Biglietteria chiusa Comune e utenti: una scelta grave. Un’altra mazzata al servizio ferroviario locale: le Fs confermano che dal 14 marzo la biglietteria verrà definitivamente chiusa la domenica. Dopo tante voci, compresa quella dell’onorevole Ghizzoni che venerdì scorso ha diffuso una nota sul «timore per la possibile chiusura dello sportello», ora arriva dunque la certezza che i «titoli di viaggio», nei giorni festivi, saranno disponibili solo nelle due biglietterie self service (se non sono guaste, come accade spesso).
«Noi – dice Trenitalia – faremo il possibile per mantenerle operative, ma contro i vandali che regolarmente le prendono d’assalto… Il nostro consiglio
è che i viaggiatori tengano sempre in tasca un biglietto». Nonostante la stazione di Carpi sia classificata di ‘Prima Categoria’ con oltre mille utenti giornalieri, Trenitalia ha deciso di tagliare un servizio importante. Oltre ai biglietti infatti lo sportello fornisce prenotazioni e nformazioni. Ma la cosa più incredibile è che la notizia non è stata data nè ai Comitati nè al Comune. «Nessuno ci ha avvisati: è l’ennesima occasione persa per potenziare la stazione», dicono Poli e Saetti. «A noi non risulta, Trenitalia non ci ha avvisati – dice l’assessore D’Addese -, ma se davvero il provvedimento fosse stato preso non potremmo che giudicare gravissima questa mancata comunicazione al Comune».
La Gazzetta di Modena 02.03.10
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"Lo sciopero dei senza diritti", di Elena Lisa
Un’idea nata in Francia e rimbalzata in Italia attraverso il web, cortei nelle città per lanciare una provocazione: come sarebbe la vita senza stranieri? Lo chiamano il popolo giallo, ma la fierezza della sua gente sta nell’essere meticcio. Giallo è il colore scelto per celebrare la prima giornata di sciopero nazionale dagli immigrati, una tinta svincolata dai partiti che nel linguaggio cromatico significa cambiamento. Meticcia la razza della maggior parte delle persone, stranieri «2G», di seconda generazione, che ieri hanno «occupato» sessanta piazze per ribadire l’urgenza di un riconoscimento dei loro diritti.
Colf, imprenditori, badanti, pizzaioli, studenti, lavavetri, meccanici, camerieri, baby sitter dalle origini africane, asiatiche, latino-americane, ma anche molti italiani, sono stati i protagonisti di un lunghissimo «serpentone» giallo che ha colorato l’Italia da Nord a Sud. Decine e decine di migliaia di persone hanno aderito all’iniziativa del comitato «Primo Marzo 2010» ricalcando la protesta francese «24 heures sans nous»: ventimila in piazza a a Napoli, diecimila a Brescia, quindicimila a Milano, pochi meno a Torino, un migliaio a Bari, oltre ventimila nella capitale. L’Italia degli immigrati, ieri, si è fermata per un giorno.
L’associazionismo
Una «protesta», quella dell’onda gialla, che non è passata inosservata. Ne hanno condiviso forma e contenuti Legambiente e Coldiretti, Emergency e Acli. E l’interesse della politica è stato bipartisan. Gianfranco Fini, in particolare, è intervenuto sul fronte dei diritti: «Riconoscere la cittadinanza ai giovani stranieri nati qui o arrivati molto piccoli – ha detto il Presidente della Camera durante un incontro, a Roma, con ragazzi di origine straniera – è un ordinario esercizio di civiltà». Voce fuori dal coro la Lega Nord, che ha organizzato per oggi una contromanifestazione a Sesto San Giovanni. Una presa di posizione che non scalfisce la soddisfazione degli organizzatori: «È stato un grande movimento pacifico, nato spontaneamente con un tam tam sul web – dice Francesca Terzoni, portavoce nazionale del Comitato Primo Marzo – un successo del genere era inimmaginabile».
Il flop parigino
Un risultato diverso da quello francese, dove all’Hotel de Ville di Parigi c’erano poche centinaia di persone a riunirsi dietro un manifesto dal titolo incisivo: «Siamo tutti immigrati» ed alle foto di alcuni personaggi ben noti: Yves Montand, Michel Platini e l’umorista Coluche. Manifestazioni, senza grandi folle, si sono svolte a Marsiglia, Tolosa e a Lille. «Quantificare la nostra azione? Difficile – spiega Peggy Derder, vice presidente del collettivo che ha promosso la rivolta – ma questo movimento ha avuto un impatto qualitativo sulla società francese e ha contribuito una volta di più a modificare le idee tarlate sull’immigrazione».
Internet
«Riconosceteci il merito di aver messo in contatto mondi diversi», aggiunge la presidente del Comitato, la giovane franco-marocchina Nadia Lamarki. E’ stata lei, alcuni mesi fa, a lanciare lo sciopero fuori dalla Francia, usando Facebook.
In Italia è stato un successo. Un contatto tra mondi reso possibile da «navigatori» tra culture: gli stranieri di seconda generazione che vivono a metà tra gli usi delle terre d’origine e quelle che hanno conosciuto in Italia facendole loro. Nelle strade e nelle piazze, dopo il lancio simbolico dei palloncini gialli, a raccontare l’incontro tra tradizioni e costumi differenti alcuni slogan degli immigrati: «No al razzismo, questa è anche casa nostra», «Migrare non è reato» e altri scritti dagli italiani: «Aderisco alla manifestazione perché oggi essere contro una società multiculturale è come vivere in Alaska ed essere contro la neve».
