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“Strasburgo, l’Italia condannata per i respingimenti verso la Libia”, di Vladimiro Polchi

Sentenza storica della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo che condanna l’Italia all’unanimità. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Il nostro Paese dovrà versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime. Riccardi: “Ripensare alla nostra politica sull’immigrazione”. Stop ai respingimenti in mare. Bocciate le espulsioni collettive. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all’unanimità l’Italia per i respingimenti verso la Libia. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Strasburgo ha così posto un freno ai respingimenti indiscriminati in mare e ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani. L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.

Riccardi. La sentenza della Corte di giustizia di Strasburgo che ha condannato l’Italia per i respingimento in Libia di alcuni immigrati “sarà ricevuta e valutata con grande attenzione” dal governo italiano “e ci farà pensare e ripensare alla nostra politica per l’immigrazione”. Così il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi, a margine della due giorni Ifad sull’agricoltura sostenibile. Il ministro ha spiegato che come governo “ne prenderemo insieme visione e capiremo che fare. Io l’accetto con molto rispetto per le istituzioni europee”, ha aggiunto Riccardi, sottolineando che il fine del governo è quello di “fare una politica chiara, trasparente e corretta sull’immigrazione”.

I precedenti. La politica migratoria del vecchio governo Berlusconi continua a perdere pezzi. A picconare i pacchetti sicurezza e la Bossi-Fini 1 sono tribunali ordinari, Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Consulta e Corte di giustizia dell’Unione europea. Sotto le loro sentenze cadono: l’aggravante di clandestinità, il divieto di matrimonio con irregolari, il reato di clandestinità (nella parte che punisce con il carcere gli immigrati irregolari). Ora a crollare è il muro dei respingimenti in mare dei migranti, sotto i colpi della Corte europea dei diritti dell’uomo 2

Il respingimento del 6 maggio 2009. La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce i respingimenti attuati dall’Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi. “Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa – spiega il Consiglio italiano per i rifugiati 3 (Cir) – in acque internazionali, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti – stando al ricorso – sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. I migranti non hanno avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo”.

Le condizioni di detenzione in Libia. “Le successive condizioni di vita in Libia dei migranti respinti il 6 maggio 2009 sono state drammatiche – sostengono dal Cir – La maggior parte è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici, dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l’Italia a bordo di un’imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorietà e insensatezza della politica dei respingimenti”. Al riguardo va ricordato che, secondo le stime dell’Unhcr, circa 1.500 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Italia via mare nel 2011.

Le reazioni alla sentenza. “Viene condannato il governo italiano ma vince lo spirito della nostra Costituzione, nonché la tradizione del popolo italiano – sostiene Andrea Olivero, presidente nazionale Acli – quella di un paese accogliente che non respinge i disperati in mare consegnandoli ad un tragico destino. Un monito durissimo per il governo che ha commesso quell’errore e per le forze politiche che non solo difesero, ma si fecero vanto di quell’azione, mentre tutte le organizzazioni della società civile per il rispetto dei diritti umani ne denunciavano l’illegalità e la disumanità”.

Unhcr. La sentenza è “un’importante indicazione per gli stati europei circa la regolamentazione delle misure di controllo e intercettazione alla frontiera”. Lo ha affermato Laurens Jolles, il Rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) per il sud Europa: “ci auguriamo che rappresenti un punto di svolta per ciò che riguarda le responsabilità degli Stati e la gestione dei flussi migratori”.

L’Unchr comprende le “sfide che le migrazioni irregolari pongono all’Italia e agli altri paesi dell’Unione Europea e riconosce i significativi sforzi compiuti dall’Italia e dagli altri stati per salvare vite umane nell’ambito delle loro operazioni di ricerca e soccorso in mare”. Ma sottolinea l’Alto Commissariato, “Le misure di controllo alla frontiera non esonerano gli stati dai loro obblighi internazionali; l’accesso al territorio alle persone bisognose di protezione dovrebbe pertanto essere sempre garantito”
L’Alto Commissariato è inoltre preoccupato che l’Italia abbia riattivato il trattato bilaterale con l’attuale Governo libico senza rinunciare formalmente alla pratica dei respingimenti che è il risultato di tale accordo. “Ci auguriamo che questa sentenza rappresenti un motivo di riflessione che porti ad un segnale di discontinuità da parte del Governo italiano”, ha concluso Jolles.

da repubblica.it

"Dai taxi alle farmacie così l´asse governo-partiti frena le liberalizzazioni", di Valentina Conte

Liberalizzazioni a rischio. Il testo del decreto Cresci-Italia, sommerso da migliaia di emendamenti in commissione Industria del Senato, prosegue il suo faticoso percorso tra le pressioni delle lobby e la complicata quadra politica. La versione che arriverà il Aula mercoledì prossimo per il voto – blindata in un maxi emendamento su cui il governo potrebbe porre la fiducia – rischia di essere migliorata solo in parte. Sui temi forti, si teme un dietrofront completo. Come per i taxi: la decisione su eventuali nuove licenze da mettere a bando torna in capo ai sindaci, così come l´extraterritorialità del servizio. Sulle farmacie crescono le resistenze per le nuove aperture, così i malumori su tariffe e preventivi dei professionisti. Intanto alcuni capitoli – Srl dei giovani e tribunale delle imprese (sul punto, ieri la presidente di Confindustria Marcegaglia ha incontrato il ministro della Giustizia) – sembrano privi di copertura finanziaria. Per quanto riguarda l´Ici delle onlus, le nuove norme che dovrebbero estendere il pagamento dell´imposta anche agli immobili della Chiesa usati a fini commerciali, seppur in modo non esclusivo, con tutta probabilità non saranno inserite nel decreto sulle semplificazioni fiscali che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare venerdì prossimo. Ma verrebbero affidate ad un emendamento ad hoc perché siano condivise anche dal Parlamento, nel successivo iter di conversione del decreto.

