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"Così lontani, così vicini", di Thomas Schmid

A giudicare dai discorsi di certi politici tedeschi sull’Italia, sulla politica italiana e sul presidente della Bce Mario Draghi – ma anche dalle caricature di Angela Merkel apparse su qualche giornale italiano, o dai commenti sentiti a volte a Montecitorio – si direbbe che tra i nostri due Paesi non corra buon sangue. Sembra persino che non abbiano nulla in comune, e che i loro rapporti siano intrisi di pregiudizi. Se così fosse, sarebbe un vero guaio per l’Unione Europea, dato che Italia e Germania sono tra gli Stati fondatori dell’Ue. suo tempo, il progetto dell’integrazione europea fu salutato quasi con entusiasmo dai popoli di entrambi i Paesi. È acqua passata? Siamo alle soglie di una nuova guerra fredda nel seno stesso dell’Europa?
Sicuramente no. Per spiegarmi meglio vorrei fare un excursus personale. Per noi tedeschi l’Italia è sempre stata il luogo del desiderio e della nostalgia – la «Sehnsucht» – anche se non sono mancati gli stereotipi su un generico Sud, dove la gente non farebbe altro che godersi un sole perenne vivendo spensieratamente alla giornata. Sappiamo bene di essere legati fin dall’antichità da una profonda tradizione culturale – con buona pace della «germanità ». Siamo consapevoli di dovere molto al nostro legame con l’Impero romano. Abbiamo sempre guardato con ammirazione all’Italia delle città-Stato e del Rinascimento, emersa splendidamente dal Medio Evo. Un’ammirazione che neppure il XX secolo ha scalfito.
A Francoforte, quando all’inizio degli anni 1970 facevo parte di un gruppo radicale di sinistra, avevamo rapporti regolari con i compagni di «Lotta continua», che per noi sono stati in qualche modo illuminanti: la scoperta che politica e gioia di vivere, militanza e piacere potevano andare di pari passo! Certo, ci prendevamo in giro a vicenda, anche riesumando i vecchi cliché, a colpi di «mangiapatate » contrapposti a «spaghetti». Ma in verità i compagni italiani esercitavano un grande fascino su di noi, e viceversa. Da loro abbiamo appreso, oltre all’eleganza e lo stile italiani, la capacità di «fare come se il cinque fosse un numero pari». Ed era evidente che al di là dello sfottò, anche loro erano alquanto impressionati da questo Paese del nord dove ogni cosa, dal traffico alle dogane, dalle scuole alle università, funzionava tutto sommato abbastanza bene. Oggi mi rendo conto che queste reciproche percezioni rispecchiavano di fatto una tradizione di antica data.
Se probabilmente sono molti gli aspetti che dividono i nostri due Paesi, Italia e Germania hanno però anche molte cose in comune. Innanzitutto, da sempre hanno una certa difficoltà a definire la propria identità nazionale. Nel secolo scorso entrambi i Paesi sono passati per l’esperienza del totalitarismo e del rifiuto della democrazia liberale. Sia da noi che in Italia, dopo la fine del fascismo e del nazionalsocialismo abbiamo vissuto una fase di modernizzazione con ritmi straordinariamente veloci e costanti. Infine, per più di quarant’anni abbiamo avuto in entrambi i Paesi sistemi politici relativamente stabili, con due partiti dominanti: da un lato i democristiani, dall’altro i socialdemocratici (in Germania – mentre l’Italia ha avuto il Pci, che ha finito per diventare a sua volta socialdemocratico). Questo insieme di caratteristiche comuni – ma se ne potrebbero citare molte altre – rappresenta qualcosa come un vasto serbatoio. La libertà di viaggiare e l’integrazione europea hanno fatto la loro parte, tanto che oggi l’Italia e la Germania, al di là delle differenze che ciascuno si diverte a sottolineare, hanno sviluppato un senso profondo di appartenenza a un’entità comune.
