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"Gli alti spread e il Terzo reich", di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

Un forte pregiudizio grava sul debito e fa apparire i debitori come dei viziosi e i creditori come dei virtuosi. La verità è che la responsabilità del debito deve essere ripartita in modo equivalente tra debitori e creditori poiché il debito non è stato imposto ai creditori; anzi, questi ultimi hanno spesso alimentato l’indebitamento per lucrare sui prestiti. Lo stesso John Maynard Keynes a Bretton Woods aveva proposto che ci fosse pari responsabilità tra debitori e creditori per contrastare gli squilibri finanziari con un impegno comune e con delle soluzioni solidali. Occorre perciò rovesciare una mentalità che ci sta facendo regredire verso una situazione precapitalistica in cui il debitore insolvente subiva torture e vessazioni oppure diventava schiavo del creditore. Nell’antichità il modo autoritario e violento di regolare i rapporti interpersonali comportava la paralisi dell’attività economica, non diversamente da quanto sta accadendo oggi tra gli Stati europei. La punizione dei Paesi debitori si è rivelata una strategia fallimentare che sta pregiudicando la ripresa dell’economia del Vecchio Continente.
La riduzione degli squilibri non può essere affrontata senza che ci sia un piano per lo sviluppo. Su questi temi sono state sollevate due questioni importanti che riguardano il finanziamento diretto delle imprese da parte della Banca Centrale Europea e la nazionalizzazione del debito pubblico per ridurre i tassi di interesse (Alesina e Gavazzi, Corriere della Sera).
In merito alla prima questione, che si ricollega all’esigenza di alimentare la ripresa economica attraverso un’adeguata offerta di moneta, non è chiaro in che modo la Bce possa finanziare direttamente le imprese, specialmente quelle piccole e medie in crisi di liquidità, senza passare attraverso l’intermediazione del sistema bancario. Su questo punto ci sembra utile richiamare l’esperienza di Hjalmar Schacht, ministro dell’Economia e Presidente della Banca Centrale del Terzo Reich. Schacht lanciò le obbligazioni Mefo, a circolazione interna, emesse da una compagnia statale concepita dal Terzo Reich per finanziare la ripresa economica tedesca senza gravare sul bilancio pubblico e senza stampare moneta. Gli effetti Mefo furono usati dagli industriali tedeschi come mezzo di pagamento tra loro senza che ci fosse una conversione rapida e massiccia in moneta, che avrebbe fatto aumentare il circolante e l’inflazione. La creazione di una moneta speciale per le imprese funzionò grazie alla fiducia che il regime hitleriano riscuoteva nel Paese e permise di rilanciare la crescita di un’economia in bancarotta. Oggi, se si volesse attuare un intervento analogo non si potrebbe naturalmente contare su questa “fiducia” (per fortuna). La Banca Centrale e i Governi europei dovrebbero esserne i garanti e bisognerebbe prevedere incentivi e disincentivi fiscali per scongiurare la conversione.
La nazionalizzazione del debito pubblico potrebbe consentire di ridurre lo spread, però, secondo i due economisti, l’esperienza del Giappone non è un esempio da seguire poiché da vent’anni l’economia di quel paese ha smesso di crescere. Eppure il Giappone ha un debito pubblico in rapporto al Pil doppio rispetto al nostro, beneficia di tassi di interesse molto più bassi e non viene attaccato dalla speculazione finanziaria. I tassi contenuti frenano l’incremento della spesa per interessi ed hanno perciò effetti positivi sulla politica di bilancio che può essere più espansiva. Ma i benefici di una nazionalizzazione del debito pubblico non si fermano qui poiché si avrebbe anche un maggiore controllo sui titoli e si potrebbe stabilizzarneilvalore, creando così le condizioni per usare tali titoli come strumenti di pagamento sul mercato interno. La possibilità che i titoli pubblici non costituiscano solo una riserva di valore ma possano essere utilizzati negli scambi e negli investimenti sostituendo la moneta non è stata compresa appieno sul piano teorico; sul piano pratico invece si era capito molto bene visto che con i titoli pubblici si pagavano anche le tangenti! Questa idea è stata presa in considerazione dal ministro dello Sviluppo Economico, Passera, per pagare il corposo debito della Pubblica amministrazione – circa 70 miliardi di euro – nei confronti delle imprese, ma è stata abbandonata in seguito alle perplessità della Ragioneria Generale. In conclusione, è urgente trovare delle soluzioni solidali per risolvere il problema del debito pubblico e per ridurre gli squilibri finanziari tra i vari paesi europei. Inoltre, in questa fase di scarsità di moneta nell’economia reale, dobbiamo ragionare anche su interventi non ortodossi, come la creazione di una moneta speciale per le imprese e la possibilità di utilizzare i titoli del debito pubblico come strumenti di pagamento. Ed è indispensabile definire una regolazione del settore finanziario che impedisca ad un numero limitato di grandi banche e fondi d’investimento di esercitare una vera e propria dittatura sui mercati e un’influenza sulla politica dei governi. Non si capisce perché, diversamente dal mercato del lavoro, la finanza non sia stata ancora sottoposta ad una nuova regolazione mondiale.

