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"Lo sgambetto che allarma il Pd", di Federico Geremicca

Pier Luigi Bersani, dunque, teme che qualcuno immagini di poter sostituire le elezioni politiche di primavera con una qualche rapida «consultazione tra banchieri», suggerita – magari – da questa o quella agenzia di rating. Si tratta, naturalmente, di un iperbolico modo di dire per segnalare – però – una preoccupazione che, dal suo punto di vista, non può esser considerata infondata: e cioè, che le ripetute prese di posizione a favore della prosecuzione dell’esperienzaMonti, condizionino – o addirittura in qualche modo «falsino» – l’atteso pronunciamento popolare. Il leader Pd pensa, evidentemente, al sostegno che arriva al premier in carica da parte del mondo della finanza, di non poche cancellerie europee (e non solo europee) e – per ultimo – perfino da quel composito e rilevante spaccato di classe dirigente riunitosi per due giorni in quel di Cernobbio.

Si tratta, dicevamo, di una preoccupazione che – se si va alla sostanza di quel che Bersani intende dire non può esser liquidata con due battute: l’ipotesi di elezioni «inutili» – perché già deciso che a governare resterà comunque Mario Monti – non è un grande spot per la democrazia.

Il punto, però, resta (e da mesi) sempre lo stesso: la via per spazzare il campo da simili timori è un recupero di credibilità, affidabilità e chiarezza progettuale da parte delle diverse forze politiche. Ora, dire che questo sia avvenuto – o stia avvenendo – è onestamente difficile. E, da questo punto di vista, la giornata di ieri è addirittura emblematica.

Infatti, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, due dei tre leader della possibile alleanza data per favorita alle elezioni (e intendiamo Bersani, appunto, e Pier Ferdinando Casini) hanno illustrato ai propri elettori – e più in generale al Paese due prospettive di governo del tutto diverse: il leader Pd ha preannunciato (come fa da tempo) il ritorno della politica nella stanza dei bottoni; al contrario – fiutando in anticipo il vento e con una mossa un po’ a sorpresa Casini ha spiegato cosa vede dopo Monti: e cioè, di nuovo Monti. La novità – annunciata nel giorno in cui l’Udc si apre a una folta pattuglia di ministri del governo in carica – non è da poco: ed è foriera di fibrillazioni, naturalmente, soprattutto nel campo del centrosinistra.

Le ragioni sono evidenti. Intanto, va registrata un’accentuazione della già notevole – e perdurante – confusione: infatti, con chi governerebbero Bersani e Vendola (in caso di successo alle elezioni) se i moderati del nascente «listone centrista» annunciano fin da ora di essere in campo per un nuovo governo a guida Monti? L’interrogativo rischia di diventare cruciale. Non solo. Infatti, pur ammettendo che Casini cambi idea su quel che serve domani al Paese (e cioè un Monti bis) il nascente raggruppamento centrista – con adesioni che vanno dalla Marcegaglia alla Cisl, dalle Acli a Passera, Riccardi e un po’ di altri ministri – non sembra precisamente animato da «spirito gregario»: cioè pronto, dopo il voto, a far patti con la sinistra per incoronare Bersani presidente del Consiglio.

Dunque, mentre il leader Pd annuncia che «i riformisti sono pronti a governare», il più indispensabile e strategico dei suoi alleati (cioè Casini) fa sapere di vederla in altro modo: e questo alla fine di mesi durante i quali al Paese era parso che il patto riformisti-moderati fosse cosa fatta. Non è un bel segnale sul piano della chiarezza circa le cose da fare e le alleanze da stipulare, naturalmente. E non lo è nemmeno per quel «popolo di centrosinistra» incamminato verso primarie che rischiano – a questo punto – di incoronare un candidatopremier che premier potrebbe non diventarlo mai.

Forse è anche per questo che il leader Pd – ieri a Reggio Emilia – ha tenuto sostanzialmente sullo sfondo la vicenda che divide da settimane il partito (le primarie, appunto) limitando all’indispensabile la polemica con Matteo Renzi. Certo, ha chiesto al giovane sindaco di Firenze rispetto per i dirigenti più anziani, lealtà verso il partito e toni da forza che si candida a guidare il Paese: ma insomma, se il discorso di ieri era la sua apertura della campagna per le primarie, lo si può definire un discorso soft, e preoccupato soprattutto d’altro.

Del resto, Pier Luigi Bersani non ha mai nascosto di considerare le «secondarie» (cioè le elezioni) assai più importanti – come ovvio – delle primarie. Ecco: da ieri anche le «secondarie» si sono complicate, diventando più incerte e difficili. Non è una buona notizia, per i democratici. Soprattutto perché, al punto cui si era giunti, uno sgambetto così – da Pier Ferdinando Casini – forse non se l’aspettavano più…