Imprese / E adesso manca la copertura per tribunali e Srl a un euro tribunali delle imprese e Srl ad un euro per gli under 35. Entrambi i capitoli rimangono per ora sospesi. Gli emendamenti dei relatori sono stati accantonati, in attesa di un parere della commissione Bilancio sull´effettiva copertura delle norme. La proposta è di portare da 12 a 20 i tribunali (uno in ogni capoluogo, tranne la Valle d´Aosta), a cui verrebbero sottratti almeno due competenze (class action e appalti pubblici). Mentre si pensa a un passaggio gratuito dal notaio per la Srl (ora ne è esentato, con rischi infiltrazioni) e il vincolo di destinazione del 25% dei ricavi annuali ad aumento del capitale. In entrambi i casi, il problema sono i soldi. Le misure costano: più giudici e bolli per la registrazione della Società (6-700 euro).

Class action / Rafforzato il risarcimento multe anti-clausole vessatorie Rafforzata la class action e definite multe corpose contro le clausole vessatorie a danno dei consumatori. «L´azione di classe ha per oggetto l´accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori», definisce nero su bianco l´emendamento approvato. Il professionista o imprenditore che inserisce clausole vessatorie nei contratti e che poi, una volta scoperto, non si attiene alle disposizioni dell´Antitrust sarà multato: tra i 2 e i 20 mila euro per chi non rispetta le decisioni, da 4 a 40 mila euro per chi fornisce informazioni o documentazioni non veritiere, da 5 a 50 mila euro per chi non pubblica online e non diffonde i provvedimenti che certificano la vessatorietà.

Banche / Mutuo non più vincolabile a un nuovo conto corrente Il capitolo banche, tra i più scarni e meno liberalizzati dal Cresci-Italia, è ritoccato solo in minima parte. Le banche potranno continuare a condizionare il mutuo o il credito al consumo (novità dell´ultima ora) alla sottoscrizione di una polizza sulla vita. Se lo fanno, hanno però l´obbligo di accettare la polizza scelta dal cliente, tra quella reperita da lui stesso sul mercato e la doppia opzione presentata dalla banca (di compagnie a lei non riconducibili). La banca non potrà poi vincolare mutuo e apertura di conto corrente. L´obbligo sarà considerato una pratica commerciale scorretta, come quello di sottoscrivere una polizza erogata dalla stessa banca. Sarà infine gratuito il conto aperto per accreditare la pensione fino ai 1.500 euro.

Trasporti / Stop a doppie licenze e authority i tassisti ottengono il massimo Indietro tutta sul capitolo “taxi”. A decidere eventuali nuove licenze saranno Comuni e Regioni «nell´ambito delle loro competenze». Saltano doppia licenza, licenze part-time, taxi stagionali. L´Autorità dei trasporti, che avrebbe dovuto «adeguare i livelli di offerta» e aumentare le licenze «sentiti i sindaci», viene limitata ad esprimere «un parere obbligatorio, non vincolante», a «monitorare e verificare» il servizio, le tariffe, la qualità, le esigenze delle città, fornendo una semplice analisi costi-benefici in base alla quale i sindaci possono adeguare il numero delle auto, bandendo concorsi straordinari. Qualora non lo facessero senza valide motivazioni, l´Autorità ricorrerà al Tar. Confermato il taxi ad uso collettivo e il servizio fuori città ma solo in base ad accordi sottoscritti dal sindaco con i Comuni interessati. Maggiore libertà nel fissare le tariffe, a partire da quelle predeterminate dal Comune. Sarà possibile usare la stessa vettura per più turni. L´Autorità dei trasporti avrà una dotazione di 5 milioni per il 2012, potrà erogare sanzioni amministrative e partire prima, entro il 31 maggio, senza interim con l´Authority per l´energia.

Farmacie / Scontro sulle nuove aperture Pdl schierato con Federfarma Ancora non sciolto lo spinoso nodo delle farmacie. Se ne è discusso a lungo, ieri notte in commissione Industria. Ma la quadra politica non è stata ancora trovata. Lo scoglio maggiore riguarda le nuove aperture (se ne prevedono 5 mila in più con un ampliamento del 25% della pianta organica), considerate dannose dalla categoria. Il Pdl punta ad abbassare il quorum del decreto (una nuova farmacia ogni 3 mila abitanti) ad una ogni 3.800, in linea con quanto auspicato da Federfarma che sul punto fa notare che il quorum reale è una a 2.200, considerati i nuovi punti che, grazie al decreto, sorgeranno in stazioni, aeroporti, autostrade. I consumatori temono una retromarcia, su questo punto e sulla liberalizzazione dei farmaci di fascia C.