La Stampa 02.03.10
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“Lo sciopero dei migranti blocca le cooperative”, di Orsola Casagrande
Ad astenersi dal lavoro le coop di facchinaggio e logistica, ma anche i metalmeccanici. Il primo marzo padovano è iniziato al mattino con la manifestazione degli studenti che non hanno voluto mancare all’inaugurazione dell’anno accademico. Quindi tutti in piazza, per l’incontro con il prefetto nel pomeriggio e poi in serata per lo sciopero dei lavoratori delle cooperative. Al prefetto è stato chiesto nuovamente di dichiarare una moratoria degli sfratti per un anno: crisi infatti vuol dire anche impossibilità per tanti di far fronte ai mutui e agli affitti. Dal prefetto nessun impegno per il blocco e quindi i manifestanti hanno prima bloccato il traffico e quindi hanno effettuato un corteo per le vie del centro. Alla manifestazione in serata si sono uniti anche alcuni lavoratori che poi hanno effettuato lo sciopero del terzo turno, quello notturno.
Lo sciopero, sostenuto dall’Associazione difesa lavoratori, ha riguardato soprattutto i lavoratori delle cooperative nel settore facchinaggio e nella logistica. Le richieste dei lavoratori (che sono per lo più migranti) sono state chiare: basta con i cambi d’appalto che comportano perdite di diritti per chi lavora, garanzia per un orario contrattuale pieno con la possibilità di accedere a tutti gli ammortizzatori sociali. I lavoratori alla Tnt sanno bene cosa significa cambio d’appalto. Già da due anni chiedono che sui continui cambi di appalto si arrivi almeno alla firma di un accordo con gli enti appaltanti che renda quantomeno verificabile la reale necessità di un cambio di appalto e che comunque consenta ai lavoratori di mantenere il posto di lavoro alle stesse condizioni. Ieri in sciopero c’erano sia lavoratori delle cooperative che dipendenti di fabbriche metalmeccaniche.
In Veneto, anche se è molto difficile mappare e avere un quadro preciso della situazione, le stime parlano di circa 35 mila persone impiegate come soci lavoratori nelle cooperative del settore logistica e trasporti. A queste si sommano altri diecimila lavoratori assunti ma non soci, con contratti spesso a termine. Le cooperative sono circa seicentocinquanta.
A Treviso manifestazione in piazza anche con la seconda generazione migrante. A Mestre scuola in piazza, con lezioni particolari e in lingue diverse. E festa finale in piazza Ferretto. In questi giorni si sono svolte numerose iniziative realizzate assieme al coordinamento genitori delle scuole di Marghera.
Il Manifesto 02.03.10
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Gli immigrati: “Uomini come voi”, di GAD LERNER
Con 4,3 milioni di stranieri residenti la folla ha mostrato un movimento da non sottovalutare. C´è da sperare che la minoranza colorata che ha affollato pacificamente ieri decine di piazze italiane protestando contro il razzismo e invocando i diritti che le sono negati, venga presa in seria considerazione dalle pubbliche autorità.
Per quanto esigua, rispetto alla popolazione di 4,3 milioni di stranieri residenti nella penisola, la folla dei manifestanti ha rivelato la nascita di un nuovo movimento che sarebbe irresponsabile sottovalutare. Perché, se il malcontento rimanesse inascoltato, l´associazionismo degli immigrati potrebbe svilupparsi in forma contrapposta e separata alla democrazia in cui reclama di venire incluso.
Quando migliaia di palloncini gialli si sono levati in volo su piazza del Duomo a Milano, coprendo il maxischermo in cui sfilavano elegantissime le modelle straniere, il sagrato era invaso di badanti e fattorini, coi loro bimbi che mostravano un semplice cartello: “Siamo nati qui, vogliamo la cittadinanza”. A Roma cancellavano le scritte ostili sui palazzi. A Napoli marciavano così numerosi da stupire i passanti: da dove spuntano tutti questi stranieri?
Se è bastata la suggestione velleitaria di “24h senza di noi”, la sfida impossibile di uno sciopero degli immigrati, per dare consistenza numerica a un´iniziativa spontanea quasi del tutto priva di supporti organizzativi, vuol dire che c´era un vuoto da riempire. Non gli corrisponde, è vero, uno spazio politico redditizio: la difesa dei diritti degli stranieri in Italia continua a essere valutata un pessimo affare elettorale, come rivela anche la riluttanza del Partito democratico finora pochissimo interessato a dare loro visibilità pubblica nelle sue strutture. Ma come non rendersi conto che le buone ragioni degli immigrati, contro una burocrazia sollecitata dal centrodestra a rendergli la vita difficile, potrebbero tradursi in rivolta se si continua a ignorarle?
Ieri hanno cantato e ballato per le strade, stupiti loro stessi nel riconoscersi movimento nascente. Ma domani? Per quanto tempo ancora potremo impiegarli con paghe inferiori, costretti spesso nell´irregolarità del lavoro nero, lanciando contemporaneamente proclami allarmistici contro l´«invasione degli stranieri»?
È significativo che attestati di rispetto e comprensione nella prima giornata di protesta degli immigrati siano giunti da associazioni imprenditoriali di categoria: la Camera nazionale dell´Artigianato che ricorda come il 9,5% del Pil sia legato direttamente o indirettamente al lavoro degli stranieri; e la Coldiretti che lamenta il ritardo del decreto flussi per gli stagionali agricoli, da cui dipende il 10% dei raccolti nelle campagne italiane.
