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Interpellanza Coscia Ghizzoni: Tempi per l'adozione dei provvedimenti governativi relativi all'immissione in ruolo del personale docente nonché amministrativo, tecnico ed ausiliario per l'anno 2012-2013- n. 2-01613. Risposta del Governo

PRESIDENTE. L’onorevole Antonino Russo ha facoltà di illustrare l’interpellanza Coscia n. 2-01613, concernente i tempi per l’adozione dei provvedimenti governativi relativi all’immissione in ruolo del personale docente nonché amministrativo, tecnico ed ausiliario per l’anno 2012-2013 di cui è cofirmatario.
ANTONINO RUSSO. Signor Presidente, noi torniamo su un tema del quale ci siamo occupati diverse volte negli ultimi tempi e molte volte nell’intera legislatura. Si tratta del tema del precariato della scuola, dei docenti e del personale di assistente tecnico-amministrativo. Fino alla precedente legislatura era stato avviato un percorso con l’ultima legge finanziaria del Governo Prodi, nella quale si prevedeva un piano di immissione in ruolo per svuotare le graduatorie allora permanenti (e, quindi, rese ad esaurimento) per provare, pertanto, a dare risposta ad un’ampia fetta di docenti e precari. Fu previsto allora un piano di immissione in ruolo di 150 mila unità di docenti e di 30 mila di personale assistente tecnico-amministrativo. Quel piano fu portato avanti per due anni e mezzo. Furono realizzate 83 mila immissioni in ruolo nei primi tre anni e 30 mila di personale ATA. Successivamente, con la nuova legislatura quel piano non solo fu interrotto, ma furono previsti tagli di personale per 120 mila unità. Dopo diversi anni di tagli consecutivi, rispetto ai quali poco si è potuto fare, l’anno scorso siamo riusciti dopo una lunga trattativa, una lunga elaborazione e dopo una fase molto travagliata, che ha visto perfino delle sentenze della Corte costituzionale, a giungere alla consapevolezza che era possibile realizzare un’inversione di tendenza e, quindi, un piano di immissione in ruolo su posti vacanti e disponibili. Si giunse ad un decreto nel maggio 2011. Successivamente, vi è stata la trattativa sindacale. L’ARAN ha dato il proprio via libera rispetto alle risorse e alla copertura finanziaria e si è giunti, il 3 agosto, ad un decreto interministeriale che prevede, sostanzialmente, un piano di immissione in ruolo la cui ultima parte prevedeva 30 mila assunzioni nel 2011, 22 mila nell’anno scolastico 2012-2013 e altrettante nel 2013-2014 per quanto riguarda i docenti e 7 mila immissioni in ruolo per quanto riguarda il personale ATA per i rispettivi anni, 2012-2013 e 2013-2014. Per arrivare a questo vi sono state anche delle rinunce da parte sindacale nella trattativa. Si è rinunciato ai cosiddetti gradoni che consentivano quella premessa che il Governo di allora – e immagino anche questo – chiedeva, ossia che non vi fossero ulteriori aggravi per la finanza pubblica. Ora tutto questo c’è. Quello che manca adesso è mettere in opera, diciamo così, gli impegni scritti nel decreto interministeriale e assunti da parte del Governo, ossia la realizzazione di quel piano di immissione in ruolo. Noi siamo convinti che ciò possa accadere già entro la definizione dell’avvio del nuovo anno scolastico. Solo per un refuso nella nostra interpellanza urgente, alla fine del titolo proprio nelle ultime parole (e chiedo per questo di correggerlo), si riporta l’anno successivo 2013-2014. Noi chiediamo – è chiarissimo nel contenuto di tutta l’interpellanza urgente – che le immissioni in ruolo vengano fatte già nell’anno 2012-2013 e per il successivo, 2013-2014, nella misura di, così come concordato, 22 mila l’anno per i docenti e 7 mila per ogni anno scolastico, ovviamente, per gli assistenti tecnico amministrativi. Chiediamo, quindi, sostanzialmente il rispetto dei contenuti di una legge. Questo Governo – aggiungo – ha il dovere di operare su questo tema, sul tema del precariato della scuola, una discontinuità, sia pure timida, ma una discontinuità. Lo deve al mondo del precariato della scuola, il comparto più colpito negli ultimi anni del precedente Governo. Lo deve perché i docenti, ma anche il personale tutto della scuola, lavorano in un mondo particolarmente delicato: quello in cui si forma la coscienza delle generazioni più giovani, dei nostri figli. È necessario far tornare ad avere consapevolezza del proprio ruolo e stima di se stessi, perché molto spesso è venuta meno anche questa. Occorre prestigio per un ruolo che in passato era molto più considerato di adesso. Si tratta di un dovere che questo Governo deve avere, tanto più per la formazione (anche per il tipo di compagine tecnico-professorale) che questo Governo ha.