Non saranno i recenti malintesi e le reciproche accuse a cambiare questa realtà. Da troppo tempo la connessione italo -tedesca ha assunto un carattere duraturo. A maggior ragione desta sorpresa la durezza delle espressioni usate da Mario Monti nell’intervista rilasciata a «Spiegel», quando dice ad esempio: «Le tensioni di questi ultimi anni nell’Eurozona evidenziano fin d’ora i tratti di una dissoluzione psicologica dell’Europa». Ebbene, io non ravviso nulla di simile. Certo, sono in molti, in tutti gli Stati dell’Unione, a sentirsi preoccupati, a volte persino allarmati per la situazione dell’Europa e dell’Unione Europea. In quasi tutti i Paesi europei vi sono partiti o esponenti politici populisti – in Italia il Movimento 5 Stelle, in Germania ad esempio il ministro delle finanze bavarese Markus Söder – che stanno cercando di dare qualche scossone al consenso europeista. Da straniero, non mi permetterò di esprimere un giudizio sui «grillini»; ma sono certo che non è il caso di sopravvalutare il populismo alla Söder. Il suo partito, la Csu bavarese, ha provato più di una volta a scodinzolare dietro a idee separatiste. Ha colto ogni occasione per polemizzare contro l’Ue, accusata di vivere alle spalle della Germania, e soprattutto della Baviera. Ma tutto ciò fa parte del folclore di questo partito, che nei momenti decisivi non ha quasi mai fatto mancare il suo consenso al processo di unificazione europea. Ed è certo significativo il fatto che in Germania, malgrado l’incombente crisi dell’euro, non si ha l’impressione che stia per sorgere un partito antieuropeo con qualche probabilità di conquistarsi un seguito.
Va detto però che i deragliamenti si fanno purtroppo sempre più frequenti. Ad esempio il signor Söder ha detto – con un’occhiata minacciosa all’Italia e alla Spagna – che nei confronti della Grecia sarebbe ora di «prendere una decisione esemplare » estromettendo questo Paese dall’Eurozona: «A un certo momento tutti devono staccarsi dalle gonnelle di mamma: per i greci questo momento è arrivato». Un altro politico della Csu, il segretario generale Dobrindt, ha accusato il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi di caldeggiare l’acquisto di titoli di stato da parte della Bce «ogni qualvolta l’Italia si trova alle strette». È inammissibile che il più alto responsabile dell’Unione monetaria europea sia sospettato di anteporre gli interessi della propria nazione a quelli dell’Europa. D’altra parte, c’è stato qualche politico italiano che ha descritto Angela Merkel come autoritaria, spietata e incapace di solidarietà; e certo, una vignetta come quella pubblicata dal «Giornale», raffigurante la cancelliera col braccio alzato accanto alla scritta «Quarto Reich», non è il modo migliore per promuovere lo spirito comunitario. Il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle ha detto con ragione, in un’intervista recente: «In tutta Europa, sono troppi i politici che cercano di usare il fuoco della crisi per cuocere la loro stomachevole zuppa neonazionalista».
