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"Le città laboratorio per l'Italia che innova", di Alessia Maccaferri – Il Sole 24 Ore 05.10.14
Il cuore della proposta è un circolo virtuoso tra patrimonio ed economia attraverso tecnologie e reti. «L’idea di fondo è quella di una città che, di fronte alla crisi, non agisca sulla retroguardia, ma utilizzi il suo patrimonio storico e culturale in modo disruptive, in chiave di innovazione sociale» spiega Pier Luigi Sacco, direttore di Candidatura di Siena 2019. Come dare risposta a questioni quali l’invecchiamento della popolazione, forme di esclusione, il turismo mordi-e-fuggi? Siena parte da una sua vocazione storica, quella digitale: è stata la prima in Italia a essere interamente cablata nel 1999. E vuole realizzare una piattaforma opensource basata sui beacon, piccoli hardware posizionati nei punti di interesse che interagiscono con smartphone, tablet e tecnologie indossabili. «Vogliamo diventare la prima città al mondo completamente beaconizzata» spiega Sacco. Per far “parlare” la piattaforma, l’idea è riattivare l’industria culturale digitale, in particolare il gaming. Sempre con le tecnologie, in particolare dei maker, Siena mette insieme i talenti del design per dare soluzioni ai problemi dell’accessibilità. Una sorta di laboratorio in cui vengono realizzati prototipi per l’abbattimento delle barriere fisiche, poco costosi e trasferibili in altre città storiche.
Ravenna
«L’eredità che portiamo per il futuro è una grande alleanza territoriale di tutta la Romagna» spiega Alberto Cassani, coordinatore dello staff Ravenna 2019. «Credo che questo sia l’aspetto più innovativo. Grazie a un lavoro quotidiano delle istituzioni coinvolte, siamo riusciti a mettere assieme tutte le città. Così , per esempio , Cesena è capofila di un progetto che sposa agricoltura e design, mentre Rimini lo è per il turismo. Ma poi tutti i progetti hanno una valenza trasversale». E questa matrice Romagna è stata resa possibile dai tempi. «Siamo partiti nel 2007 e lo sguardo è al 2021, settimo centenario della morte di Dante» aggiunge Cassani. L’i ntenzione è mettere assieme le tessere del territorio a comporre un grande mosaico culturale. «L’altra nostra particolarità – aggiunge Cassani – è che abbiamo messo in campo le competenze professionali del territorio. Non ci siamo affidati a consulenti esterni. E questo ci ha permesso di formare risorse di management culturale che rimarranno».
Matera
Tra i Sassi il profilo della città è disegnato da pratiche di fruizione e produzione culturali. «Il paesaggio non può essere curato solo dai soggetti pubblici, dalle amministrazioni e dagli enti locali – spiega Paolo Verri, direttore di Matera 2019 – ma i cittadini sono chiamati ad avere cura del territorio e dei luoghi condivisi». Tra le iniziative, Museo per un giorno. Le opere sono state esposte in abitazioni private, dove i cittadini sono diventati curatori, esperti ed estimatori d’arte, di fronte a familiari, vicini e amici. «Ciascuno di noi è un abitante culturale ed è invitato a essere produttore attivo di cultura» aggiunge Verri. Come è successo nel progetto Unmon a stery, dove tecnologi, artisti, scienziati hanno guidato le persone a esprime re i bisogni della città. L’idea della co-produzione attraversa quindi tutto il progetto OpenMatera. L’ Open Design School è concepita come macchina creativa digitale di livello europeo. «È importante che l’imprenditoria, soprattutto giovanile, parta dalle proprie risorse con una visione attiva di produzione culturale innovativa» aggiunge Verri.