Riconoscerli solo come manodopera, però, non esaurisce la dimensione di umanità che tante famiglie, scolaresche, comunità di cura vivono nel rapporto personale con il loro singolo straniero, disabituate tuttora a vederlo partecipe di una collettività. A lui danno un nome, ne condividono le emozioni, lo adottano. L´«insieme straniero» resta invece folla anonima, estranea, minacciosa.
Ieri questa folla ci si è presentata affermando con esemplare civiltà: “Siamo uomini e donne come voi”. Ma questo è il pericolo, se gli stranieri continueranno a scendere in piazza da soli, dopo che ieri ci hanno preso gusto: che il sorriso della prima volta, incompreso nella separazione dei passanti, trasmuti in sguardi torvi. Una società armoniosa, in grado di condividere i medesimi ideali di giustizia sociale, non può fondarsi sul braccio di ferro tra comunità straniere e maggioranza italiana. Ha bisogno di immigrati bene inseriti nelle strutture di rappresentanza democratiche. Deve aspirare a una cittadinanza comune.
La Repubblica 02.03.10
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Gli immigrati si fermano per un giorno «Producono il 9,5% del Pil italiano»
Il direttore della Camera nazionale dell’Artigianato: «Serve una riflessione». Franceschini al corteo di Roma. Manifestazioni in 60 città contro il razzismo.
Sciopero degli immigrati contro il razzismo in Italia: «Ventiquattro ore senza di noi». Un giorno per far capire quanto vale l’integrazione e quanto contano gli immigrati in Italia. «Andrebbe fatta una riflessione sul tema economia e immigrazione visto che il 9,5% del Pil è direttamente o indirettamente legato all’immigrazione» ha osservato il direttore della Camera nazionale dell’Artigianato di Roma, Lorenzo Tagliavanti. Decine e decine di migliaia di persone hanno partecipato pacificamente alle manifestazioni e ai cortei in oltre 60 piazze, tutti con addosso qualcosa di giallo, il colore della protesta: un braccialetto, un nastrino, un fazzoletto. A Milano, Roma, Napoli, Firenze, Bologna immigrati e italiani hanno manifestato «per sostenere l’importanza dell’immigrazione per la tenuta socio-economica del Paese», come ha annunciato il comitato “Primo Marzo 2010 – Una giornata senza di Noi”. L’iniziativa nata sul web sul modello francese ha ricevuto un consenso bipartisan. Unica voce fuori dal coro, quella della Lega Nord. Tante le adesioni: da Amnesty all’Arci, da Legambiente alle Acli, a Emergency. E poi i partiti, il Pd, l’Idv, il Pdci, Rifondazione Comunista.
LE MOTIVAZIONI – I drammatici fatti di Rosarno, i respingimenti in mare, gli scandali sulla gestione dei Cie, i centri di accoglienza, “la cultura razzista che si sta diffondendo”, le file notturne per il rinnovo dei permessi di soggiorno, “il naufragio di una politica di integrazione vera e di rilancio di servizi per fornire strumenti efficaci ai migranti per non essere preda della malavita organizzata”: per tutti questi motivi i lavoratori stranieri hanno incrociato le braccia e hanno fatto uno sciopero di 24 ore per far sì che il governo si renda conto di cosa vuol dire “stare 24 ore senza di noi”. La giornata di mobilitazione è stata lanciata in Francia e in Italia e sono state tantissime le manifestazioni nelle principali città italiane, con un simbolico lancio dei palloncini gialli in lattice biodegradabile per colorare di giallo i cieli d’Italia, visto che quella di oggi è stata chiamata “la rivoluzione in giallo”.
VENTIMILA A NAPOLI – A Roma il corteo è stato aperto da una delegazione di stranieri di Rosarno, con lo striscione “Troppa intolleranza, nessun diritto”. Secondo gli organizzatori hanno sfilato 5mila persone. Tra loro Dario Franceschini, capogruppo Pd alla Camera e il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. C’era anche una rappresentanza del popolo curdo, che ha sfilato con una banda musicale. Uno striscione giallo con scritto “Migrare non è reato” ha aperto il corteo a Milano, duemila partecipanti. Ventimila al corteo a Napoli (dove è stato aggredito l’assessore comunale Giulio Ricci da «frange estremiste di disoccupati», come ha denunciato il sindaco) che si è concluso a piazza Plebiscito con musica e rappresentazioni teatrali. Diecimila in piazza a Brescia per iniziativa della Fiom-Cgil. Un migliaio i manifestanti a Bari con lo slogan “Sono una persona, non un documento”.
LEGA CONTRARIA – Riconoscimento al lavoro degli immigrati arriva dalla Coldiretti: «Sono determinanti, senza di loro non sarebbe possibile la produzione di numerose eccellenze del made in Italy alimentare», dalla raccolta delle mele della Val di Non alla mungitura delle mucche per il parmigiano reggiano, dalla vendemmia dei vini doc alla cura dei greggi per il pecorino romano. Lo sciopero è stato giudicato interessante da esponenti del Pdl. «Può rappresentare – ha detto Fabio Granata, vicepresidente dell’Antimafia – uno stimolo positivo di riflessione per la classe politica italiana sul valore positivo ed economicamente straordinario della presenza dei migranti regolari in Italia». Sostegno alla mobilitazione anche da Renata Polverini, candidata alla presidenza del Lazio per il Pdl. Mentre «è una manifestazione senza senso, che non aiuta l’integrazione» per Mara Bizzotto, europarlamentare leghista. Come risposta allo sciopero, la Lega Nord ha organizzato una contromanifestazione a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano.