Nell’intervista concessa a «Spiegel», Mario Monti ha parlato di una «contrapposizione frontale tra Nord e Sud», sostenendo la necessità di «lasciare un certo margine di manovra agli Stati dell’Eurozona che seguono più puntualmente i dettami europei». Ha sicuramente ragione. L’esistenza di un divario tra il Nord e il Sud dell’Europa non è certo un’invenzione tedesca. E’ sempre sbagliato e pericoloso rifiutarsi di guardare in faccia la verità. Questa realtà va dunque riconosciuta e affrontata. Di fatto, si è commesso un errore di valutazione varando l’unione monetaria senza aver realizzato un’unione politica. Tra la Grecia e la Germania o la Francia (così come tra l’Italia e questi due Paesi) esistono concordanze, ma anche alcune dissonanze. Direi quindi – senza voler esprimere un giudizio – che forse inebriati dalla volontà di unificazione, i responsabili degli Stati dell’Ue hanno preso sottogamba i divari esistenti. E’ stato un errore che oggi emerge in piena luce. Deve esistere una possibilità di discuterne, senza per questo decretare la fine della solidarietà tra gli Stati europei. Ma ciò dovrebbe comportare anche quanto il presidente Monti ha implicitamente chiesto: la Germania deve essere pronta, se del caso, a concedere maggiori spazi di manovra a determinati Paesi, e a rinunciare alla sua rigidità sulle questioni di principio, che non è un segno di forza e neppure di brutalità, bensì al contrario di debolezza e mancanza di fantasia politica.
Se non si vuole che l’Europa si spacchi, l’Ue non deve abbandonare la via dell’integrazione politica ed economica. Ma al tempo stesso deve riservare particolare cura a un retaggio costitutivo per l’Europa: quello dei suoi Stati nazionali. Un retaggio che può anche non piacere. Qualcuno potrebbe auspicarne il superamento. Ma dev’essere preso sul serio e rispettato. Ecco perché una frase di Mario Monti mi è sembrata pericolosa. Nella sua intervista a «Spiegel» il premier italiano ha detto: «Ovviamente ogni governo deve regolarsi in base alle decisioni del parlamento. Ma ciascun governo ha anche il dovere di educare il rispettivo parlamento. «No, signor primo ministro: nessun governo ha questo dovere. Certo, i governi devono dialogare con i parlamenti senza timidezze – non però cercare di piegarli alla propria volontà. Questa questione è cruciale per il concetto stesso di democrazia rappresentativa. Il parlamento incarna la sovranità, ed è per ciò stesso l’istanza più importante. La crisi dell’euro ha dimostrato, sia in Grecia che in Italia e in Germania, quanto l’integrità dei poteri dei parlamenti sia oggi a rischio. Ad esempio i parlamentari, sotto la pressione della crisi e dei mercati, sono chiamati a prendere decisioni su una serie di «paracadute» di dimensioni inimmaginabili. E c’è chi ha ammesso apertamente di non sapere in realtà per che cosa stava votando. Siamo in presenza di un grosso dilemma dell’attuale politica europea, di cui è stato detto (da Angela Merkel) che «non ha alternative». In altri termini: il dibattito non è gradito. Ma le alternative e i dibattiti sono l’elisir di vita di ogni democrazia. La politica si genera nello spazio pubblico. E se il premier «tecnico » Mario Monti sostiene, come sembra, che i tecnici debbano educare i politici, evidentemente il suo è un malinteso impolitico. Un’Europa governata da esperti sarebbe un incubo. E non avrebbe alcuna probabilità di sopravvivere.
Traduzione di Elisabetta Horvat L’autore è Direttore del quotidiano Die Welt.

