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"Il Nobel prigioniero", di Giampaolo Visetti – La Repubblica 22.10.14

Le poesie le scrive in cella, sul pavimento di pietra: con l’acqua, perché gli hanno tolto anche l’inchiostro. Le giornate le passa a cucire le divise dei carcerieri. Non può vedere nessuno, neanche l’avvocato. Colpevole d’aver difeso i diritti umani, per Pechino Liu Xiaobo ormai è un fantasma. Ma quattro anni dopo la solenne cerimonia di Oslo, lo è anche per l’Occidente
 Non possiede più niente. Le scarpe che calza sono dello Stato. Gli hanno tolto carta e inchiostro. Ogni giorno scrive poesie sul pavimento di pietra, bagnando un dito nella ciotola dell’acqua che beve. I versi, anche se in cella, sono liberi: evaporano in pochi istanti. Vietato invece leggere. La rieducazione ha deciso che il lavoro giusto per lui è il sarto. Liu Xiaobo a fine dicembre compirà 59 anni e trascorre le giornate a cucire le divise dei suoi carcerieri. Nella sua vita di prima insegnava filosofia. Si è poi scoperto poeta e ha promosso “Charta 08”, ultimo manifesto per la democrazia in Cina.
Nel 2009 era Natale quando lo hanno condannato: undici anni di carcere per «incitamento alla sovversione». Nel dicembre di dodici mesi dopo, a Oslo, la sua “sedia vuota” di Nobel per la pace fece paura anche a Pechino. «Una farsa e un crimine — dissero le autorità — orchestrati da gruppi di pagliacci stranieri per conto degli Usa». Altri quattro anni e quella “sedia rimasta vuota”, e quel Nobel, per la Cina non esistono.
Anche i “pagliacci” però rivelano di avere poca memoria. Di Liu Xiaobo, poeta divenuto sarto per aver chiesto libertà e aver dedicato il premio «alle anime morte di piazza Tienanmen», il mondo non parla più. «Lui però è vivo — dice l’amico Yang Jianli — e vuole resistere almeno fino al giorno in cui potrà uscire dal carcere».
Mancano sei anni e nella cella di Jinzhou, in Manciuria, possono essere lenti. Il suo “trattamento” è stato indurito. Nessun contatto con l’esterno, sospese le visite dell’avvocato. Un muro di vetro lo separa dalla moglie Liu Xia, la sola che ha il permesso di visitarlo una volta al mese. Èl’ultima punizione, per aver confidato di «ripassare a memoria ogni notte il discorso». Sogna di pronunciarlo quando finalmente potrà volare libero in Norvegia, per ritirare il riconoscimento che ancora lo attende.
Liu Xiaobo è un fantasma invisibile e dimenticato, su quell’aereo forse non salirà mai. Fuori dal carcere in cui è rinchiuso resta però un posto di blocco e due pattuglie impediscono a chiunque di avvicinarsi «per motivi di sicurezza ». Il nulla, ai regimi, non dà pace. Oltre cinquemila chilometri più a sud, alla periferia di Pechino, anche l’appartamento di tre stanze in cui ufficialmente è confinata Liu Xia, viene considerato un «luogo pericoloso». Certi drammi fanno sorridere: la moglie del Nobel, 55 anni, da febbraio non vive più nel malandato palazzo bianco. Restano tre agenti condannati a sorvegliare il suo spettro. Un’auto della polizia, nel cortile vuoto, controlla i documenti a chi passa. «Vivo qui — dice un vicino — mi conoscono. In quattro anni hanno registrato il mio nome migliaia di volte». Liu Xia da nove mesi è in ospedale. Per gli amici rischia di «finire sepolta viva in un manicomio».