La Repubblica 09.08.12

"Bastoni e carote", di Pippo Frisone

No grazie, si era detto. La scuola ha già dato, basta tagli! L’aveva lasciato sperare anche il nuovo Ministro dell’Istruzione. Col 2012/13, prometteva 10mila posti in più alla scuola dell’autonomia per rafforzare i processi di integrazione in rete e l’organico funzionale. Parola di Profumo. Poi arrivarono 34 voti di fiducia al governo Monti che cancellarono quelle timide aperture e buone intenzioni iniziali. Tagli e ancora tagli possibilmente lineari, investimenti quasi zero, fatta eccezione per la messa in sicurezza delle scuole del mezzogiorno.

Bocciati tutti gli emendamenti che la stessa maggioranza proponeva, ora per mitigare gli effetti della riforma Fornero sulle pensioni, ora sugli inidonei, ora sugli esuberi, ora sul dimensionamento delle unità scolastiche, ora sulle ferie dei precari della scuola.

Con la spending revew si è consumata l’ennesima beffa ai danni della scuola.

Non si è voluto tener conto in alcun modo della specificità della scuola, col risultato d’aver peggiorato la qualità d’un servizio fondamentale come l’istruzione e le condizioni di chi ci lavora.

Tutto questo dal governo dei professori non ce l’aspettavamo proprio.

Ci eravamo illusi che si potesse invertire una tendenza suicida quale era stata quella perseguita dal duo Gelmini-Tremonti.

L’art.64 della L.133/08 è ancor lì a produrre i suoi effetti perversi e ad impedire ogni minimo cambiamento di rotta.

Continuità nei tagli lineari e continuità nelle politiche dell’ultimo governo Berlusconi.

Poche le discontinuità del governo Monti che vedono tutti i settori della conoscenza messi ancora sotto schiaffo.

L’unica buona notizia di questi giorni è che la scuola per il 2012/13 assumerà, stabilizzando a tempo indeterminato , 21mila precari docenti, dei quasi 100mila attualmente in servizio.

La parte del leone ancora una volta la faranno le regioni e le province del nord.

Boom di assunzioni nella scuola media ( 8.245 ) che scavalca la scuola primaria (3.718 ) in forte sofferenza da alcuni anni soprattutto al sud. Stabile la scuola dell’Infanzia con 1.493 assunzioni e in sensibile calo la scuola superiore con 5.416 posti.

Tra le regioni del nord è ancora la Lombardia la più generosa con 3.158 assunzioni compreso il sostegno (276), e Milano il capoluogo di provincia , testa di serie nelle assunzioni in ruolo:

Infanzia 67, Primaria 493, Media 408, Superiori 237, sostegno 115.

Fuori da questo contingente è il personale ATA che vedrà assottigliarsi ulteriormente i posti da mettere a ruolo, a seguito della sciagurata operazione voluta dal governo Monti sui docenti inidonei.

Se in un primo momento si erano ipotizzati 5mila assunzioni, queste dovranno ora fare i conti per l’appunto con gli oltre 3mila inidonei forzatamente spostati con la spending revew sui posti ata.

I precari Ata dovranno attendere l’esito dei trasferimenti e l’ultima settimana di agosto per conoscere il loro contingente di assunzioni in ruolo.

Una carota quella delle assunzioni , a ben guardare, generosa coi docenti e ancora una volta matrigna con gli Ata.

Una carota-atto- dovuto, in quanto prevista dal piano triennale, varato lo scorso anno ma coi tempi che corrono , non era affatto scontata!

Un carota che non risolleva certo le sorti della scuola ma che quanto meno, a chiusura di un anno terribile, pone momentaneamente fine ad altre inaspettate bastonature!

da ScuolaOggi 09.08.12

"Una disciplina per l'obiezione", di Vladimiro Zagrebelsky

Il Comitato nazionale per la bioetica ha pubblicato un parere sul fondamento e la portata dell’obiezione di coscienza. Sulla richiesta, cioè, del singolo di essere esonerato da un obbligo previsto dalla legge, perché ritiene che tale obbligo contrasti con la propria coscienza e sia lesivo di un suo diritto fondamentale. Il Comitato ha affermato che l’obiezione di coscienza in materia bioetica costituisce un diritto della persona costituzionalmente fondato sui diritti inviolabili dell’uomo; un diritto però che va esercitato in modo sostenibile, così da non limitare né rendere più gravoso l’esercizio di diritti riconosciuti ad altri dalla legge.