La Repubblica 07.08.12

Hiroshima ricorda la bomba: «Mai più nucleare», da unita.it

Hiroshima ha ricordato la tragedia della bomba atomica sganciata dagli Usa il 6 agosto del 1945, rinnovando, l’appello a eliminare le armi nucleari. Napolitano: «Sia monito per i giovani».
Decine di migliaia di persone hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione del 67esimo anniversario della bomba atomica sganciata su Hiroshima, svoltasi nel Memoriale della Pace della città giapponese. Alle 8.15 ora locale una campana ha dato il via al minuto di silenzio in memoria delle 140mila vittime del primo bombardamento nucleare della storia, al quale seguì il 9 agosto quello di Nagasaki, sei giorni prima della capitolazione giapponese nella Seconda Guerra Mondiale.
Numerose altre manifestazioni si sono svolte in tutto il Paese: 700 persone hanno partecipato ad una cerimonia nella quale si sono riuniti dei sopravvissuti di Hiroshima e dei residenti nei dintorni della centrale nucleare di Fukushima, gravemente danneggiata dal sisma e dal successivo tsunami del marzo del 2011.

«Ci impegniamo a trasmettere al mondo le esperienze e i desideri dei nostri “hibakusha” (letteralmente “persone colpite dall’esplosione”) e fare tutto quanto in nostro potere per ottenere la vera pace in un mondo senza più armi nucleari», ha detto durante la cerimonia Kazumi Matsui, il sindaco di Hiroshima, leggendo la “dichiarazione di pace”.

Rinnovando ai leader dei Paesi dotati di ordigni nucleari a visitare Hiroshima, Matsui ha esortato il governo giapponese a «mostrare una leadership più audace» sul fronte della non proliferazione e dell’abbandono dell’atomica per fini militari. Quanto al nucleare a uso civile, motivo di crescente malumore e preoccupazione in Giappone dopo l’emergenza di Fukushima, il primo cittadino ha invitato l’esecutivo di Tokyo «a istituire senza indugio una politica energetica capace di tutelare la sicurezza delle persone», senza però esprimere commenti espliciti sulll’energia atomica nel Paese. Dal canto suo, il premier Yoshihiko Noda, promettendo «più sforzi sulla decontaminazione delle aree di Fukushima perchè la gente possa tornare alla vità normale», ha assicurato il suo impegno per l’obiettivo di «un mondo libero da armi nucleari, tenendo vivi i ricordi di chi ha subito gli effetti della bomba atomica, oltre ogni frontiera e generazione».

Alla cerimonia hanno preso parte, tra gli altri, i rappresentanti di 71 Paesi, tra cui quelli di potenze nucleari: l’ambasciatore americano John Roos, il primo a prendervi parte ufficialmente già un paio di anni fa in rappresentanza degli Usa, e quelli di Francia e Gran Bretagna, che hanno fatto il loro esordio al Peace Memorial Park, dopo ben 67 anni. Tra gli altri partecipanti, Clifton Truman Daniel, nipote del presidente statunitense Harry Truman, che il 6 agosto del 1945 autorizzò il bombardamento atomico di Hiroshima e, tre giorni dopo, di Nagasaki. Il numero dei sopravvissuti al doppio olocausto s’assottiglia col passare del tempo: a marzo erano pari a 210.830 unità, quasi 9.000 in meno rispetto ai 12 mesi precedenti, con l’età media salita a 78 anni.

CELEBRAZIONI IN ITALIA
il Comitato “Terra e Pace” ha organizzato a piazza del Pantheon a Roma, una manifestazione per non dimenticare quel tragico evento: «Nella difficile situazione che vive il mondo tra le rivolte per la democrazia nei paesi oppressi, la competizione per il possesso delle risorse energetiche,i disastri dei mutamenti climatici, i grandi fenomeni migratori e la minaccia nucleare da parte di nuovi paesi, il Comitato “Terra e pace” – ha dichiarato Athos De Luca – ricorda l’anniversario di Hiroshima, perché nessuno e soprattutto tra i giovani dimentichi le tragiche conseguenze per l’umanità quando il dialogo e la politica falliscono e prevale la via dellearmi,dell´intolleranza e del razzismo». Il presidente De Luca, ha proposto che Roma Capitale, nel 2013, organizzi una conferenza internazionale per il disarmo nucleare e la convivenza pacifica tra i popoli e che sia intitolata una strada a Hiroshima e Nagasaki in segno di amicizia con il popolo giapponese. Alla manifestazione è intervenuto il Ministro del Giappone Takashi Hoshiyama. Erano presenti i gonfaloni di RomaCapitale,della Provincia e della Regione. La Madrina della Manifestazione, Carla Fracci ha letto la poesia di un anonimo giapponese su Hiroshima.

Cultura: Ghizzoni, investimento non è mai spreco

Approvata legge per il bicentenario Giuseppe Verdi. “Esprimo piena soddisfazione per l’approvazione della legge relativa alle celebrazioni del secondo centenario della nascita di Giuseppe Verdi – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, dopo il varo in sede legislativa del testo unificato – Ora ci auguriamo una rapida approvazione al Senato per poter garantire l’avvio previsto per il 2013.

