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"Bologna: fare impresa in carcere, la sfida dei reclusi della Dozza", di Giuliana Sias – Pagina 99 18.10.14

Esiste un’azienda, in Italia, nella quale metà dei dipendenti mette a disposizione la propria esperienza, l’altra metà tutta la volontà di cui è capace, in uno scambio generazionale che per dirla con Gramsci è in grado di produrre immense cattedrali e non semplici soffitte.

Un’azienda nella quale l’unico sciopero delle lancette è quello che si consuma nel fine settimana – improduttivo, alido, lento. “Da quando è iniziata questa esperienza di lavoro”, spiega Mirko, “il sabato e la domenica non passano più. Giù in officina fai mille cose, prendi il tuo utensile, te lo monti, qualcosa la fai sempre. Una vite sembra una stupidaggine, ma una vite contiene mille informazioni”.
Quest’azienda, fatta di viti e di vite, sorge nella cosiddetta “Packaging Valley”, tra l’Emilia e il resto del mondo. Quel gran pezzo d’Italia che ospita circa l’80% delle aziende nostrane che producono macchinari per l’imballaggio (scatole, blister, confezioni) per i più importanti marchi internazionali. Sigarette, alimenti, bibite, cosmetici e farmaci – che siano firmati L’Oréal, Twinings oppure Nestlé – vengono impacchettati da queste parti, nel distretto bolognese che non conosce la crisi e che, anzi, in piena recessione investe contemporaneamente sia nel sociale che in formazione. Quella di alcuni detenuti del carcere della Dozza.
Il FiD (Fare Impresa in Dozza) nasce ufficialmente nel 2012 e rappresenta un’esperienza unica in Italia. L’impresa sorge infatti all’interno delle mura della Casa Circondariale di Bologna dove improvvisamente una palestra si è scoperta officina, tredici detenuti hanno potuto imparare il mestiere grazie all’aiuto di altrettanti tutor (ex operai ormai in pensione) ed essere assunti a tempo indeterminato firmando un contratto da metalmeccanici. Si tratta di una “opportunità di lavoro stabile e duraturo”, si legge nell’atto costitutivo dell’azienda, “recuperabile nella vita successiva al compimento del periodo detentivo”. E infatti nel progetto non vengono coinvolti ergastolani. “Sentivo i miei nonni, mio padre, che lavoravano anche quindici ore al giorno in fabbrica”, racconta Roberto, uno degli operai, “per me la fabbrica era un posto simile all’inferno. Mi son dovuto ricredere con il pensiero che io avevo un tempo che chi andava a lavorare in fabbrica era un cretino perché c’era una vita sola e io magari in un’ora guadagnavo quello che loro prendevamo in una vita normale”.
Nella vita normale Roberto e i suoi colleghi lavorano 30 ore la settimana, cinque giorni su sette. Rispetto a qualsiasi altra azienda – spiega Aldo Gori, impiegato nel settore per 38 anni, da tredici in pensione – gli orari sono tassativi e così, che il lavoro sia finito o meno, alle 16 si smonta: “Alle quattro meno cinque arrivano le guardie e dicono “Qui si chiude”, e noi dobbiamo uscire”. Gori è stato chiamato, come dice lui, “a dare gamba a questo progetto”. In un primo momento assieme agli altri tutor ha tenuto un corso di 400 ore durante il quale “abbiamo insegnato a questi ragazzi Tabe della meccanica”. Poi è iniziato il lavoro vero e proprio nell’officina.
“Certi mi dicono ma non hai paura? Paura di chi?, rispondo io, ho più paura a girare per strada. Queste sono persone che non hanno alcun interesse a fare cose maldestre, capiscono perfettamente che questa è una chance che non possono perdere”.
Gori e gli altri insegnano, danno consigli e suggerimenti, due pomeriggi la settimana, a rotazione. “Quelle con le quali collaboro non sono persone innocenti, un guaio per essere lì lo hanno combinato di sicuro, eppure nonostante siano già due anni che ci conosciamo, ogni volta che arrivo mi stringono la mano e mi chiedono come sto. Tra noi si è creato un legame diverso, di vicinanza, che di solito non si crea nei luoghi di lavoro”.
E così, dopo una prima fase di reciproche e umane diffidenze tra sconosciuti, si assemblano in contemporanea macchinari per il packaging e meccaniche divine: “Certe volte nei confronti di un carcerato si è prevenuti ma noi tutor all’inizio ci siamo detti: “Arriviamo lì e gli facciamo sentire che sono come noi, che questo è un modo per riscattare le loro esistenze, senza fargli pesare in nessun modo che hanno combinato un pasticcio””.
