dietro il gruppo Di Stefano, e allargandosi in mare perfino con un’isola artificiale di 40 mila metri quadri a partire dai ruderi di una fabbrica per la spremitura di olio, la «Spero», vorrebbe offrire ai suoi clienti anche 54 appartamenti.

La legge che vincola lo specchio d’acqua, prima citata, è chiara: manco a parlarne. Eppure, miracolo miracoloso, sia il primo sia il secondo porto sono riusciti ad avere qualche anno fa il via libera della allora soprintendente Mariella Muti, moglie dell’architetto Amilcare la Corte, progettista e direttore lavori di una edificazione sulla Balza di Acradina, lavori bloccati perché l’area è sotto vincolo paesaggistico. Quella della Muti è una storia esemplare: il 10 dicembre 2010, dopo aver dato l’ok anche al piano regolatore che prevedeva una zona di concentrazione volumetrica sul pianoro dell’Epipoli (dove c’è l’«inedificabilità assoluta»), se ne andò in pensione a 55 anni grazie alla legge 104 perché doveva accudire la madre malata. Cinque giorni dopo giurava come assessore comunale alla cultura del municipio sul quale per 7 anni aveva «vigilato». Pazzesco? Ma no, spiegò a Panorama: «Fare l’assessore non è poi così impegnativo».

Fatto sta che, fuori lei, il Dirigente generale dei beni culturali siciliani Gesualdo Campo si è messo di traverso con una nota durissima ai lavori e ai progetti in corso ricordando che non c’è deroga che possa consentire nuove strutture ricettive entro la fascia di 150 metri dalla battigia. Il che ha convinto «Aquamarcia» a fermarsi per capire meglio. Quanto all’altro porto, i nuovi dirigenti della Soprintendenza Rosa Lanteri (archeologia), Alessandra Trigilia (paesaggio) e Aldo Spataro (beni architettonici) hanno chiesto la revoca della concessione mettendo paletti rigidissimi.

Il verbale della conferenza dei servizi del gennaio scorso è netto. No al progetto perché «rispetto all’intervento principale, ovvero la realizzazione di un porto turistico, la prevalenza delle opere previste (vi è anche una piscina) è evidentemente l’edilizia». E poi no perché il porto ha «un parcheggio multipiano» e «ricade nella buffer zone» dell’Unesco e «non c’è alcuno studio del rischio tsunami» e altererebbe «lo sky-line della città» e via così … Tutte obiezioni basate sulla legge. Fatte invocando la legge. In nome dello Stato.La risposta? Un ricorso al Tar con la richiesta di condannare i tre funzionari a pagare 200 milioni di euro di danni. Pari appunto, per Rosa Litari e gli altri due, a quanto guadagnerebbero in 2.222 anni. Della serie: guai a te. E lo Stato? Non sarebbe il caso che battesse un colpo ai livelli più alti?