Cagliari
Il capoluogo sardo si pone come laboratorio per la riqualificazione urbana. Che non viene intesa solo come miglioramento dei luoghi ma come processo di innalzamento della qualità della vita, di innovazione sociale. La buona pratica in corso è quella di Sant’Elia, quartiere storico. Una volta i suoi cittadini dicevano “andiamo a Cagliari” quando dovevano andare nel centro storico. A partire da una Residenza d’arte pubblica è partito un processo di coinvolgimento di tutto il quartiere e dei suoi abitanti per ricucirlo alla città. E la metafora scelta da Cagliari è proprio quella del tessuto, ispirata dalle opere dell’artista Maria Lai. Fisicamente il quartiere Sant’Elia è stato ricucito grazie a infrastrutture. Allo stesso tempo è stata migliorata la mobilità, inserendo tra l’altro Sant’Elia come snodo delle metropolitana leggera. E ancora con la ricucitura verde, grazie ai finanziamenti del Piano Città nazionale e la collaborazione del paesaggista João Ferreira Nunes. «Siamo al lavoro su altri due quartieri sempre con lo stesso approccio: non progetti calati dall’alto ma reti di quartiere che coinvolgano le comunità – spiega l’assessore alla Cultura Enrica Puggioni – A bbiamo recuperato identità locali, come la cultura del dono e dello scambio, la partecipazione. E abbiamo anche guardato altrove come alla tradizione delle residenze artistiche del modello anglosassone».
Lecce
Lecce si presenta come laboratorio di network: sotto lo slogan «Reinventare Eutopia» la città vuole creare un nuovo modello per lavorare: insieme. «Una parola chiave per il futuro, che fa eco e rafforza il principio “Uniti nella diversità”» si legge nella presentazione della candidatura. «Stiamo valorizzando la nostra capacità di mettere assieme network locali, nazionali e internazionali – spiega Raffaele Parlangeli direttore di Candidatura Lecce2019 – e lo facciamo a ogni livello anche utilizzando la tecnologia » . Sulla piattaforma (www.2019idee.eu) i cittadini possono avanzare idee e condividerle sui social network. E la rete diventa anche territorio con il coinvolgimento delle province di Brindisi e Taranto, valorizzando le identi t à locali e trasformando le sagre in veri e propri festival territoriali . «Per noi è molto importante il processo di co-generazione – spiega Parlangeli – E con questo spirito è portata avanti l’attività dell’Accademia europea del potenziale umano, che ideerà progetti bel oltre il 2019» .
Perugia
Il capoluogo umbro sta lavorando sul riutilizzo di grandi contenitori urbani come chiave di rigenerazione di una città che ha avuto un calo di studenti universitari e una crisi di reputazione. «Perugia vuole porsi come esempio di città media virtuosa che sappia mettere assieme la creatività e il dialogo, l’incontro» spiega Bruno Bracalente, presidente Fondazione Perugiassisi2019, sostenuta da 200 soci. Due i progetti più significativi. Il recupero dell’ex-carcere e la sua destinazione a hub per startup innovative e spazi di coworking, «che si ponga come infrastruttura di collegamento tra università e nuova economia» aggiunge Bracalente. A questo si affianca l’ex-mercato coperto che verrà riqualificato per proporre prodotti agroalimentari umbri ed eventi culturali in tema.
O gni città ha cercato di dare la sua risposta. «È un ‘ occasione fondamentale per progettare il futuro, non capita spesso in Italia – ha detto Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero per i Beni e le attività culturali, al Maxxi di Roma il 29 settembre in occasione dell’evento organizzato da Ppan – È una bella sfida trasformare le nostre città in città intelligenti. Il nostro governo si sta impegnando per sostenere le migliori proposte anche di chi non vincerà . L a partecipazione è una sfida delle capitali europee in un progetto urbano intelligente come visione del futuro».