Il Corriere della Sera 02.03.10
"Licei, le iscrizioni nel caos,nessuna certezza sui nuovi corsi", di Salvo Intravaia
I tecnici di viale Trastevere consigliano ai genitori di attendere l’ultimo momento. “Per sicurezza, nella domanda è meglio indicare una o due soluzioni di riserva”. Iscrizioni ai nuovi licei nel caos. Formalmente si sono aperte venerdì scorso e si chiuderanno il 26 marzo, ma restano ancora parecchi dubbi. Dove saranno attivati i nuovi licei linguistici statali? E i licei musicali, dove verranno aperti? Quali licei scientifici della città offriranno anche l’opzione delle Scienze applicate? E in quali licei delle Scienze umane sarà possibile seguire il corso Economico sociale? E ancora: nei licei artistici cittadini saranno attivati tutti e sei gli indirizzi previsti dalla riforma, o soltanto alcuni?
Ecco un semplice campionario di dubbi riguardanti i nuovi licei dell’era Gelmini ancora non chiariti. Intanto, oltre 500mila ragazzini della scuola media sono in procinto di scegliere come proseguire gli studi. E, se le cose andranno come negli anni passati, oltre 150 mila si dirigeranno verso i licei. Ma dove saranno i 6 licei previsti dalla riforma approvata in via definitiva pochi giorni fa? Genitori e figli non hanno affatto le idee chiare e si è visto durante l’Open day di due giorni fa a Torino.
“Interessano molto – spiega l’ispettore ministeriale Alessandro Militerno, coordinatore dell’Open day piemontese – soprattutto i licei nuovi: coreutico, musicale, delle scienze umane. Noi raccomandiamo di aspettare fino all’ultimo a iscriversi, soprattutto a chi si sta orientando sui licei della danza e della musica, in modo di dare il tempo a ministero e Regione di definire la situazione. E suggeriamo – conclude – a tutti di indicare sul modulo di iscrizione anche una seconda e una terza scelta, anche perché per entrambi gli istituti sono previste prove di selezione”. In effetti, i dubbi sono ancora parecchi e il 26 marzo si avvicina. Genitori e figli dovrebbero potere scegliere fra sei diversi licei: classico, scientifico, linguistico, delle scienze umane, artistico e musicale/coreutico. Per lo scientifico è prevista anche una seconda opzione: quella delle Scienze applicate, che non prevede lo studio del Latino e introduce l’Informatica. Il liceo delle scienze umane, oltre a quella di ordinamento, avrà anche l’opzione Economico-sociale e per l’artistico sono previsti addirittura sei indirizzi: arti figurative; architettura e ambiente; audiovisivo e multimedia; design; grafica; scenografia. Ma saranno tutti disponibili? Non sembra proprio.
Le informazioni sono ancora ufficiose e frammentarie. L’opzione delle Scienze applicate al liceo scientifico, quest’anno, non dovrebbe essere attivata. Dovrebbe scattare soltanto negli istituti (alcuni tecnici industriali e pochissimi licei scientifici) che quest’anno hanno la sperimentazione del liceo scientifico-tecnologico. Ma non allo scientifico. Stesso discorso per i licei musicali e coreutici che vedranno ai nastri di partenza appena 10 classi del primo e una soltanto del secondo. Dove? Non si sa.
I licei delle Scienze umane dovrebbero potere attivare anche l’opzione Economico-sociale. Ma quali scuole saranno autorizzate? E quante prime classi? Viale Trastevere aveva promesso di pubblicare tutto entro oggi sul proprio sito. Ma della “mappa”, con istituti e indirizzi in tutte le città, non c’è ancora traccia. E per quanto riguarda i licei artistici, i sei indirizzi saranno disponibili in tutte le scuole?
Il discorso si fa ancora più complicato per i licei linguistici, altra vera novità della riforma. Dovrebbero essere attivati negli ex istituti magistrali che verranno trasformati in licei delle Scienze umane. Ma, in questo caso, la presenza di due diversi licei (quello delle scienze umane e il linguistico) costringe le singole Regioni e gli uffici scolastici regionali ad emanare decreti che trasformino le scuole interessate in istituti superiori. Al momento sono pochissime le Regioni che hanno provveduto. L’unico liceo per il quale, invece, non sussistono dubbi di sorta è il classico, con un unico indirizzo e nessun dubbio.
La Repubblica 02.03.10
"Se la politica ha paura della Tivù", di Paolo Mastrolilli
L’Italia va alle urne fra meno di un mese e la televisione pubblica ha deciso di cancellare i programmi di informazione. Motivo: maggioranza e opposizione non si sono messe d’accordo sulle regole condivise per parlare con obiettività al Paese. E allora, invece di cercare una soluzione, il Consiglio di amministrazione ha deciso di tagliare la testa al toro, o ai conduttori, che non andranno più in onda. Lo ha fatto con i voti della maggioranza di centrodestra, quindi senza avere neanche il pudore, o l’ipocrisia, di nascondere che una parte politica ha imposto la propria volontà all’altra, nonostante la Rai sia finanziata con i soldi di tutti i contribuenti. Se un marziano atterrasse domani in Italia, non sarebbe facile spiegargli la logica di questa scelta.
Le settimane che precedono il voto, in teoria, sono quelle in cui si discutono i temi concreti che stanno più a cuore alla gente: le tasse, l’istruzione, la sanità, la difesa, la sicurezza, i trasporti, la cultura, le grandi questioni etiche che tormentano la società contemporanea. Quale momento nella vita di un popolo civile e democratico ha bisogno di più informazione, se non una campagna elettorale?