Il Corriere della Sera 09.06.12

"L'euroburocrazia", di Tito Boeri

La crisi dell’Euro ha messo in luce non solo l’inadeguatezza dei leader europei, ma anche i limiti evidenti dell’euroburocrazia. Quando la casa brucia, i pompieri non possono impiegare tre anni per elaborare un piano di salvataggio e altri tre per metterlo in pratica. Eppure la Commissione Europea ha presentato solo in questi giorni il suo piano per l’unione bancaria europea, su cui aveva iniziato a lavorare nel 2009. Questo piano richiederà, nella migliore delle ipotesi, altri tre anni per essere attuato. C’è un rischio non piccolo che quando la direttiva diventerà finalmente operativa, l’oggetto delle sue amorevoli attenzioni, la moneta unica, non ci sia più rendendo tutto questo lavoro del tutto inutile.
Su invito della Confederazione Europea dei sindacati, la Commissione Europea sta in questi giorni elaborando anche una sua proposta per il cosiddetto “Social Compact”. L’idea è quella di dare all’Europa condizionalità non solo nell’imporre piani di aggiustamento fiscale (il “Fiscal Compact”), ma anche nell’attuazione di politiche sociali, volte a contenere i costi della crisi. Il proposito è nobile, ma il risultato rischia di essere controproducente. I programmi sociali compatibili con l’aggiustamento fiscale richiederanno cambiamenti non piccoli nella composizione della spesa sociale nei diversi paesi – ad esempio espandendo i programmi di assistenza di base e riducendo la generosità dei sistemi pensionistici – e questi cambiamenti sono politicamente
e socialmente difficili. Se i cittadini europei pensassero che i responsabili di questi interventi sono istituzioni europee lontane da loro, che mancano di legittimazione democratica, si darebbe un aiuto insperato al populismo centrifugo, a chi in tutti i paesi dell’Unione spinge per la sua disgregazione scatenando la ribellione contro i tagli alla spesa sociale imposti da Bruxelles.
La Commissione Europea dovrebbe in questo momento essere concentrata sullo spegnimento dell’incendio, dedicare tutte le sue energie a trovare modalità per permettere la conduzione di una politica monetaria comune nell’ambito dei trattati e, se necessario, progettare percorsi accelerati di modifica dei trattati per reagire in modo adeguato alla crisi. Se vuole occuparsi anche di coordinamento delle politiche sociali, bene che fissi delle priorità. Non sono, a nostro giudizio, le politiche attive del lavoro, gli stimoli alla ricerca di un lavoro, che, notoriamente, non funzionano durante le recessioni, quando non c’è domanda di lavoro e ci sono troppo pochi posti vacanti in rapporto a quanti cercano un impiego. Non possono neanche essere politiche che richiedono ulteriori impegni di spesa ai governi, dato che sarebbero incompatibili con il consolidamento fiscale.
Le priorità per un coordinamento delle politiche sociali a livello europeo sono altre. Due
in particolare, ci sembra rispondano meglio di tutte alle esigenze attuali.
Si tratta innanzitutto di rimuovere i tantissimi ostacoli che si frappongono alla mobi-
lità territoriale dei lavoratori, in termini di riconoscimento dei titoli professionali, di portabilità
di diritti assicurativo-previdenziali e di asimmetrie nelle politiche dell’immigrazione
(gli immigrati sono la componente più mobile della forza lavoro europea). Poter cambiare paese in cerca di lavoro per molti giovani è l’unica opzione possibile per non subire danni a vita nelle proprie carriere lavorative e questa crisi colpisce in modo molto diverso il Nord e il Sud dell’Europa, offrendo opportunità di impiego a chi si sposta nell’ambito dei confini dell’Unione. Inoltre i cittadini tedeschi — che continuano a condividere il modo con cui la Merkel sta gestendo la crisi dell’Euro — avrebbero un atteggiamento ben diverso rispetto agli aiuti ai paesi in difficoltà quando vedessero arrivare in Germania grandi flussi migratori dalla Grecia e dalla Spagna. Dopotutto la paura di grandi flussi migratori è stato ciò che ha creato sostegno all’Ovest per i massicci trasferimenti concessi all’Est della Germania dopo l’unificazione. L’unificazione del mercato del lavoro nell’Unione è importante economicamente ed ha una funzione persuasiva molto superiore alle migliaia di parole sprecate in questi mesi denunciando gli egoismi della Merkel. Invece di fare tutto questo, la Commissione sta assistendo senza reagire ai tentativi di smantellare quel poco di libera circolazione dei lavoratori che c’è già, a partire dalle restrizioni imposte agli accordi di Schengen.
La seconda priorità per l’Europa sociale è legata ai minimi di sussistenza che dovrebbero essere garantiti ad ogni cittadino dell’Unione. Nel momento
in cui l’Europa chiede tagli alla spesa pubblica, compresa quella sociale, come condizione per finanziare il debito dei paesi in difficoltà, la Commissione dovrebbe preoccuparsi di evitare che i singoli paesi smantellino la rete di assistenza sociale di base. Dovrebbe anche spingere quei paesi che non hanno ancora questa rete (guarda caso Grecia e Italia che sono particolarmente investiti dalla crisi) a metterla rapidamente in piedi, permettendo che i fondi comunitari vengano destinati prioritariamente al contenimento della povertà estrema e fornendo assistenza tecnica ai paesi nel migliorare le tecniche con cui accertano le condizioni di bisogno per selezionare i beneficiari dell’assistenza.
La Commissione ha il potere di stabilire l’agenda europea, può dettare le priorità. È un potere, in questo momento, non trascurabile. Ma se disperde la sua iniziativa su troppi fronti e non sa scegliere le priorità, rinuncia a questo potere, rischia di diventare ancora più irrilevante di quanto non sia già. E rischia di farsi odiare dai cittadini europei più di quanto non lo siano quei leader europei sulle cui spalle grava la responsabilità di questa nuova recessione. Bene allora concentrarsi su ciò che è davvero importante per la sopravvivenza dell’Unione. Tutto il resto, in questo momento, è retorica, noia, maledetta noia.