Le ultime immagini, rubate durante pochi minuti di distrazione dei secondini, risalgono a gennaio. Appare con la testa rasata a zero, vestita con una vecchia felpa, magra, irriconoscibile rispetto alla bella donna imprigionata l’8 ottobre 2014. Il confino, un’ora dopo l’assegnazione del Nobel al marito. Xu Youyu, amico da venticinque anni, dice che «è ridotta nella povertà più totale» e che il potere cinese «vuole farla impazzire, o spingerla al suicidio ».
Su di lei non pende alcuna accusa. Sposare un ragazzo che poi vince un Nobel «per la sua lunga e non violenta lotta per i diritti fondamentali in Cina», è una colpa più che sufficiente. Per oltre tre anni, prima di finire in clinica chiedendo di morire, la mattina poteva uscire a fare la spesa. Perso il lavoro, finiti i soldi, si faceva accompagnare dalla madre pensionata. Percorrevano a stento i trecento metri fino ad un piccolo spaccio. Le scortavano sei agenti, a volte ragazzi buoni che si offrivano di saldare il conto di riso e foglie di cavolo.
«La signora Liu — dice la negoziante — sorrideva sempre ma si vedeva che le veniva da piangere. Diceva che la polizia le suggeriva di divorziare. Un funzionario telefonava per ricordarle che bisogna stare attenti a chi si sposa. L’ultima volta ha promesso che un giorno mi pagherà».
Sono passati quattro anni dal Nobel per la pace a Liu Xiaobo, venticinque dalla repressione degli studenti in piazza Tienanmen, e la realtà in Cina è questa: il dissidente è isolato in Manciuria e sottoposto a regime di carcere duro, sua moglie è agli arresti domiciliari in un ospedale di Pechino, curata per «esaurimento nervoso». Nessuno dei due è avvicinabile. Gli edifici in cui risultano reclusi sono sorvegliati giorno e notte. Non possono comunicare con il mondo esterno. Liu Xiaobo rifiuta di chiedere clemenza al presidente Xi Jinping. Liu Xia dice che la politica non l’ha mai interessata. Quando si incontrano si possono scambiare solo poesie d’amore: la censura pensa che non sono «anti-patriottiche».
La pena del Nobel scade nel 2020. Quella della moglie nessuno lo sa perché non è stata mai condannata. In un mondo normale, governi e opinioni pubbliche chiederebbero ogni giorno la libertà degli innocenti. Un regime che imprigiona chi esprime pacificamente le proprie idee verrebbe emarginato dalla comunità internazionale. Nel 2010 tale impegno, da parte dei Paesi democratici, fu solenne. La Cina invece viene oggi contesa tra quelle stesse nazioni, che esaltano la sua crescita economica, da cui dipendono. Il gigante dei capitali nasconde il nano dei diritti. Prima di metà novembre il presidente americano Barack Obama volerà a Pechino per il vertice delle potenze affacciate sul Pacifico. I famigliari e gli amici di Liu Xiaobo e di Liu Xia, i superstiti di Tienanmen, gli hanno chiesto di sfruttare l’occasione per scongiurare Xi Jinping di liberarli, prima che sia troppo tardi sia per loro che per la Cina.
È l’ultima speranza: se il silenzio continua, legittimando l’indifferenza, il Nobel e la sua “sedia vuota” si trasformeranno nel certificato storico della resa di chi crede nei diritti umani.