Il parere affronta specificamente questioni di bioetica e in particolare quelle derivanti dall’esistenza di diverse concezioni sull’inizio e la fine della vita umana e quindi sulla portata del diritto fondamentale alla vita.

Le argomentazioni sviluppate dal Comitato per fondare le sue conclusioni, sono particolarmente complesse e spesso opinabili nei vari passaggi. Ma è certo condivisibile la conclusione che l’obiezione di coscienza, in certe circostanze e in certi limiti, deve essere riconosciuta dalla legge, per non entrare in collisione con il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (art.19 della Costituzione) o, come più compiutamente afferma la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.9), di veder rispettata la propria libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Da questi diritti costituzionali viene normalmente tratto il fondamento della richiesta di riconoscimento della obiezione di coscienza. E l’ultima Carta dei diritti fondamentali, in ordine di tempo, quella dell’Unione Europea, espressamente prevede all’art.10, come corollario della libertà di pensiero, coscienza e religione, il dovere degli Stati di riconoscere l’obiezione di coscienza disciplinandola con le leggi nazionali.

Il Comitato ritiene anche che il riconoscimento legale della obiezione di coscienza sia un’istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili (nella specie il diritto alla vita). Ci si potrebbe esprimere in modo diverso, riconoscendo semplicemente che vi sono materie in cui non vale il principio di maggioranza o piuttosto che esso trova limiti e freni nel riconoscimento dei diritti fondamentali degli individui e delle minoranze. Tra questi vi è il diritto di mantenere e veder rispettati i propri diversi orientamenti filosofici, etici e religiosi. Donde la difficoltà di legiferare, con la pretesa della maggioranza che si esprime in Parlamento di dettar legge in via generale, senza eccezioni e senza spazio per il dissenso. La legge italiana riconosce la possibilità di evitare attività contrarie ai dettami della propria etica o religione in materia di interruzione volontaria della gravidanza e di procreazione medicalmente assistita (oltre che nella sperimentazione sugli animali).

Ma lo spazio lasciato al dissenso dei singoli non può mettere nel nulla o render difficile per gli altri il godimento dei diritti riconosciuti dalla legge o più in generale impedire il funzionamento di un servizio pubblico. Donde la necessità di contemperare esigenze contrapposte o, come scrive il Comitato, di tener conto della possibilità che l’obiezione di coscienza possa “essere piegata a strumento di sabotaggio nelle mani di minoranze fortemente organizzate oppure oggetto di abuso opportunistico da parte di singoli”. E’ necessario allora prevedere una disciplina dell’obiezione di coscienza “sostenibile” con la predisposizione di un’organizzazione delle mansioni e del reclutamento del personale che ricorra alla mobilità del personale. Il Comitato suggerisce anche di ricorrere a forme di reclutamento differenziato, in modo da equilibrare il numero degli obiettori e dei non obiettori e così assicurare il servizio previsto dalla legge. Si tratta di un’indicazione molto importante, che merita qualche sviluppo. L’obiezione del libero professionista che si astiene dal praticare certi trattamenti sanitari, ritenendoli contrastanti con le proprie convinzioni etiche, è cosa diversa da quella di chi liberamente sceglie di operare come dipendente di un ente pubblico, che ha come missione specifica quella di fornire al pubblico un servizio il cui contenuto è definito dalla legge. Un bando di concorso per un posto in un ospedale pubblico che descriva le mansioni che il vincitore sarà chiamato a svolgere implica evidentemente da parte dei concorrenti l’accettazione del relativo dovere e l’esclusione di obiezioni. L’obiezione di coscienza che taluno avanzi nei confronti di questa o quella specifica attività dovrebbe portarlo a non partecipare al concorso e a orientarsi professionalmente altrove. In proposito si può pensare al testimone di Geova che rifiuti di praticare trasfusioni di sangue e tuttavia pretenda di partecipare a un concorso per un posto di chirurgo in un ospedale pubblico. Va anche aggiunto che la riserva mentale di obiettare successivamente e sottrarsi così allo svolgimento delle mansioni oggetto del concorso, sarebbe inammissibile e contrasterebbe con il dovere di chi si è visto affidare funzioni pubbliche di adempierle con disciplina e onore (art.54 della Costituzione). Né concorsi per posti pubblici così definiti sarebbero discriminatori poiché l’orientamento etico o religioso dei singoli avrebbe solo rilevanza per le scelte libere di ciascuna persona. Altro discorso evidentemente si dovrebbe fare se ci si trovasse nel diverso caso di attività imposte a tutti dalla legge, com’era il servizio militare prima dell’abolizione della leva obbligatoria.