La Repubblica 23.02.12

“Dai taxi alle farmacie così l´asse governo-partiti frena le liberalizzazioni”, di Valentina Conte

Liberalizzazioni a rischio. Il testo del decreto Cresci-Italia, sommerso da migliaia di emendamenti in commissione Industria del Senato, prosegue il suo faticoso percorso tra le pressioni delle lobby e la complicata quadra politica. La versione che arriverà il Aula mercoledì prossimo per il voto – blindata in un maxi emendamento su cui il governo potrebbe porre la fiducia – rischia di essere migliorata solo in parte. Sui temi forti, si teme un dietrofront completo. Come per i taxi: la decisione su eventuali nuove licenze da mettere a bando torna in capo ai sindaci, così come l´extraterritorialità del servizio. Sulle farmacie crescono le resistenze per le nuove aperture, così i malumori su tariffe e preventivi dei professionisti. Intanto alcuni capitoli – Srl dei giovani e tribunale delle imprese (sul punto, ieri la presidente di Confindustria Marcegaglia ha incontrato il ministro della Giustizia) – sembrano privi di copertura finanziaria. Per quanto riguarda l´Ici delle onlus, le nuove norme che dovrebbero estendere il pagamento dell´imposta anche agli immobili della Chiesa usati a fini commerciali, seppur in modo non esclusivo, con tutta probabilità non saranno inserite nel decreto sulle semplificazioni fiscali che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare venerdì prossimo. Ma verrebbero affidate ad un emendamento ad hoc perché siano condivise anche dal Parlamento, nel successivo iter di conversione del decreto.

Imprese / E adesso manca la copertura per tribunali e Srl a un euro tribunali delle imprese e Srl ad un euro per gli under 35. Entrambi i capitoli rimangono per ora sospesi. Gli emendamenti dei relatori sono stati accantonati, in attesa di un parere della commissione Bilancio sull´effettiva copertura delle norme. La proposta è di portare da 12 a 20 i tribunali (uno in ogni capoluogo, tranne la Valle d´Aosta), a cui verrebbero sottratti almeno due competenze (class action e appalti pubblici). Mentre si pensa a un passaggio gratuito dal notaio per la Srl (ora ne è esentato, con rischi infiltrazioni) e il vincolo di destinazione del 25% dei ricavi annuali ad aumento del capitale. In entrambi i casi, il problema sono i soldi. Le misure costano: più giudici e bolli per la registrazione della Società (6-700 euro).

Class action / Rafforzato il risarcimento multe anti-clausole vessatorie Rafforzata la class action e definite multe corpose contro le clausole vessatorie a danno dei consumatori. «L´azione di classe ha per oggetto l´accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori», definisce nero su bianco l´emendamento approvato. Il professionista o imprenditore che inserisce clausole vessatorie nei contratti e che poi, una volta scoperto, non si attiene alle disposizioni dell´Antitrust sarà multato: tra i 2 e i 20 mila euro per chi non rispetta le decisioni, da 4 a 40 mila euro per chi fornisce informazioni o documentazioni non veritiere, da 5 a 50 mila euro per chi non pubblica online e non diffonde i provvedimenti che certificano la vessatorietà.

Banche / Mutuo non più vincolabile a un nuovo conto corrente Il capitolo banche, tra i più scarni e meno liberalizzati dal Cresci-Italia, è ritoccato solo in minima parte. Le banche potranno continuare a condizionare il mutuo o il credito al consumo (novità dell´ultima ora) alla sottoscrizione di una polizza sulla vita. Se lo fanno, hanno però l´obbligo di accettare la polizza scelta dal cliente, tra quella reperita da lui stesso sul mercato e la doppia opzione presentata dalla banca (di compagnie a lei non riconducibili). La banca non potrà poi vincolare mutuo e apertura di conto corrente. L´obbligo sarà considerato una pratica commerciale scorretta, come quello di sottoscrivere una polizza erogata dalla stessa banca. Sarà infine gratuito il conto aperto per accreditare la pensione fino ai 1.500 euro.

Trasporti / Stop a doppie licenze e authority i tassisti ottengono il massimo Indietro tutta sul capitolo “taxi”. A decidere eventuali nuove licenze saranno Comuni e Regioni «nell´ambito delle loro competenze». Saltano doppia licenza, licenze part-time, taxi stagionali. L´Autorità dei trasporti, che avrebbe dovuto «adeguare i livelli di offerta» e aumentare le licenze «sentiti i sindaci», viene limitata ad esprimere «un parere obbligatorio, non vincolante», a «monitorare e verificare» il servizio, le tariffe, la qualità, le esigenze delle città, fornendo una semplice analisi costi-benefici in base alla quale i sindaci possono adeguare il numero delle auto, bandendo concorsi straordinari. Qualora non lo facessero senza valide motivazioni, l´Autorità ricorrerà al Tar. Confermato il taxi ad uso collettivo e il servizio fuori città ma solo in base ad accordi sottoscritti dal sindaco con i Comuni interessati. Maggiore libertà nel fissare le tariffe, a partire da quelle predeterminate dal Comune. Sarà possibile usare la stessa vettura per più turni. L´Autorità dei trasporti avrà una dotazione di 5 milioni per il 2012, potrà erogare sanzioni amministrative e partire prima, entro il 31 maggio, senza interim con l´Authority per l´energia.

Farmacie / Scontro sulle nuove aperture Pdl schierato con Federfarma Ancora non sciolto lo spinoso nodo delle farmacie. Se ne è discusso a lungo, ieri notte in commissione Industria. Ma la quadra politica non è stata ancora trovata. Lo scoglio maggiore riguarda le nuove aperture (se ne prevedono 5 mila in più con un ampliamento del 25% della pianta organica), considerate dannose dalla categoria. Il Pdl punta ad abbassare il quorum del decreto (una nuova farmacia ogni 3 mila abitanti) ad una ogni 3.800, in linea con quanto auspicato da Federfarma che sul punto fa notare che il quorum reale è una a 2.200, considerati i nuovi punti che, grazie al decreto, sorgeranno in stazioni, aeroporti, autostrade. I consumatori temono una retromarcia, su questo punto e sulla liberalizzazione dei farmaci di fascia C.