"Saranno vincenti le piattaforme territoriali", di Aldo Bonomi – Il Sole 24 Ore 05.10.14
Finita la stagione della de-industrializzazione le policies urbane hanno cercato nella cultura la nuova frontiera della crescita, in grado di rendere le città magneti ancora attraenti per capitali, tecnologie e intelligenza. A volte riproponendo un modello centro-periferia rigido in cui la capacità attrattiva della città si giocava a discapito del territorio. Penso che, nel caso italiano, il tema vada impostato in modo diverso. Da noi la posta in gioco nel rapporto tra città e cultura riguarda la capacità delle città di essere porte sul mondo per le piattaforme territoriali in cui sono impiantate, centri produttori e diffusori di saperi e ricerca al servizio delle specializzazioni produttive e dello sviluppo culturale dei propri territori.
In questa evoluzione il ruolo di Capitale della Cultura esce dai circuiti localistici e va giocato su un raggio d’azione di aree vaste dove la cultura si contamina con l’economia e può diventare forza produttrice di valore per filiere produttive territorializzate che tendono sempre più ad allungarsi alla ricerca di servizi e saperi innovativi concentrati nelle aree urbane. Questo cambia anche il perimetro territoriale delle politiche sia culturali sia di attrazione turistica o di sviluppo sempre più tarate su una dimensione di città-regione.
Un ragionamento che pur nelle singole peculiarità può valere per tutte e sei le candidate: se Matera può giocarsi un ruolo baricentrico sull’asse Napoli-Bari, Lecce guarda alla piattaforma turistico-culturale salentina, Siena e Perugia possono essere nodi della macro-regione del l’Italia di Mezzo, Ravenna è un pezzo di una città-adriatica capitale diffusa del l’intrattenimento da Venezia alle Marche, mentre Cagliari è porta sulla frontiera mediterranea.
Essere Capitali della Cultura impone lo sviluppo di uno spazio di posizione e di rappresentazione delle città nuovo e più ampio fondato sulla costruzione di un nuovo patto tra città e contado, tra capitalismo delle reti e manifatturiero/agricolo, tra élite urbane e territoriali. Un nuovo spazio di posizione in cui i ceti riflessivi urbani siano capaci di elaborare contenuti culturali funzionali anche ai bisogni di innovazione delle economie territoriali. Le nostre città creative derivano, oltre che dalla profondità del l’accumulazione storica di saperi e arte, dal processo di terziarizzazione della manifattura o delle filiere agricole, dal legame tra patrimonio artistico diffuso nei territori e reti lunghe di connessione rispetto agli altri nodi urbani nel mondo. Giocare la partita di Capitale della Cultura significa scommettere sulla capacità di costruire una nuova organizzazione spaziale in cui le città medie svolgano il ruolo di città-regioni. Vuole dire la capacità da parte delle élite locali sia politiche sia economiche e culturali di produrre e interpretare una visione “alta” e soprattutto propria dell’economia della conoscenza che non sia la meccanica importazione di modelli culturali e di sviluppo costruiti su altre dimensioni e tradizioni. Significa sviluppare la capacità di incamminarsi lungo una “nostra” green economy fatta forse più di reti territoriali e culturali soft che di grandi investimenti nelle tecnologie energetiche; così come il ruolo di smart city vada interpretato come motore di smart land diffusa fatta di innovazione sociale, comunità e territori in grado di appropriarsi delle soluzioni tecnologiche partendo dai loro bisogni più che come esito di una digitalizzazione dall’alto.
"La democrazia in crisi e le sirene autoritarie", di Guido Rossi – Il Sole 24 Ore 05.10.14
Non per caso è stato sufficiente che il presidente della Bce (dai poteri limitati) si sia pronunciato sulla drammatica situazione di un’economia ristagnante e in un sol giorno le borse europee sono crollate. Dal punto di vista politico, intanto, la Germania insiste nelle sue pretese egemoniche e tende a svilire ogni tentativo di governo collegiale all’interno dell’Unione europea.