Tra i numerosi aspetti discussi dal Comitato, uno ancora merita di essere ricordato per la sua importanza. Il Comitato precisa che il tema e i problemi della obiezione di coscienza non riguardano il diverso campo della libertà costituzionale del singolo individuo – non più il sanitario, ma il paziente – di definire e gestire i suoi interessi, diritti e valori in tema di salute; libertà che lo Stato deve rispettare. Il Comitato fa l’esempio di una norma che imponesse a un testimone di Geova, per la tutela della sua stessa salute, di sottoporsi a una trasfusione di sangue che egli rifiuta secondo i precetti della sua religione. In realtà la ragione del rifiuto è irrilevante, poiché nella sfera del singolo, come riconosce l’art.32 della Costituzione, prevale l’autonomia individuale. Allo stesso modo, afferma il Comitato, è irrilevante per lo Stato la ragione che spinge taluno, anche attraverso dichiarazioni anticipate, a rifiutare qualunque altro tipo di trattamento.

La Stampa 09.08.12

“Un piano per abbattere il debito. Monti prepara il pacchetto per arrivare al voto nel 2013", di Annalisa Cuzzocrea

Obiettivo debito. Dopo la riforma delle pensioni, dopo quella del lavoro, dopo la spending review e i decreti più o meno urgenti, sarà l’abbattimento di quei 1960 miliardi di euro la prossima mission del governo Monti. Mission necessaria, non solo al Paese, ma anche a scongiurare una volta per tutte – gli scenari e le minacce di elezioni anticipate. C’è molto da fare, per mandar giù ai ritmi che chiede l’Europa un ventesimo all’anno per la parte che eccede il 60 per cento – quel 123,4 per cento di debito rispetto al Pil che ci portiamo dietro. Certo, gli farà bene l’avanzo primario. È anche vero però che se non si mettono in campo risparmi significativi, e non si trova un modo di ricominciare a crescere, ogni sforzo risulterà vano.
Così, a parlare di debito, e non solo, ieri sono andati da Monti sia Pier Ferdinando Casini che Angelino Alfano. Il premier li ha ricevuti a Palazzo Chigi, il primo verso le dodici e mezza, il secondo cinque ore dopo. Il leader udc ne è uscito annunciando un quadrimestre di governo, da settembre a dicembre, tutto concentrato su una serie articolata di interventi per abbattere il debito: «Su cifre realistiche – però – non da libro dei sogni». Poi l’attacco sulla legge elettorale. Casini ha definito una «sceneggiata napoletana» il balletto sulle preferenze, cui l’Udc aspira da tempo. In precedenza aveva chiarito che l’intesa
col Pd potrà essere solo postelettorale («no ad alleanze morte come l’Ulivo o l’Unione»), e spiegato di star lavorando, insieme a Gianfranco Fini, a una coalizione di «persone serie». Tra queste, potrebbero esserci i ministri del governo Monti Andrea Riccardi e Paola Severino, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il leader Cisl Raffaele Bonanni. Quanto al Pdl, secondo Casini, si è messo fuori dalla partita decidendo di ricandidare Silvio Berlusconi.
Angelino Alfano stavolta non ribatte: a Monti ha illustrato le proposte del suo partito per l’abbattimento del debito, un programma di dismissioni pubbliche che la successiva nota del
premier dice di prendere in seria considerazione. Anche se, fa notare il governo, un po’ di lavoro in questo senso è già stato fatto con la spending review, attraverso fondi appositi costituiti alla Cassa depositi e prestiti e al Demanio. In più, a palazzo Chigi Alfano avrebbe portato come obiettivo l’elezione del capo dello Stato. Una priorità, ripete il Pdl.
Dietro le quinte, però, ci sono le pressioni degli ex An che non volevano che il segretario andasse all’incontro dopo la battuta di Monti al Wall Street Journal («Con Berlusconi lo spread sarebbe salito a 1200»). Incidente archiviato – dice Alfano – «perché il Pdl è fatto da gente seria e positiva, che pensa all’interesse del Paese». Lo stesso Berlusconi
avrebbe detto, per placare le acque: «Fanno con lui come facevano con me, travisano ciò che dice. Questo non è il tempo di fare polemiche». E però, il coordinatore Ignazio La Russa esprime a Repubblica tutti altri umori: «Per noi da ieri si è chiusa una fase, da questo momento non abbiamo alcun obbligo nei confronti di Monti, approveremo solo i provvedimenti che riterremo utili e necessari». E pare che – a Palazzo Grazioli – la riunione di martedì sera sia stata tutta una lamentatio anti-Monti (a difenderlo, dice chi c’era, solo Franco Frattini).
Il voto anticipato, però, è ancora uno spettro inquietante: Denis Verdini ha presentato una simulazione fatta con l’ipotetico provincellum, secondo cui il Pdl perderebbe moltissimo nelle grandi città, a favore di Grillo, e dovrebbe candidare i big in due o tre collegi per essere certo dell’elezione.
Quanto al Pd, Monti sentirà Bersani nei prossimi giorni. Il segretario democratico ha – anche lui – ricette da proporre e priorità da indicare. Sul debito, certo, ma anche sulla crescita. Anche se tra i democratici – qualcuno comincia a litigare. Su Twitter il liberal Francesco Boccia critica il responsabile economico Stefano Fassina: «Serve una patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni, altrimenti siamo all’ipocrisia
assoluta».