Noi invece vedremo film e altri programmi sicuramente bellissimi, in attesa che siano pronte le noiosissime tribune elettorali che faranno scappare anche gli spettatori più masochisti.
Intendiamoci: la televisione può essere usata come potente strumento di propaganda, in chiaro o subliminale, e quindi richiede il massimo equilibro da parte chi la manovra. Ogni storia, ogni tema, ogni idea, ha sempre almeno due facce: chiunque ambisca a fare un’informazione credibile, sa che deve rappresentarle entrambe con obiettività. Se per caso cominciasse a far pendere la bilancia da una parte sola, sacrificando l’onestà professionale per qualunque genere di tornaconto, perderebbe subito il bene più prezioso per ogni giornalista: la fiducia di chi lo legge o l’ascolta. Ma i veri professionisti dovrebbero avere queste regole incise nel loro Dna, senza bisogno di una legge che gliele ricordi o, peggio, gliele imponga.
In Italia non è così, per una serie di ragioni strutturali e culturali che ci costringerebbero a riportare i lettori indietro di almeno un secolo e mezzo. Vi eviteremo questa tortura, ricordando però che la colpa non è tutta dei giornalisti. La politica, in particolare alla Rai, domina la scena. Stavolta non ha trovato l’alchimia necessaria a soddisfare le pretese di tutti, e quindi la maggioranza ha scelto la scorciatoia del buio.
Thomas Jefferson, la cui statua troneggia davanti all’università che assegna i premi Pulitzer, diceva che allo Stato senza giornali preferiva i giornali senza lo Stato. Perché in una democrazia l’informazione, onesta e obiettiva, è più importante delle istituzioni che la governano: le crea, con la libera circolazione delle idee, e poi le controlla, se sa raccontare con equilibrio vizi e virtù del potere. Rinascendo oggi in Italia, Jefferson non crederebbe ai suoi occhi: ha trovato una popolazione che ai giornali senza lo Stato, preferisce lo Stato senza i giornali.
La Stampa 02.03.10
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“Par condicio, stop ai talk show Rai giornalisti in rivolta, protesta in piazza”, di LEANDRO PALESTINI
Garimberti contrario: un danno. Santoro: comunque in onda Zavoli: il Cda ha sbagliato. Lerner minaccia le dimissioni da La7: dissento sul rinvio.
In questo mese di campagna elettorale l´abbonato Rai non potrà vedere Annozero, Ballarò, Porta a Porta e L´ultima parola. I talk show vengono sospesi per applicare il regolamento della Vigilanza: ieri, il Cda Rai ha deliberato a maggioranza che i programmi di approfondimento vengano sostituiti, «ove possibile», con tribune elettorali, in ossequio alla par condicio. Ma conduttori e giornalisti non ci stanno. Dalla Federazione nazionale della stampa è subito partita la risposta: Roberto Natale invita i cittadini a una “veglia” di protesta stasera alle 20 davanti gli studi Rai di via Teulada. Alla Fnsi, ieri hanno fatto sentire la loro voce Giovanni Floris, Michele Santoro, Riccardo Iacona, Andrea Vianello. In collegamento, Lucia Annunziata ha promesso che In 1/2 ora non andrà in onda (anche se non è tra i sospesi) e Gianluigi Paragone (L´ultima parola) ribadisce che «è mancato il buon senso». Critico Bruno Vespa, il primo dei “sospesi”: ieri Porta a porta ha fatto spazio al film Squadra speciale. E Santoro, da capo della rivolta dei conduttori, studia proteste “alternative” per andare in onda «ovunque». Lancia l´idea «di uno sciopero bianco alla maniera dei braccianti di De Vittorio».
La delibera spacca i vertici aziendali e il Cda Rai. Il presidente, Paolo Garimberti, parla di decisione che «danneggia gravemente l´immagine della Rai» e gli utenti. Poi ipotizza «un concreto rischio di danno erariale». Nei giorni scorsi il danno era stato quantificato: tre milioni di euro di mancata pubblicità per il mese senza talk. Mauro Masi, direttore generale, non replica, fa sapere che «era l´unica decisione possibile» per evitare sanzioni. Sergio Zavoli, presidente della Vigilanza, pensa invece che «la Rai poteva cercare un ragionevole compromesso» ed è stato provocato un danno agli utenti. Lo stop ai talk show fa registrare l´ennesima frattura nel Cda: la delibera è passata con cinque voti favorevoli e quattro contrari. Inutili le proteste dei consiglieri di opposizione Nino Rizzo Nervo («la decisione tradisce i doveri del servizio pubblico») e di Giorgio Van Straten: «è un regolamento che autorevoli giuristi hanno valutato come incostituzionale».
Alla manifestazione della Fnsi arriva la solidarietà da Mediaset attraverso Alessio Vinci (Matrix) e da La 7 (Luca Telese). Anche le tv commerciali temono la par condicio via Agcom. Gad Lerner è solidale, mentre divampano le polemiche sul blocco del suo L´Infedele (da parte della rete: la par condicio non c´entra) che ieri avrebbe trattato lo scandalo Fastweb Telecom. «Ritengo che la trasmissione da noi concordata secondo le procedure aziendali, e già pubblicizzata, non avrebbe turbato né le indagini né le decisioni che competono alla magistratura» si legge sul blog di Lerner, che avrebbe minacciato di lasciare l´azienda.