Quindi, chiediamo davvero che non si deludano le aspettative che ci sono. Sono richieste condivisibilissime previste dalla legge, che vanno incontro non solo al buon senso ma al bisogno, che vi è nel Paese, di dare stabilità anche al mondo della scuola. Lo ripeto: questo potrebbe essere un timido primo passo di inversione di tendenza. Sarà poi, nei prossimi anni, il Governo politico che dovrà portare a compimento una totale inversione di marcia, che metta al centro del rilancio del Paese la scuola e, quindi, anche i principali attori del mondo della scuola, ossia il personale che ci lavora, innanzitutto i docenti ma anche il personale assistente, tecnico e amministrativo. Ci aspettiamo dal Governo davvero una risposta che soddisfi le nostre migliori aspettative.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l’ambiente e la tutela del territorio e del mare, Tullio Fanelli, ha facoltà di rispondere.
TULLIO FANELLI, Sottosegretario di Stato per l’ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, gli onorevoli interpellanti chiedono chiarimenti sull’attuazione del decreto interministeriale del 3 agosto 2011 che definisce la programmazione triennale di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA per il triennio scolastico 2011/2013. Come è noto, il sopra citato decreto prevede un contingente di assunzioni per l’anno scolastico 2011/2012 pari a 30.300 unità di personale docente ed educativo e 36.000 unità di personale ATA; per ciascuno degli anni scolastici 2012/2013 e 2013/2014 il numero massimo di assunzioni è pari a 22 mila unità di personale docente ed educativo e 7 mila di personale ATA. Il decreto precisa che i contingenti relativi agli anni 2012/2013 e 2013/2014 sono determinati tenendo conto dei pensionamenti e dell’attuazione a regime del processo di riforma previsto dall’articolo 64 della legge n. 133 del 2008 e, in ogni caso, previa verifica da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il Dipartimento della funzione pubblica, circa la concreta fattibilità del piano, nel rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di finanza pubblica. Le assunzioni, inoltre, sono disposte sui posti che risultano vacanti e disponibili dopo il completo utilizzo del personale in servizio con contratto a tempo indeterminato. È da precisare che i suddetti contingenti per ciascuno degli anni scolastici 2012/2013 e 2013/2014 tenevano conto della previsione, allora stimata dei pensionamenti e del completamento, a decorrere dal 2012/2013, degli effetti del processo di riforma. Effettuate le preventive verifiche riguardo alla quantificazione dei posti vacanti e disponibili, la competente direzione generale ha richiesto al Ministero dell’economia e delle finanze e al Ministro per le riforme e le innovazioni della pubblica amministrazione, l’autorizzazione, ai sensi dell’articolo 39, comma 3-bis, della legge n. 449 del 1997, all’assunzione a tempo indeterminato, per il prossimo anno scolastico 2012/2013, di 21.112 unità di personale docente e di 5.336 di personale ATA, corrispondenti alle reali cessazioni. Non appena ottenuta la suddetta autorizzazione, si darà avvio ai successivi adempimenti amministrativi ai fini di un corretto avvio dell’anno scolastico. Per quanto riguarda l’anno scolastico 2013/2014, i dati sui posti vacanti saranno disponibili una volta che si conoscerà l’entità dei pensionamenti decorrenti dalla data del 1o settembre 2013 e dopo la definizione delle dotazioni organiche per il detto anno. Il Ministero, come di consueto, avvierà le procedure di immissione in ruolo in tempi congrui, che consentano il completamento delle operazioni entro l’avvio dell’anno scolastico.
PRESIDENTE. L’onorevole Coscia ha facoltà di replicare.
MARIA COSCIA. Signor Presidente, ringrazio il Governo per la risposta puntuale che c’è stata data. Ne prendiamo atto. Vorrei solo sottolineare, sottosegretario, anche perché risulti a verbale, che i tempi sono strettissimi proprio perché – come giustamente viene sottolineato nella risposta – bisogna procedere ad un corretto inizio dell’anno scolastico. È bene che queste autorizzazioni siano sollecitate e che arrivino rapidamente perché, altrimenti, rischiamo che i tempi tecnici per procedere – come è giusto che sia – in tempo utile, per come il Governo giustamente sottolinea, non siano rispettati. Quindi, pregherei il Governo, ancora, di avere le ultime autorizzazioni e di procedere proprio in queste ore, per non parlare di giorni, perché veramente c’è questo rischio.
PRESIDENTE. Vorrei precisare che vale per la Presidenza l’osservazione fatta anche dall’onorevole Antonino Russo che, per errore tecnico, nel titolo dell’interpellanza urgente, si fa riferimento al 2013/2014, mentre ovviamente dobbiamo fare riferimento – ma risultava molto chiaro anche dal contenuto della risposta – all’anno scolastico 2012/2013.