La Repubblica 09.08.12

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La battaglia d’autunno prima delle elezioni”, di ALBERTO D’ARGENIO

Si deve far cassa, abbattere il debito pubblico per resistere ai mercati. Il governo guidato da Mario Monti si prepara alla ripresa di settembre. Entro venerdì fisserà l’agenda degli «ultimi quattro mesi di governo ». PERCHÉ per Palazzo Chigi il tempo utile per fare le riforme scadrà a dicembre. Dopo per la “strana maggioranza” sarà solo campagna elettorale. Monti ha incaricato il ministro dell’Economia di studiare nuove formule per tagliare il debito. Vittorio Grilli ci lavora da tempo. Ha già varato un piano per abbassare la montagna del debito – 1960 miliardi, il 123,4% del Pil – con un programma di dismissioni dei beni pubblici da 15-20 miliardi l’anno anche grazie all’intervento dei fondi costituiti dalla Cassa depositi e prestiti e dal Demanio. Piano già entrato in fase di realizzazione con la Spending review firmata ieri da Giorgio Napolitano. Ma per la sopravvivenza dell’euro bisogna fare di più.
Monti e Grilli ieri se ne sono occupati tutto il giorno. A Palazzo Chigi prima è arrivato il leader centrista Pier Ferdinando Casini.
Poi il segretario del Pdl Angelino Alfano. Che ha presentato il suo piano per tagliare il debito. Un documento che prevede una sforbiciata da 400 miliardi con il debito rapidamente sotto al 100% del Pil. Un’operazione, però, che a Palazzo Chigi considerano sostanzialmente irrealizzabile: sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Se, quindi, per Casini la proposta del Pdl è «irrealistica», si racconta di commenti ancora più divertiti circolati nelle stanze del governo una volta incassata l’archiviazione del “caso spread”. Quanto meno si parla di proposta «irricevibile e inattuabile per via dei tempi calcolati e delle cifre sovrastimate».
Semmai una buona base di partenza può essere la proposta formulata – anticipata dal Corriere da Giuliano Amato e da Franco Bassanini. «Noi siamo già attivi sul dossier – confermano a Palazzo Chigi – ma ben vengano nuove idee, siamo pronti ad approfondirle ». L’obiettivo del documento firmato dall’ex premier e dal presidente di Cdp è una sforbiciata al debito da 178 miliardi entro il 2017, pari al 2,5% all’anno. Tra le proposte che verranno prese in
considerazione, oltre alla vendita degli immobili già impostata, la valorizzazione delle concessioni, l’imposizione agli enti previdenziali dei professionisti di aumentare gli investimenti in titoli di Stato, incentivi e disincentivi fiscali per l’allungamento delle scadenze del debito. Dovrebbero invece escluse la cessione dei gioielli di Stato come Enel, Eni e Finmeccanica. «In questa fase – è il ragionamento di Monti e Grilli – vorrebbe dire svenderle». Così come qualche dubbio sulla tassazione dei capitali illegalmente detenuti in
Svizzera: il governo sta già lavorando a un accordo bilaterale con Berna, ma i tempi per chiuderlo non saranno brevissimi. Bocciata, invece, tanto dal governo quanto dal duo Amato-Bassanini l’idea di una patrimoniale.
Intanto Monti lavora per non far perdere slancio al governo nei prossimi cruciali mesi. Sarà allora – in autunno – che si capirà se l’Italia sarà in grado di farcela da sola o se sarà costretta a chiedere l’intervento dello scudo europeo contro gli spread. Per questo per Monti è fondamentale che il governo sia ancora attivo sulle riforme. Un segnale che potrebbe aiutare sui mercati oppure, se non bastasse, renderebbe più facile spuntare un memorandum “leggero” in caso di richiesta di attivazione dello scudo europeo. Ovvero ottenere l’intervento Ue in cambio della semplice certificazione delle riforme fatte e dell’impegno a proseguirle senza nuove promesse e
senza mettersi in casa i severi controllori della Troika, come invece avvenuto in Grecia. Palazzo Chigi ha chiesto ai ministeri di preparare per il Consiglio dei ministri di domani un documento con le misure ancora da realizzare. Alla riunione di domani si farà una scrematura, individuando su cosa concentrarsi a settembre. Certo è che in autunno il governo, oltre alle dismissioni, si concentrerà sulla seconda parte della Spending review (tagli agli enti locali da 10 miliardi), sul rapporto Giavazzi chiamato a riformare gli incentivi alle imprese (6-8 miliardi), e sul riordino delle agevolazioni fiscali (3-6 miliardi).