La Repubblica 23.02.12

«Da qui può nascere il partito dei socialisti e democratici europei», intervista a David Sassoli di Simone Collini

Parla il capodelegazione Pd a Strasburgo: «Esercizio inutile contrapporre Pd e Pse. Non ripetiamo l’errore degli anni 90, la politica non resti nazionale». Sono state poste le premesse per la nascita del Partito dei socialisti e dei democratici europei», dice David Sassoli ricordando il nuovo gruppo fondato nel Parlamento europeo dal Pd e dal Pse, ma soprattutto guardando con molta attenzione all’iniziativa che si svolgerà il 17 marzo a Parigi. «È molto importante che i leader di Pd, Spd e socialisti francesi firmino una dichiarazione comune per un’Europa più forte, comunitaria, lontana dagli egoismi nazionali», sottolinea il capodelegazione del Pd all’interno dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici a Strasburgo. «I partiti di centrosinsitra che si candidano a governare non devono ripetere l’errore degli anni 90, le politiche non possono rimanere confinate nell’ambito nazionale, oggi bisogna scommettere su un nuovo europeismo».
Onorevole Sassoli, questa iniziativa di Bersani insieme ai leader socialisti europei non rischia di riaccendere la discussione sull’identità e la collocazione internazionale del Pd?
«Oggi è un esercizio inutile sia mettere in contrapposizione Pd e socialismo che lavorare per rintracciare al nostro interno il pedigree di culture del 900. Noi dobbiamo essere orgogliosi di quanto fatto fin qui e adesso bisogna continuare a lavorare per costruire una forza progressista europea».
Ottimista sulla riuscita dell’impresa?
«Sì, se socialisti e democratici assumeranno la bandiera di un nuovo europeismo».
Quando parla di “forza progressista” intende un nuovo partito che vada oltre il Pse?
«Partiamo da un concetto: non servono battaglie nominalistiche e non partiamo da zero. Il Pd ha fondato un nuovo gruppo nel Parlamento europeo che può essere la premessa per la nascita del Partito dei socialisti e dei democratici europei. Naturalmente, perché questa esperienza possa progredire c’è bisogno dell’impegno di tutti. Come ha ricordato di recente lo stesso Bersani, anche i socialisti devono cambiare».
Non è un azzardo scommettere sull’Europa in questa fase di crisi?
«Tutt’altro, perché la crisi rafforza l’orizzonte degli Stati uniti d’Europa. I paesi comunitari deboli oggi non vengono protetti perché non c’è né un vero governo europeo né una vera banca europea. Siamo molto distanti da quello che succede negli Stati uniti d’America, dove c’è un forte potere centrale e una banca di ultima istanza. Lì non si consente alla finanza di attaccare Stati deboli, come quello di New York o la California. La Grecia ci insegna che abbiamo bisogno di trasferire poteri dalle nazioni all’Unione, che dobbiamo dar vita a iniziative istituzionali per costituire l’Europa dei cittadini».
Il Pd lo farà insieme ai socialisti e ai socialdemocratici europei?
«Il Pd ha avviato un percorso e lo scenario che si apre ci incoraggia ad andare avanti in questa direzione, e incontrare anche altri compagni di viaggio. Penso ai movimenti ecologisti, alle esperienze più aperte dell’area liberal-democratica. È importante che le forze di centrosinistra di due grandi paesi che si avviano a elezioni come Francia e Germania credano che la sfida si giochi non solo cambiando i governi dei singoli Stati, ma aprendo a culture e sensibilità diverse. Negli anni 90 è stato commesso l’errore di pensare che le politiche potessero riguardare il solo ambito nazionale e così si è rafforzata la dinamica intergovernativa. Oggi è chiara l’esigenza di scommettere su un nuovo europeismo».
Si può rifondare su questo la sinistra? «Il problema non è rifondare la sinistra, ma costruire il centrosinistra europeo. La firma di una dichiarazione comune, a Parigi a metà marzo, con socialisti francesi e socialdemocratici tedeschi è una scommessa sulla nuova Europa».
Che dovrebbe avere come punti cardine?
«Valori come giustizia, solidarietà, eguaglianza. Si parla tanto di fine della politica, di governi tecnici che commissariano la politica. No, in realtà su questi valori, fondanti l’identità europea, non smetterà mai di esserci differenza tra noi e la destra».