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Atto Camera
Interpellanza urgente 2-01613
presentata da
MARIA COSCIA GHIZZONI E ALTRI
martedì 24 luglio 2012, seduta n.671

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per sapere – premesso che:

la situazione del personale precario nella scuola italiana impone un serio impegno al fine di affrontare e risolvere in modo organico il problema: non solo per dare certezza di futuro e stabilità occupazionale ai dipendenti ma anche, e soprattutto, per assicurare la continuità didattica e un corretto svolgimento dell’attività ordinaria delle scuole che deve essere garantita dallo Stato ai cittadini;

in tal senso, con l’approvazione dell’articolo 1, comma 605 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, era stata predisposta la trasformazione delle graduatorie del personale docente precario da permanenti ad esaurimento ed era stato definito un piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente per gli anni 2007-2009 per complessive 150.000 unità di personale docente e 30.000 unità per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA);

in realtà, questo piano triennale al termine dell’anno scolastico 2009-2010 è stato realizzato solo in parte. Infatti, il numero complessivo di assunzioni era stato di 83.000 unità per il personale docente e di 25 mila unità per il personale Ata;

inoltre, negli anni 2010-2011 e 2011-2012 sono stati nominati complessivamente solo 18 mila docenti e 14.550 ATA;

con il successivo articolo 9, comma 17 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 è stato definito un ulteriore piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo ed ATA, per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno;

a seguito della sessione contrattuale del 19 luglio 2011, realizzata per dare attuazione al piano triennale previsto dall’articolo 9, comma 17 del decreto-legge n. 70 del 2011 riguardante la nomina del personale precario della scuola, è stato emanato il decreto interministeriale 3 agosto 2011 che disponeva per l’anno scolastico 2011-2012 l’assunzione di 30.300 unità di personale educativo e docente, di cui 10.000 a completamento della richiesta di assunzioni effettuata per l’anno scolastico 2010-2011, e di 36.000 unità di personale ATA;

il Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola stipulato il 19 luglio 2011 tra ARAN e sindacati garantisce in maniera permanente la necessaria copertura finanziaria, con una modifica sostanziale della carriera economica iniziale di tutto il personale;

il suddetto decreto interministeriale prevedeva per gli anni 2012-2013 e 2013-2014 l’immissione in ruolo di 22 mila docenti e 7.000 ATA ogni anno -:

quali siano i tempi per l’adozione dei previsti provvedimenti governativi necessari per procedere all’immissione in ruolo, sui posti disponibili in organico, sia per il personale docente che per il personale amministrativo tecnico ausiliario, in tempo utile per l’avvio dell’anno scolastico 2013-2014.
(2-01613)
«Coscia, Ghizzoni, Antonino Russo, Ventura».

"Statali in sciopero a settembre, Oggi esodati in piazza", di Massimo Franchi

Un’ora di confronto senza il ministro. I sindacati degli statali, con l’eccezione della Cisl, decidono immediatamente di proclamare lo sciopero generale per venerdì 28 settembre. Allo sciopero si unisce poi la manifestazione nazionale del comparto scuola fissata dalla Flc Cgil per sabato 20 ottobre. Il tutto alla vigilia del presidio unitario sul tema degli esodati dalle 9,30 di questa mattina alla piazza del Pantheon a Roma. Con il ministro Filippo Patroni Griffi murato in commissione al Senato per gli emendamenti alla spending review, a ricevere i sindacati è stato il capo dipartimento Antonio Naddeo. Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni: no ai tagli del 10 per cento al personale e nessun accordo sulla gestione della mobilità per gli esuberi. A poco è servito l’annuncio, arrivato nel pomeriggio, di un nuovo incontro fissato dal ministro (e questa volta Patroni Griffi garantisce la presenza) per lunedì 30 alle 11. Passano poche ore e Fp Cgil da una parte e Uil-Flp e Uil Pa dall’altra comunicano la data della mobilitazione generale: Uno sciopero «per cambiare la politica economica del governo che smantella lo stato sociale e non riduce gli sprechi», dicono, giudicando «gravissima» l’assenza del ministro della Pa, Patroni Griffi, stamattina al tavolo sulla spending review e respingendo la «sommatoria dei tagli lineari» del dl: «Non è più accettabile che a pagare siano sempre i soliti noti». Scuola: protesta a ottobre Poche ore prima era arrivata la decisione del comparto scuola-conoscenza della Cgil: «Il 20 ottobre faremo una grande manifestazione nazionale della Flc-Cgil per rivendicare investimenti in conoscenza pubblica, diritto allo studio, rinnovo dei contratti, piano per la stabilizzazione dei precari», spiega il segretario Mimmo Pantaleo. Questa mattina invece Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti dalle 9,30 terranno a piazza del Pantheon un presidio in difesa dei lavoratori esodati. Al centro degli interventi ci sarà certamente il No del governo alla richiesta del Pd di allargare i 55mila nuovi salvaguardati previsti nel decreto spending review. Cgil, Cisl e Uil chiedono infatti che sia «rimosso ogni vincolo numerico rispetto ai salvaguardati» e «in questo senso un confronto di merito con il sindacato – più volte richiesto al governo – avrebbe consentito di definire da subito i contorni della platea trovando una soluzione adeguata all’intera vicenda». L’Ugl invece domattina terrà una maratona oratoria sotto palazzo Vidoni.