Riconquistare i giovani alla scuola, le misure contro l'abbandono scolastico – Manuela Ghizzoni 21.10.14

Oggi la Commissione Istruzione della Camera ha approvato la relazione conclusiva della indagine conoscitiva sulla dispersione scolastica. Un lavoro iniziato qualche mese fa, quando tutti i gruppi parlamentari concordarono sulla necessità di indagare questo fenomeno, nella convinzione che non può esservi crescita individuale e dell’intero Paese se un’enorme massa di studenti (la più alta percentuale in Europa) abbandona la scuola.
La Commissione, nelle sue riflessioni conclusive, ha concordato che occorre mettere in campo tutte le energie in una strategia nazionale dispiegata su più livelli che, attraverso la definizione di precise misure e traguardi da raggiungere (indicati nella relazione), “reinventi l’azione didattica, ridisegni gli ambienti di apprendimento, rimotivi gli studenti e riconosca il lavoro dei docenti”.
Per tutti i decisori politici, gli amministratori, gli insegnanti e le famiglie contrastare l’abbandono e la dispersione scolastica – e quindi “riconquistare i giovani alla scuola” – diventa un obiettivo “per ridare all’educazione e alla formazione il ruolo di spinta per l’avvenire del Paese”.

Ecco il documento conclusivo approvato dalla Commissione:

http://www.camera.it/leg17/824?tipo=A&anno=2014&mese=10&giorno=21&view=filtered_scheda&commissione=07#data.20141021.com07.allegati.all00020

 

 

 

"La sicurezza sul lavoro si impara a scuola: dall’Indire 4 milioni per le best practice", di Alessia Tripodi – Scuola 24 22.10.14

 

Oltre 4 milioni di euro per finanziare le best practice sulla cultura della sicurezza realizzati dalle scuole italiane. Sono i fondi messi in campo dall’Indire – il più antico istituto di ricerca del Miur – con Memory Safe, il progetto di formazione sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che viene presentato oggi a Bologna in occasione del salone Ambiente Lavoro.

Il progetto 
L’iniziativa, partendo dalla valutazione dei costi sociali annui degli incidenti sul lavoro – 45 miliardi di euro l’anno pari al 3% del Pil, 700 morti e 700mila denunce di infortuni nel 2013, incidenti nel 65% causati da scarsa consapevolezza dei rischi e delle procedure da seguire – punta a diffondere la cultura della prevenzione tra gli studenti, per prepararli a conoscere i pericoli esistenti sul futuro luogo di lavoro e a rispettare le normative esistenti. Anche in applicazione del Testo unico sulla sicurezza, che richiede l’inserimento dei temi della salute sul lavoro nei programmi scolastici e universitari.
«Memory Safe – spiega Flaminio Galli, direttore generale di Indire – ha un duplice obiettivo strategico: punta all’arricchimento formativo degli studenti, diffondendo conoscenze ed esperienze necessarie a prevenire i rischi di incidenti sul lavoro, ma, allo stesso tempo, soprattutto per chi frequenta gli istituti tecnici, offre un vantaggio professionale sia per le certificazioni rilasciate sia per il possibile inserimento nel mercato del lavoro di tecnici specializzati nella prevenzione». Se per i più piccoli, dunque, le attività formative punteranno soprattutto sull’aspetto ludico come veicolo educativo, per i più grandi potranno favorire la transizione dalla scuola al mercato del lavoro.
Il progetto Memory Safe nasce dal recupero e dalla condivisione delle buone pratiche: nel sito dedicato ( indire.it/memorysafe ) verranno raccolte tutte le più significative esperienze didattiche realizzate negli ultimi dieci anni dagli istituti scolastici di ogni ordine e grado, così da creare un database di riferimento che sarà utilizzato dai docenti come fonte di ispirazione per proporre nuove iniziative. Sarà poi una commissione di esperti a selezionare i migliori progetti presentati via Web, che potranno godere dei finanziamenti per 4 milioni stanziati dal Ministero del lavoro ed eventualmente messi a regime nella didattica. 
Il concorso 
Il bando per distribuire i fondi arriverà nel 2015 e «nella scelta dei vincitori saranno privilegiate le iniziative realizzate in partnership con le associazioni sindacali e il territorio» dice Lorenzo Fantini, capo progetto MemorySafe, spiegando che «con il bando da oltre 4 milioni non abbiamo certo l’ambizione di raggiungere tutte le scuole italiane, ma premiandone alcune puntiamo a sfruttare l’effetto «domino» che deriva dalla diffusione delle buone pratiche».

Ci sarà anche la Capitale italiana della cultura – Manuela Ghizzoni 19.10.14

art bonus logo

L’annuncio del 17 ottobre alle 17, è stato preceduto da un grande lavoro, un lavoro di anni, nelle sei città candidate a capitale della cultura europea 2019. Un patrimonio di progettualità che non andrà disperso, perché se Matera ha vinto, Siena, Lecce, Ravenna, Cagliari e Perugia non possono dirsi perdenti. Chiuso per loro il capitolo europeo, potranno diventare Capitale italiana della cultura. Lo stabilisce una norma della legge sulla cultura e turismo del luglio scorso (il cosiddetto “Art Bonus”) che introduce il Programma Italia 2019, pensato proprio per valorizzare i dossier culturali delle città candidate e consentire loro di concorrere al titolo nazionale. Ben lontano da essere un “premio di consolazione”, è piuttosto il riconoscimento del lavoro fatto, e soprattutto il convincimento che si può seguire una strategia di sviluppo diversa, basata sull’ambiente, sull’istruzione, sulla cultura. Essere competitivi in Europa è anche questo, e a noi non manca la materia prima. Si apre un’altra gara per il titolo italiano, e se i frutti saranno quelli prodotti dalla competizione europea, sarà una bella gara. 