La politica si divide. Per il sottosegretario Paolo Bonaiuti (Pdl) il Cda «ha seguito puntualmente le indicazioni del Parlamento». Invece, Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione Pd, pensa che la decisione del Cda Rai «svela quello che fin dall´inizio era l´obiettivo del regolamento-bavaglio, imposto dal centrodestra in Vigilanza». La segreteria del Pd fa sapere che il partito aderisce alla manifestazione indetta stasera in via Teulada da Fnsi e Usigrai. “Youdem” accoglie la proposta di Santoro di fare altrove i programmi chiusi: la tv del Pd è pronta a riprendere con le proprie telecamere la puntata di Annozero o di Ballarò. L´Italia dei Valori sarà alla «veglia per la libertà di informazione»: lo conferma Pancho Pardi, capogruppo dell´Idv in Vigilanza. Anche il Popolo Viola, insieme ai comitati BoBi (Boicotta il Biscione) e a Liberacittadinanza, invita i cittadini davanti agli studi di Ballarò (in via Teulada) che stasera non va in onda. «Questo stop non ha precedenti nelle realtà occidentali», dichiara Floris.
La Repubblica 02.03.10
"Tempo pieno, tutto esaurito", di Lucilla Quadri
Chiuse le iscrizioni, ecco le tendenze per la primaria. Nonostante i tagli. Primo ciclo, si è chiusa la partita delle iscrizioni: da sabato scorso quel che è fatto è fatto, le famiglie hanno scelto. In attesa dei dati ufficiali del ministero è dai presidi che emergono le prime tendenze. Gli occhi sono puntati, anche quest’anno, sulle prime della ex scuola elementare. I tagli incombono, il maestro prevalente pure. Ma le famiglie non si sono date per vinte e, a quanto emerge dai resoconti dei dirigenti, hanno fatto registrare il tutto esaurito nelle sezioni a tempo pieno con il vecchio modello delle 40 ore. In alternativa la scelta è caduta sulle 30 ore che, più o meno, corrispondono al vecchio modulo. Dunque, anche quest’anno, come già nel 2009, sembra che i nuovi modelli (le 24 e le 27 ore) proposti dal ministro Gelmini siano stati poco opzionati. Complice, forse, anche la campagna che alcune associazioni come il Coordinamento dei genitori democratici hanno messo in campo per boicottare il maestro unico. L’associazione guidata da Angela Nava, infatti, ha fatto girare un documento in cui si invitano le famiglie a non scegliere le 24 e le 27 ore «estremamente povere di opportunità» e preferire le 40, assicurandosi, però, che siano realizzate «con due docenti e non con un mosaico di ore affidate a tanti docenti». Un modo per arginare, sperano i genitori, i tagli della riforma.
Ma vediamo come è andata: al 28° Circolo didattico di Napoli, uno dei plessi che in città ha più sezioni a tempo pieno, le 40 ore sono andate a ruba. Resta, spiega la preside, Silvana Casertano, “l’incognita del cosiddetto tempo normale. Lo scorso anno avevamo offerto 31 ore utilizzando il personale interno, che ha anche accettato dei rientri. Quest’anno la continuità dei tagli, probabilmente, ci porterà a fermarci a trenta. Anche perché l’organico l’anno scorso è stato fatto a 27 ore solo in prima, stavolta si procede su prime e seconde. Avremo sempre meno personale per poter offrire più ore ai genitori”. La preoccupazione sugli organici ha spinto molti presidi napoletani, racconta Casertano, a indirizzarsi verso le 27 ore, a non provare nemmeno a offrire modelli orari prolungati «per evitare di non poter mantenere le promesse». Ma le famiglie avrebbero voluto più mensa e più tempo scuola. A Torino «i genitori stanno chiedendo le 40 ore ovunque, come da tradizione, racconta Nunzia Del Vento, presidente dell’Asapi, scuole autonome piemontesi, nonché preside della Gabelli, Il problema sarà cosa riusciremo a dare davvero alle fine. Lo sapremo solo quando conosceremo l’organico. Comunque abbiamo già spiegato che le 40 ore non saranno il vecchio tempo pieno con le compresenze, ma un tempo lungo». Al 115° Circolo di Roma, continua sul tema il preside, Paolo Mazzoli, «non c’è già più spazio per il tempo pieno, abbiamo troppe richieste». Lo stesso vale per la scuola Orsa Maggiore della Capitale dove nel 2009 è stata formata una classe con il maestro prevalente che, però, racconta il dirigente, Stefano Sancandi, rischia di «saltare perché sono aumentate le richieste sul tempo pieno». E se non si potranno fare tutte le classi richieste, si procederà con il sorteggio. Altra città, Bologna, stessa storia, sia il 12° istituto comprensivo che il 3° Circolo segnalano richieste copiose di tempo pieno che, anche quest’anno, «resta il più richiesto». Per Manuela Ghizzoni, del Pd, la scelta delle famiglie si spiega in un solo modo: «Vogliono la qualità e qualità significa un’offerta formativa ricca».
"A gennaio i disoccupati hanno superato quota 2,1 milioni", di Diodato Pirone
E’ una marcia lenta ma senza soste quella della disoccupazione in Italia. Secondo gli ultimi dati Istat a gennaio il tasso dei senza lavoro è salito all’8,6% dall’8,5% di dicembre 2009. In un anno sono stati bruciati 307 mila posti di lavoro e i disoccupati sono saliti a quota 2.144.000 unità.
Inoltre il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 26,8%, con una crescita di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,6 punti percentuali rispetto a gennaio 2009.