I tutor svelano ai ragazzi i trucchi del mestiere, ovvero come si lavora per un settore altamente specializzato in un rapporto fatto di reciprocità e nuovi inizi. “E un’esperienza molto bella e coinvolgente”, racconta Valerio Monteventi che nell’ambito del FiD ha il compito di coordinare il lavoro di detenuti e tutor e facilitare i loro rapporti: “In sostanza mi occupo più della parte sociale che di quella produttiva”.
Perché scopo del progetto è anche quello del reinserimento e infatti, prosegue Monte-venti, “cerco sempre di favorire la collaborazione, il lavoro collettivo, per squadre, e quasi quotidianamente fissiamo dei momenti di riunione durante i quali ci confrontiamo sui problemi legati alla produzione”. Finora cinque operai che avevano aderito al progetto nel 2012 sono usciti dal carcere e sono stati assunti in aziende esterne. Il loro posto è stato preso da altri detenuti in lista d’attesa.
L’idea di creare un’azienda in carcere è dell’avvocato Minguzzi, docente di diritto commerciale dell’Alma Ma-ter di Bologna, che si è poi rivolto alla Fondazione Aldini Valeriani (quella dell’istituto industriale “per arti e mestieri” che nel capoluogo sforna tecnici dal 1878) e a tre giganti della packaging valley emiliana: Marchesini Group, GD e Ima, tre colossi del mondo della meccanica automatizzata che, assieme danno non poco filo da torcere ai principali big player tedeschi. Un’impresa audace di questi tempi?
“La verità è che non c’è mai un buon momento per fare le cose difficili”, risponde Maurizio Marchesini, presidente dell’omonimo gruppo bolognese e di Confindustria Emilia-Romagna, “se aspetti il momento più favorevole rischi di non partire”. Le aziende che finanziano il FiD non hanno pressoché risentito della crisi che in questi anni ha messo in ginocchio il tessuto produttivo italiano perché – spiega ancora Marchesini – “esportiamo tutte tra l’87 e il 95% del nostro fatturato”.
Lungo la via Emilia non esistono segni meno né disoccupazione e la concorrenza mondiale (cinese, ma soprattutto tedesca) viene tenuta a bada a furia di flessibilità e innovazione. Immuni all’inquietudine dei mercati, la scommessa sui detenuti della Bozza deriva dalla volontà di misurarsi in maniera inedita con una situazione “complicatissima” come può essere quella del carcere: “Noi siamo degli innovatori”, spiega il numero uno degli industriali emiliano romagnoli, “era giusto innovarsi anche da un punto di vista sociale”.
E così i tre gruppi leader del packaging italiano hanno deciso di unire le forze per investire sui carcerati, nell’ambito di una sfida che si spera verrà replicata anche altrove. Una storia di capitani coraggiosi, questa, che però non deve trarre in inganno. Schiacciata tra il terremoto del 2012 e un mercato interno fortemente depresso, infatti, la fotografia scattata da Marchesini è quella di un’Emilia Romagna in bianco e nero: “Ci sono aziende o interi comparti che vanno bene ma chi non può contare sulle nostre percentuali di export oppure opera nel settore dell’edilizia va malissimo”. Anche se la regione si conferma locomotiva d’Italia (a trainare sono appunto packaging e ceramiche) con le esportazioni che crescono del 5,8% mentre nel resto del Paese si fermano al 3,% (dati del Servizio studi di Intesa Sanpaolo).
In un contesto europeo in cui a vari livelli regnano le doppie velocità, gli occhi sono puntati soprattutto sulla Germania, che assieme all’Italia è uno dei Paesi a più alto grado di manifattura: “Tutto sommato”, commenta Marchesini, “soffrono i nostri stessi problemi, a partire dalla forte preoccupazione per i costi dell’energia, che comunque ammontano al 20-30% in meno rispetto a quelli che dobbiamo sostenere noi”. Posto che, certo, tra burocrazia, fisco e logistica, i freni posti alla ricrescita italiana non hanno rivali: “Quando parliamo con i nostri colleghi d’Oltralpe dei tempi che occorrono per ottenere i permessi per la costruzione di stabilimenti rimangono allibiti. Certe volte mi domando: chissà se i tedeschi riuscirebbero a fare impresa in Italia”.