La Stampa 10.09.12

"Lo sgambetto che allarma il Pd", di Federico Geremicca

Pier Luigi Bersani, dunque, teme che qualcuno immagini di poter sostituire le elezioni politiche di primavera con una qualche rapida «consultazione tra banchieri», suggerita – magari – da questa o quella agenzia di rating. Si tratta, naturalmente, di un iperbolico modo di dire per segnalare – però – una preoccupazione che, dal suo punto di vista, non può esser considerata infondata: e cioè, che le ripetute prese di posizione a favore della prosecuzione dell’esperienzaMonti, condizionino – o addirittura in qualche modo «falsino» – l’atteso pronunciamento popolare. Il leader Pd pensa, evidentemente, al sostegno che arriva al premier in carica da parte del mondo della finanza, di non poche cancellerie europee (e non solo europee) e – per ultimo – perfino da quel composito e rilevante spaccato di classe dirigente riunitosi per due giorni in quel di Cernobbio.
Si tratta, dicevamo, di una preoccupazione che – se si va alla sostanza di quel che Bersani intende dire non può esser liquidata con due battute: l’ipotesi di elezioni «inutili» – perché già deciso che a governare resterà comunque Mario Monti – non è un grande spot per la democrazia.
Il punto, però, resta (e da mesi) sempre lo stesso: la via per spazzare il campo da simili timori è un recupero di credibilità, affidabilità e chiarezza progettuale da parte delle diverse forze politiche. Ora, dire che questo sia avvenuto – o stia avvenendo – è onestamente difficile. E, da questo punto di vista, la giornata di ieri è addirittura emblematica.
Infatti, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, due dei tre leader della possibile alleanza data per favorita alle elezioni (e intendiamo Bersani, appunto, e Pier Ferdinando Casini) hanno illustrato ai propri elettori – e più in generale al Paese due prospettive di governo del tutto diverse: il leader Pd ha preannunciato (come fa da tempo) il ritorno della politica nella stanza dei bottoni; al contrario – fiutando in anticipo il vento e con una mossa un po’ a sorpresa Casini ha spiegato cosa vede dopo Monti: e cioè, di nuovo Monti. La novità – annunciata nel giorno in cui l’Udc si apre a una folta pattuglia di ministri del governo in carica – non è da poco: ed è foriera di fibrillazioni, naturalmente, soprattutto nel campo del centrosinistra.
Le ragioni sono evidenti. Intanto, va registrata un’accentuazione della già notevole – e perdurante – confusione: infatti, con chi governerebbero Bersani e Vendola (in caso di successo alle elezioni) se i moderati del nascente «listone centrista» annunciano fin da ora di essere in campo per un nuovo governo a guida Monti? L’interrogativo rischia di diventare cruciale. Non solo. Infatti, pur ammettendo che Casini cambi idea su quel che serve domani al Paese (e cioè un Monti bis) il nascente raggruppamento centrista – con adesioni che vanno dalla Marcegaglia alla Cisl, dalle Acli a Passera, Riccardi e un po’ di altri ministri – non sembra precisamente animato da «spirito gregario»: cioè pronto, dopo il voto, a far patti con la sinistra per incoronare Bersani presidente del Consiglio.
Dunque, mentre il leader Pd annuncia che «i riformisti sono pronti a governare», il più indispensabile e strategico dei suoi alleati (cioè Casini) fa sapere di vederla in altro modo: e questo alla fine di mesi durante i quali al Paese era parso che il patto riformisti-moderati fosse cosa fatta. Non è un bel segnale sul piano della chiarezza circa le cose da fare e le alleanze da stipulare, naturalmente. E non lo è nemmeno per quel «popolo di centrosinistra» incamminato verso primarie che rischiano – a questo punto – di incoronare un candidatopremier che premier potrebbe non diventarlo mai.
Forse è anche per questo che il leader Pd – ieri a Reggio Emilia – ha tenuto sostanzialmente sullo sfondo la vicenda che divide da settimane il partito (le primarie, appunto) limitando all’indispensabile la polemica con Matteo Renzi. Certo, ha chiesto al giovane sindaco di Firenze rispetto per i dirigenti più anziani, lealtà verso il partito e toni da forza che si candida a guidare il Paese: ma insomma, se il discorso di ieri era la sua apertura della campagna per le primarie, lo si può definire un discorso soft, e preoccupato soprattutto d’altro.
Del resto, Pier Luigi Bersani non ha mai nascosto di considerare le «secondarie» (cioè le elezioni) assai più importanti – come ovvio – delle primarie. Ecco: da ieri anche le «secondarie» si sono complicate, diventando più incerte e difficili. Non è una buona notizia, per i democratici. Soprattutto perché, al punto cui si era giunti, uno sgambetto così – da Pier Ferdinando Casini – forse non se l’aspettavano più…
La Stampa 10.09.12

""Rose e libri" per rinnovare la scuola", di Alessandro D'Avenia

La verità bisogna chiederla ai poeti, e questo verso potremmo impararlo a memoria, noi che lavoriamo nella Scuola. Ma, si sa, i poeti dicono verità troppo semplici perché qualcuno le ascolti. Inizia un nuovo anno di scuola, con ouverture tragicomica tra concorsi annullati per buste trasparenti, esami di Tfa degni delle serate Trivial e concorsoni per il reclutamento basati su un criterio rivelatosi insufficiente già da anni. Pazienza. Tutto ciò non ci esime dal lavoro quotidiano, che questa settimana ricomincia.

A tal proposito consiglio la (ri)lettura di un libro del 1932: Il mondo nuovo di A. Huxley. Se non avete tempo basta il primo capitolo, nel quale è descritto il modo in cui i bambini vengono educati nel nuovo sistema di controllo che garantisce l’equilibrio – basato sui consumi – del Nuovo Mondo. I bambini, che non nascono più nelle famiglie ma nelle provette con una selezione adeguata, sono educati in gruppo e obbligati ad odiare due cose che minano il consumo continuo di beni.

Introdotti in stanze piene di rose e libri colorati, non appena cominciano a sfogliare pagine e petali, attivano assordanti allarmi dal soffitto e dolorose scariche elettriche dal pavimento. Urlano impazziti, allontanandosi da rose e libri, apparente causa del dolore. Tutto ciò è ripetuto più volte. Una volta cresciuti, in modo puramente istintivo si terranno alla larga dalla natura e dai libri. Cioè dalla realtà, perché – spiega il direttore del Centro di Incubazione e Condizionamento – stare nella natura o leggere libri è un’abitudine che non genera consumi.