L’Unità 26.07.12

"Il coraggio che manca", di Claudio Sardo

Ci vorrebbe coraggio. E invece il Pdl mostra un tatticismo vile, tutto volto a convenienze di parte, e persino di dubbia efficacia, mentre il Paese è nella bufera finanziaria e le famiglie hanno paura del domani. Dopo il voto in Senato sul semi-presidenzialismo, il cui scopo è affondare le riforme istituzionali possibili e guadagnare per la futura campagna elettorale una bandiera propagandistica, il partito di Berlusconi e Alfano ieri ha fatto saltare anche l’ipotesi di accordo sulla legge elettorale. Finché resterà una possibilità, continueremo a sperare che si recuperi il filo di un compromesso per cancellare il Porcellum. Ma è chiara la ragione egoistica del Pdl: rinviare comunque la scelta, allo scopo di togliere dalle mani del Capo dello Stato la carta delle elezioni anticipate a novembre.
Ovviamente si può discutere su quale sia la convenienza dell’Italia in questa congiuntura terribile. Ma sottrarre dal tavolo la possibilità delle elezioni in autunno – per di più per un motivo così di parte – è un atto che può infliggere danni seri al Paese. Quando c’è una crisi così grave, le forze politiche più grandi sono chiamate a una funzione nazionale. Che non esclude il conflitto tra loro. Né il conflitto delle loro rappresentanze sociali. Tuttavia ci sono momenti in cui c’è bisogno di una maggiore, più rischiosa assunzione di responsabilità. È accaduto nei momenti migliori della nostra storia. Ed è in questi passaggi che si misura la stoffa e la qualità di una classe dirigente.
Il Porcellum va cambiato. Perché fa schifo e non ha eguali nei Paesi democratici. È un tema per tentare di riconciliare i cittadini con la politica. Va fatto al più presto, sotto i colpi della crisi. Offrire a Napolitano e a Monti anche l’opzione del voto anticipato non sarebbe un’ipoteca, ma un’opportunità per l’Italia. Anche il Pd deve avere coraggio, incalzare e rilanciare. Di nuovo, da oggi. Occorre sfuggire alla tentazione di farsi trascinare dal corso del fiume. Candidarsi alla guida del Paese comporta rischi e richiede scelte difficili non sempre garantite da successo.