La Repubblica 09.06.12

"“Adesso si scatenerà il panico nessuno vorrà più tornare a casa” tra i terremotati torna la paura", di Jenner Meletti

La notizia arriva al bar Fly mentre come ogni sera si sta distribuendo un piatto di pasta a chi non se la sente di fare la fila nella tendopoli. «Sì, ci mancava solo questa», dice il titolare, Matteo Veronesi detto Teo, uno dei pilastri della resistenza contro il terremoto. «Adesso sì che si rischia il panico. Fino a pochi minuti fa c’era un’aria diversa, quasi di speranza. Insomma, il terremoto si è spostato da un’altra parte e noi abbiamo pensato: forse abbiamo finito la nostra dose. Invece adesso dicono che ci siamo ancora dentro, anzi, che possono arrivare nuove forti scosse. Stavamo già lavorando per accelerare i
tempi, per tornare a casa. Ci sono case come la mia che vanno incatenate altrimenti se arriva un’altra sberla — e questo lo dicevamo anche prima dell’allarme della commissione Grandi Rischi — cade giù del tutto. Adesso quali saranno le imprese che entreranno in zona rossa per fare i lavori? Ma la cosa più grave è che questo allarme farà tornare indietro la testa della gente di venti giorni, al primo terrore».
Il sindaco Fernando Ferioli ha già sentito gli altri sindaci dei paesi e delle città colpite. «Posso dire che siamo tutti incazzati, e di brutto. Ma come si fa ad annunciare una cosa del genere? Da quando in qua, all’improvviso, si possono prevedere i terremoti? E se adesso sanno come fare, perché dopo la scossa del 20 maggio non hanno previsto quella del 29?». Il sindaco, dopo venti giorni di trincea, cerca di ragionare. «Vorrei sapere se l’allarme nasce da una ricerca scientifica o da un’ipotesi statistica. Li voglio qui, quelli della Commissione, a spiegare ai miei cittadini le ragioni di questo comunicato. Se a dare l’allarme è stata la statistica, non c’era nessun bisogno di creare panico. Lo sappiamo già che dopo una forte scossa
ne può arrivare un’altra. E non siamo rimasti con le mani in mano. Anche se con pochi mezzi, pochi uomini e pochissimi soldi abbiamo iniziato a mettere in sicurezza case e palazzi, abbiamo lavorato perché un altro eventuale sisma non provocasse altre vittime».
La notizia dell’allarme si sparge veloce fra le tendopoli ufficiali e le altre migliaia di tende che ormai occupano ogni prato e giardino. «Abbiamo 4-5 mila sfollati, quelli della zona rossa, assistiti dalla Protezione civile e dai volontari ma non credo che nessuno dei miei 16.000 concittadini dorma in una casa di pietra. Insomma, non abbiamo bisogno di sapere da questa Commissione che dobbiamo stare attenti. Ma un allarme
come questo ci spezza. Chi lo dice adesso, alle imprese e alle industrie, che non se ne debbono andare, che debbono reinvestire qui? Cosa succede se il panico spinge le forze valide della città alla fuga? Io ho intenzione, e come la pensano altri sindaci, di denunciare la Commissione per procurato allarme».
Anche a San Carlo, la frazione di Sant’Agostino che già con la prima scossa vide uscire fango e sabbia dai pavimenti delle case e dei negozi, inizia una notte di terrore. «Qualcuno nei giorni scorsi è rientrato nelle case agibili», racconta il vicesindaco Roberto Lodi. «Io sono uno di quelli. La casa ha qualche lesione, ma sembra robusta. Tre notti in macchina poi sono
tornato in camera mia, perché è al piano rialzato e devo fare solo quattro gradini per scendere. Non siamo gente avventata, abbiamo ragionato. Abbiamo avuto cinque morti, a Sant’Agostino: quattro operai in due capannoni industriali e una signora di 103 anni colpita da un calcinaccio in una casa che comunque ha retto la scossa. Se sono rimaste su finora, abbiamo pensato, resisteranno ancora, le case che noi stessi abbiamo costruito. Fino a oggi dormivano in tendopoli o al PalaReno cinquecento persone, altre centinaia erano in casa. Ora la paura può fare veri disastri. Avevamo e abbiamo bisogno di tutto, ma non certo del panico».
Le scuole sono ancora tutte
chiuse, l’anno scolastico è finito il 20 maggio. Ma non si sa dove mettere i bambini e i ragazzi. Per questo un segno di rinascita è stata l’apertura dei centri estivi, dove i bimbi possono trovare giochi e compagnia. «Io dovevo aprirlo — dice il sindaco di Cento, Piero Lodi — proprio domani. E adesso, cosa faccio? Chi si prende la responsabilità dopo questo allarme? Questa Commissione non dà nessuna indicazione su come muoversi e cosa fare. Certo, la sicurezza è importante, ma non possiamo rimanere paralizzati dalla paura».
Al bar Fly di Finale arrivano in tanti, mentre comincia una notte molto difficile. «E pensare — racconta Teo Veronesi — che proprio per domani sera avevamo organizzato una festa musicale, con Paolo Belli e i dj. Bisogna anche sapere sorridere. Se pensi solo al terremoto, vai giù di testa e dei giù di testa se ne vedono già tanti. Prima di questo allarme, pensavamo: quando tutto sarà finito, dovremo disintossicarci. Si mangia troppo, si beve e si fuma troppo. Ecco, erano questi i nostri pensieri. Ma panico o non panico, noi la festa la facciamo comunque».