Di seguito il testo della norma contenuta nell’art. 7 della legge n. 175 del 30 luglio 2014 in materia di interventi sul turismo e cultura
Art. 7

(Piano strategico Grandi Progetti Beni  culturali  e  altre  misure urgenti per il patrimonio e le attivita’ culturali)

3-quater. Al fine di favorire progetti, iniziative e  attivita’  di

valorizzazione e  fruizione  del  patrimonio  culturale  materiale  e

immateriale italiano,  anche  attraverso  forme  di  confronto  e  di

competizione tra le  diverse  realta’  territoriali,  promuovendo  la

crescita del turismo e dei relativi  investimenti,  con  decreto  del

Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del  Ministro  dei

beni e delle attivita’ culturali e del turismo, previa intesa in sede

di Conferenza unificata di cui  agli  articoli  8  e  9  del  decreto

legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e  successive  modificazioni,  e’

adottato, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della

legge di conversione  del  presente  decreto,  il  «Programma  Italia

2019», volto a valorizzare, attraverso forme di collaborazione tra lo

Stato, le regioni e gli enti locali, il  patrimonio  progettuale  dei

dossier di candidatura delle citta’ a «Capitale europea della cultura

2019». Il «Programma Italia  2019»  individua,  secondo  principi  di

trasparenza e pubblicita’, anche tramite portale  web,  per  ciascuna

delle  azioni  proposte,  l’adeguata  copertura  finanziaria,   anche

attraverso il ricorso alle risorse previste dai programmi dell’Unione

europea per il periodo 2014-2020. Per le medesime finalita’ di cui al

primo periodo, il Consiglio dei ministri  conferisce  annualmente  il

titolo di «Capitale italiana della cultura» ad una  citta’  italiana,

sulla base di un’apposita procedura di selezione definita con decreto

del Ministro dei beni e delle  attivita’  culturali  e  del  turismo,

previa intesa in sede di Conferenza unificata, anche tenuto conto del

percorso di individuazione della citta’  italiana  «Capitale  europea

della cultura 2019». I progetti  presentati  dalla  citta’  designata

«Capitale  italiana  della  cultura»  al  fine  di  incrementare   la

fruizione del patrimonio  culturale  materiale  e  immateriale  hanno

natura strategica di rilievo  nazionale  ai  sensi  dell’art.  4  del

decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, e sono finanziati a valere

sulla quota nazionale del  Fondo  per  lo  sviluppo  e  la  coesione,

programmazione 2014-2020, di cui all’art. 1, comma 6, della legge  27

dicembre 2013, n. 147, nel limite di un milione di euro per  ciascuno

degli anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2020. A tal fine il Ministro  dei

beni e delle attivita’ culturali e del turismo  propone  al  Comitato

interministeriale per la  programmazione  economica  i  programmi  da

finanziare con le  risorse  del  medesimo  Fondo,  nel  limite  delle

risorse  disponibili  a  legislazione  vigente.  In  ogni  caso,  gli

investimenti connessi  alla  realizzazione  dei  progetti  presentati

dalla citta’ designata «Capitale italiana della cultura»,  finanziati

a valere sulla quota  nazionale  del  Fondo  per  lo  sviluppo  e  la

coesione, programmazione 2014-2020, di cui all’art. 1, comma 6, della

legge 27 dicembre 2013, n. 147, sono esclusi dal saldo  rilevante  ai

fini del rispetto del patto di stabilita’ interno degli enti pubblici

territoriali.