L’Unità 27.06.12

"Ecco perché non voglio rinunciare a fare il prof", di Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo è uno scrittore romano di 29 anni Esordisce nel 2004 con i racconti Nuovi cieli, nuove carte ed è autore di libri-intervista con giornalisti e scrittori. Il suo ultimo romanzo è Dove eravate tutti (2011) che Antonio Tabucchi definì «un felice ingresso in una narrativa impegnativa e matura» È stato l’appuntamento collettivo di una generazione. I test di ammissione al Tirocinio formativo attivo — la nuova trafila prevista per l’abilitazione all’insegnamento — hanno chiamato a raccolta migliaia di laureati. Laureati freschi, laureati da un po’, dottori di ricerca: un vero esercito di giovani in cerca di un porto sicuro dietro una cattedra scolastica. Un sogno? Forse in passato. L’aria con cui molti hanno affrontato i Tfa era piuttosto da ultima spiaggia. Ieri mattina, alla prova per l’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie e superiori, ho incrociato facce di compagni d’università persi di vista — ed erano un po’ più rassegnate, un po’ più stanche. Ma sì, proviamo anche questa: «I miei mi hanno detto di tentare, sono più in ansia di me».
Ho rivisto dottorandi che parevano lanciatissimi sulla via accademica, musicisti di sicuro talento (nel frattempo, forse, usciti dal gruppo), fumettisti bohémien, e naturalmente parecchi aspiranti scrittori. Ma anche istruttori di nuoto, commessi a tempo, malinconici supplenti di scuole private. Alla domanda su chi ha scritto Oceano Mare avranno risposto bene? I commissari un po’ stizzosi, leggendo le istruzioni a inizio prova, pareva che dicessero: avete scelto la strada creativa, avete passato i pomeriggi a parlare di David Lynch da studentelli del Dams? Bravi, ben vi sta. Adesso mettete da parte i vostri astratti furori e diteci: quali sono i confini dello Zambia? La capitale dell’Uganda? Sembrano le domande di Zincone a fine intervista. Caro vecchio nozionismo difeso da padri e nonni! Una volta sì che si studiavano la storia e la geografia! E adesso eccoci qua, a spremere le meningi su questo campo minato di risposte multiple, dove chi vince non guadagna ma paga. 2.500 euro per un anno di tirocinio. Ah, e la marca da bollo da 14,62 euro! Per non contare la quota di iscrizione di 120 euro e l’eventuale spesa per i subdoli libroni di preparazione, tra i 30 e i 78 euro.
C’è un istante — quando, con lo sguardo perso nel vuoto, cerchi di ricordare l’anno della morte di Caio Gracco — in cui quella domanda arriva. Non fa parte dei test, ma è più insidiosa. È quella che Silvia Avallone ha schivato (Corriere di ieri): «Che ci faccio qui?». Ti sembra di esserti costretto a un angosciante viaggio dentro la tua stessa ignoranza. Fai il conto degli anni di studio — quasi venti — e ti viene il dubbio di aver sbagliato qualcosa. Possibile che attribuisci a Cecco Angiolieri un verso di Petrarca? Il primo, o l’unico vero sconfitto della battaglia di Teutoburgo ti ritrovi a essere tu.
Non so se per essere in futuro un buon professore (meglio: per essere formato a fare il professore) debba essere questo il criterio di selezione. Non dubito che sia difficile trovarne uno indiscutibile. Speravo però che una laurea quinquennale fatta bene potesse quasi bastare. Perché poi si tratta di entrare in classe, guardare negli occhi venticinque adolescenti lontani da te come altri pianeti, e aprire bocca. Di solito, la data del concordato di Worms non è la cosa più urgente. E comunque, dai libri non la toglie nessuno.
Ho provato i test per il Tfa per almeno due ragioni. Una ha a che fare con l’ansia, una personale e diffusissima ansia di concretezza, sempre più stringente a quest’età e dentro queste annate burrascose. L’altra è una ragione più fragile ma è anche l’unica da opporre a quella frustrazione e a quel disincanto di cui parlava ieri Avallone. La ragione che ti porta a sperare, o addirittura a credere, che la cosa giusta sarebbe provarci. C’è la crisi? Ci sono le aule che cadono a pezzi? Ci sono i ministri che parlano dei professori come numeretti da macelleria? Non importa. Vorrei provarci. A entrare in classe, una mattina. Senza pensare che sarò più bravo. Senza pensare che mi basterà uno schiocco di dita per fare amare qualcosa a un gruppo di diciottenni in piena ormonale. Ma pensando che sarò bravo almeno quanto chi è riuscito a infilarmi in testa cinque o sei risposte buone per il test di ieri mattina. Come quei professori strepitosi e pieni di difetti, stanchi e appassionati, pignoli; come tutti quelli che incontro girando nelle scuole a parlare dei miei libri. Quelli che mi dicono: non ce la faccio più, sono distrutto, è una guerra, quando arriva la pensione? In realtà vorrebbero che non arrivasse mai. E infatti sbuffano ma si alzano tutte le mattine, arrivano nella loro adorata e cadente scuola, pensano che avrebbero potuto fare un altro mestiere. Più redditizio, più comodo. Ma non sarebbe stato questo mestiere snervante e bellissimo che, solo, può dare la sensazione — la certezza — di aver lasciato, da qualche parte, qualcosa. Nella testa di chi ha preparato i quiz di ieri e di sempre, nella mia che ha provato a risolverli, in quella di chiunque abbia messo piede in una scuola.