La Repubblica 09.06.12

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“In Emilia possibili forti scosse e l’area sismica potrebbe allargarsi” Monti rilancia l’allarme degli esperti, di Corrado Zunino

Lo studio della “Grandi rischi”. Il governo: intensificare la prevenzione. La commissione Grandi rischi giovedì sera ha elaborato un documento preoccupante: dice che in Emilia potranno arrivare altre scosse di terremoto, di un’intensità vicina al grado sei di magnitudo e che l’area padana più a rischio è quella a Est. Il governo, ieri pomeriggio, ha scelto di renderlo pubblico in una conferenza stampa con il premier Mario Monti. I sindaci delle zone colpite si sono agitati e ora minacciano denunce per procurato allarme.
«Nelle zone colpite dal terremoto del 20 e 29 maggio, tra Finale Emilia e Mirandola, si sta registrando un calo della sismicità e le scosse di assestamento stanno diminuendo per numero e dimensione », ha scritto la commissione dopo la terza riunione dedicata, «ma se l’attività dovesse riacutizzarsi
è significativa la probabilità che riguardi il segmento compreso tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati». La scossa più importante, la prima, il 20 maggio, arrivò al sesto grado della scala Richter. «Non si può escludere, tuttavia, l’eventualità che l’attività sismica si estenda in aree limitrofe a quella già attivata».
La commissione consultiva, organo della Protezione civile, formata da tre scienziati riconosciuti più Giuseppe Zamberletti, padre della moderna Protezione civile, ha voluto ricordare che «non esistono a tutt’oggi metodi scientifici attendibili di previsione del terremoto nel breve periodo », ma poi, «sulla base della conoscenza delle faglie e delle scosse precedenti», ha rilasciato il rosario di ipotesi. Nell’ultima parte del comunicato, infine, ha sottolineato come la mappa della pericolosità fin lì redatta sia risultata corretta: «All’area era stata assegnata una magnitudo massima attesa di 6,2 e la maggior parte del patrimonio edilizio è stato costruito prima dell’aggiornamento, nel 2003, di questa classificazione sismica». Il governo Monti ha scelto quindi di rendere pubblico l’allarme degli esperti, con un atteggiamento contrario a quello deciso da Guido Bertolaso alla vigilia del terremoto dell’Aquila.
Per sostenere le popolazioni, ha detto ancora il premier, lo Stato farà «uno sforzo straordinario in termini di risorse, competenze e strumenti». Nel decreto legge licenziato ieri è stato stanziato un
miliardo di euro per gli interventi post-sisma, sono stati inviati altri 300 pompieri e il periodo di emergenza è stato allargato a un anno. Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha assicurato: «Le forze armate daranno il loro contributo ». Per ora, presidieranno le zone rosse dei comuni danneggiati.
Il presidente Vasco Errani ha sottolineato che la rimozione delle macerie, valutata per ora in un
milione e mezzo di euro, sarà a carico della Regione «e non dei cittadini » e ha invitato a leggere bene il comunicato della commissione: «L’ipotesi dell’allargamento della faglia non si può prevedere, è un dato statistico». In verità il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha regalato un esempio chiaro: «La commissione ha fatto un’analisi complessiva su tre segmenti della faglia. Due si sono spezzati, il terzo no. Dunque ritiene
probabile che si possa spezzare anche il terzo». Critico l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Enzo Boschi: «Non mi risulta sia possibile fare previsioni dei terremoti. Il comunicato sembra qualcosa che si dice per stare sul sicuro».
Ieri due scosse — di magnitudo compresa tra 2,3 e 2,5 — sono state avvertite ad Ascoli Piceno e ad Agrigento. Paura fra la gente.