La disoccupazione maschile raggiunge a gennaio un livello pari a 1 milione 147 mila unità, in aumento del 2,1% (+23.000 unità) rispetto al mese precedente e del 27,2% (+245.000 unità) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il numero di donne disoccupate è invece pari a 997.000 unità con una riduzione dell’1,9% rispetto a dicembre (-19.000 unità), a fronte di un aumento del 9,8% rispetto a gennaio 2009 (+89.000 unità).
Il tasso di disoccupazione maschile risulta uguale al 7,7%, in crescita sia rispetto a dicembre (+0,2 punti percentuali) sia rispetto a gennaio 2009 (+1,7%). Il tasso di disoccupazione femminile è pari al 9,8%, in diminuzione rispetto a dicembre (-0,2 punti percentuali), ma in aumento rispetto al mese di gennaio 2009 (+0,8 punti percentuali).
L’occupazione maschile, sempre a gennaio, risulta pari a 13 milioni 677 mila, più bassa dello 0,1% rispetto al mese precedente (-18 mila unità) e dell’1,9% (-260 mila unità) rispetto allo stesso mese dell’anno scorso.
L’occupazione femminile, invece, è pari a nove milioni 228 mila unità, con un aumento rispetto a dicembre dello 0,1% (più 8 mila unità) e una riduzione dello 0,5% (-47 mila unità) rispetto a gennaio 2009.
Guardando al numero degli inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, esso risulta pari a 14 milioni 871 mila unità, con un aumento dello 0,2% (+28 mila unità) rispetto a dicembre 2009 e dell’1,2% (+172 mila unità) rispetto a gennaio 2009.
Nella giornata di ieri sono stati diffusi anche i dati a livello europeo da parte di Eurostat: la disoccupazione dell’eurozona a gennaio è rimasta stabile a quota 9,9%, come a dicembre 2009. Nel gennaio 2009 il dato era pari all’8,5%. Per l’Italia la quota di disoccupazione è lievemente aumentata all’8,6% dopo l’8,5% a dicembre.
Anche per l’Ue a 27 stati membri la disoccupazione a gennaio 2010 è rimasta stabile a quota 9,5%, come a dicembre 2009. Era all’8,0% nel gennaio 2009. Eurostat stima i disoccupati nell’Ue in gennaio a 22,97 milioni, di cui 15,68 nell’eurozona.
L’incremento rispetto a dicembre è stato di 136.000 unità, di cui 38.000 nell’eurozona. Rispetto al gennaio del 2009 l’aumento è stato di 3,8 milioni nell’Ue di cui 2,2 milioni nell’eurozona.
Duri i commenti dell’opposizione che con l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, parla di «governo che nasconde la testa». Damiano ha sottolineato che il Pd sta preparando alcune proposte come, ad esempio la nascita di un Fondo ad hoc presso l’Inps e del raddoppio della Cig ordinaria. Secca la replica del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.«L’estensione degli ammortizzatori sociali – ha detto Sacconi – ci consente di restare ampiamente sotto la media della disoccupazione europea».
Il Messaggero 02.03.10
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“Pil, l´Italia indietro di quarant´anni” , di Elena Polidori
L´Italia economica vista dall´Istat è un paese colpito dalla crisi, piegato dalla disoccupazione: il panorama statistico è fitto di segni meno. Per cominciare: il 2009 chiude con un crollo del Pil del 5%, ricorretto al ribasso, il peggior dato dal 1971 e dunque da quasi quarant´anni. Sono 307 mila gli italiani che hanno perso il posto di lavoro in un anno. A gennaio il numero delle persone in cerca di occupazione supera quota 2 milioni, 334 mila in più rispetto allo stesso mese del 2009; il tasso di disoccupazione sale all´8,6%, il top dal 2004 con punte del 26,8% per i giovani e del 9,8% per le donne. La pressione fiscale arriva al 43,2%. I consumi scendono dell´1,2%, le retribuzioni dello 0,6. E c´è pure un boom dei fallimenti: ben 9.255 piccole e medie imprese specie al Nord, il 23% in più (stime Cerved).
Numeri bui cui si uniscono quelli sulla finanza pubblica. Debito-Pil al 115,8%, dieci punti in più del 2008, il livello più alto da dodici anni; deficit-Pil a quota 5,3% (dal 2,7). E soprattutto, un saldo primario (al netto degli interessi) che risulta negativo (- 0,6%) per la prima volta dal 1991. Carlo Azeglio Ciampi, ai suoi tempi, aveva fatto di tutto per incrementarlo perché lo considerava un «tesoretto», il paradigma del risanamento strutturale della finanza pubblica. In compenso, va meglio il fabbisogno che, secondo il Tesoro, migliora di 1 miliardo a febbraio (attestandosi a 13 miliardi). La tenuta delle entrate e il contenimento della spesa consentono miglioramenti nei primi 2 mesi: fabbisogno di 8,8 miliardi, inferiore a quello dell´analogo periodo 2009 (15,531 miliardi).
Naturalmente l´Italia non è l´unico paese a soffrire. La disoccupazione aumenta ovunque e nell´area euro è al 9,9%. Il Pil va molto giù anche in Germania, Regno Unito e Giappone, è a meno 2,2% in Francia e a meno 2,4% negli Usa. Ma secondo le ultime proiezioni del Fmi, quest´anno andrà meglio per tutti mentre l´Italia crescerà solo dell´1%, come la media Ue, ma meno di Francia e Germania. Nel 2011, il Pil nazionale sarà all´ 1,3%, il francese all´1,7, il tedesco all´1,9, Eurolandia all´1,6 e l´economia mondiale al 4,3%.