La Repubblica 09.08.12

"La verità su De Mauro 40 anni dopo", di Miguel Gotor

Il giornalista Mauro De Mauro fu rapito il 16 settembre 1970, «inghiottito da una notte che non avrebbe avuto fine», come scrisse Vittorio Nisticò, il direttore dell’«Ora» di Palermo, il quotidiano di cui egli era uno degli inviati di punta.
Dopo oltre quarant’anni, la Corte d’Assise di Palermo ha stabilito che è stato ucciso perché si apprestava a divulgare quanto aveva scoperto circa la natura dolosa della morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, avvenuta a Bascapè nell’ottobre 1962, a seguito di un incidente aereo.
L’unico imputato, il boss Totò Riina, è stato assolto, ma la sentenza ha l’indubbio merito di avere ricostruito un movente credibile per spiegare la scomparsa del giornalista. Inoltre, ha individuato il mandante del suo omicidio nell’ex senatore democristiano Graziano Verzotto, che si sarebbe rivolto ai boss mafiosi Stefano Bontate e Giuseppe Di Cristina, con i quali aveva stretto rapporti ai tempi in cui era il responsabile delle relazioni esterne in Sicilia dell’Eni e poi presidente dell’Ente minerario; quel Verzotto che fu l’ultimo a volare sull’aereo che precipitò con Mattei a bordo, con ogni probabilità a causa dell’esplosione di una bomba.
Il presidente dell’Eni dava fastidio perché con la sua abile e spregiudicata difesa degli interessi nazionali aveva leso quelli petroliferi delle cosiddette «Sette sorelle» e, in particolare, sfidato le ambizioni imperiali inglesi stipulando accordi concorrenziali con i Paesi produttori di greggio a vantaggio dell’Italia. In più, Mattei era favorevole a sostenere la formazione di un governo neutralista che avrebbe abbandonato il posizionamento
atlantico dell’Italia e modificato gli equilibri della guerra fredda
stabiliti a Yalta.
Non stupisce che i dispacci diplomatici inglesi recentemente desecretati definissero Mattei «un uomo pericoloso » e che le compagnie petrolifere britanniche lo considerassero «una sorta di verruca o di escrescenza da ignorare (o che, per il momento, non può essere asportata)». E sì, perché in quegli anni ruggenti l’Italia, nonostante avesse perso la guerra, era riuscita a diventare una protagonista della politica mediterranea
scalzando dal loro ruolo privilegiato Francia e Inghilterra. La morte di Mattei, che De Mauro ammirava e seguiva come cronista, va inserita all’interno di questo contesto geopolitico, con le sue feroci rivalità e conflitti silenziosi, che in seguito avrebbero favorito la destabilizzazione italiana degli anni Settanta, con la strategia della tensione e il terrorismo rosso.
La sentenza della Corte di Assise chiarisce anche il ruolo di mandante avuto dal senatore Verzotto, che incontrò De Mauro pochi giorni prima della sua scomparsa, mentre stava
raccogliendo delle informazioni per conto del regista Francesco Rosi. Verzotto fu a lungo latitante a Parigi dopo che, nel 1975, venne coinvolto nello scandalo dei fondi neri della Banca Unione di Michele Sindona. Padovano, trapiantato a Siracusa, segretario provinciale della locale Dc dal 1955 al 1975, vicesegretario regionale del partito, è stato un uomo di grande potere per la sua capacità di unire politica e affari, in cui la dimensione legale e quella illegale si intrecciano in un vincolo inestricabile. Testimone di nozze del boss mafioso Di Cristina, in
rapporti con Lucki Luciano e Sindona, rappresenta, in qualche misura, una figura emblematica della classe dirigente siciliana di quegli anni, che gli inguaribili nostalgici della «Prima Repubblica» farebbero bene a non dimenticare. Egli testimonia i rapporti gelatinosi che esponenti politici locali e nazionali hanno stretto con la mafia, di cui si sono serviti per imporre svolte conservatrici al corso della storia nazionale. Una storia costretta a muoversi entro i rigidi schemi della guerra fredda e uno spregiudicato uso politico dell’anticomunismo al fine di stabilizzare in senso moderato il quadro interno.
La sentenza di Palermo, infine, mette in luce il funzionamento di un raffinato meccanismo sovversivo in cui «basso» e «alto», manovalanza esecutrice e mandanti rimasti nell’ombra, capacità di screditare la vittima e di depistare alimentando misteri, si sono sincronizzati alla perfezione. Una trappola mortale in cui la debolezza della politica ha lasciato lo spazio a poteri e a interessi affaristici più forti e che è scattata altre volte nella storia italiana: dal delitto Mattei agli omicidi di Pier Paolo Pasolini, Aldo Moro, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La funzione di questo meccanismo fu subito compresa oltre che dai familiari del giornalista ucciso, anche da Leonardo Sciascia quando scrisse che «De Mauro ha detto la cosa giusta all’uomo sbagliato e la cosa sbagliata all’uomo giusto». Un ideale epitaffio, che andrebbe inciso lì, su un pilone dell’autostrada A19 o alla placida foce del fiume Oreto, ove si dice che il giornalista sia stato seppellito da mano feroce e ancora sconosciuta.