La scena – tragicamente reale oggi – mi ha fatto pensare per contrasto alla scuola come «resistenza» atta a restituire «rose e libri» agli 8 milioni di ragazzi che in questi giorni rientrano a scuola in Italia, spezzando il meccanismo pavloviano indotto dalla società dei consumi, che spinge a non tenere in considerazione la realtà e il suo senso, proprio perché alla realtà e al suo senso i ragazzi spesso associano allarmi e scosse elettriche: noia, delusione, paura, obblighi insensati e mancanza di risposte.

Settecentocinquantamila docenti possono restituire loro «rose e libri». Ma perché a volte quella reazione di fuga da libri e rose è provocata proprio dalla scuola?

I libri più odiati dagli Italiani? Quelli che si studiano a scuola: in vetta la Divina Commedia. Però se Benigni la racconta, tutti se ne innamorano. Come mai?

Credo che ciò valga anche per le materie scientifiche. A quante banalità si sottrarrebbero i nostri ragazzi se imparassero ad amare il mistero e lo stupore del mondo che la scienza prova a scandagliare con rigore e raziocinio. Una mia collega di scienze è diventata professoressa perché il suo professore durante l’ora di scienze poneva solo «perché» da risolvere: le spiegazioni nascevano dalla comune ricerca della risposta. L’entusiasmo era tale che ricorda a memoria quei quesiti: Perché se metto una ciliegia in un bicchiere di acqua calda l’acqua si colora di rosso?».

«Rose e libri». Non meramente come campo di prova per compiti, interrogazioni e programmi da svolgere, ma come sguardo contemplativo e non consumistico sul mondo (frui o uti: fruire o utilizzare? Si chiedeva Agostino). Solo chi entra in contatto vero con la realtà può entrare in contatto con se stesso e conoscere quindi sé e il mondo.

Perché le famiglie non pretendono più dalla scuola quello che per vocazione è chiamata a dare ai loro figli: non bei voti e promozioni facili, ma capacità di porre domande e trovare un senso alle cose che li circondano, attraverso i cinque sensi, stimolati dalla gioia di scoprire, spesso atrofizzata nei maestri che ripetono da anni le stesse lezioni. Inevitabile gettarsi sugli oggetti da consumare.

Socrate inaugurò lo stile occidentale del sapere e della scuola, e lo fecero fuori non solo allora. Alcibiade gli chiede: «Conoscere se stessi, molte volte, Socrate, mi è sembrata una cosa alla portata di tutti, molte volte, invece, assai difficile».

Socrate, in dialogo con i suoi allievi – il dialogo è infatti per lui il logos (parola, discorso, ragione) che passa attraverso (dia-) le persone alla ricerca della verità – risponde:

«Tuttavia, Alcibiade, che sia facile oppure no, per noi la questione si pone così: conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere».

Abbiamo rinunciato alla conoscenza come modo di prendersi cura di noi stessi. Pensiamo lo possano fare chirurgia e tecnologia: cioè i consumi di cui Huxley aveva previsto la dolce tirannide.

Ma ritorniamo al grido del poeta: come abbiamo osato anteporre qualcosa all’uomo? Ai ragazzi? Abbiamo messo al primo posto programmi e strutture e i risultati li abbiamo sotto gli occhi.

Propongo una piccola riforma a costo quasi zero. Perché quest’anno ogni insegnante non «cura» cinque alunni della propria classe in modo particolare? Come? Dialoga con loro una volta ogni tre mesi a tu per tu (sono solo tre colloqui da 15-20 minuti in un anno: primo, quarto, settimo mese, un’ora e mezzo ogni tre mesi, 5 ore in un anno) per conoscerne progetti, passioni, difficoltà, punti forti e punti deboli. Raccoglie i dati e dopo essersi confrontato con gli altri colleghi della classe (che hanno a cura gli altri gruppetti da cinque) durante consigli di classe non più burocratici, socraticamente prova a mettere in atto strategie educative perché i talenti di quei cinque ragazzi fioriscano.

Credo che questo sguardo ridarebbe dignità allo scopo della scuola. Una scuola come la nostra che ha programmi che il resto del mondo si sogna. Programmi però spesso asetticamente anteposti alle vite degli studenti, e non spazio condiviso di dialogo e ricerca della verità.

O torniamo a prenderci cura delle persone o continueremo a cercare salvezza in riforme di superficie, necessarie sì, ma molto meno di «rose e libri».

«Rose e Libri»: così vorrei chiamare una rete di rinnovamento della scuola, composta da genitori, studenti e professori. Chi mi dà una mano?