Un detenuti su quattro ha un lavoro, pochi in un’azienda

In Italia i detenuti che lavorano sono 14.099, vale a dire il 24,2% delle 54.195 persone oggi recluse. Secondo le ultime statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), aggiornate a giugno di quest’anno, la maggior parte lavora proprio alle dipendenze del Dap (11.735 detenuti, pari all’83,2% dei lavoranti), mentre solo una piccola minoranza (2.364, il 16,7%) è impiegata presso cooperative e aziende esterne che, almeno in linea teorica, possono dare loro una chance di reinserimento.
Di questa minoranza, 728 detenuti che godono della semilibertà lavorano all’esterno del carcere (701 per conto di imprese, gli altri in proprio) mentre altri 760 lavorano in carcere per conto di cooperative e altri 254 per altri tipi di imprese.
Al 30 settembre 2014 nei 203 istituti di pena italiani erano presenti 54.195 reclusi, di cui 17-552 stranieri e 2.335 donne. Il Dap stima una capienza massima regolamentare di 49.347 detenuti. Secondo altre fonti, tra cui i Radicali italiani, il numero effettivo di posti letto è tuttavia di appena 37 mila, perché molte strutture penitenziarie sono ancora inagibili e il piano carceri non è stato completato.
Di recente il Guardasigilli Andrea Orlando ha ricordato che nella riforma della giustizia del governo Renzi “c’è anche una delega sul sistema carcerario”. Riforma che il ministro vorrebbe far precedere dalla convocazione di “Stati Generali, che affrontino e studino questo delicato tema non solo con gli operatori del mondo carcerario”.
Il titolare del ministero di via Arenula ha spiegato, al riguardo, che gli Stati Generali sulla riforma del sistema penitenziario avranno tra i protagonisti “non solo gli operatori”, ma anche il variegato mondo del volontariato carcerario che ha consentito di “tamponare la gravissima situazione legata al sovraffollamento carcerario”.

 

"Il reato di autoriciclaggio e la collaborazione volontaria" – deputatiPd.it 17.10.14

AutoriciclaggioSlider

La Camera ha approvato in prima lettura la proposta di legge che introduce disposizioni per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, nonché la nuova fattispecie del reato di “auto-riciclaggio”. In base a questa nuova previsione, sarà punibile anche chi, avendo commesso, o concorso a commettere, un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale reato, e non più – come accade invece oggi – soltanto il terzo che fa da intermediario. La stessa proposta introduce anche una procedura per regolarizzare i capitali nascosti detenuti da cittadini e imprese italiani: la “collaborazione volontaria” (o voluntary disclosure). Va sottolineato che non si tratta di un condono. Non è una versione aggiornata degli scudi fiscali del passato ma si tratta di una procedura che sta dentro le migliori pratiche internazionali, (raccomandata dall’OCSE e adottata in altri importanti Paesi europei come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna). Rispetto ai provvedimenti del passato non c’è anonimato e non si paga con una percentuale a forfait: il contribuente è tenuto comunque ad autodenunciarsi presso l’Agenzia delle entrate e, quindi, a pagare le imposte evase, gli interessi e le sanzioni (anche se queste ultime in forma ridotta).

"Cronache emiliane d'epica geografia artistica", di Vasco Brondi – Pagina 99 16.10.14

Lungo lo stradone una fila di negozi con tutti i sacramenti moderni, e donne che vanno a far la spesa pedalando come se il tempo per loro non avesse peso. Una chiesetta in stile gotico d’epoca fascista, fioriture di antenne televisive sui tetti, e anche qui quel tono da vita nelle riserve. È un po’ come essere sotto il livello standard del progetto finanziario di vita universale Gianni Celati, Verso la foce

 Mi sono accorto all’improvviso di vivere in Emilia attraverso le cose che leggevo, le canzoni che ascoltavo, i film che guardavo. Sono cresciuto a Ferrara e sembrava normale tutta quella pianura attorno, il fiume enorme vicino alla città, l’accento, la simpatia, le lamentele, il dialetto, le strade strette, i campi arati, i cieli bianchi, i paesaggi geometrici, le bestemmie, le preghiere, il silenzio di mattina, di pomeriggio e di sera. Probabilmente da piccolo credevo che tutto il mondo fosse più o meno così. La mia cartina geografica dell’Emilia è stata disegnata dai libri, dai dischi e dai film che rendevano protagonisti quei posti che sembravano anonimi, sembravano luoghi in cui niente sarebbe potuto succedere.