L’Unità 23.02.12

"Lavoro, la malattia italiana", di Carlo Dell'Aringa e Tiziano Treu

Il peggioramento delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è stato, negli anni della crisi, molto forte in Italia, e anche un po’ più forte di quanto successo nella media dei paesi europei. Peggio di noi ha fatto certamente la Spagna, meglio di noi ha fatto decisamente la Francia che ha perso molto poco in termini di occupazione; anche la Gran Bretagna ha sperimentato un peggioramento dei suoi indicatori minore del nostro.
Il fenomeno dei Neet (Neither in employment, nor in education and training), che ci caratterizza rispetto agli altri paesi, è maggiormente diffuso tra i giovani-adulti che non tra i giovani-giovani. Infatti i giovani nella fascia di età più bassa (15-24) sono prevalentemente impegnati (ancora) nel circuito scolastico mentre i giovani delle età successive, in maggioranza, hanno finito il percorso di studi e si trovano quindi ad affrontare il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. E infatti si osserva che mentre i giovani tra i 15 e i 24 hanno un tasso di Neet del 17%, i giovani con età tra i 25 e i 30 anni hanno un tasso di Neet dieci punti percentuali più elevato.
I dati dell’Istat ci dicono che la maggioranza dei Neet sono inattivi, ma colpisce negativamente la elevata percentuale di giovani disoccupati di lunga durata rispetto a quelli di breve durata. La percentuale dei giovani in condizione di Neet aumenta quindi con l’età: ciò è dovuto non tanto alla percentuale di disoccupati e degli inattivi scoraggiati che, dopo circa i 20 anni, rappresentano una quota costante del complesso dei giovani. Dopo i 20 anni cresce continuamente, con l’età, la quota di inattivi completamente uscita dal mercato del lavoro. Tra i ventenni ci sono circa 30mila giovani che sono in questa condizione, ma tra i trentenni si stima che ve ne siano almeno il doppio. Questa crescita, con l’età, di giovani che si dichiarano ormai distaccati dal mercato del lavoro, impressiona negativamente e ci si chiede se questo fenomeno non sia la conseguenza di lunghi periodi di mancanza di occasioni di lavoro e che alla fine scoraggia e in modo definitivo dal cercare e dal rendersi disponibile per qualsiasi tipo di attività lavorativa.
Se si guarda poi ai cosiddetti «left behind», cioè a quei giovani senza titolo di studio di scuola media superiore e che si trovano nello stato di Neet, si osserva un loro consistente aumento in questi anni di crisi. Stando agli ultimi dati, hanno raggiunto l’11% della popolazione giovanile. I left behind sono caratterizzati da un periodo più lungo di non occupazione alle loro spalle, rispetto ai loro coetanei.
Per periodo di non occupazione, l’Istat intende il periodo che intercorre tra la fine della precedente esperienza lavorativa e la situazione al momento dell’intervista (condizione di Neet). Per questo gruppo di giovani particolarmente svantaggiati, il periodo di non occupazione cresce con l’età: più i giovani invecchiano e maggiore è il tempo che trascorrono al di fuori dello stato di occupazione. A vent’anni è di circa un anno, ma a trent’anni è di oltre tre anni.
Si è detto del ruolo importante che l’istituto dell’apprendistato, soprattutto laddove è particolarmente valorizzato, svolge nel processo di formazione dei giovani e nella successiva fase di transizione ad un pieno stato occupazionale. Anche nel nostro paese l’istituto dell’apprendistato è particolarmente diffuso, anche se non è mai stato strutturato e valorizzato come nei paesi di lingua e tradizione tedesca. L’applicazione dell’istituto è “a macchia di leopardo” e dipende dalle soluzioni trovate, a livello delle singole regioni e dei singoli settori, al problema della regolazione del rapporto di lavoro. Non sempre infatti le singole aziende di spongono di un quadro normativo chiaro e trasparente e questo è il motivo per cui di questo importante istituto se ne fa un uso inferiore a quello che sarebbe possibile e auspicabile. A queste difficoltà si sono aggiunte le difficoltà della crisi che, anche nei paesi con una forte tradizione in questo settore, hanno colpito i giovani occupati in percorsi di apprendistato. Una delle criticità maggiori riguarda la possibilità che questi percorsi vengano interrotti, a causa della riduzione della domanda di lavoro e dei conseguenti esuberi. Questo è un problema che molti paesi stanno affrontando, anche con misure dirette ad evitare che questi giovani interrompano bruscamente un percorso di formazione-lavoro: per il loro futuro costituirebbe un passo falso che dovrebbe essere evitato.
L’Italia è il paese con una percentuale di giovani che mescolano in qualche modo lo studio con esperienze di lavoro, che è di poco superiore al 5%. Solo tra i giovani greci la percentuale è ancora minore. Nonostante i piani di alternanza scuola-lavoro che abbiamo introdotto e sperimentato in passato, i risultati, su questo versante, devono essere stati veramente modesti, se la situazione è quella riportata nelle classifiche dell’Ocse. Quindi ci collochiamo decisamente nel gruppo dei paesi con la pratica del «study first, then work», con la differenza, forse, che non disponiamo di un apparato scolastico così solido e valido come quello di altri paesi che condividono con noi lo stesso modello. Il risultato è che la transizione dei nostri giovani dalla scuola al lavoro viene ad essere penalizzata non solo da una qualità della formazione che potrebbe essere decisamente migliore e meglio orientata, ma anche dalla quasi totale mancanza di esperienze lavorative durante il percorso scolastico.
Vi è un gruppo di paesi che si contraddistingue per una modalità particolare di combinare la attività di studio con una esperienza di lavoro. Si tratta dei paesi europei dove è in vigore l’istituto dell’apprendistato “alla tedesca”. In Germania, Austria e Svizzera, ben un terzo dei giovani che studiano fa, al contempo, una esperienza di lavoro. L’apprendistato tedesco è un sistema di formazione basato essenzialmente su una combinazione di studio e di lavoro. E si tratta di una combinazione che può accompagnare i giovani sino ai livelli più elevati della loro formazione. In genere questo tipo di apprendistato non compromette la durata degli studi, che rimane tutto sommato contenuta in limiti ragionevoli. Cioè i giovani apprendisti non finiscono gli studi con rilevanti ritardi rispetto ai loro colleghi che seguono percorsi scolastici tradizionali. Hanno comunque il vantaggio di avvicinarsi al mondo del lavoro, una volta finito il percorso di formazione-lavoro, con maggiori possibilità di trovare velocemente stabili e buoni posti di lavoro.
Si è visto come l’apprendistato sia considerato a livello internazionale l’istituto che meglio facilita la transizione dalla scuola al lavoro. Anche se non è necessario avere da noi un apprendistato “alla tedesca” si deve aumentare il ricorso a questo istituto che è sempre stato al disotto delle sue potenzialità ed è ulteriormente calato nella crisi; mentre viceversa deve diventare canale di accesso preferenziale al lavoro, un vero e proprio contratto di primo lavoro, a tempo indeterminato.
Un presupposto per la diffusione dell’apprendistato è rimuovere l’incertezza circa la ripartizione delle competenze in materia fra stato, regioni e contrattazione collettiva che ha ostacolato l’uso dell’apprendistato. Il recente Testo unico prevede un tavolo congiunto per il raccordo fra le varie competenze che definisca su base consensuale standard professionali e formativi comuni, in particolare che armonizzi i profili professionali previsti dai contratti collettivi.
Dall’intesa su questi punti che garantisca regole e procedure condivise dipende in larga misura l’efficacia e il rilancio dell’istituto. Oltre alla diffusione, è importante la qualità dell’apprendistato, che dipende dai suoi contenuti formativi, sia quelli dipendenti dall’impresa che devono essere a tal fine qualificati, sia quelli provenienti dall’offerta formativa delle istituzioni. I rapporti Isfol confermano che solo una minoranza di apprendisti (20%) usufruisce di un percorso di formazione offerto dalle regioni con rilevanti differenze fra le varie parti del paese. Né tale carenza può essere colmata dalla formazione interna alle imprese che è diseguale e poco controllata. Ciò che conta è che qualunque sia il soggetto erogante, i contenuti formativi siano raccordati alle esigenze dell’azienda e al curriculum dell’apprendista.
Una diffusione dell’apprendistato per l’alta formazione tramite accordi fra università, regioni e parti sociali può essere utile per favorire l’occupazione dei giovani laureati.