Non meno critica appare, per altri versi, la situazione della democrazia americana. Qui il presidente Obama è palesemente accusato di violare la costituzione per aver scatenato la recente guerra contro l’Isis senza l’approvazione del Congresso. Altrettanto inquietanti e rovinose si erano rivelate le decisioni della Corte Suprema nel caso Citizen United del 2010 e ancor più in quello McCutcheon del 2 aprile 2014, già da me qui commentate, che avevano deciso che ogni tipo di contributo a uomini, organizzazioni, o partiti politici da parte delle grandi società non possono essere né regolati, né limitati, in quanto protetti dal primo emendamento della Costituzione americana. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha legalizzato definitivamente la corruzione politica e il governo statunitense – come ha sottolineato lo stesso ex giudice John Paul Stevens – ha mutato la sua natura: da governo dei cittadini a governo delle corporation. Il parelleo è lecito: sia in Europa, sia negli Stati Uniti il potere delle democrazie ha abdicato agli interessi del denaro e dei potentati economici.
A ciò va aggiunta la invadente globalizzazione della Nato, la più estesa organizzazione guidata dagli Stati Uniti: ormai una forza di polizia mondiale basata su uno strapotere militare, minaccioso ea dubitativamente lecito. È un potere che ha tolto ogni funzione alle Nazioni Unite – forse ormai inadeguate – e alla loro istituzionale vocazione pacifista. È così che la storia della globalizzazione della Nato, dalla Jugoslavia al Kosovo, dall’Afghanistan alle variegate guerre al terrorismo, ha alimentato devastanti operazioni belliche, brutalmente alternative ad un ordine mondiale democratico.
In concorrenza alle democrazie occidentali un blocco di capitalismo autoritario si sta costituendo fra Russia e Cina. I recenti accordi tra Vladimir Putin e Xi Jin Ping hanno sancito e celebrato precise, ben al di là di un semplice trattato economico sul gas. Si tratta in verità di un’alleanza di Stati autoritari, con una popolazione di circa un miliardo e seicento milioni di persone, nel territorio che va dai confini della Polonia al Pacifico e dal circolo artico alla frontiera afghana, compresi altri Stati come ad esempio la Corea del Nord, la Georgia, l’Armenia.
Mentre il binomio “capitalismo – democrazia” è ideologicamente degenerato in “capitalismo – mercato”, creando povertà e disuguaglianze, le élite politiche si sono via via indebolite con le loro istituzioni, dando vita alla lenta, evanescente riduzione dei poteri dello Stato, sempre più sostituiti dall’impero del mercato.
Laddove invece, nella Repubblica Popolare Cinese e nella Russia di Putin, i modelli di Stati dominanti sono ancora estremamente vitali, pur nella loro varietà, un forte interesse comune nei confronti sia della politica estera che della politica interna li unisce e li aggrega. Per la politica estera basterà ricordare il loro identico voto nel Consiglio di Sicurezza e nel sostegno a dittature sanguinarie come quella della Siria, nonché il loro comune risentimento nei confronti di un ordine mondiale imposto dagli Stati Uniti. Per la politica interna, la strategia economica appare identica nell’assicurare i benefici di un’integrazione globale ed una notevole apertura nei confronti di una modernizzazione, che avvenga nell’identico controllo ideologico sulla popolazione e nella repressione dei dissidenti.
L’economia russa e quella cinese sono aperte alle pressioni dell’economia globale, ma l’allocazione delle ricchezze è determinata non già dalle forze irrazionali e sovente oscure del mercato, ma dagli apparati centrali di uno Stato nelle mani di un’organizzazione politica centrale, di oligarchie di comando, dirette da un Presidente e dai suoi fedeli subordinati. Incredibilmente eguale e scambievole è l’esaltazione del Capo, tant’è che uno dei maggiori best seller nelle librerie cinesi è la biografia di: “Putin il grande”.