Il Corriere della Sera 26.07.12

"La sindrome di Gulliver", di Bernardo Valli

È vero, la Germania di Angela Merkel a volte fa pensare a Gulliver, l’eroe di Jonathan Swift che si scopre un gigante impigliato tra i minuti abitanti dell’isola di Lilliput. L’idea è disinvolta, il paragone azzardato, perché l’Europa non è abitata da lillipuziani che dilagano nelle ricche vallate della Repubblica federale condizionandone i movimenti. L’immagine rispecchia tuttavia parte della realtà. Non è del tutto abusiva.
La Germania–Gulliver troneggia al centro dell’eurozona, ma è al tempo stesso impacciata, se non proprio prigioniera: i vicini più deboli esplorano la sua pancia, si muovono nella sua capigliatura come in una foresta, scalano le pieghe del suo corpo sprizzante salute. L’economia tedesca è sostanzialmente sana rispetto a quella dei Paesi limitrofi; i suoi conti pubblici sono quasi esemplari; ma le sue banche e i suoi esportatori sono fragilizzati dalla crisi in cui versano le indisciplinate società del Sud. Le quali si muovono nell’economia e nella finanza tedesche come, appunto, i lillipuziani sul gigantesco corpo dell’eroe di Swift. Per cui si può capire la tentazione di scrollarsele di dosso.
La voglia non manca. La sindrome di Gulliver spinge anche menti sagge, e di solito razionali, come quelle della Frankfurter Allgemeine Zeitung, a lasciarsi andare. E a dare segni di un’impazienza vicina alla collera.
Il quotidiano di Francoforte ha accolto l’avvertimento di Moody’s, che non ha escluso nel futuro un’amputazione dell’AAA ottimale finora esibita con pieno, normale diritto dalla Germania, come un monito arrivato “al momento giusto”. Infatti, a suo parere, un ulteriore aiuto tedesco ai Paesi del Sud minerebbe le forze della Repubblica federale.
L’impennata del giornale, che non è da “boulevard”, cioè popolare, o sguaiato, come la Bild, è tutt’altro che esagerata. La tentazione che solletica Moody’s, e che fa saltare i nervi ai tedeschi più sensibili, si basa proprio sull’esposizione giudicata eccessiva, rischiosa, nell’azione di salvataggio delle economie più deboli. I responsabili politici, non tutti ma non pochi, e molti economisti hanno spiegato che la nota di Moody’s dovrebbe avere un effetto limitato; ma quella nota ha aumentato l’inquietudine di molti tedeschi. E penso abbia smorzato, almeno in parte, l’euforia di coloro che giudicavano lusinghiero il fatto che gli investitori pagassero per prestare il denaro a Berlino, mentre interessi dissanguanti si abbattevano e si abbattono sui Paesi del Sud.
Le varie indagini rivelano puntuali che un cospicuo numero di tedeschi è ostile a nuovi piani di salvataggio, al punto da auspicare l’uscita della Grecia dalla zona euro, e giudica un grave errore avervi ammesso la Spagna e l’Italia. L’avvertimento di Moody’s indebolisce la politica di Angela Merkel. La quale subisce la fronda euroscettica dei due partiti alleati: di quello liberale (Fdp) e di quello bavarese (Csu). Ed è richiamata all’ordine, o comunque rallentata nelle decisioni, dalla Corte costituzionale, pignola, puntigliosa fin che si vuole, ma la sola grande istituzione europea impegnata a valutare le implicazioni di una progressiva integrazione europea per i diritti sovrani della nazione. Le altre corti costituzionali dovrebbero prendere i giudici di Karlsruhe come esempio. Anche se essi pensano e giudicano in tempi troppo lunghi, quindi disastrosi, in una crisi economica in cui i mercati sono veloci come falchi e avvoltoi.
Ma Gulliver si muove piano a Lilliput. Ha i suoi ritmi, precisi, tanto lenti, timidi, quanto inarrestabili. Esasperanti. Angela Merkel è costretta a slalom politici acrobatici, perché al Bundestag le capita di dover ricorrere ai voti dell’opposizione socialdemocratica, venendole a mancare quelli degli alleati. In un’intervista al Passauer Neue Presse, Patrick Doering, segretario generale del partito liberale, ha spiegato che la Grecia potrebbe ritrovare una certa competitività fuori dall’euro. Dello stesso parere è un altro liberale, Philipp Roesier, vice cancelliere e ministro dell’economia. Alcuni esponenti della Csu (versione bavarese della Cdu di Angela Merkel) suggeriscono che i greci comincino già a pagare almeno in parte gli stipendi dei funzionari con le dracme rimaste nella Banca centrale. In sostanza a compiere un passo decisivo fuori dall’euro.
Ma cerchiamo di tradurre in qualche cifra significativa i lillipuziani insediatisi sul grande corpo del nostro Gulliver, al punto da ridurre la sua libertà di movimento. Sono cifre che spiegano perché Moody’s, giudicandole un rischio, minaccia di togliere alla Germania almeno una delle tre preziose “A” che distinguono i primi della classe, stando ai criteri dell’agenzia di rating americana. L’aiuto alla zona euro aumenterebbe il debito sovrano tedesco (oggi di 83,5% del Pil) di 12-14 punti. La Germania contribuisce per il 27,1 % ai meccanismi di solidarietà, vale a dire che è impegnata per circa 320 miliardi. E ancora le banche tedesche detengono più di 273 miliardi di euro in obbligazioni. Senza contare i crediti della Bundesbank, sempre con i Paesi membri dell’eurozona.
È una rapida contabilità che rivela come i lillipuziani siano invadenti. Ma se Gulliver tentasse di scrollarseli di dosso pagherebbe un prezzo molto più caro. Si calcola che il fallimento della zona euro costerebbe alla Germania almeno il 10% del suo Pil. Oltre all’incalcolabile prezzo politico e storico. Un grande dramma economico e finanziario è anche una tragedia umana non traducibile in cifre. Come del resto un approssimativo numero di miliardi non è convertibile in lillipuziani. Un vecchio cancelliere in pensione, Helmut Kohl, che una ventina d’anni fa scoprì sotto le macerie del comunismo Angela Merkel, continua a ripetere in questi giorni che ci vuole più coraggio e meno contabilità.