La repubblica 09.08.12

"Bersani: i progressisti non si chiudono nell'autosufficienza", di Maria Zagarelli

E pensare che solo qualche ora prima Pier Luigi Bersani aveva detto che di elezioni anticipate non se ne parlava e che l’agenda del suo partito per costruire il campo progressista procedeva come previsto: ieri l’incontro con il segretario socialista Riccardo Nencini, le lettere inviate ad associazioni e movimenti (oltre mille) con allegata la Carta d’intenti e gli appuntamenti già fissati per fine agosto. Poi, quell’intervista a Mario Monti sul Wall Street Journ al e la frase sullo spread a 1200 se fosse rimasto Berlusconi, la bufera in Parlamento con il Pdl che minaccia di staccare la spina.

Un altro giorno da brivido per la «strana maggioranza» appesa a umori e malumori del Pdl. E allora sarà anche per questo che il segretario Pd non perde tempo, che continua a chiedere di stringere i tempi sulla legge elettorale perché, come ha spiegato anche ieri, non sarà certo il suo partito a provocare il voto anticipato, ma non può garantire per gli altri, quindi è meglio essere pronti.

Intanto Bersani incassa un altro ok, quello dei socialisti, alla Carta d’intenti. «L’incontro con Nencini è andato molto bene – dice – del resto stanno andando bene tutti gli incontri che stiamo avendo. L’obiettivo è un’alleanza larga dello schieramento progressista. Nei nostri incontri dico no al politicismo e mi preoccupo dei dati economici che anche oggi segnalano un’Italia in recessione e sono convinto che questa recessione avrà effetti anche sull’Europa». Positive, per il leader Pd, anche le parole di Pier Ferdinando Casini che sul Corriere della sera di ieri ha spiegato: «Nessuno ci può togliere dalla testa che uno sforzo di risanamento non può essere efficace senza il coinvolgimento attivo di quella metà del Paese che ha un grande insediamento nella società e nel mondo del lavoro».

È vero che il leader centrista ha ribadito la necessità di una grande coalizione per governare la crisi che anche dopo Monti continuerà, ma Bersani guarda al bicchiere mezzo pieno: «Lui è europeista e noi abbiamo bisogno di una linea europeista. Poi, non sempre siamo d’accordo con quel che fa questo governo, ma sull’asse fondamentale di salvare l’Italia, c’è accordo». D’altra parte, continua, «io organizzo il campo dei progressisti. Non sto facendo un’alleanza io, Vendola e Casini. Non intendo che i progressisti, che possono vincerle queste elezioni, si chiudano nell’autosufficienza, voglio che stiano aperti e non facciano regali a posizione pericolose, a chi dice “torniamo alla lira” senza sapere che sta dicendo, o a chi dice non paghiamo i debiti». E ogni riferimento a Berlusconi e Grillo è voluto.

LA TELA DELLE ALLEANZE
E se con Casini il lavoro continua, mentre con Vendola «il discorso è positivo, abbiamo avvicinato le posizioni» su temi concreti dal lavoro ai diritti civili, all’impegno a ricomporre eventuali dissensi secondo la regola del voto di maggioranza nei gruppi parlamentari, con Antonio Di Pietro margini non ce ne sono. «Ha scelto un’altra strada, non è che posso tirarlo… D’altra parte è lui che mi ha descritto come uno zombie», ricorda Bersani.

A chi gli chiede cosa farebbe se Monti alla fine della legislatura si schierasse con il centrosinistra dice che ammazzerebbe il vitello grasso. Se poi fosse Corrado Passera a fare outing? «Io di vitelli ne ho più di uno…». Ed è l’unica battuta ironica di questa giornata agostana, perché per il resto c’è poco da stare allegri. Le notizie sul Pil, la crisi Italia-Germania per la frase del premier sull’autonomia dei governi rispetto ai Parlamenti sulle politiche Ue, l’incidente diplomatico Monti-Berlusconi… «I dati di oggi sono molto preoccupanti per lo stato dell’economia reale dice riferendosi a quel meno 2,5% di Pil – credo che balleremo ad agosto e anche a settembre», e comunque fino a quando in Europa non si compiranno passi certi che fermino la speculazione in corso ai danni dell’euro. Ma anche in Italia servono politiche dì risanamento, la stessa spending review, che pure il Pd ha votato, ha cose che non vanno, che «dovranno essere riviste, e proporremo a Monti di intervenire già in autunno con la legge di stabilità».