La libertà del mercato capitalista consente a tali élite di mantenere il potere, poiché la libertà privata a livello individuale, di comprare e vendere, di ereditare e muoversi ed arricchirsi, da un lato facilita la crescita economica che il completo controllo dello Stato non potrebbe garantire, ma dall’altro diminuisce la domanda delle libertà pubbliche e politiche da parte dei cittadini.
Il nuovo capitalismo autoritario porta con sé un fascino che sta altresì seducendo le élite politiche di vari Paesi africani, sudamericani ed asiatici, presentando l’alternativa a uno sviluppo economico moderno, nella crescita senza democrazia e nel progresso senza libertà politica. È così che il fascino dell’autoritarismo scivola spesso in una sorta di apprezzamento o passione per i tiranni, magari nella veste di esperti, costantemente comunque indifferenti al destino dei diritti umani.
Un evento completamente nuovo si sta peraltro verificando ad Hong Kong, dove una protesta pacifista, dominata dagli studenti che si identificano nell’organizzazione “Occupy Central”, sta chiedendo le dimissioni del reggente della città, dal 1997 sotto la sovranità cinese come speciale regione amministrativa, ma con un proprio riconosciuto sistema legale. I dimostranti, protagonisti di quella che viene chiamata “Umbrella revolution”, chiedono elezioni popolari per la nomina del reggente, attualmente scelto da un Comitato di membri legati a Pechino e una maggior partecipazione democratica nella vita politica e sociale.
Il comportamento del governo cinese è ancora estremamente incerto.
La conclusione, peraltro, sembra a questo punto quantomeno paradossale. Negli Stati autoritari serpeggia crescente una nuova spinta verso i diritti umani di libertà politica, mentre negli Stati liberali la democrazia è addirittura considerata un fenomeno sorpassato, tanto da non essere, come ha correttamente rilevato nel suo recente libro William Easterly, (“The Tyranny of Experts: Economics, Dictators, and the Forgotten Rights of the Poor”) neppure menzionata dallo statuto della Banca mondiale tra i suoi peraltro nobili scopi. Se la concorrenza fra capitalismo autoritario e quello liberale dovesse improvvisamente svolgersi sul terreno della conquista e difesa dei diritti umani, piuttosto che sul predominio mercantile e militare, l’attuale globalizzazione senza regole troverebbe finalmente un suo destino di civiltà.
"Se volete essere creativi imparate ad annoiarvi", di Elena Meli – Corriere Salute 05.10.14
Leonardo Da Vinci è l’esempio più famoso di creativo a tutto tondo: ha realizzato capolavori di ingegno e maestria in innumerevoli campi. Musicisti, pittori, scrittori fanno della creatività un lavoro e sono creativi per contratto pure i pubblicitari. Ma creativa è anche la massaia che deve reinventarsi una ricetta perché le manca un ingrediente, o l’elettricista che trova una soluzione diversa dal consueto per far funzionare un impianto. Il pensiero creativo, insomma, sembra poter essere ovunque. Ma che cos’è davvero la creatività? La possediamo realmente tutti, o è un dono di pochi talentuosi? È legata a doppio filo con l’intelligenza? Ma soprattutto, è vero che è in crisi, come sostiene uno studio apparso di recente sul Creativity Research Journal ?
Stando, infatti, ai risultati della ricerca, condotta su 300 mila persone sottoposte a uno dei test più usati per misurare la creatività, dal 1990 in poi c’è stato un chiaro declino dei punteggi, mentre gli analoghi test sull’intelligenza indicano una continua crescita del quoziente intellettivo: un ambiente molto ricco di stimoli come quello attuale pare averci reso più intelligenti, “addormentando” però l’inventiva, specie nei bambini, che invece, di solito, sono i migliori nei test di creatività. Secondo i ricercatori, ciò accade perché interagiamo in modi sempre più impersonali grazie alla tecnologia, perdendo “segnali” comunicativi che arrivano dal contatto diretto e aiutano a sviluppare una personalità estrosa. Ma la nostra creatività diminuisce pure perché oggi tutti, bambini compresi, abbiamo poco tempo per pensare in libertà: nel caso dei bimbi, ad esempio, programmi scolastici molto ampi, attività collaterali di ogni genere e giochi elettronici hanno fagocitato il tempo libero, che invece andrebbe dedicato anche ad annoiarsi un po’. Perché proprio la noia è benzina per le nuove idee.