La Repubblica 09.06.12

"La road map di Bersani convince tutti. Un mese per decidere quali primarie", Rudy Francesco Calvo

Gazebo per aprire il campo dei riformisti e scegliere il premier, poi patto di legislatura coi moderati. Per Pier Luigi Bersani quella di ieri «è stata una bella giornata» (sono parole sue), in cui è riuscito a mettere tutti d’accordo nel suo partito, ottenendo un sì unanime alla sua relazione, che ha aperto la riunione della direzione nazionale. Certo, sul percorso che lui ha individuato, soprattutto per quanto riguarda le regole delle primarie, rimangono forti dubbi tra i dirigenti democrat. Ma il segretario, in direzione, ha voluto lanciare un messaggio quanto più possibile chiaro: «Il senso per un cittadino è che noi, a differenza di tutti gli altri, gli facciamo scegliere il candidato premier. Poi come, fra chi, fra quanti, lo decidiamo».
Di sicuro, saranno primarie «aperte», cioè alle quali potranno partecipare esponenti di altri partiti, personalità singole o sostenute da liste civiche che decidono di prendere parte al «campo democratico e progressista» e, come preannunciato, altri iscritti al Pd. Oltre al segretario, ovviamente, che si è già candidato. Si tratta, però, solo del punto di arrivo («entro la fine dell’anno») di un percorso che inizierà subito, con un patto per le riforme che Bersani rilancia ad Alfano: «Tre settimane e si decide se c’è l’accordo o no».
Sulla legge elettorale, perché il semipresidenzialismo «non è percorribile in questo scorcio di legislatura». La proposta del Pd rimane l’uninominale con doppio turno alla francese, anche se «non butto via nessuna ipotesi di extrema ratio», precisa il leader dem. L’importante è eliminare il Porcellum, altrimenti «anche il resto del film si indebolisce un po’». Cioè, quel «patto di legislatura» che dai democratici e progressisti si dovrà allargare – nelle intenzioni di Bersani – ai moderati (dopo la celebrazione delle primarie), per occuparsi insieme di «salvare l’Italia e l’Europa». Il segretario sa che nei prossimi mesi «non migliorerà rapporto tra politica e opinione pubblica» e che probabilmente prima del 2013 nasceranno nuove offerte politiche.
Per questo non servono «generiche carovane » (che ricorderebbero la gioiosa macchina da guerra del ’94), ma bisogna «ricavare governabilità dalla partecipazione». Il primo effetto della proposta di Bersani è stato quello di far ritirare a Civati, Gozi e gli altri l’ordine del giorno che avevano preparato proprio per chiedere le primarie per la scelta del candidato premier, ma anche per i parlamentari e il rispetto del limite dei tre mandati, senza deroghe. Su questi ultimi due punti – garantiscono – la vigilanza rimarrà alta. Sulle regole che dovranno regolamentare la scelta del candidato premier, invece, il confronto è rinviato all’assemblea nazionale che si svolgerà a luglio.
Molti dem sono intervenuti per sottolineare la necessità di puntare prima sul progetto e poi sulle primarie, in modo da «non farne un momento salvifico» (D’Alema), chiedere «un’ulteriore riflessione» sulla possibilità che ci siano più candidati dem (Marini), o definire con chiarezza «qual è il campo di forze al quale noi attribuiamo il compito micidiale di governare il paese» (Gentiloni), precisando che «quell’alleanza di Vasto non funziona».
Sulle possibili opzioni di riforma elettorale, è stata sancita la definitiva rottura di MoDem. Per Fioroni, se non si riuscisse a cambiare il Porcellum bisognerebbe tenere in considerazione l’introduzione delle preferenze. Possibilità respinta al mittente da Veltroni, mentre lo stesso Gentiloni dice no anche alle primarie per le liste bloccate. Nelle sue conclusioni, Bersani ha stoppato anche le critiche al governo, confermando che l’orizzonte del Pd rimane il 2013. «Qui diciamo quello che pensiamo – ha avvertito il segretario – ma fuori da qui non possono esserci sbavature, tutte le critiche devono stare al di qua del tema della induzione di instabilità».
Nel corso del dibattito, erano stati ancora i Giovani turchi ad andare giù duri sul rapporto con l’esecutivo. Fassina lo ha accusato di «inadeguatezza di cultura economica » e di una «caduta di credibilità con le forze economiche e sociali», mentre Andrea Orlando ha chiesto di chiarire il dissenso del partito dalla linea «prima il rigore e poi la crescita».