Mi hanno fatto scoprire il posto in cui vivevo e da cui volevo ovviamente andarmene in fretta. Forse davvero non c’è niente di speciale, solo ottimi raccontatori che hanno reso epici dei posti minuscoli. Come quando ho sentito una canzone di Lucio Dalla che diceva Tra Ferrara e la luna e non ci potevo credere. Tutte queste opere sono state per me come un libretto d’istruzioni scritto in modo poetico. Piazza Verdi e la coda per la mensa dell’università di Bologna disegnata da Pazienza in Pentothal. Le mitiche avventure del Posto Ristoro, il bar vicino alla stazione di Correggio descritto da Tondelli in Altri libertini. Le case misere ma fiere abbandonate in mezzo alla campagna e fotografate da Ghirri. Il diario allegro e disperato del viaggio a piedi sull’argine del Po scritto da Celati. Una passeggiata sulle mura di Ferrara in un inverno del 1944 descritta da Bassani che potrebbe essere dell’inverno scorso o del prossimo inverno. Ferrara sempre identica in bianco e nero nel 1950 nel primo film di Antonioni e a colori nel 1995 nel suo ultimo film. Zavattini che torna da Roma per stare un mese nel suo paesino d’origine, Luzzara, pernottando in una casa del centro e nell’appartamento di sopra sentiva un bambino piangere e la madre che si svegliava e lo raggiungeva camminando sui talloni perché il pavimento era gelato.

Ho fatto viaggi di pochi chilometri nei posti meno turistici del mondo e mi sono sembrati bellissimi, cercando i luoghi che leggevo sui libri. Posti insignificanti diventavano leggendari. I Cccp che dicevano «Non a Berlino ma a Carpi» e io non capivo niente e con un mio amico abbiamo preso un paio di treni a sedici anni e siamo andati a Carpi a vedere cosa c’era se la consideravano addirittura meglio di Berlino. Abbiamo trovato una piazza enorme deserta, tantissima gente normalissima, nessuno vestito come noi ma ci è piaciuta comunque. Forse alla fine abbiamo capito che più o meno era come stare a Ferrara e allora ci è venuto il dubbio che intendessero che i nostri posti andavano benissimo e che anche lì i desideri si possono realizzare. Ho incontrato Massimo Zamboni dei Cccp qualche giorno fa per uno spettacolo che abbiamo fatto assieme. Dice che gli sembra incredibile la traccia che hanno lasciato i Cccp e quello che tutti si immaginano «quando noi – mi ha detto – stavamo in piedi per miracolo». E ho pensato che i miracoli sono importanti.

Una volta sono andato in macchina a Canolo, la frazione del comune di Correggio dove sorge in mezzo ai campi un piccolo cimitero quadrato, una specie di fortino, splendido. Ho parcheggiato lì davanti, c’ero solo io. Seguendo il portico a destra, in fondo in alto ho trovato la lapide di Pier Vittorio Tondelli con una foto che non avevo mai visto, sullo sfondo dietro di lui dei graffiti, non mi ricordo che espressione avesse, credo sorridesse perché mi aveva reso felice. Per qualche strano motivo mi si stringe ancora la gola quando ripenso a uno scritto di un amico di Tondelli andato a trovarlo in ospedale in uno degli ultimi giorni della sua vita. Tondelli sentendosi chiedere come stava rispondeva «infinitamente triste». E poi diceva di non avere lavorato abbastanza e che sarebbe passato alla storia come uno scrittore emiliano minore. Invece con i suoi libri mi ha cambiato la vita.

Sono stato a Gualtieri, il paesino dove ha vissuto e disegnato Ligabue, pioveva e nella piazza il museo che ospita i suoi quadri era chiuso per i danni causati dal terremoto, in piazza solo un signore anziano seduto con l’ombrello aperto su una panchina e due operai maghrebini che lavoravano in una casa che affaccia sull’argine e poi sempre affacciato sull’argine l’unico negozio aperto, un kebabbaro. Chi ci avrebbe mai pensato.