La Stampa 10.09.12

""Rose e libri" per rinnovare la scuola", di Alessandro D'Avenia

La verità bisogna chiederla ai poeti, e questo verso potremmo impararlo a memoria, noi che lavoriamo nella Scuola. Ma, si sa, i poeti dicono verità troppo semplici perché qualcuno le ascolti. Inizia un nuovo anno di scuola, con ouverture tragicomica tra concorsi annullati per buste trasparenti, esami di Tfa degni delle serate Trivial e concorsoni per il reclutamento basati su un criterio rivelatosi insufficiente già da anni. Pazienza. Tutto ciò non ci esime dal lavoro quotidiano, che questa settimana ricomincia.
A tal proposito consiglio la (ri)lettura di un libro del 1932: Il mondo nuovo di A. Huxley. Se non avete tempo basta il primo capitolo, nel quale è descritto il modo in cui i bambini vengono educati nel nuovo sistema di controllo che garantisce l’equilibrio – basato sui consumi – del Nuovo Mondo. I bambini, che non nascono più nelle famiglie ma nelle provette con una selezione adeguata, sono educati in gruppo e obbligati ad odiare due cose che minano il consumo continuo di beni.
Introdotti in stanze piene di rose e libri colorati, non appena cominciano a sfogliare pagine e petali, attivano assordanti allarmi dal soffitto e dolorose scariche elettriche dal pavimento. Urlano impazziti, allontanandosi da rose e libri, apparente causa del dolore. Tutto ciò è ripetuto più volte. Una volta cresciuti, in modo puramente istintivo si terranno alla larga dalla natura e dai libri. Cioè dalla realtà, perché – spiega il direttore del Centro di Incubazione e Condizionamento – stare nella natura o leggere libri è un’abitudine che non genera consumi.
La scena – tragicamente reale oggi – mi ha fatto pensare per contrasto alla scuola come «resistenza» atta a restituire «rose e libri» agli 8 milioni di ragazzi che in questi giorni rientrano a scuola in Italia, spezzando il meccanismo pavloviano indotto dalla società dei consumi, che spinge a non tenere in considerazione la realtà e il suo senso, proprio perché alla realtà e al suo senso i ragazzi spesso associano allarmi e scosse elettriche: noia, delusione, paura, obblighi insensati e mancanza di risposte.
Settecentocinquantamila docenti possono restituire loro «rose e libri». Ma perché a volte quella reazione di fuga da libri e rose è provocata proprio dalla scuola?
I libri più odiati dagli Italiani? Quelli che si studiano a scuola: in vetta la Divina Commedia. Però se Benigni la racconta, tutti se ne innamorano. Come mai?
Credo che ciò valga anche per le materie scientifiche. A quante banalità si sottrarrebbero i nostri ragazzi se imparassero ad amare il mistero e lo stupore del mondo che la scienza prova a scandagliare con rigore e raziocinio. Una mia collega di scienze è diventata professoressa perché il suo professore durante l’ora di scienze poneva solo «perché» da risolvere: le spiegazioni nascevano dalla comune ricerca della risposta. L’entusiasmo era tale che ricorda a memoria quei quesiti: Perché se metto una ciliegia in un bicchiere di acqua calda l’acqua si colora di rosso?».
«Rose e libri». Non meramente come campo di prova per compiti, interrogazioni e programmi da svolgere, ma come sguardo contemplativo e non consumistico sul mondo (frui o uti: fruire o utilizzare? Si chiedeva Agostino). Solo chi entra in contatto vero con la realtà può entrare in contatto con se stesso e conoscere quindi sé e il mondo.
Perché le famiglie non pretendono più dalla scuola quello che per vocazione è chiamata a dare ai loro figli: non bei voti e promozioni facili, ma capacità di porre domande e trovare un senso alle cose che li circondano, attraverso i cinque sensi, stimolati dalla gioia di scoprire, spesso atrofizzata nei maestri che ripetono da anni le stesse lezioni. Inevitabile gettarsi sugli oggetti da consumare.
Socrate inaugurò lo stile occidentale del sapere e della scuola, e lo fecero fuori non solo allora. Alcibiade gli chiede: «Conoscere se stessi, molte volte, Socrate, mi è sembrata una cosa alla portata di tutti, molte volte, invece, assai difficile».
Socrate, in dialogo con i suoi allievi – il dialogo è infatti per lui il logos (parola, discorso, ragione) che passa attraverso (dia-) le persone alla ricerca della verità – risponde:
«Tuttavia, Alcibiade, che sia facile oppure no, per noi la questione si pone così: conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere».
Abbiamo rinunciato alla conoscenza come modo di prendersi cura di noi stessi. Pensiamo lo possano fare chirurgia e tecnologia: cioè i consumi di cui Huxley aveva previsto la dolce tirannide.
Ma ritorniamo al grido del poeta: come abbiamo osato anteporre qualcosa all’uomo? Ai ragazzi? Abbiamo messo al primo posto programmi e strutture e i risultati li abbiamo sotto gli occhi.
Propongo una piccola riforma a costo quasi zero. Perché quest’anno ogni insegnante non «cura» cinque alunni della propria classe in modo particolare? Come? Dialoga con loro una volta ogni tre mesi a tu per tu (sono solo tre colloqui da 15-20 minuti in un anno: primo, quarto, settimo mese, un’ora e mezzo ogni tre mesi, 5 ore in un anno) per conoscerne progetti, passioni, difficoltà, punti forti e punti deboli. Raccoglie i dati e dopo essersi confrontato con gli altri colleghi della classe (che hanno a cura gli altri gruppetti da cinque) durante consigli di classe non più burocratici, socraticamente prova a mettere in atto strategie educative perché i talenti di quei cinque ragazzi fioriscano.
Credo che questo sguardo ridarebbe dignità allo scopo della scuola. Una scuola come la nostra che ha programmi che il resto del mondo si sogna. Programmi però spesso asetticamente anteposti alle vite degli studenti, e non spazio condiviso di dialogo e ricerca della verità.
O torniamo a prenderci cura delle persone o continueremo a cercare salvezza in riforme di superficie, necessarie sì, ma molto meno di «rose e libri».
«Rose e Libri»: così vorrei chiamare una rete di rinnovamento della scuola, composta da genitori, studenti e professori. Chi mi dà una mano?
La Stampa 10.09.12