 

 

"Una piattaforma d'idee per il futuro", di Silvia Bernardi – Il Sole 24 Ore 19.10.14

«L’Europa ogni giorno perde posizioni in termini di competitività. Non ci sono scorciatoie: se il sistema sta fallendo non è solo per la crisi, è perché non sa cambiare».
Metà delle società che avevano successo negli anni 90, nel giro di dieci anni hanno perso il loro appeal sul mercato perché non hanno saputo attuare un cambiamento e sono rimaste ancorate a modelli superati. Per Carsten Beck, economista del Copenhagen Institute for Future Studies, la sfida del futuro è l’innovazione in campo lavorativo e formativo. «L’Europa – dice Beck – bacino di grandi competenze ad alta specializzazione, dovrà trovare il modo di occuparsi della popolazione alla base della piramide sociale, che rischia di essere esclusa dalle dinamiche evolutive, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa». Questa è una delle molteplici visioni di futuro che saranno presentate al Future Forum di Udine che nella sua seconda edizione raddoppia la sede coinvolgendo anche Napoli. A Udine dal 21 ottobre al 15 novembre e a Napoli dal 22 al 28 ottobre, il Forum internazionale incentrato sulla cultura dell’innovazione e sugli scenari futuri, presenterà le ricerche, le scoperte, le esperienze, i cambiamenti che si prevede modificheranno la nostra vita nel prossimo ventennio attraverso la voce di studiosi internazionali. «L’eccezionalità della crisi e del cambio epocale – dice Giovanni da Pozzo, presidente della Camera di Commercio di Udine, promotrice del forum – richiede coraggio di innovazione delle singole imprese, confronto internazionale tra modelli produttivi, capacità di guardare oltre il presente, per prevedere e quindi prepararsi alle nuove sfide che la globalizzazione e i mercati continuamente pongono». Sette i temi proposti dagli “scenari di futuro” più ampi al lavoro, dalle città al cibo, alla salute alla scienza, dal turismo e industrie creative alla trasmissione dei saperi, passando per il mare come nuova terra di frontiera dove i porti del futuro saranno la ragione di collaborazione tra nord e sud. «Abbiamo messo a punto un network internazionale di enti e istituti che studiano l’evolversi dei sistemi locali e global affrontando il tema del futuro da diverse angolazioni» spiega il project manager Renato Quaglia, «con l’obiettivo di dare alle imprese, alle pubbliche amministrazioni e ai cittadini degli strumenti per riprogrammarsi e per trovare degli scenari alternativi dove ricollocarsi. Per questo è sempre più diffusa la necessità di sviluppare nelle città un dibattito internazionale sui cambiamenti che stanno modificando i modelli a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni, ma di cui oggi capiamo il superamento». Napoli è stata la prima città ad adottare il format del Future Forum, che sarà inserito all’interno del Forum Universale delle Culture, mentre altre città stanno chiedendo di poterlo ospitare per le prossime edizioni.
John Wilburn, direttore delle iniziative strategiche al Center for Houston’s Future e direttore dello «Houston Chronicle», uno dei primi a proporre gli scenari futuri come materia di studio, aprirà il Forum (21 ottobre, ore 17) affrontando il tema delle città e del rapporto con le periferie.
«Da città-Stato – dice – siamo arrivati a città-mondo, che replicano in dimensione urbana o metropolitana i problemi e le contraddizioni geopolitiche ed economiche del pianeta, con diseguaglianze, differenze linguistiche, culturali, religiose, leadership discusse e conflitti. Uno dei problemi è il loro rapporto con le periferie: la storia ci dimostra che l’innovazione accade proprio lì, vero laboratorio del mondo, e che le grandi città sono il luogo dove emerge il conflitto, non l’elaborazione, dove si concentra il consumo e la celebrazione di quello che nasce fuori da esse».

"Matera è la capitale", di Stefano Baia Curioni e Gabriele Messineo – Il Sole 24 Ore 19.10.14