estratto dell’introduzione al volume “Giovani senza futuro?” (Il Mulino – Arel) presentato ieri
Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu

da Europa Quotidiano 23.02.12

“Lavoro, la malattia italiana”, di Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu

Il peggioramento delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è stato, negli anni della crisi, molto forte in Italia, e anche un po’ più forte di quanto successo nella media dei paesi europei. Peggio di noi ha fatto certamente la Spagna, meglio di noi ha fatto decisamente la Francia che ha perso molto poco in termini di occupazione; anche la Gran Bretagna ha sperimentato un peggioramento dei suoi indicatori minore del nostro.
Il fenomeno dei Neet (Neither in employment, nor in education and training), che ci caratterizza rispetto agli altri paesi, è maggiormente diffuso tra i giovani-adulti che non tra i giovani-giovani. Infatti i giovani nella fascia di età più bassa (15-24) sono prevalentemente impegnati (ancora) nel circuito scolastico mentre i giovani delle età successive, in maggioranza, hanno finito il percorso di studi e si trovano quindi ad affrontare il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. E infatti si osserva che mentre i giovani tra i 15 e i 24 hanno un tasso di Neet del 17%, i giovani con età tra i 25 e i 30 anni hanno un tasso di Neet dieci punti percentuali più elevato.
I dati dell’Istat ci dicono che la maggioranza dei Neet sono inattivi, ma colpisce negativamente la elevata percentuale di giovani disoccupati di lunga durata rispetto a quelli di breve durata. La percentuale dei giovani in condizione di Neet aumenta quindi con l’età: ciò è dovuto non tanto alla percentuale di disoccupati e degli inattivi scoraggiati che, dopo circa i 20 anni, rappresentano una quota costante del complesso dei giovani. Dopo i 20 anni cresce continuamente, con l’età, la quota di inattivi completamente uscita dal mercato del lavoro. Tra i ventenni ci sono circa 30mila giovani che sono in questa condizione, ma tra i trentenni si stima che ve ne siano almeno il doppio. Questa crescita, con l’età, di giovani che si dichiarano ormai distaccati dal mercato del lavoro, impressiona negativamente e ci si chiede se questo fenomeno non sia la conseguenza di lunghi periodi di mancanza di occasioni di lavoro e che alla fine scoraggia e in modo definitivo dal cercare e dal rendersi disponibile per qualsiasi tipo di attività lavorativa.
Se si guarda poi ai cosiddetti «left behind», cioè a quei giovani senza titolo di studio di scuola media superiore e che si trovano nello stato di Neet, si osserva un loro consistente aumento in questi anni di crisi. Stando agli ultimi dati, hanno raggiunto l’11% della popolazione giovanile. I left behind sono caratterizzati da un periodo più lungo di non occupazione alle loro spalle, rispetto ai loro coetanei.
Per periodo di non occupazione, l’Istat intende il periodo che intercorre tra la fine della precedente esperienza lavorativa e la situazione al momento dell’intervista (condizione di Neet). Per questo gruppo di giovani particolarmente svantaggiati, il periodo di non occupazione cresce con l’età: più i giovani invecchiano e maggiore è il tempo che trascorrono al di fuori dello stato di occupazione. A vent’anni è di circa un anno, ma a trent’anni è di oltre tre anni.
Si è detto del ruolo importante che l’istituto dell’apprendistato, soprattutto laddove è particolarmente valorizzato, svolge nel processo di formazione dei giovani e nella successiva fase di transizione ad un pieno stato occupazionale. Anche nel nostro paese l’istituto dell’apprendistato è particolarmente diffuso, anche se non è mai stato strutturato e valorizzato come nei paesi di lingua e tradizione tedesca. L’applicazione dell’istituto è “a macchia di leopardo” e dipende dalle soluzioni trovate, a livello delle singole regioni e dei singoli settori, al problema della regolazione del rapporto di lavoro. Non sempre infatti le singole aziende di spongono di un quadro normativo chiaro e trasparente e questo è il motivo per cui di questo importante istituto se ne fa un uso inferiore a quello che sarebbe possibile e auspicabile. A queste difficoltà si sono aggiunte le difficoltà della crisi che, anche nei paesi con una forte tradizione in questo settore, hanno colpito i giovani occupati in percorsi di apprendistato. Una delle criticità maggiori riguarda la possibilità che questi percorsi vengano interrotti, a causa della riduzione della domanda di lavoro e dei conseguenti esuberi. Questo è un problema che molti paesi stanno affrontando, anche con misure dirette ad evitare che questi giovani interrompano bruscamente un percorso di formazione-lavoro: per il loro futuro costituirebbe un passo falso che dovrebbe essere evitato.