Una ricerca pubblicata su Frontiers in Psychology , ad esempio, ha dimostrato che favorire le attività poco strutturate, dal gioco all’aperto alla lettura, dalle visite allo zoo alle passeggiate nel parco, aiuta gli alunni delle scuole elementari ad avere performance creative migliori: il gioco di ruolo, un classico delle attività infantili, è uno dei modi migliori per stimolare il “genio”. E uno studio americano su 56 adulti conferma: bastano quattro giorni di full immersion nella natura, senza diavolerie elettroniche, per dare una tregua alla mente che, non più costretta a dare fondo alle sue capacità di attenzione, ritrova slancio e creatività.
Ma se lo stile di vita attuale sembra soffocare l’inventiva, d’altro canto c’è sempre maggior consapevolezza che fantasia e creatività siano talenti da incentivare. Spiega Barbara Colombo, coordinatrice dell’unità di ricerca di Psicologia della Creatività all’Università Cattolica di Milano: «Studi su persone che hanno perso l’impiego hanno dimostrato che il pensiero creativo si associa a una maggior probabilità di reinserirsi nel mondo del lavoro o di migliorare la propria posizione: chi è molto esperto nel suo campo, ma è “rigido”, non lascia mai la strada vecchia per la nuova e spesso non trova alternative; chi è esperto ma ha un pensiero flessibile, capace di spaziare con creatività, riesce a riciclarsi meglio. Ed è più apprezzato dai datori di lavoro». Tutto sta nella capacità di avere un pensiero divergente , caratteristica alla base della creatività secondo molti studiosi: chi vede oltre gli steccati, facendosi distrarre da stimoli collaterali insoliti, è più ingegnoso e innovativo di chi utilizza solo il pensiero convergente, ovvero focalizzato su un obiettivo, logico e razionale.
Secondo molte ricerche, poi, chi è creativo è anche più intelligente (mentre l’inverso non è scontato). Ma è possibile definire la creatività? «È composta da diversi fattori: fluidità (quante idee siamo capaci di partorire); flessibilità (capacità di trarre spunto da elementi diversi e passare dall’uno all’altro); originalità , (effettiva innovazione del pensiero); elaborazione (il grado di dettaglio con cui si specificano le idee) — spiega l’esperta —. Secondo un altro tipo di approccio, la creatività è soprattutto la capacità di associare elementi molto distanti fra loro per trarne una novità».
"Come resistere (senza rompersi)", di Daniela Monti – Corriere della Sera 04.10.14
Perché uno crolla mentre l’altro riesce a riprendersi? Maria Elena Magrin, docente in Bicocca a Milano e da anni studiosa di resilienza, spiega che «ciascuno di noi ha un proprio bagaglio di resilienza». Solo che in alcuni è decisamente più pesante, non perché siano persone superficiali o ingenue, ma perché sanno vedere le crisi come sfide da superare non come problemi insormontabili e accettano che il cambiamento sia parte della vita, non un disastro. Atteggiamenti mentali che è possibile imparare. «Stiamo assistendo alla disfatta di tante idee con cui siamo cresciuti — riprende Magrin —. Molti di noi stanno bene quando hanno tutto sotto controllo, in famiglia come nel lavoro. Per riuscire a mantenere questo stato, continuano ad aumentare le proprie competenze». Ma ora non basta più: dopo 10 anni di lezioni e viaggi all’estero, quando finalmente abbiamo imparato l’inglese, è il cinese, o l’arabo, la nuova lingua da conoscere. «Oggi non sai cosa ti servirà, manca un luogo di stabilità su cui costruire il controllo. La domanda è: posso in questa mia instabilità costante perseguire l’obiettivo di una vita soddisfacente?». I resilienti rispondono sì.