Anche quando il comune ha messo una targa sulla casa in cui è cresciuto Antonioni a Ferrara pioveva. La casa adesso è appena fuori dal centro, mentre prima, racconta Celati, in quel punto si era praticamente in mezzo a un bosco. Scrive Wim Wenders nel suo diario delle riprese di Al di là delle nuvole, l’ultimo film di Antonioni di cui Wenders era tecnicamente co-regista, che Ferrara era una delle pochissime parole che Antonioni riusciva ancora a dire non essendo più in grado di parlare a causa della malattia. Wenders vedendosi tagliare nel montaggio finale tutte le scene girate in città e chiedendo spiegazioni ad Antonioni questo gli rispondeva semplicemente Ferrara e indicava verso di sé, per dire che Ferrara era sua e poteva riprenderla solo lui. Antonioni che scriveva: «Il resto è nebbia. Ci sono abituato. A quella che circonda le nostre fantasticherie e a quella di Ferrara. Qui, d’inverno, quando scendeva mi piaceva camminare per le strade. Era il solo momento in cui potevo pensare d’essere altrove».

A Ferrara ancora adesso cammino nelle strade descritte da Bassani, passo davanti al vecchio carcere dove durante il fascismo era finito anche lui ma diceva che si era trovato molto bene, che in quegli anni in carcere c’era anche della gente bellissima.

Sono riuscito a incontrare Gianni Celati ma non gli ho detto che grazie al suo libro Verso la foce ho fatto uno dei viaggi più belli che mi sia capitato andando in bicicletta per cento chilometri dal centro di Ferrara fino a Goro, la foce del Po, procedendo sempre dritto, scendendo dall’argine solo per prendere qualcosa da bere in un bar. Vedere all’improvviso che comparivano in cielo i gabbiani. Trovare nel piccolo porto di Goro quello che credevo fosse un bar, perché c’erano davanti seduti una decina di anziani che parlavano e giocavano a carte, invece entrando nel chiosco mi sono accorto che dentro c’erano solo macchinette automatiche ma che era comunque un luogo di incontro.

Un giorno in una lunga deviazione nella strada che faccio spesso da Ferrara a Milano ho trovato la casa di Luigi Ghirri a Roncocesi, la casa in cui ha vissuto gli ultimi anni, quella fotografata da lui con la neve davanti e per terra la traccia di ruote. Anche quando ho cercato quella casa sembrava stesse per nevicare e non sono sicuro di averla trovata, si somigliavano tutte. Ripensavo a Ghirri che scrive che Zavattini scrive che la malinconia è originaria del Po, che altrove si tratta di imitazioni.

Parlamentari Pd “In Sblocca Italia novità per le aree terremotate” – comunicato stampa 15.10.14

Approvato nella notte dalla Commissione Ambiente della Camera l’emendamento depositato dalla relatrice al dl Sblocca Italia Chiara Braga che prevede la proroga dello stato di emergenza fino al dicembre 2015 e congiuntamente la possibilità per i Comuni terremotati di fare assunzioni di personale per il disbrigo delle pratiche. “Si tratta di una risposta concreta ad esigenze pressanti espresse dal territorio” spiegano i deputati modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni.

 

 Erano nell’elenco delle richieste che gli amministratori dell’Area Nord della nostra provincia avevano idealmente consegnato al presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso della sua recente visita in un’azienda di Medolla: prorogare lo stato di emergenza e consentire ai Comuni terremotati di fare assunzioni di personale per il disbrigo delle pratiche. Esigenze accolte nell’emendamento della relatrice al Decreto legge Sblocca Italia Chiara Braga, approvato nella notte dalla Commissione Ambiente della Camera. “Si tratta di una risposta concreta ad esigenze pressanti espresse dal territorio – spiegano i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni – Con questi provvedimenti si garantisce la piena operatività della macchina della ricostruzione: si prevedono la proroga al 31 dicembre 2015 dello stato di emergenza per le zone colpite dal sisma del 2012, con la conseguente possibilità di utilizzare 50 milioni di euro nel biennio 2016-2017 dal Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, e la proroga, per gli stessi anni, della possibilità per i Comuni terremotati di fare assunzioni di personale con contratti di lavoro flessibile. Il passaggio alla gestione ordinaria, infatti, avrebbe comportato un rallentamento proprio nel momento in cui è necessario il massimo impegno. Si tiene, inoltre, conto delle necessità di coloro che non sono ancora potuti rientrare nelle proprie abitazioni e si garantisce continuità ai rapporti di lavoro a tempo determinato o con contratto di somministrazione attivati a sostegno del lavoro del commissario straordinario”.