La Repubblica 26.07.12

"La carica degli aspiranti precari", di Raffaello Masci

Cercate di entrare per la porta stretta» dice il Vangelo di Matteo (7,13), e uno pensa a quella del Paradiso. Ma c’è una porta ancora più stretta, ed è quella della scuola, eppure sono in tanti a bussare, pur sapendo che quella porta – a differenza di quella del Paradiso, si spera forse non si aprirà mai.
130 mila italiani, in grande maggioranza non più giovanissimi, quasi sempre delusi e qualche volta anche depressi, stanno rimettendo piede in questi giorni nelle università perché, dopo aver tentato una o più strade professionali, hanno deciso di percorrere quella più tradizionale per i laureati italiani: l’insegnamento. E il primo step su questa inerpicata via è il test per il Tfa: già la sigla – sibillina spaventa, figurarsi la sostanza.

Per capire la cosa, occorre tornare ai tempi di Mariastella Gelmini, la quale aveva previsto che per diventare insegnante non fosse più adeguato il vecchio corso di abilitazione, ma fosse meglio fare un tirocinio formativo attivo (un Tfa appunto), cioè un anno di formazione, organizzato dalle università, con un esame finale abilitante. Sia chiaro: chi supera l’esame non vince niente e non ha alcun posto, ha solo i numeri per partecipare ad un concorso se e quando ci sarà.

I Tfa si tengono quest’anno per la prima volta e i posti disponibili sono poco più di 20 mila (4.272 per le medie e 15.792 per le superiori). Le domande arrivate sono invece oltre 176 mila, relative a 130 mila persone (molte concorrono per più classi d’insegnamento) quindi occorre fare una selezione con i test: 60 domande a risposta multipla. Si è iniziato il 6 luglio, ogni giorno una o più classi di insegnamento (cioè gruppi di materie affidate allo stesso docente: per esempio italiano e latino, matematica e fisica, ecc.) e si finisce questa settimana.

Dato che superare la prova test non è uno scherzo, «La tecnica della scuola», una storica rivista di settore, ha allestito al prezzo di 99 euro un corso per prepararsi al test, ma se uno vuole solo esercitarsi sulle domande, il sito della rivista propone 50 domande random pescate su una base di 600, e l’esercitazione costa 9 euro e 90.

I test sono una novità varata quest’anno con tutti i problemi del caso. E le proteste sono venute a cascata: troppo nozionistici, domande trabocchetto, stranezze, come quella che ha già fatto il giro del web e che si riferiva al test per gli aspiranti docenti di filosofia e chiedeva informazioni su Amafinio. Chi era costui? Molti non lo sapevano e su 4 mila aspiranti i promossi sono stati 141.

Il ministero – preso in contropiede non ha declinato le sue responsabilità, ma ha fatto sapere che commissioni e test erano stati decisi già nell’agosto scorso dall’ancien régime. Ovviamente si provvederà, anzi: si sta provvedendo. Per intanto l’andazzo è quello che è, e davanti alle università stazionano folle di ex ragazzi che solo per fare il test hanno pagato una cifra tra i 100 e i 150 euro a seconda della sede, mentre il tirocinio costa tra i 2100 euro di Bergamo e i 3 mila dell’Aquila, in media 2.500.

«E per fare che cosa poi? – commenta il segretario della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo – Nella scuola non ci sono concorsi perchè non ci sono più posti. 21 mila persone vanno in pensione ogni anno, ma vengono rimpiazzate dai soprannumerari che hanno perso posto e la platea si riduce a 15 mila».

Uno dirà: dopo il Tfa si punterà a quei 15 mila posti. «Macché – conclude Pantaleo – se ci sono 240 mila abilitati nelle graduatorie a esaurimento».