«Unbroken», il film prodotto e diretto da Angelina Jolie, racconta la vita straordinaria di Louis Zamperini, campione olimpico spedito al fronte durante la Seconda guerra mondiale, catturato, torturato. Liberato nel ‘45, tornò a casa e si ricostruì una vita felice e piena. Era riuscito, per usare un’espressione di Anna Oliverio Ferraris, a «proteggere la propria integrità sotto l’azione di forti pressioni», trovando le energie per ripartire.
È dunque resilienza la parola chiave della modernità? In assoluto no, risponde Botturi. Ma siccome «viviamo in un mondo complesso, che da attori ci ha ridotto ad ingranaggi; che ha messo in crisi gli schemi di relazione, gettandoci in un terreno selvaggio. Allora sì, la resilienza può diventare la cifra di un uomo che cerca le risorse per balzare avanti e diventare non solo fruitore di tecnologia, ma costruttore della propria vita».
"Una sola goccia di sangue ci dirà come stiamo. La sfida di Elizabeth", di Massimo Gaggi – Corriere della Sera 04.10.14
La finanza la premia: le società di venture capital hanno investito ben 400 milioni di dollari in Theranos mentre la rivista Forbes l’ha appena incoronata: primo miliardario al femminile della Silicon Valley (la società è a Palo Alto). Chi si interroga sulla credibilità e sull’accuratezza del metodo di analisi della Holmes trova un antidoto al suo scetticismo nella composizione del consiglio d’amministrazione della società: Elizabeth è riuscita a portare nel board della Theranos perfino Henry Kissinger e George Shultz. E i due ex segretari di Stato sono in buona compagnia: con loro anche l’ex ministro della Difesa Bill Perry, gli ex senatori Sam Nunn e Bill First e gli ex capi della banca Wells Fargo e del gruppo Bechtel . Ci sono anche un ammiraglio in pensione e un generale dei marines.
Una garanzia di credibilità? Sì, ma un po’ di mistero in questa storia c’è. E non lo diciamo perché chi scrive ha invano chiesto un’intervista a questo personaggio che centellina le sue uscite pubbliche. Quando viene interrogata sul nuovo metodo di analisi, la Holmes resta sul vago. Per proteggere la tecnologia esclusiva, spiega. Che é comunque blindata dietro 14 brevetti. Ora è pronta a partire e promette che le sue analisi costeranno un decimo di quelle tradizionali, mentre i risultati arriveranno subito (o quasi). Niente aghi, solo una specie di cerotto che preleva una goccia di sangue. Se vero, una pacchia per il paziente e la possibilità di ripetere con frequenza il test.
Sarebbe anche la fine di un intero settore della medicina, nella tradizione della disruption della Silicon Valley. «Era ora», ha detto lei parlando di recente alla TechCrunch Disrupt Conference , visto che le tecniche usate oggi sono vecchie di 50 anni. Comunque sapremo presto: Walgreens ha già cominciato ad analizzare il sangue col metodo Theranos in una trentina di farmacie in Arizona e a Palo Alto. E stanno partendo 3 ospedali di San Francisco e altri 22 in Idaho e Utah.
L’altro elemento di perplessità riguarda proprio la composizione del board della società: mai vista una simile concentrazione di personalità di alto rango neanche al vertice della Lockheed, della Exxon o dell’Ibm. Perché? Qualcuno ci vede l’aiuto del padre della Holmes, Christian, che è stato al vertice di varie agenzie americane di assistenza internazionale come Usaid. Ma Elizabeth dice che ha passato anni a girare la California spiegando alle personalità che incontrava le sue idee: Shultz e Kissinger ne sono rimasti colpiti.
Massimo Gaggi