"Profumo: fino al 2015 un concorso a cattedra ogni anno", di Alessandro Giuliani

Il ministro dell’Istruzione lo ha detto durante un intervento (tra qualche contestazione) a Unitalia: l’obiettivo è ristabilire la normalità. Tornando quindi ad assumere non più quasi solamente dalle Gae, ma anche attraverso prove di merito dirette. Un concorso l’anno per i prossimi tre anni. A prometterlo è stato il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, partecipando a Unitalia, l’iniziativa organizzata da l’Unità e Left. Durante l’intervento del responsabile del Miur, contrassegnato dalla insistita protesta di qualche decina di docenti sindacalizzati, in prevalenza aderenti ai sindacati di base, sono stati toccati vari argomenti. Tra quelli più importanti non poteva non esserci il concorso a cattedra, in procinto di essere bandito dopo un “vuoto” di 13 anni.
Profumo ha ribadito che la sua indizione “non lederà i diritti di nessuno”, perché darà la possibilità di parteciparvi in larga parte agli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e di merito, in modo da poter dare modo loro di “accelerare il percorso di inserimento in ruolo senza dover abbandonare la graduatoria stessa”.
Il Ministro ha difeso strenuamente la scelta di non aprire la selezione a tutti. Dovuta all’esigenza di limitare le immissioni in ruolo al necessario – sulla base dei posti effettivamente vacanti – , in modo da non appesantire ulteriormente l’avvio della riforma del reclutamento scolastico. Che tra l’altro, vale la pena ricordare, deve ancora essere approvata. A tal proposito, ha sottolineato il ministro dell’Istruzione, “la gestione del transitorio è senz’altro molto delicata e difficile”. Nel frattempo, ha aggiunto Profumo, “ci saranno concorsi fino al 2015, con cadenza annuale, in modo da ristabilire la normalità”. Tornando, in tal modo, ad assumere non più quasi solamente dalle Gae, ma anche attraverso prove di merito dirette.
Una notizia, quella fornita dal Ministro, che non dispiacerà a quella grande maggioranza di esclusi già in occasione della prima imminente selezione concorsuale (l’ultima con le procedure tradizionali), il cui bando dovrebbe essere pubblicato il prossimo 24 settembre: per oltre quel 90 per cento di candidati che non ce la faranno (il Miur ha messo a concorso poco più di 11mila posti, a fronte di almeno 150mila domande attese) ci saranno infatti altre tre chance concorsuali per tentare di fare dell’insegnamento la loro professione. Possibilità però che avranno, è bene ricordarlo, delle regole nuove. Ad iniziare da quella che pone fine alla presenza eterna in graduatoria: gli idonei che non dovessero essere assunti vi rimarranno, infatti, per un periodo definito (due anni?), terminato il quale perderanno ogni diritto all’assunzione. Con le liste d’attesa che decadranno automaticamente.

da La Tecnica della Scuola 10.09.12

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“Parte l’autunno caldo della scuola italiana”, di Luciana Cimino

Due settimane senza tregua per non lasciare nulla d’intentato. L’autunno caldo della scuola pubblica è già cominciato. Gli insegnanti precari che in questi giorni sono stati in presidio sotto al Miur per protestare contro il concorso previsto dal ministro Profumo e i tagli passati, si sono riuniti ieri in assemblea e hanno stilato documento e calendario delle mobilitazioni. L’appuntamento centrale è per il 22, giorno in cui hanno indetto una grande manifestazione nazionale a Roma, alla quale hanno chiamato a partecipare con un appello le organizzazioni sindacali e politiche. «Chiediamo appoggio fattivo al corteo e alle sue rivendicazioni», spiega Massimo, del Coordinamento precari scuola di Roma. Questi i punti: «chiediamo di convergere non solo sul “no” al concorso ma anche sulla contrarietà alla legge “ex –Aprea”, sul ritiro dei tagli, sull’assunzione dei precari». Al corteo ci arriveranno dopo una serie di iniziative: domani saranno in presidio sotto Montecitorio con altre sigle del mondo scolastico e con il movimento degli studenti, per protestare «contro il ddl Aprea che prevede l’ingresso dei privati nei consigli d’istituto» (hanno già aderito Sel, Fds, Idv e Prc, si attende la risposta del Pd). Il 13 pomeriggio, primo giorno di scuola nel Lazio, torneranno a viale Trastevere sotto la sede del ministero dell’Istruzione con gli studenti medi in protesta; per il 15 settembre hanno invece pensato a piazze tematiche in tutto il Paese, e poi altre iniziative intermedie per il lancio della manifestazione del 22: volantinaggi e assemblee nelle scuole, banchetti nei territori, «e azioni eclatanti e visibili». Durante l’assemblea è stato forte l’invito da parte dei professori a coinvolgere tutti: genitori, studenti e lavoratori. «Perché si capisca che non è solo un danno ai precari, è l’ennesimo scippo che viene fatto alla funzione fondamentale della scuola pubblica», dice Romolo da Latina. Carlo, professore di filosofia, rivolge il suo appello soprattutto al Pd: «si schieri senza tentennare con noi, tra i suoi militanti ci sono tantissimi insegnanti». Arianna spiega che a Napoli stanno volantinando pure nelle università, «perché va bene l’emergenza concorso ma dobbiamounirci con gli studenti su dei punti condivisi per la riqualificazione della scuola e della ricerca: le radici della lotta in comune sono i tagli della Gelmini, l’introduzione di un modello “marchionesco” ai lavoratori della conoscenza». Per Marco, insegnante di sostegno di 46 anni, che la situazione sia drammatica «è evidente soprattutto dal trattamento riservato agli studenti disabili che hanno perso le ore e questo è un tema che deve riguardare tutta la società». Marco ribadisce anche di credere «in questo tipo di mobilitazioni, ma a patto che siano unitarie, che si capisca che non siamo noi precari storici contro i neolaureati ma insieme, le cattedre ci sono per tutti». IL NO AL CONCORSO Poi c’è il fronte di chi ha già deciso che non farà il concorso: rinuncia alla professione come estremo atto di protesta. Tra di loro Manuel, insegnante veneto di 52 anni e quinto in graduatoria da 7 anni. «Non sono riuscito a entrare per i tagli, ma mi rifiuto di fare questa prova che è in realtà una tagliola, serve solo a far fare agli insegnanti la parte degli incompetenti», dice. E continua: «non ho un problema a farmi valutare, io sono un valutatore dei miei alunni, ma perché umiliare 250mila precari in questo modo? Siamo invecchiati dentro la scuola, senza neanche la possibilità di fare un mutuo, umanamente hanno ucciso una generazione di insegnanti che poi però in classe si mettono la maschera e fanno finta di essere tranquilli per insegnare ai ragazzi che esiste un mondo migliore, anche se loro hanno capito cosa sta succedendo in Italia e sono sempre più diffidenti verso la politica, lo Stato, sono sempre più cinici». È d’accordo anche Maria, 39 anni, professoressa ad Aversa. Anche lei è una di quelle che rinunceranno al concorsetto. « Concorsetto perché rispetto alle qualifiche e agli studi dei professori italiani, la maggior parte plurititolati, è una retrocessione, una mortificazione». «Sono uscita dalla Siss spiega dove mi hanno insegnato che i programmi vanno tarati sulle esigenze della classe e del singolo alunno, per non lasciare nessuno indietro, per aiutare ogni studente a ragionare con la sua testa; adesso mi chiedono di dimenticare tutto e mi propongono un metodo di selezione e di insegnamento per nozioni e per crocette. Io rifiuto questo tipo di scuola, a costo di essere costretta a cercare un altro lavoro.