A chi ribadisce che l’agenda di Monti dovrà essere riproposta tal quale dal prossimo governo il segretario democratico sembra rispondere indirettamente: «La piattaforma dei progressisti vuole affrontare in modo diverso la crisi». Parole che sembrano dirette anche a Enrico Letta, secondo cui l’agenda Monti dovrà essere cemento del programma di progressisti e moderati.

Quanto all’irritazione bipartisan provocata in Germania da quella frase sui parlamenti detta da Monti nel corso dell’intervista allo Spiegel, Bersani taglia corto: «Quella frase forse poteva essere detta meglio, ma sospetto che tutta questa indignazione in realtà nasconda un piccolo imbarazzo perché Monti ricorda che la Germania a noi non ha dato un giuro, che il fatto che gli spread per noi siano così alti per la Germania è un bel vantaggio e che noi, per solidarietà a Irlanda, Grecia e Portogallo, in proporzione al Pil, abbiamo dato più di qualsiasi altro».

L’Unità 08.08.12

Scuola, accordo raggiunto “Assunti 21 mila nuovi prof”, di Flavia Amabile

Sono tempi di tagli e di sforbiciate nella pubblica amministrazione ma proprio nel giorno del via libera definitivo alla spending review arrivano 21.112 assunzioni di nuovi prof nella scuola (aggiunti ai 67 mila dell’anno scorso) che permettono di alleggerire un po’ la difficile situazione dei precari. A dare l’annuncio sono stati i sindacati cantando vittoria e rivendicando i meriti frutto di proteste, ricorsi e contrattazioni, affermano. Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo conferma: «Siamo in fase di firma del decreto» per le immissioni in ruolo. «È stato concluso il processo che coinvolgeva la Funzione Pubblica ed il ministero dell’Economia e abbiamo tutti gli ok necessari. Ora stiamo concludendo il percorso», spiega avvertendo che «entro il 31 agosto saranno fatte tutte le operazioni».

Come dire che le assunzioni saranno operative dal primo settembre. Festeggeranno oltre 21mila prof quindi mentre ancora è da definire il numero degli Ata che saranno assunti. Su questo i sindacati chiedono le necessarie certezze, si parla però di circa 5 mila persone interessate.

Tutti i sindacati sottolineano il ruolo svolto dall’accordo triennale firmato lo scorso anno con il governo che prevedeva le immissioni in ruolo degli insegnanti per un triennio su tutti i posti vacanti in organico di diritto. L’accordo è stato rispettato nonostante la crisi economica e tutti se ne rallegrano. «Una boccata d’ossigeno per tanti colleghi precari che da anni erano in attesa di stabilizzazione», commenta Rino Di Meglio, coordinatore della Gilda ma ricorda anche che nella spending review sono state «confermate tutte le norme che penalizzano l’istruzione e i docenti».

L’Anief aggiunge anche un altro tassello: «Per il secondo anno consecutivo l’Anief ha costretto il governo ad assumere più di 20 mila docenti precari», ricordando la pressante opera dei suoi rappresentanti e dei legali «attraverso migliaia di ricorsi avviati negli ultimi mesi – spiega il presidente Marcello Pacifico -, abbiamo inferto, per abuso di contratti a termine, pesanti condanne alle spese a carico dell’amministrazione. La quale non ha così potuto fare altro che adoperarsi nei confronti del governo per consentire il massimo delle assunzioni consentite». In altre parole, costa meno assumerli dopo un accordo sindacale che dopo un ricorso perso.

Anche la Flc Cgil sottolinea il ruolo svolto dalla «mobilitazione dei precari» e dall’«ampio contenzioso legale» e avverte che si è fatto chiarezza sul fatto che «per le immissioni in ruolo saranno utilizzate le vecchie graduatorie».

Francesca Puglisi, responsabile scuola della segreteria del Pd, chiede «la conferma anche delle stabilizzazioni del personale Ata» e che «quanto contenuto nella spending review su inidonei e Itp vada corretto al più presto».

La Uil Scuola ricorda al governo che è necessario ora emanare «l’atto di indirizzo dell’Aran necessario per il pagamento degli scatti di anzianità. Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola, sottolinea come con queste assunzioni si favorisca «una più efficace organizzazione del lavoro» e come aumenti, quindi, «la qualità del servizio scolastico».

La Stampa 08.08.12