L’Italia è il paese con una percentuale di giovani che mescolano in qualche modo lo studio con esperienze di lavoro, che è di poco superiore al 5%. Solo tra i giovani greci la percentuale è ancora minore. Nonostante i piani di alternanza scuola-lavoro che abbiamo introdotto e sperimentato in passato, i risultati, su questo versante, devono essere stati veramente modesti, se la situazione è quella riportata nelle classifiche dell’Ocse. Quindi ci collochiamo decisamente nel gruppo dei paesi con la pratica del «study first, then work», con la differenza, forse, che non disponiamo di un apparato scolastico così solido e valido come quello di altri paesi che condividono con noi lo stesso modello. Il risultato è che la transizione dei nostri giovani dalla scuola al lavoro viene ad essere penalizzata non solo da una qualità della formazione che potrebbe essere decisamente migliore e meglio orientata, ma anche dalla quasi totale mancanza di esperienze lavorative durante il percorso scolastico.
Vi è un gruppo di paesi che si contraddistingue per una modalità particolare di combinare la attività di studio con una esperienza di lavoro. Si tratta dei paesi europei dove è in vigore l’istituto dell’apprendistato “alla tedesca”. In Germania, Austria e Svizzera, ben un terzo dei giovani che studiano fa, al contempo, una esperienza di lavoro. L’apprendistato tedesco è un sistema di formazione basato essenzialmente su una combinazione di studio e di lavoro. E si tratta di una combinazione che può accompagnare i giovani sino ai livelli più elevati della loro formazione. In genere questo tipo di apprendistato non compromette la durata degli studi, che rimane tutto sommato contenuta in limiti ragionevoli. Cioè i giovani apprendisti non finiscono gli studi con rilevanti ritardi rispetto ai loro colleghi che seguono percorsi scolastici tradizionali. Hanno comunque il vantaggio di avvicinarsi al mondo del lavoro, una volta finito il percorso di formazione-lavoro, con maggiori possibilità di trovare velocemente stabili e buoni posti di lavoro.
Si è visto come l’apprendistato sia considerato a livello internazionale l’istituto che meglio facilita la transizione dalla scuola al lavoro. Anche se non è necessario avere da noi un apprendistato “alla tedesca” si deve aumentare il ricorso a questo istituto che è sempre stato al disotto delle sue potenzialità ed è ulteriormente calato nella crisi; mentre viceversa deve diventare canale di accesso preferenziale al lavoro, un vero e proprio contratto di primo lavoro, a tempo indeterminato.
Un presupposto per la diffusione dell’apprendistato è rimuovere l’incertezza circa la ripartizione delle competenze in materia fra stato, regioni e contrattazione collettiva che ha ostacolato l’uso dell’apprendistato. Il recente Testo unico prevede un tavolo congiunto per il raccordo fra le varie competenze che definisca su base consensuale standard professionali e formativi comuni, in particolare che armonizzi i profili professionali previsti dai contratti collettivi.
Dall’intesa su questi punti che garantisca regole e procedure condivise dipende in larga misura l’efficacia e il rilancio dell’istituto. Oltre alla diffusione, è importante la qualità dell’apprendistato, che dipende dai suoi contenuti formativi, sia quelli dipendenti dall’impresa che devono essere a tal fine qualificati, sia quelli provenienti dall’offerta formativa delle istituzioni. I rapporti Isfol confermano che solo una minoranza di apprendisti (20%) usufruisce di un percorso di formazione offerto dalle regioni con rilevanti differenze fra le varie parti del paese. Né tale carenza può essere colmata dalla formazione interna alle imprese che è diseguale e poco controllata. Ciò che conta è che qualunque sia il soggetto erogante, i contenuti formativi siano raccordati alle esigenze dell’azienda e al curriculum dell’apprendista.
Una diffusione dell’apprendistato per l’alta formazione tramite accordi fra università, regioni e parti sociali può essere utile per favorire l’occupazione dei giovani laureati.

estratto dell’introduzione al volume “Giovani senza futuro?” (Il Mulino – Arel) presentato ieri
Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu

da Europa Quotidiano 23.02.12

"La ricerca? E' ingessata come un Ministero", di Cristiana Pulcinelli

Intervista a Fernando Ferroni. Il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare spiega perché in Italia i giovani trovano le porte sbarrate: ne entra uno ogni 5 pensionati. «Perdiamo i fondieuropei perché ognuno è bravo per sé ma non fa squadra». Programmazione, meno variazioni di rotta, scelte coraggiose. Si potrebbero riassumere così le richieste di Fernando Ferroni al governo per quanto riguarda la politica della ricerca: «Fin qui siamo ancora all’emergenza: la priorità è salvare l’Italia dal baratro. Al momento non vedo un piano in cui la ricerca sia vista come fattore di crescita,ma sono fiducioso». Ferroni, professore ordinario di fisica sperimentale all’università La Sapienza di Roma, da ottobre 2011 è presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Intanto il Miur ha fatto uscire i nuovi Bandi per il finanziamento dei Progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin)e quelli«Futuroinricerca» rivolti ai giovani. Non è una buona cosa? «Le incentivazioni alla ricerca, in teoria, dovrebbero uscire ogni anno: non vorrei che diventassero un fatto straordinario. Va comunque reso merito al governo di aver resuscitato questi fondi, dopo la sospensione dell’anno scorso». Già sono fioccate critiche ai Prin. I punti in discussione: il limite al numero di domande,il fatto che i progetti possono essere presentati solo dalle università e che debbono necessariamente essere frutto della la collaborazione tra almeno 5 unità di ricerca. Che ne pensa? «Credo di capire lo spirito che ha animato il ministro: attraverso i Prin si tenta un allenamento per i progetti europei e in Europa i progetti vanno presentati con le alleanze. Ho delle perplessità invece sulla griglia selettiva. Non sono turbato dal fatto che ci sia una preselezione,ma trovo forzato il meccanismo per cui il numero di progetti presentati deve essere in relazione alla dimensione dell’università. Esistono infatti realtà molto piccole e molto brave». Parliamo di giovani: in questi ultimi anni l’Infn ha sofferto del mancato ingresso delle nuove generazioni? «Moltissimo. È il frutto di una legge delirante che equipara gli enti di ricerca a un ministero e li obbliga a un turn over del 20%: si può assumere una persona ogni 5 che vanno in pensione. Mentre le università continuano a sfornare giovani con una percentuale costante nel tempo, si decide di chiudere un rubinetto di reclutamento: così si scoraggia la gente. Il fatto è che l’Italia deve sapere quanti ricercatori servono. Non si può dire: siccome siamo in difficoltà economiche, non assumiamo più giovani. Ormai l’età media negli enti di ricerca è sempre più alta, mentre i giovani che finiscono il dottorato cercano direttamente opportunità all’estero e noi, non avendo margine per reclutare i migliori, non possiamo che scegliere tra quelli che restano. Insomma, tutto questo rende l’efficienza del sistema molto bassa». Sempre a proposito di giovani, da poco sono stati resi noti i risultati dell’indagine europea sull’innovazione. L’Italia ne esce male. Tra le varie pecche quella di non essere attraenti per gli studenti provenienti dall’estero. Come mai? «Quando uno studente italiano si presenta a Stanford, l’ente di ricerca gli trova l’appartamento e gli dà un salario che è sufficiente non solo a pagare l’appartamento, ma anche a mangiare, bere e a concedersi qualche divertimento. Noi invece li facciamo morire di fame. Oggi per attrarre gli studenti bisogna fare ponti d’oro perché sono in molti a cercare di accaparrarseli». Cosa si dovrebbe fare? «Primo, decidere che la ricerca è importante. Poi capire quali sono i settori strategici e quelli invece meno rilevanti. Infine, bisognerebbe incentivare i primi e drenare risorse dai secondi. Un Paese povero deve fare delle scelte. Se il governo ci dicesse su cosa possiamo contare, ci potremmo organizzare. Faccio presente che negli altri Paesi esiste il semplice concetto di programmazione. Il Cnrs, l’equivalente francese del Cnr, bandisce tutti gli anni un certo numero di posti. Tutti gli anni. Qui invece è una lotteria. Uno straniero che leggesse l’elenco dei provvedimenti degli ultimi anni penserebbe che siamo un Paese di pazzi». Un altro elemento di cui si parla in questi giorni è la valutazione della qualità della ricerca. È una buona cosa? «Sì, se serve a distinguere tra bravi e meno bravi. Quello che conta è che si metta in piedi un sistema onesto e trasparente, con un meccanismo che funzioni anche qualora ci fosse tra i valutatori la persona sbagliata. Si potrebbe copiare da altri Paesi dove questo meccanismo già esiste: ho fiducia nel fatto che lo faranno ». Recentemente si è parlato anche del ruolo della burocrazia nella distribuzione dei fondi. La soluzione è separare nettamente politica da ricerca? «La politica dovrebbe decidere quanto vuole dare alla ricerca e poi fidarsi di chi fa la valutazione per l’assegnazione dei fondi. Ma non conosco nessun paese in cui avviene questo. Tuttavia, si può fare certamente meglio di quanto si fa in Italia. Ad esempio, si può gestire la cosa con variazioni minime rispetto a un percorso deciso. Meglio idee normali mantenute a lungo, piuttosto che grandi idee ma che fanno cambiare direzione ad ogni cambio di governo». Il ministro ha detto che l’Italia della ricerca fatica a sfruttare i fondi europei. E perde ogni anno 500 milioni Di euro. Perché non riusciamo ad accedere come dovremmo a quei fondi? «Perché l’Italia non fa sistema: qui ognuno è bravo per conto suo. Quello di mettersi insieme per fare sinergia è un concetto sconosciuto da noi. A Profumo va riconosciuto il merito di aver messo a nudo questo problema. L’Ente che ha più successo nel prendere i fondi europei è il Cnr, ma si capisce: si occupa di tematiche come l’ambiente, l’inquinamento, la salute, care all’Europa. Noi ci occupiamo di fisica delle particelle, è più difficile. Tuttavia è mia intenzione spingere l’Infn a cercare i finanziamenti europei mettendo a disposizione le nostre competenze per altri ambiti, utili alla società: ambiente, medicina, energia, beni culturali». In molti chiedono rapporti più stretti Tra mondo della ricerca e mondo industriale, nel caso della fisica sperimentale già esistono? «Come Infn noi abbiamo rapporti con l’industria meccanica, elettronica, dei superconduttori. Manca invece il rapporto con altre industrie, ad esempio quella medicale. L’industria italiana però non sembra vogliosa di competere sul piano dell’innovazione. Certo è dura, perché si tratta di combattere contro giganti come Siemens, Hitachi, Mitsubishi, ma fa parte del gioco… »

L’Unità 23.02.12