Il provvedimento – spiega Ghizzoni – nasce da una iniziativa parlamentare e ha visto l’impegno di tutti i gruppi. Unico rammarico il mancato voto unanime, che costringe a prendere atto che per alcuni Gruppi il sostegno alla cultura è a corrente alternata: ogni investimento per la cultura, soprattutto quando ha ricadute internazionali, non dovrebbe mai essere considerato come uno spreco, tanto più in tempo di crisi.

Questa legge – spiega Ghizzoni – è il giusto riconoscimento per un artista che rappresenta non solo un vanto per il nostro Paese ma un patrimonio dell’umanità. Finalmente – ha concluso la Presidente della Commissione cultura – l’Italia si pone al pari di altri Paesi che hanno già predisposto programmi e iniziative per celebrare un evento culturale di livello mondiale, che porterà l’attenzione internazionale sull’artista e sulle sue opere, così come sui luoghi verdiani.”

Visco: "Non si abbatte il debito con la propaganda", di Bianca Di Giovanni

Sul debito pubblico si gioca il futuro dell’Italia (e dell’Europa). Ormai da anni si tenta di ridurlo, ma ogni passo in avanti se ne fanno due indietro. Oggi, con i mercati nervosi e la speculazione in agguato, va imboccata la strada della riduzione senza tentennamenti. Le ricette dei due schieramenti politici appaiono completamente antitetiche. Angelino Alfano promette un’operazione straordinaria gigantesca: circa 400 miliardi da incassare in un solo colpo con la cessione di asset patrimoniali pubblici. «Propaganda, non esistono bacchette magiche. E poi verrebbe da chiedere: se fosse così facile, perché non lo hanno fatto prima?». Il giudizio di Vincenzo Visco, ex ministro del Tesoro, è netto. La favola del «colpo grosso» non è nuova: quella di Alfano è solo l’ultima versione. Peccato che non funzioni, spiega Visco. Il percorso è un altro: sono possibili interventi straordinari graduali, ma soprattutto bisogna mantenere i conti in ordine, lavorare per la crescita e la competitività, e sperare che la ripresa finalmente arrivi.

L’Italia ha fatto abbastanza finora?

«Si è fatto parecchio, ma c’è ancora molto da fare. Per esempio politiche industriali più robuste, e una vera spending review, non certo quella che si è fatta ora, che porti a ulteriori risparmi di spesa con la riorganizzazione della pubblica amministrazione».

Ma quali altre riforme dovremmo fare?

«Le abbiamo fatte tutte: lavoro, pensioni, spesa pubblica. Cos’altro ci vuole? «Macché, di riforme in Italia ne servono ancora una valanga. Abbiamo mafia, corruzione, evasione, la pubblica amministrazione che non funziona. La verità è che bisogna cambiare la testa alla gente, mettere nei posti decisionali le persone che lo meritano, senza più raccomandazioni. C’è ancora moltissimo da fare».

Beh, cambiare testa alla gente mi pare un po’ complicato.

«Non è vero, perché i cittadini sono più intelligenti di quanto a volte li si dipinge. Capiscono quello che serve, però bisogna saper indicare la strada».

Sulla riduzione del debito, sembra di capire che tra la formula dell’operazione straordinaria, del Pd l, e quella del Pd degli incentivi alla crescita e la creazione del surplus primario, lei sia decisamente per la seconda.

«È sbagliato schematizzare in questo modo. E evidente che il Pdl fa propaganda, dando l’illusione che con la bacchetta magica si risolva un problema che dura da 20-30 anni».

Non è la prima volta che si parla di un’operazione straordinaria che dia un colpo netto al debito.