L’Unità 10.09.12

"Profumo: fino al 2015 un concorso a cattedra ogni anno", di Alessandro Giuliani

Il ministro dell’Istruzione lo ha detto durante un intervento (tra qualche contestazione) a Unitalia: l’obiettivo è ristabilire la normalità. Tornando quindi ad assumere non più quasi solamente dalle Gae, ma anche attraverso prove di merito dirette. Un concorso l’anno per i prossimi tre anni. A prometterlo è stato il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, partecipando a Unitalia, l’iniziativa organizzata da l’Unità e Left. Durante l’intervento del responsabile del Miur, contrassegnato dalla insistita protesta di qualche decina di docenti sindacalizzati, in prevalenza aderenti ai sindacati di base, sono stati toccati vari argomenti. Tra quelli più importanti non poteva non esserci il concorso a cattedra, in procinto di essere bandito dopo un “vuoto” di 13 anni.
Profumo ha ribadito che la sua indizione “non lederà i diritti di nessuno”, perché darà la possibilità di parteciparvi in larga parte agli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento e di merito, in modo da poter dare modo loro di “accelerare il percorso di inserimento in ruolo senza dover abbandonare la graduatoria stessa”.
Il Ministro ha difeso strenuamente la scelta di non aprire la selezione a tutti. Dovuta all’esigenza di limitare le immissioni in ruolo al necessario – sulla base dei posti effettivamente vacanti – , in modo da non appesantire ulteriormente l’avvio della riforma del reclutamento scolastico. Che tra l’altro, vale la pena ricordare, deve ancora essere approvata. A tal proposito, ha sottolineato il ministro dell’Istruzione, “la gestione del transitorio è senz’altro molto delicata e difficile”. Nel frattempo, ha aggiunto Profumo, “ci saranno concorsi fino al 2015, con cadenza annuale, in modo da ristabilire la normalità”. Tornando, in tal modo, ad assumere non più quasi solamente dalle Gae, ma anche attraverso prove di merito dirette.
Una notizia, quella fornita dal Ministro, che non dispiacerà a quella grande maggioranza di esclusi già in occasione della prima imminente selezione concorsuale (l’ultima con le procedure tradizionali), il cui bando dovrebbe essere pubblicato il prossimo 24 settembre: per oltre quel 90 per cento di candidati che non ce la faranno (il Miur ha messo a concorso poco più di 11mila posti, a fronte di almeno 150mila domande attese) ci saranno infatti altre tre chance concorsuali per tentare di fare dell’insegnamento la loro professione. Possibilità però che avranno, è bene ricordarlo, delle regole nuove. Ad iniziare da quella che pone fine alla presenza eterna in graduatoria: gli idonei che non dovessero essere assunti vi rimarranno, infatti, per un periodo definito (due anni?), terminato il quale perderanno ogni diritto all’assunzione. Con le liste d’attesa che decadranno automaticamente.
da La Tecnica della Scuola 10.09.12
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“Parte l’autunno caldo della scuola italiana”, di Luciana Cimino
Due settimane senza tregua per non lasciare nulla d’intentato. L’autunno caldo della scuola pubblica è già cominciato. Gli insegnanti precari che in questi giorni sono stati in presidio sotto al Miur per protestare contro il concorso previsto dal ministro Profumo e i tagli passati, si sono riuniti ieri in assemblea e hanno stilato documento e calendario delle mobilitazioni. L’appuntamento centrale è per il 22, giorno in cui hanno indetto una grande manifestazione nazionale a Roma, alla quale hanno chiamato a partecipare con un appello le organizzazioni sindacali e politiche. «Chiediamo appoggio fattivo al corteo e alle sue rivendicazioni», spiega Massimo, del Coordinamento precari scuola di Roma. Questi i punti: «chiediamo di convergere non solo sul “no” al concorso ma anche sulla contrarietà alla legge “ex –Aprea”, sul ritiro dei tagli, sull’assunzione dei precari». Al corteo ci arriveranno dopo una serie di iniziative: domani saranno in presidio sotto Montecitorio con altre sigle del mondo scolastico e con il movimento degli studenti, per protestare «contro il ddl Aprea che prevede l’ingresso dei privati nei consigli d’istituto» (hanno già aderito Sel, Fds, Idv e Prc, si attende la risposta del Pd). Il 13 pomeriggio, primo giorno di scuola nel Lazio, torneranno a viale Trastevere sotto la sede del ministero dell’Istruzione con gli studenti medi in protesta; per il 15 settembre hanno invece pensato a piazze tematiche in tutto il Paese, e poi altre iniziative intermedie per il lancio della manifestazione del 22: volantinaggi e assemblee nelle scuole, banchetti nei territori, «e azioni eclatanti e visibili». Durante l’assemblea è stato forte l’invito da parte dei professori a coinvolgere tutti: genitori, studenti e lavoratori. «Perché si capisca che non è solo un danno ai precari, è l’ennesimo scippo che viene fatto alla funzione fondamentale della scuola pubblica», dice Romolo da Latina. Carlo, professore di filosofia, rivolge il suo appello soprattutto al Pd: «si schieri senza tentennare con noi, tra i suoi militanti ci sono tantissimi insegnanti». Arianna spiega che a Napoli stanno volantinando pure nelle università, «perché va bene l’emergenza concorso ma dobbiamounirci con gli studenti su dei punti condivisi per la riqualificazione della scuola e della ricerca: le radici della lotta in comune sono i tagli della Gelmini, l’introduzione di un modello “marchionesco” ai lavoratori della conoscenza». Per Marco, insegnante di sostegno di 46 anni, che la situazione sia drammatica «è evidente soprattutto dal trattamento riservato agli studenti disabili che hanno perso le ore e questo è un tema che deve riguardare tutta la società». Marco ribadisce anche di credere «in questo tipo di mobilitazioni, ma a patto che siano unitarie, che si capisca che non siamo noi precari storici contro i neolaureati ma insieme, le cattedre ci sono per tutti». IL NO AL CONCORSO Poi c’è il fronte di chi ha già deciso che non farà il concorso: rinuncia alla professione come estremo atto di protesta. Tra di loro Manuel, insegnante veneto di 52 anni e quinto in graduatoria da 7 anni. «Non sono riuscito a entrare per i tagli, ma mi rifiuto di fare questa prova che è in realtà una tagliola, serve solo a far fare agli insegnanti la parte degli incompetenti», dice. E continua: «non ho un problema a farmi valutare, io sono un valutatore dei miei alunni, ma perché umiliare 250mila precari in questo modo? Siamo invecchiati dentro la scuola, senza neanche la possibilità di fare un mutuo, umanamente hanno ucciso una generazione di insegnanti che poi però in classe si mettono la maschera e fanno finta di essere tranquilli per insegnare ai ragazzi che esiste un mondo migliore, anche se loro hanno capito cosa sta succedendo in Italia e sono sempre più diffidenti verso la politica, lo Stato, sono sempre più cinici». È d’accordo anche Maria, 39 anni, professoressa ad Aversa. Anche lei è una di quelle che rinunceranno al concorsetto. « Concorsetto perché rispetto alle qualifiche e agli studi dei professori italiani, la maggior parte plurititolati, è una retrocessione, una mortificazione». «Sono uscita dalla Siss spiega dove mi hanno insegnato che i programmi vanno tarati sulle esigenze della classe e del singolo alunno, per non lasciare nessuno indietro, per aiutare ogni studente a ragionare con la sua testa; adesso mi chiedono di dimenticare tutto e mi propongono un metodo di selezione e di insegnamento per nozioni e per crocette. Io rifiuto questo tipo di scuola, a costo di essere costretta a cercare un altro lavoro.
L’Unità 10.09.12