La Stampa 26.07.12

"La strada obbligata delle dimissioni", di Gad Lerner

MA CHE gli è preso a Roberto Formigoni? Pareva in preda a ebbrezza da perdizione ieri sera mentre tirava sciabolate ai direttori dei “giornaloni” e ai “gazzettieri della Procura di Milano”, colpevoli di anticipare da mesi l’ovvio e il risaputo, cioè che da governatore della Regione Lombardia ha favorito l’arricchimento dei suoi amici, traendone vantaggi politici e materiali. Ora che la Procura di Milano quantifica in 8,5 milioni di euro la percentuale della corruzione transitata in circuiti esteri per depositarsi infine nel suo tornaconto di uomo di potere, Formigoni ci offre un esempio da manuale: la politica-spettacolo che si ritorce contro il suo artefice. Sarcastico, gradasso, compiaciuto nel presentarsi solo contro tutti, è come se confidasse in un popolo che se le beve tutte: basta che ti mostri forte. E magari ti fai accompagnare da un sottomesso vicepresidente leghista, Andrea Gibelli, che aspira all’incarico di reggente quando — ormai è chiaro — il Celeste dovrà rassegnare le dimissioni.
Da tempo la manfrina del leader popolare contrapposto ai poteri forti non incanta più neanche i militanti di Comunione e Liberazione, offesi dalla modalità arrogante con cui Formigoni ha calpestato il voto di povertà, che è un voto molto più impegnativo di quelli in cui il Celeste si autoproclama primatista. Con certi valori non si scherza; e se la presenza cristiana organizzata in Lombardia genera i Grossi, i Daccò, i Simone, ma anche un don Verzè che voleva rivaleggiare con don Giussani sul terreno della spiritualità dopo averlo anticipato nel rifornimento di sterco del diavolo, solo un Formigoni obnubilato dal suo isolamento può sostenere ancora: “Qui la corruzione la ghè minga”.
Vorrei potergli attribuire la buona fede. Ma come si fa? Formigoni dall’aprile scorso va urlando tutto e il contrario di tutto. Fino a ieri mattina si dichiarava arcisicuro nei suoi tweet sempre ricolmi di enfasi che la Procura di Milano non l’avrebbe indagato affatto. Ma lo sapeva benissimo che i faccendieri suoi amici, anche volendo, non potevano spiegare i propri illeciti guadagni se non attraverso l’ostentazione del rapporto privilegiato con lui. Stiamo parlando di decine di milioni finiti nelle tasche di chissà chi e, nel caso del San Raffaele, di un crac miliardario. Ma a Formigoni basta ripetere il mantra “dov’è la prova della mia corruzione?”, per definire più grave della sua vicenda il rinvio a giudizio del presidente pugliese Vendola, imputato di favoritismo nella carriera di un primario.
“Dov’è l’atto corruttivo?”, si chiede con aria di sfida Formigoni. Per poi liquidare come “deriva voyeuristica e gossipara” la lista dei vantaggi goduti nel rapporto con i faccendieri suoi fidi. Culminati nello sconto di quattro milioni sul valore reale di una villa in Costa Smeralda per l’acquisto della quale Formigoni presta i suoi cospicui risparmi al coinquilino Alberto Perego, alla faccia del voto di povertà. E poi pretende anche che ce la beviamo.
C’è un solo tratto di verità nella maschera di stupore che ieri Formigoni ha indossato di fronte ai giornalisti: il potere lombardo che si prolunga dal 1995 fino ad oggi — con il consenso degli elettori che non può certo essere chiamato a giustificazione dei favoritismi, della corruzione, delle firme false e delle Minetti in lista — si era trasformato in abitudine. La concorrenza nel settore sanitario, così come nelle infrastrutture o nella formazione professionale, certo preferiva trattare una quota di riparazione piuttosto che arrischiare denunce pubbliche del sistema. Tutto avveniva alla luce del sole, è proprio vero. E Formigoni contava di trarne benefici politici considerando marginali, anche se dovuti, i benefici di natura economica.
A sorreggere per qualche settimana ancora il Pirellone gravato di dodici consiglieri sottoposti a inchiesta su ottanta, è la convenienza spicciola di una Lega Nord che vede nella Regione Lombardia il pegno di ogni possibile scambio futuro con il Pdl. Un progetto al quale Formigoni risulta inservibile, ormai. Facendo la voce grossa spera di ritardare il momento della resa dei conti che lo taglierà fuori. Altro che le dimissioni della Minetti, il cui assistente (pagato da noi tutti) nei giorni scorsi ha depositato presso l’Ufficio brevetti del Ministero dello Sviluppo economico il marchio “Bunga Bunga Condom” per la distribuzione di profilattici. Almeno lì c’è della coerenza. In Formigoni neanche quella.

La Repubblica 26.07.12

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Il suo tempo è finito, si deve dimettere, intervista a Pippo Civati

Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd, dopo la conferma dell’avviso di garanzia a Roberto Formigoni invita il governatore a dimettersi: «Ormai è alla fine, il velo si è squarciato. Anche stavolta è riuscito a non rispondere».
Formigoni, però, dice che non è successo nulla di nuovo.
«È riuscito a non rispondere nemmeno questa volta. Le accuse che gli sono state rivolte sono
molto significative. Per dirla con una battuta anche noi del Pd non cadiamo certo oggi dalla sedia».
Perché?
«Prima sosteneva che non era nemmeno indagato. Poi che forse lo era, ma che i giornalisti non dicono mai la verità. Adesso che è vero sostiene che lui non è stato rinviato a giudizio come invece stato chiesto per Nichi Vendola. Il fatto che Formigoni abbia gli stessi problemi degli altri non risolve
il suo».
L’avviso di garanzia ha squarciato un velo?
«Per me si era già squarciato anche prima, il suo tempo è finito. Anche nel reato che gli è stato contestato Formigoni è riuscito ad essere eccellente, ma non virtuoso. Lui resisterà, la Lega lancerà il solito preultimatum».
Lei è pronto a raccogliere la sfida?
«Io sono pronto, ma dobbiamo
esserlo tutti. Vorrei che il mio partito si facesse carico del tema della Lombardia a livello nazionale. Chiedo al mio segretario Bersani di chiarire il quadro politico. Esca dall’ambiguità, deve convocare le primarie e insieme a quelle per scegliere il candidato per la Lombardia. Fissi i limiti forti di una coalizione e faccia delle proposte per governare la Lombardia».
(a. m.)

La repubblica 26.07.12