 matera
E se non ci fosse un solo vincitore? Ha vinto Matera la fase finale della corsa per essere nominata Capitale Europea della Cultura 2019. Si tratta per diverse ragioni di una affermazione importante per una città ricca di storia e di capacità artigianali, ma colpita da un diffuso processo di crisi industriale.
È in primo luogo una sorta di miracolosa inversione di tendenza nel rapporto con la propria storia. Alcide De Gasperi, nella seconda metà degli anni Cinquanta, era uscito da una visita ai Sassi persuaso che la parte antica di Matera, con le sue abitazioni grotta, strappate alla montagna, costituiva l’esempio principe di ciò che la modernizzazione del paese doveva sconfiggere: promiscuità, povertà, mancanza di speranza, arretratezza. La conseguenza è stata un esodo forzato, una “eviction” (come si dice negli studi urbani) epocale: i Sassi si sono svuotati, la loro proprietà assegnata al demanio, la città moderna è cresciuta su nuove case, a volte anche con sperimentazioni architettoniche importanti, e ha letteralmente girato le spalle alla città antica i cui accessi sono stati talvolta addirittura murati. La valle dei Sassi, scoscesa , costellata di abitazioni cesellate nel tufo e abitate con continuità da tempo immemorabile, prima ancora della presenza illuminante della Grecia, fronteggiate da innumerevoli chiese rupestri e siti di romitaggio è così rimasta deserta e intatta. Poi, adagio, gli spazi antichi sono stati riscoperti. Nel 1959 un gruppo di giovani intellettuali appassionati si è riunito nel Circolo Culturale La Scaletta, proponendo interventi di recupero e rilanciando consapevolezza sul patrimonio culturale della regione, in particolare per le parti relative alle magnifiche chiese rupestri. Poi è nata Zètema, poi il Museo della scultura contemporanea. Grazie agli studi dell’architetto Pietro Laureano, nel ’93 arriva l’inserimento dei Sassi nella lista dell’Unesco, che ha riportato in luce l’antica dignità delle architetture civiche. I Sassi hanno ripreso a vivere. Il fascino di quei posti – che si capisce davvero soltanto andandoci, camminando per gli sguinci antichi, per le piazze e le strade, guardando le luci e la valle – è stato alla fine capace anche di sconfiggere i ricordi di povertà e avvilimento che li accompagnavano.
In secondo luogo perché questo recupero rappresenta un riscatto non solo per la città, ma per un intero territorio che ha saputo conservare gelosamente e davvero un saper fare antico: dal pane alla cartapesta, dalla ceramica alla lavorazione della pietra, arrivando ad includere oggi anche il design, la grafica, e gli spazi di co-working per i “makers” contemporanei. La capitale della cultura potrà essere l’occasione anche di un progetto regionale allargato, capace di utilizzare il turismo e le prospettive della stagione 2019 per attrarre investimenti, valorizzare la propria storia e le proprie capacità, magari facendo richiamare i giovani talenti che hanno trovato fortuna altrove. Matera 2019 non potrà essere solo un progetto urbano, e del resto questo è uno dei piani espliciti della candidatura il cui programma prevede investimenti per 56 milioni di euro.
Ma Matera è anche zone d’ombra: il lungo oblio in cui i Sassi sono stati lasciati offre in eredità una grave mancanza di piani urbanistici, una mancanza di certezza nel regime di governo di quel pezzo di città conteso tra demanio statale e Comune. Molti insediamenti, forse troppi, si sono orientati ad un turismo veloce e di bocca buona. L’alternativa, evidente, è tra un progetto di sfruttamento turistico veloce e invasivo, orientato al breve termine, teso a sfruttare l’opportunità del 2019 e un progetto più impegnativo e strutturale, orientato alla riqualificazione degli spazi e alla formazione di competenze, artigianali, produttive, professionali , imprenditoriali. Giovani capaci di fare e di progettare.
Matera può riuscire a diventare migliore. Non è garantito ovviamente, deve trovare la forza di mediare tra gli interessi costituiti e quelli da costituire, lasciando spazi e speranze a coloro che portano innovazione e cambiamento. In questo senso il bello e il difficile devono ancora venire e il governo di questo percorso potrà e dovrà essere un esempio. Non siamo sicuri di vedere già segni chiari di questa capacità di integrazione tra le diverse energie della città.
Per questo la vera posta in gioco non riguarda solo Matera. Riguarda anche e forse soprattutto le altre città del concorso dell’Unione Europea Siena , Ravenna, Cagliari, Lecce e Perugia. Tutte queste città in modi diversi hanno usato la candidatura per attivare dei processi importanti di consapevolezza e di imprenditorialità culturali. Dovranno avere la forza di continuare anzi, dovranno aiutarsi reciprocamente a continuare. Il successo vero accadrà se da questa vittoria potrà nascere una rete speciale di collaborazione: un sistema di città speciali. Sarebbe la vittoria culturale del Paese Italia.