"Perdiamo mille posti di lavoro al giorno", di Massimo Franchi

«Mille posti al giorno». Nella ridda di dati sulla disoccupazione, quello usato da Luigi Angeletti ha il pregio comunicativo di essere conciso e di riassumere efficacemente la drammaticità della situazione: «Ci aspetta un autunno drammatico, la perdita di posti di lavoro non si arresterà, ci aspettano mesi peggiori ha detto di quelli che sono passati». Il segretario generale della Uil ne parla alla vigilia della ripresa autunnale e dell’incontro di palazzo Chigi con Mario Monti e il governo sul tema della produttività. Proprio sul confronto di domani Angeletti si è detto poco ottimista: «Servono risorse economiche e politiche ha detto il leader Uil il governo non ha nessuna delle due. Non ha soldi e non ha, a fine legislatura, la forza politica per cambiare le norme». Il centro del confronto di domani dovrebbe essere comunque su come dare slancio alla produttività del lavoro con l’invito del governo anche ai sindacati (come alle imprese nell’incontro di mercoledì 5) di lavorare a un patto che il governo potrebbe poi sostenere con agevolazioni fiscali. Ma il governo ha già avvertito che le risorse per le agevolazioni saranno molto limitate. Sul tema Angeletti rinnova la richiesta di calo della tassazione del lavoro: «La vera rivolta fiscale la devono fare i lavoratori dipendenti che le tasse le pagano prima di prendere lo stipendio attacca . Tutte le risorse recuperate dall’evasione devono esser utilizzate per ridurre le tasse a chi le paga».

CONFRONTO IN CGIL La settimana sindacale si apre comunque oggi con il Direttivo della Cgil. L’attesa mediatica è tutta per la questione “sciopero generale”, ma nella relazione introduttiva Susanna Camusso affronterà i temi dell’attualità politico-economica, le critiche al governo e alla riforma Fornero e le proposte alternative della Cgil, a partire dal “Piano per il lavoro”. Se la sinistra interna guidata dalla Fiom chiede di fissare la data di «uno sciopero generale che abbia un carattere riunificativo delle iniziative aperte», la segreteria invece punta forte sul valore di «prova generale» dello sciopero dei lavoratori pubblici fissato per venerdì 28 settembre. La macchina organizzativa della Cgil si sta spendendo molto per la riuscita della mobilitazione che riveste un valore ancora più grande in quanto è stato indetto assieme alla Uil e al quale parteciperà anche l’Ugl.