"Alla ricerca del bando perduto", di Manuela Ghizzoni

Oggi ho presentato una interrogazione al Ministero dell’università per conoscere i motivi del ritardo che coinvolge il bando SIR 2014 (Scientific Independence of young Researchers), destinato a sostenere i giovani ricercatori nella fase di avvio della propria attività di ricerca indipendente. Si tratta di un bando che porta in dote 47,2 milioni di euro; ma si tratta soprattutto dell’UNICO finanziamento in favore della ricerca di base, poichè per il 2014 i fondi PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale) e i FIRB (Fondo Investimenti nella Ricerca di Base) sono azzerati.
Il termine per la presentazione dei progetti da parte dei giovani ricercatori è scaduto nel lontano marzo 2014. Ma ad oggi – per le ragioni che troverete descritte nel testo dell’interrogazione in calce – non è stata avviata nemmeno la fase prima fase di valutazione. E siamo a metà ottobre. Di questo passo i finanziamenti andranno a residuo e quindi saranno riassegnati da parte del ministero dell’Economia a quello dell’università dopo una lunga trafila (probabilmente a metà 2015). La gara per la competitività è persa in partenza.

Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca

Premesso che:
– Con decreto direttoriale n. 197 del 23 gennaio 2014 il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha bandito il programma SIR 2014 (Scientific Independence of young Researchers) destinato a sostenere i giovani ricercatori nella fase di avvio della propria attività di ricerca indipendente, prendendo come modello l’analogo programma “Starting Grants” bandito dall’European Research Council (ERC) e assorbendo il precedente programma FIR (Futuro in Ricerca) bandito con fondi FIRB (Fondo Investimenti nella Ricerca di Base);
– Il programma SIR 2014 rendeva disponibili 47,2 milioni di euro a valere sul Fondo Investimenti Ricerca Scientifica e Tecnologica (FIRST), istituito dall’articolo 1, comma 870, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, di cui fanno parte, tra gli altri, anche i fondi FIRB e PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale);
– Il decreto direttoriale n. 197 affidava la procedura di valutazione dei progetti presentati per il SIR 2014 a tre comitati di selezione (CdS), uno per ognuno dei tre macrosettori ERC (Scienze della vita, Scienze fisiche e ingegneria, Scienze sociali e umanistiche), formati ciascuno da 3 componenti designati dal Consiglio Nazionale dei Garanti per la Ricerca (CNGR) all’interno di rose di 9 nominativi proposte dal consiglio scientifico dell’ERC;
– Solo un mese dopo l’emanazione del bando, per l’esattezza con la nota n. 233 del 25 febbraio 2014, il Ministero interpellò l’ERC per avere le rose di nominativi previste dal bando ma la risposta formale negativa dell’ERC sembra sia pervenuta solo il 16 luglio 2014;
– Con decreto direttoriale n. 2687 del 15 settembre 2014 è stato allora modificato il bando SIR affidando la designazione dei componenti dei tre CdS al Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca (CNGR) e ampliandone il numero da 3 per ogni macrosettore ERC a ben 18 per le Scienze della vita, 20 per le scienze fisiche e l’ingegneria, 12 per le scienze sociali e umanistiche;
– La designazione dei componenti dei CdS sarà effettuata dal CNGR scegliendo due nominativi per ogni settore ERC ricompreso nel macrosettore in rose di sette nominativi prodotte mediante sorteggio sulle liste di esperti già disponibili presso il Ministero;