"Chiudono 42 aziende al giorno crolla la produzione, decreto in bilico", di Roberto Mania

L’Italia sta per esplodere. La crisi sta corrodendo il tessuto sociale. «La protesta civile rischia di esondare in rivoli minacciosi e inaccettabili », dice Jacopo Morelli, presidente dei Giovani di Confindustria, aprendo il convegno a Santa Margherita Ligure, proprio mentre l’Istat da Roma comunica che la produzione industriale ad aprile è letteralmente crollata: meno 9,2% rispetto all’anno scorso, il livello più basso dal 2009. Una gelata. Che certo non sarà sciolta dal decreto per lo Sviluppo, ormai spolpato dagli altolà della Ragioneria, e probabilmente destinato ad essere approvato la prossima settimana sempre che all’interno del governo, al di là delle smentite di rito, si trovi una linea condivisa.
Così le provocazioni intellettuali, pure un po’ ciarlatane, che hanno alimentato i dibattiti delle edizioni precedenti, sono scomparse tra i confindustriali junior. Sì, c’è ancora un po’ di sfarzo
molto provinciale, qualche Suv di troppo, qualche tubino nero con annesso tacco dodici modello palazzo Grazioli, ma ora anche gli industriali under 40 fanno i conti con la recessione. Verrebbe da dire che sono diventati quasi sobri e temono per il futuro. Pure per il loro, visto che ogni giorno
sono 42 le aziende che chiudono la saracinesca per non rialzarla più e più di un terzo dei giovani sono senza lavoro. Il loro linguaggio è mutato. Molto. Silvio Berlusconi li aveva ammaliati, con le barzellette border line, con le promesse ripetute a mo’ di mantra un anno dopo l’altro alla
kermesse sulla Riviera. Loro sono stati tra i supporter del Cavaliere le cui apparizioni, qui nel solito albergo da decenni, erano accolte da ovazioni e battimano. Era un’osmosi culturale, quasi antropologica. Ora dicono: «Ci preoccupa la demagogia». «I problemi da risolvere non ammettono
scorciatoie dell’urlo e dell’invettiva. Non servono tribuni. Abbiamo bisogno di proposte serie, realizzabili».
Non è più l’epoca dell’opulenza, nemmeno per i tanti figli di papà iscritti ai Giovani di Viale dell’Astronomia. La crisi, per la prima volta, riguarda anche loro.
La sala rimane attonita quando l’economista di Prometeia Alessandra Lanza descrive lo scenario prossimo venturo: «Nel 2014 l’economia italiana si troverà ancora con un gap di Pil del 3,5 % e di occupazione del 4 % e un debito pubblico più alto di 12,5 punti. Un’economia provata da dieci anni di bassa crescita e sette di stagnazione: il reddito disponi-
bile pro-capite delle famiglie sarà tornato a livelli del 1986, i consumi pro-capite al livello del 1998». È un vero assist per il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, che, in conclusione della prima giornata della convention, non cambia lo spartito: «La situazione era gravissima e continua ad essere grave. Dobbiamo continuare a ragionare in termini emergenziali su tutti i fronti». Insomma le finanze pubbliche sono sotto controllo, ma di nuove risorse non ce ne sono. Solo privatizzando, vendendo gli immobili pubblici, riducendo il perimetro dello Stato arriveranno un po’ di soldi, ma ci vorrà del tempo. Sembra anche una risposta indiretta al ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, con il quale Grilli nega che ci sia un dissidio. Ma è chiaro che il ministro dello Sviluppo (oggi arriverà qui a Santa Margherita) stia rischiando di essere dimezzato. Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, dice che non mancherà l’appoggio degli industriali sulle misure per la crescita. Ma davanti a tutti c’è la nebbia di una crisi inarrestabile.

La Repubblica 09.06.12