«Difatti, bisogna riandare indietro alle ipotesi proposte in passato. Per esempio quella di un’imposta straordinaria sul patrimonio. L’idea era sempre quella di portare a casa 10 o 20 punti di Pil in un solo colpo. Lo avevano proposto in diversi (da Giuliano Amato a Walter Veltroni e Pellegrino Capaldo e altri). Insomma, ci sono state almeno una trentina di proposte tutte basate su un equivoco di fondo: che basti dare una botta e la soluzione arriva. Poi non si capisce bene chi se la deve prendere questa botta. Dietro a questa impostazione c’è l’illusione di evitare le sofferenze del rigore di bilancio. Ma purtroppo non è così. Un’imposta straordinaria alla fine peserà su tutti, costringe i proprietari a vendere immobili e titoli, sottraendo risorse all’economia reale».

Ma Alfano non parla di tasse. Anzi, vede le tasse come il diavolo.

«Sì certo, parla di cessione di asset, ma la logica che sta dietro è la stessa. Si pensa che l’Italia non possa permettersi un avanzo primario, e quindi che è meglio privatizzare, vendere patrimonio e finirla lì, magari piazzando nelle mani di ignari cittadini titoli rappresentativi di questi asset che si deprezzerebbero un minuto dopo, trasformandosi in patrimoniale vera. Cioè una tassa. Poi è velleitario pensare che si possano incassare in un colpo 400 miliardi».

Perché

«Perché del patrimonio alla fine c’è poco da vendere. Il patrimonio demania- le arriverà a circa 50 miliardi. Il grosso è quello di Regioni e enti locali (circa 3.400 miliardi), ma in gran parte si tratta di beni strumentali, come ospedali, manicomi, giardini. Una vera mappatura di questi beni non esiste (a differenza del demanio, che ha realizzato una catalogazione avviata proprio da Visco, ndr). Inoltre spesso vendere non conviene. Quando sono tornato al governo ho riacquistato il palazzo della Sogei perché pagavamo un affitto superiore al mutuo per l’acquisto. Le cifre che circolano rappresentano valori potenziali di mercato. Senza contare che per cedere patrimonio, bisogna trovare acquirenti, creare fondi immobiliari, cambiare normative. Ci vuole tempo».

Allora come si risolve?

«A me sembra che la posizione del governo sia sensata. Quello che ragionevolmente si può fare è piazzare beni per l massimo 2 punti di Pil (una trentina di miliardi, ndr) per un certo numero di anni. Poi bisogna continuare con il rigore dei conti, mantenere l’avanzo primario, avviare politiche per la crescita. Solo così si riduce il debito».

La crescita però sembra una chimera. Il governatore ha stimato una recessione anche nel 2013.

«All’Italia serve una robusta politica industriale. È chiaro che se non si ottiene una crescita almeno dell’1%, con un’inflazione attorno al 2%, salta tutto. Il debito si riduce solo a queste condizioni, con il surplus primario. Non c’è molto di più da fare. L’altra ipotesi è il default, cosa che si sta cercando di evitare».

Questa è un’ipotesi di scuola, spero.

«Lo hanno fatto in tanti. Prima l’Argentina, poi la Grecia».

Davvero l’Italia è a rischio default?

«Se la situazione peggiora, se l’Europa non fa quello che deve, non si può escludere».

Come giudica l’ultimo intervento Bce? «Ha fatto quel che poteva. Ora bisogna capire quali sono le condizionalità che chiedono. Per me è importante che abbiano riconosciuto che sugli spread non si tratta più di un problema di finanza pubblica, ma di politica monetaria, materia che rientra nelle loro funzioni. È esattamente quello che avevo sostenuto in un intervento sul Sole24ore di un mese fa».

L’Unità 06.08.12

Fassina: "Il ministro adesso dice cose che sosteniamo da dieci anni", di F. Sch.

Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, ha visto che il ministro Fornero dice «il rigore da solo non basta»?
«Noi l’avevamo già detto… Soprattutto, il rigore da solo non funziona, in particolare quando si colpisce l’economia reale. Siamo in una spirale manovre recessive-recessione-allontanamento degli obiettivi di finanza pubblica. Invece bisogna avere come priorità lavoro e imprese».
Infatti è stata fatta la riforma del lavoro…
«Il fatto è che, com’è noto, nonostante l’ideologia degli ultimi trent’anni, le regole del mercato del lavoro non fanno sviluppo. Sono come l’olio nel motore: ora il nostro motore non gira perché manca la benzina, ossia la domanda che non c’è».

Il ministro parla anche di riduzione del carico fiscale sui più deboli: su questo sarà d’accordo, no?

«Beh, lo diciamo da qualche decennio… Infatti tra le misure che non condivido della riforma c’è di sicuro l’aumento dei contributi previdenziali per le partite Iva iscritte alla gestione separata, perché sono soggetti a redditi bassi».

Però il ministro dice anche che oggi le condizioni per questa redistribuzione del carico fiscale non ci sono…

«Ma non è così. Rinviare la redistribuzione a dopo lo sviluppo significa non aver capito le cause della crisi, che affonda le sue radici nella diseguaglianza e nell’arretramento delle condizioni di lavoro».

Lei quindi inverte l’ordine dei fattori: redistribuire per creare sviluppo, non prima la crescita e poi la redistribuzione…

«Diciamo che una maggioranza progressista avrebbe introdotto un’imposta patrimoniale ordinaria ed evitato l’Imu alle famiglie con abitazioni di valore medio-basso. Avremmo ottenuto lo stesso gettito facendo meglio non solo in termini di equità, ma anche di utilità per l’economia, perché avremmo lasciato più potere d’acquisto a chi ne ha poco. E poi sulla riforma mi permetta di ricordare che resta ancora in larga parte da affrontare il drammatico errore sugli esodatì».

La Fornero è «abbastanza soddisfatta» dei primi nove mesi del governo Monti. Lei che ne pensa?

«Non c’è dubbio che abbia fatto fare passi avanti all’Italia: siamo tornati a giocare una partita dalla quale con Berlusconi eravamo stati esclusi».

Quali le prime cose da fare ora?

«Oggi la priorità è la politica industriale. Il governo è disattento all’economia reale per concentrarsi sulla finanza pubblica: invece, senza rianimare l’economia reale, non si raggiungono nemmeno gli obiettivi difinanza pubblica».

Oggi il premier Monti s’è detto preoccupato per toni antitedeschi che si diffondono in Italia: condivide?

«Preoccupanti sono il populismo e le semplificazioni, chi non prende in considerazione che l’opinione pubblica tedesca è comprensibilmente inquieta. Ma è anche preoccupante l’ampia parte di classe dirigente tedesca che non riconosce i vantaggi portati dall’euro alla Germania e i problemi sistemici della monete unica, che riguardano anche le loro scelte di politica economica».

A proposito di Europa: condivide l’opinione di chi dice che occorre recuperare sovranità nazionale?

«Mi pare un discorso incomprensibile: l’abbiamo persa da tempo e non solo noi! Stiamo insistendo per arrivare a un’integrazione politica dell’area euro, per condividere una sovranità che a livello nazionale abbiamo perso in larga misura. Poi è ovvio che qualunque governo deve muoversi dentro a impegni e vincoli definiti: noi lavoreremo per riscriverne alcuni, insieme all’Europa».

La Stampa 06.08.12

Dal 25 agosto a Reggio Emilia la Festa Democratica nazionale

Una Festa nazionale dedicata a tutti gli amministratori che resistono alle mafie. Questa è la Festa Democratica che prenderà il via a Reggio Emilia il prossimo 25 agosto e che terminerà il 9 settembre presso Campovolo. La scelta di Reggio Emilia, la città del tricolore, dei ponti di Santiago Calatrava e terra legata a figure come quella di Nilde Jotti e di don Giuseppe Dossetti, è sinonimo di nobiltà della politica e cuore storico della democrazia italiana.