PUBBLICI COME PROVA GENERALE Proclamare uno sciopero generale prima di quella data depotenzierebbe la protesta e le ragioni della mobilitazione dei lavoratori pubblici contro la Spending review e i tagli del 10 per cento alle piante organiche di tutti gli uffici. D’altro canto, fissare una data vicina significherebbe chiedere agli stessi lavoratori di rinunciare a due giornate lavorative nel giro di poche settimane. Nonostante la Cgil non si aspetti molto dall’incontro con il governo, Camusso ribadirà la richiesta di una «svolta» in politica economica e sul tema della produttività rilancerà la richiesta di applicare l’accordo del 28 giugno, rimasto lettera morta e che puntava sulla contrattazione aziendale accanto ad una specifica del ruolo del contratto nazionale e normava rappresentatività e certificazione degli iscritti. La discussione si annuncia profonda e per questo motivo non si esclude di proseguirla anche domani. La minoranza punterà sulla richiesta di mobilitazione sui referendum abrogativi dell’articolo 8 e delle modifiche all’articolo 18 proposti dal Sel e Idv su cui la Fiom ha anticipato che raccoglierà le firme. È il giorno della protesta nella capitale. Tenuta in piedi da un filo di speranza. Il giorno dei cinquecento lavoratori, diretti e indiretti, dello stabilimento Alcoa di Portovesme e dei numerosi amministratori del Sulcis Iglesiente che oggi sbarcheranno a Roma per difendere il lavoro. L’attenzione è tutta per l’incontro che si svolgerà a mezzogiorno al Ministero dello sviluppo economico. Al tavolo del Mise si dovrà discutere, come spiega Salvatore Cherchi, presidente della provincia di Carbonia Iglesias, «dell’accordo siglato il 27 marzo scorso a Roma con Alcoa». Che tradotto significa discussione sul futuro dello stabilimento di Portovesme che l’Alcoa vuole chiudere. «Chiederemo ad Alcoa un atto di responsabilità e di distensione argomenta Cherchi tanto più motivati perché la situazione non è irreversibile e senza prospettive». Il riferimento di Cherchi è alla manifestazione di interesse condizionato ( energia, infrastrutture e numero maestranze) per l’acquisizione dello stabilimento che la Glencore ha presentato al Governo ma non ad Alcoa. La speranza e la richiesta dei sindacati e dei lavoratori è che cessi la fermata degli impianti dello smelter di Portovesme e che il Governo si pronunci sui tre punti. Quanto sia importante il vertice lo sanno bene gli operai che da Portovesme partono per viaggiare tutto il pomeriggio sino a Olbia dove è previsto l’imbarco per Civitavecchia. Il raduno dei lavoratori è alle 16.30 a Portovesme. «C’è una speranza, ma anche tanta preoccupazione dice Renato Tocco, operaio del reparto fonderia da 24 anni se si ferma lo stabilimento noi siamo morti. Per questo motivo chiediamo al Governo di fare la sua parte». Quale sia la parte da svolgere lo spiega senza mezzi termini Franco Bardi, segretario della Fiom Cgil:. «La speranza è l’ultima a morire anche se non sono rassicuranti le dichiarazioni del ministro Passera rilasciate in questi giorni, ci auguriamo che da parte sua ci sia un impegno forte». In che modo? «Deve intervenire ed far si che si blocchi la fermata degli impianti». Il sindacato, per evitare e prevenire eventuali infiltrazioni intanto ha organizzato anche un servizio d’ordine per la manifestazione. Rino Barca, segretario Fim Cisl porta con sé un centinaio di bandiere, serviranno per colorare il corteo. «Siamo preoccupati ma anche determinati dice chiediamo risposte». Il ministro Corrado Passera non ha la formula magica, dice che «ci vorranno mesi per trovare una soluzione»

C’È ANCHE IL SINDACO ZEDDA A Portovesme arriva anche il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, porta solidarietà e sostegno. «Ho voluto salutare i lavoratori spiega perché non partiranno da Cagliari e domani ho un altro impegno istituzionale». Il sindaco di Cagliari, che già a febbraio aveva manifestato attenzione per la protesta degli operai del Sulcis e la scorsa settimana aveva portato la sua solidarietà ai minatori in occupazione a Nuraxi Figus spiega i motivi della sua presenza e del suo sostegno. «Non si può parlare di crescita e sviluppo di Cagliari dice se negli altri territori della Sardegna c’è il deserto economico e industriale». I lavoratori salgono sugli autobus. Con loro ci sono anche alcuni dei sindaci della provincia di Carbonia Iglesias, consiglieri comunali. Sfileranno e marceranno a fianco ai lavoratori con la fascia tricolore. «Una parte degli amministratori viaggerà con noi spiega Franco Porcu, sindaco di Villamassargia e portavoce del movimento gli altri arriveranno domani o stanotte in aereo». Il fronte in difesa della fabbrica è compatto. «Non possiamo permettere che la provincia più povera d’Italia possa perdere un solo posto di lavoro prosegue la nostra mobilitazione sarà forte e determinata». Qualcuno nella capitale ci è arrivato da ieri mattina in aereo. «Non c’erano posti spiega al telefono Alberto Cacciarru che è anche un delegato Cgil abbiamo quindi deciso di anticipare la partenza». Questa mattina a Roma arriveranno anche gli altri amministratori locali. In tutto saranno oltre cinquecento, sfileranno in una Roma blindata. In marcia per il lavoro. …

L’Unità 10.09.12