– Il medesimo decreto n. 2687 prescrive che i nominativi dei componenti dei CdS così designati non saranno resi pubblici sino a valutazione conclusa e che la valutazione dei singoli progetti presentati avvenga mediante pareri richiesti a tre revisori esterni anonimi per ogni progetto scelti dai CdS;
Premesso altresì che:
– Il CNGR, istituito dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è composto da sette membri ed è stato costituito per la prima volta con il decreto ministeriale del 27 aprile 2012 nelle persone dei professori Vincenzo Barone, Angelos Chaniotis, Anna Maria Colao, Daniela Cocchi, Claudio Franchini, Alberto Sangiovanni Vincentelli e Francesco Sette;
– La legge istitutiva stabilisce (art. 21, c. 4 e c. 5) che il mandato dei componenti del CNGR è triennale e non può essere immediatamente ripetuto una seconda volta; stabilisce inoltre che, in sede di prima applicazione, due dei componenti, individuati per sorteggio, abbiano un mandato ridotto a un biennio;
– Quindi, essendo decorso già un biennio dalla nomina, due dei componenti del CNGR dovrebbero essere già decaduti dal Comitato;
– Dal sito del CNGR è praticamente impossibile ricavare informazioni significative sulla situazione e sull’attività del Comitato;
Considerato che:
– Alla data di scadenza della presentazione dei progetti, fissata per il 13 marzo 2014, erano stati presentati oltre cinquemila progetti di ricerca di giovani ricercatori;
– La somma stanziata per il bando SIR era l’unica disponibile nel 2014 per finanziare la ricerca pubblica e liberamente proposta dai ricercatori di ogni disciplina, essendo purtroppo azzerate le disponibilità per i PRIN e per i FIRB;
– L’attesa per i risultati del bando SIR è di conseguenza molto forte tra i giovani ricercatori e nelle università ed enti pubblici di ricerca, come mostrano anche gli interventi e i blog apparsi nel frattempo sulla rete, come ad esempio quelli di Luisa M. Paternicò apparsi sul sito www.roars.it l’1 agosto 2014 (http://www.roars.it/online/siamo-ancora-senzairevisori/) e il 6 ottobre 2014 (http://www.roars.it/online/che-fine-hanno-fatto-i-progetti-sir-vi-spieghiamo-perche-sono-in-ritardo/);
Per sapere:
– Quali siano le ragioni per un simile ritardo nell’assegnazione di finanziamenti di ricerca, per giunta gli unici disponibili per la ricerca pubblica e libera nel 2014;
– Quando si prevede che possano essere assegnati e resi disponibili i finanziamenti SIR 2014;
– Se il Ministro non ritenga che la nuova procedura di valutazione varata col decreto n. 2687 del 15 settembre 2014 sia eccessivamente farraginosa e possa contribuire a ritardare ancora l’assegnazione dei finanziamenti SIR 2014; in particolare se ritenga formalmente accettabile che i nominativi dei componenti dei CdS siano secretati sino a conclusione della procedura di valutazione;
– Quale sia l’esatta situazione attuale del CNGR e in particolare: se vi siano componenti decaduti dalla carica e chi siano; in caso affermativo, se si sia dato corso alla procedura per la loro sostituzione e con quali modalità; di conseguenza, se l’attuale CNGR può legittimamente svolgere il compito assegnatogli riguardo alla valutazione dei progetti SIR 2014;
– Quali siano le prospettive per i finanziamenti 2015 per la ricerca pubblica e liberamente proposta dai ricercatori in ogni disciplina, tenendo conto che l’avanzamento culturale, scientifico e tecnologico dipende in modo essenziale da questo tipo di ricerca.