Ai dibattiti serali saranno presenti i principali leader politici e sindacali italiani, nonché alcuni ministri del governo Monti.

Tra le attrazioni di maggiore richiamo vanno segnalate: il concerto “Ciao Lucio” del 25 agosto dedicato al grande cantautore emiliano Lucio Dalla recentemente scomparso e che vedrà alternarsi sul palco “gli amici del primo tempo” ovvero gli Stadio, Luca Carboni, Samuele Bersani ePierdavide Carone; il concerto dei Subsonica; il concerto di chiusura della Festa con Mauro Pagani polistrumentista della PFM.

Ilaria Prili, fotografa e curatrice, propone tre serate consecutive di proiezioni dal titolo: “Tra ombra e luce”, il mondo moderno, la fotografia, la donna”, presentando nove artiste italiane e straniere, già affermate, più volte premiate nei più prestigiosi ambiti internazionali e che espongono regolarmente nelle più note sedi nazionali ed estere, (Simona Ghizzoni ha vinto quest’anno il World Press Photo). Artiste che ci permetteranno di approfondire altrettanti temi cruciali della nostra società: il rapporto con il nostro corpo, la casa come diritto inviolabile, il mondo che ci circonda.

Quella del 27 agosto sarà davvero una serata speciale con lo spettacolo diRoberto Benigni alla Festa Democratica.

Sul palco dell’area spettacoli hanno confermato la loro presenza i Meeting People is Easy (domenica 26 agosto), la Rino Gaetano Band (martedì 28 agosto), Massimo Zamboni, Nada, Angela Baraldi, Giorgio Canili,Fatur (mercoledì 29 agosto), Arisa (giovedì 30 agosto), Goran Bregovic(domenica 2 settembre), Lassociazione (lunedì 3 settembre), i Modena City Ramblers (martedì 4 settembre), Noemi (mercoledì 5 settembre), Il Teatro degli orrori (venerdì 7 settembre).

I dati più significativi della kermesse che si svolge nell’area del Campovolo per la Festa Nazionale del Partito Democratico:

– Superficie complessiva di occupazione dell’area mq 300.000 di cui 180.000 di occupazione di svolgimento festa (con 15.000 mq coperti) e la restante in aree di servizio e area di parcheggio con 7.000 posti auto.

– Dal primo di Luglio fase attivazione cantiere sono attivi 40 volontari per la gestione del cantiere che diventeranno poco meno di 200 nell’ultima settimana prima dell’inaugurazione della Festa. Complessivamente durante la festa si alterneranno fra i 1200 e 1500 volontari per sera raggiungendo una cifra di oltre 7.000 volontari per la durata della Festa.

– 94 aziende del territorio coinvolte tra allestimento e fornitura di servizi e beni

– 11 ristoranti per un totale di 3.600 coperti

– 7 punti ristoro

– 4 bar

– 10 Associazioni presenti in Festa fra le più significative Libera, Istoreco, Anpi, Casa Cervi.

– Arena spettacoli gestita dai Giovani Democratici con 60 giovani volontari ogni sera su una superficie di 16.000 mq per una capienza complessiva per gli spettacoli gratuiti di massimo 15.000 persone

– In contemporanea tutte le sere 5 appuntamenti fra spettacolo musica e cultura: Tenda in piazza centrale, sala libreria, arena spettacoli, ballo liscio, pinacolada Piano Bar, Balli latini americani.

– Area sportiva di 5.000 mq gestita dalla Associazione UISP di Reggio Emilia

– Area commerciale/mercato con 50 espositori

– Area ludoteca

– Mostra di Reggio Children che racconta il percorso dagli anni 70 dei servizi all’infanzia nel comune di Reggio Emilia

– Due aree dedicate alla cultura e alla politica. Tenda in piazza centrale “Pio la Torre” e Sala presentazione libri.

www.partitodemocratico.it