E´ proprio a queste comparazioni che guarda il ministro Sacconi confermando l´importanza degli ammortizzatori e dei contratti di solidarietà. E lo stesso fa il collega Scajola quando assicura che «la ripresa, sia pure timida, è iniziata» e dunque l´opposizione deve smetterla di «vedere solo il passato». Ma il leader del Pd Bersani accusa: un Pil a meno 5% «certifica la più grave recessione dal 1945». Sommando il dato del 2008, l´Italia arretra «in misura doppia rispetto all´area Ocse e quasi doppia rispetto a Eurolandia». Inoltre, anche nelle previsioni 2010 «andiamo peggio degli altri». Preoccupati, i sindacati reclamano un taglio delle tasse su salari e pensioni, i consumatori parlano di «situazione disastrosa», i commercianti di «crisi grave».
La Repubblica 02.03.10
"Dal Tg1 notizie false sul caso Mills. Appello a Rai e Ordine da migliaia di cittadini", di Carmine Saviano
Il Tg1 di Augusto Minzolini ha dato notizie false sul caso Mills. E l’Ordine dei giornalisti e la Rai dovrebbero reagire in modo esemplare. E’ quello che affermano e chiedono più di 60mila cittadini, che nelle ultime ore hanno sottoscritto un appello indirizzato a Lorenzo Del Boca, presidente dell’Odg, e Paolo Garimberti, presidente della Rai. Oggetto: segnalazione di una grave violazione della deontologia professionale. “Non si tratta di destra e sinistra, Minzolini ha il diritto di esprimere le proprie opinioni”, scrive Arianna Ciccone, prima firmataria della lettera. Ma nell’edizione delle 13 e 30 del Tg1 del 26 febbraio “è stata data una notizia falsa”. David Mills non è stato assolto, come per ben due volte è stato ripetuto al Tg1. Ma ha commesso un reato che è stato prescritto.
L’appello è subito girato in rete. Con tanto di video per documentare il tutto. E la lettera è stata già firmata da migliaia di persone. Su Facebook nasce un gruppo (basta iscriversi per firmare) intitolato alla “dignità dei giornalisti e al il rispetto dei cittadini”. Il volto di Enzo Biagi viene scelto come avatar. In bacheca già decine gli interventi. C’è chi chiede se esista “una legge che vieta di dare notizie false”, e chi si propone, in ogni modo, di “diffondere l’esistenza dell’appello”. In molti sono indignati e minacciano di non guardare più il Tg1. E c’è chi si lancia in analisi del nesso tra il potere di Berlusconi e la disinformazione crescente. Molti stanno anche “bombardando” la pagina Facebook del Tg1 con il messaggio “rescrizione non è assoluzione”.
All’interno dell’appello è riportato un brano di un articolo di Michele Serra: “Per un giornalista manomettere la verità è un crimine, tal quale per un fornaio sputare nel pane che vende. Qui non si tratta di opinioni, di interpretazioni, di passione politica. E’ proprio una frode, una lurida frode che non descrive più l’aspra dialettica di un paese spaccato, descrive qualcosa di molto peggiore: l’impunità conclamata di chi mente con dolo, con metodo, con intenzione, sicuro di non doverne rispondere ad alcuno (all’Ordine dei giornalisti? è più realistico sperare che intervenga Batman)”.
E proprio questa riflessione ha dato il via all’appello di Arianna Ciccone. Che chiede oltre all’intervento dell’Ordine dei giornalisti anche le scuse e la rettifica da parte del Tg1 e della Rai. Nel testo dell’appello, infatti, si legge: “Ecco caro presidente Del Boca io come cittadina mi aspetto da parte dell’Ordine un provvedimento nei confronti di quel giornalista che ha palesemente violato il principio deontologico per eccellenza: raccontare la verità. E mi aspetto, caro presidente Garimberti, e caro direttore Minzolini, le scuse del Tg1 e la rettifica”. Online è già scattata una gara di solidarietà. Il link dell’appello si sta diffondendo rapidamente. Ora gli organizzatori stanno pensando di andare a consegnare le firme a mano martedì.
Un’altra iniziativa arriva dalla “Società Pannunzio per la libertà d’informazione”, che ha scritto una lettera a Bruno Tucci, Presidente dell’Ordine dei giornalisti di Roma. Eccola: “Caro Presidente, durante il Tg 1 delle ore 13,30 di sabato 26 febbraio è stata data per due volte, nella titolazione e nella notizia sul caso Mills, una informazione falsa. Dato che non possiamo immaginare che un Direttore e un’intera redazione non conoscano la differenza tra assoluzione e prescrizione di un reato accertato e sanzionato in due gradi di giudizio e confermato dalla stessa Corte di Cassazione; dato che non possiamo immaginare che il Tg1 e il suo Direttore non sappiano quale responsabilità e potere essi abbiano sulla formazione dell’opinione pubblica italiana, riteniamo che sia stato compiuto non un involontario errore (che peraltro non è stato seguita da alcuna rettifica) ma, dolosamente, una gravissima lesione della deontologia professionale e quindi chiediamo un’immediata apertura di un provvedimento disciplinare contro Augusto Minzolini e quanti altri siano riconosciuti corresponsabili della medesima truffa”.
La consegna delle firme all’ordine e al presidente della Rai è prevista tra mercoledì e giovedì.
La Repubblica 01.03.10