Beni culturali, Ghizzoni “Bonus fiscale già da quest’anno” – comunicato stampa 14.10.14

         

 Con la circolare attuativa dell’Agenzia delle entrate, il bonus fiscale per chi investe nel recupero del nostro patrimonio architettonico e culturale è operativo già da questo esercizio finanziario. Ne dà notizia la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni che pensa a questa opportunità come volano per i beni culturali danneggiati dal sisma: “Ora non ci sono più alibi per rinunciare a un’opportunità non solo di risparmio fiscale – dice Manuela Ghizzoni – ma soprattutto di condivisione sociale di un obiettivo fondamentale per una comunità, la tutela del suo patrimonio culturale”.

Già per le erogazioni liberali del 2014 sarà possibile ottenere il 65% di credito d’imposta previsto dal decreto Art bonus. L’Agenzia delle entrate ha, infatti, emanato la relativa circolare attuativa. “Si tratta di una misura fiscale attesa da danni – spiega la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura della Camera – che consente la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale di proprietà pubblica anche attraverso il mecenatismo e che costringe lo Stato a consolidare il proprio investimento come volano di quello dei privati, piccoli e grandi che siano”. Questo provvedimento apre grandi opportunità per la manutenzione e il recupero del patrimonio architettonico nazionale, a partire proprio dalle aree colpite dal sisma del 2012, “Ora non ci sono più alibi per rinunciare a un’opportunità non solo di risparmio fiscale – continua Manuela Ghizzoni – ma soprattutto di condivisione sociale di un obiettivo fondamentale per una comunità, la tutela del suo patrimonio culturale. Penso allo slancio che ne può derivare per la ricostruzione dei tesori pubblici del nostro territorio feriti dal sisma, come per esempio la Torre civica di Novi, la Rocca di San Felice e la Torre dell’orologio a Finale Emilia oppure a quelli che esemplano la nostra storia recente, come l’ex Campo di Fossoli e il Museo Monumento al Deportato politico e razziale di Carpi”. Il decreto Art bonus prevede un regime agevolato, legato agi esercizi finanziari 2014-2016, sotto forma di credito di imposta (nella misura del 65% delle erogazioni effettuate nel 2014 e nel 2015, e del 50% delle erogazioni effettuate nel 2016) per le persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore della cultura e dello spettacolo. In particolare, le erogazioni vanno indirizzate a interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici; al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali); per la realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. “Questo non significa che lo Stato stia abdicando al suo ruolo costituzionale di tutela e salvaguardia del patrimonio storico-artistico e culturale – conclude l’on. Ghizzoni – Semmai è vero il contrario: le donazioni costituiranno non solo un incremento delle risorse statali ma uno sprone concreto affinché queste ultime continuino a crescere. Ora tocca alle Amministrazioni locali, agli enti pubblici e alle amministrazioni periferiche dello Stato fare conoscere e promuovere presso i contribuenti le opere e le attività che necessitano di interventi. Una sorta di “lista delle priorità” su cui indirizzare la scelta sociale, morale ed economica di chi vorrà far del bene alla cultura”.

 

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"Parlamentari Pd “Bene, sisma e Cispadana nello Sblocca Italia” – comunicato stampa 09.10.14

         

Proroga dello stato di emergenza fino al dicembre 2015 e della possibilità per i Comuni terremotati di fare assunzioni di personale per il disbrigo delle pratiche: lo prevede l’emendamento che riguarda le zone del cratere sismico depositato in Commissione Ambiente dalla relatrice al dl Sblocca Italia Chiara Braga. “Si tratta di esigenze pressanti espresse dal territorio – spiegano i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari – che vengono accolte nell’emendamento della relatrice del provvedimento grazie alla virtuosa triangolazione Regione-Governo e Parlamento, già sperimentata con successo anche nel recente passato”. Depositato anche un altro emendamento che stabilisce che lo Stato, in  particolare il Ministero dei trasporti, subentri alla Regione Emilia-Romagna come stazione appaltante nei confronti del concessionario per la realizzazione della Cispadana.  

 

Novità in vista per le zone del cratere sismico e per la realizzazione della Cispadana. La relatrice al dl Sblocca Italia Chiara Braga del Pd ha depositato in Commissione Ambiente della Camera alcuni specifici emendamenti che riguardano il nostro territorio. Si prevedono la proroga al 31 dicembre 2015 dello stato di emergenza per le zone colpite dal sisma del 2012, con la conseguente possibilità di utilizzare 50 milioni di euro nel biennio 2016-2017 dal Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate, e la proroga, per gli stessi anni, della possibilità per i Comuni terremotati di fare assunzioni di personale con contratti di lavoro flessibile. “Si tratta di esigenze pressanti espresse dal territorio – spiegano i parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari – che vengono accolte nell’emendamento della relatrice del provvedimento grazie alla virtuosa triangolazione Regione-Governo e Parlamento, già sperimentata con successo anche nel recente passato. Con questi provvedimenti si garantisce la piena operatività della macchina della ricostruzione. Un passaggio alla gestione ordinaria, infatti, comporterebbe un rallentamento proprio nel momento in cui è necessario il massimo impegno. Si tiene, inoltre, conto delle necessità di coloro che non sono ancora potuti rientrare nelle proprie abitazioni e si garantisce continuità ai rapporti di lavoro a tempo determinato o con contratto di somministrazione attivati a sostegno del lavoro del commissario straordinario”. Sempre la relatrice dello Sblocca Italia Chiara Braga ha depositato un altro emendamento che riguarda l’Area nord della nostra provincia. Si tratta di un emendamento, già presentato a suo tempo dai deputati emiliani del Pd tra cui il modenese Baruffi, e ora accolto dalla relatrice, che stabilisce che dall’inizio del prossimo anno lo Stato, in  particolare il Ministero dei trasporti, subentri alla Regione Emilia-Romagna come stazione appaltante nei confronti del concessionario per la realizzazione della Cispadana “La decisione – spiegano i parlamentari modenesi del Pd – è conseguenza diretta dell’inserimento della Cispadana nell’elenco delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale. Un altro passo avanti, positivo, quindi, verso la realizzazione di un’opera attesa da decenni dalle nostre comunità”.