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“Uscire dall'emergenza, preparare la ricostruzione”, di Pierluigi Bersani

“L’Italia prima di tutto”. Relazione d’apertura del segretario Pier Luigi Bersani all’Assemblea Nazionale del PD

Cari democratiche e cari democratici,
Cari amici e compagni,

In questi mesi abbiamo vissuto un passaggio di fase europeo e nazionale. Per ciò che riguarda l’Italia, un passaggio di fase anche politico. La cifra della nostra iniziativa è stata: prima di tutto l’Italia. Prima di tutto l’Italia non è uno slogan. E’ l’atto politico più alto e impegnativo. Noi non abbiamo messo all’angolo la politica, l’abbiamo invece messa in campo. Abbiamo semmai messo all’angolo il politicismo, la miopia, il piccolo cabotaggio, gli interessi personali, gli egoismi di partito. Saremo fedeli a questo impegno, prendendocene la fatica e i rischi. Chiedo all’Assemblea, davanti al Paese, di ribadire e rafforzare il nostro messaggio. Prima di tutto l’Italia. La crisi è seria, è molto grave. La preoccupazione ormai diffusa non deve diventare paura. L’Italia ce la farà, anche con il nostro aiuto. Questo messaggio per noi è il tratto di identità di quel Partito riformista, popolare e nazionale che stiamo costruendo.

Senza voler essere in nessun modo retrospettivi, non dobbiamo tuttavia stancarci di ricordare come siamo arrivati fin qui, per contrastare chi sta tentando o tenterà di riscrivere storia e cronaca recenti. Una riscrittura che non permetteremo.
Noi avevamo in testa l’Italia, e non noi stessi, quando per lunghi anni abbiamo denunciato il negazionismo del governo sui caratteri della crisi, sugli andamenti reali e non immaginari o propagandistici dell’economia e della finanza pubblica; quando abbiamo denunciato la paralisi di ogni politica di riforma, la micidiale distrazione della discussione pubblica dai temi veri, la incredibile predisposizione ideologica a rompere la coesione sociale e territoriale del Paese, il ripiegamento populista e la complicità attiva nell’allentamento delle politiche europee. Avevamo in testa il Paese, non noi stessi, mentre avanzavamo le nostre analisi e le nostre proposte, che andrebbero rilette oggi da chi per conformismo, subalternità o atavica idiosincrasia, lasciava correre cose che non condivideva pur di non dare ragione a noi. E’ per l’Italia che abbiamo allora invocato un passaggio di fase politica. Sì, abbiamo lavorato con determinazione, con intelligenza e con grande unità per un governo di emergenza e di transizione aprendo questa strada ben prima che arrivasse il momento. Anche qui, non si riscriva la storia! L’alternativa a questa soluzione era solo andare avanti con il Governo Berlusconi, fino a che il disastro che si approssimava non avrebbe ribaltato traumaticamente la legislatura. Non c’era altro. Ed è questo che mi ha fatto dire, e ci ha fatto dire: non vogliamo vincere sulle macerie del Paese! E’ per l’Italia, infine, che abbiamo insistito con fermezza perché il Governo in formazione non fosse impaniato, azzoppato da equilibrismi di rappresentanza politica che non avrebbero potuto corrispondere né a una vera maggioranza parlamentare né a un sentimento condiviso del Paese. Sarebbe stata per il Governo una debolezza mortale. Si smetta dunque di far circolare l’idea, che arriva in Europa, di un cosiddetto disimpegno della politica. Per quello che ci riguarda, si può forse pensare che un Partito come il nostro, che ha fatto le scelte che ha fatto, stia scherzando? Noi ci siamo e ci saremo, ben sapendo che non tutto è nelle nostre mani e che siamo minoranza in un Parlamento che è ancora quello di quattro anni fa. Ci saremo con lealtà e trasparenza, rendendo esplicita ogni volta la nostra posizione, dicendo chiaro ogni volta quel che va e quel che non va, quel che faremmo e faremo noi di diverso; finché il Paese non si sarà allontanato dalla soglia del baratro a cui è stato portato, finché non si vedrà una luce e quindi fino alla fine della legislatura. E’ vero e lo ribadiamo: il nostro orizzonte resta più ampio. L’Italia ha bisogno di uscire dall’emergenza, sì, e di rimettersi sui binari; ma dopo questo intero ciclo economico e politico, nazionale e internazionale, un ciclo che viene ovunque a scadenza e particolarissimamente da noi, l’Italia ha bisogno di ricostruirsi sul piano democratico, sociale, civile. Questo non sarà compiutamente possibile senza una partecipazione attiva, politica ed elettorale dei cittadini; senza un progetto univoco, senza una maggioranza politica e parlamentare coerente. Le tracce di quella ricostruzione vogliamo che si vedano subito, in questa emergenza, cercando di utilizzare tutte le forze che abbiamo per mettere un nostro segno nel lavoro impegnativo dei prossimi mesi. Dissi a nome vostro, a San Giovanni, una settimana prima della svolta, in una manifestazione che ebbe un peso rilevante per la svolta: dissi che non pensavamo certo che con Berlusconi se ne sarebbero andati i problemi. Via Berlusconi, si sarebbe finalmente cominciato a reagire, a lavorare. Questo dicemmo.

Questo è avvenuto. E per l’analisi che abbiamo fatto in questi anni, non ci sorprende che il lavoro sia duro e che gli esiti non siano scontati! C’è un cammino arduo da fare e da fare su due gambe. Un passo dobbiamo farlo noi da soli e un passo dobbiamo farlo con l’Europa. Il primo passo l’abbiamo fatto con una manovra certamente molto dura; una manovra con novità importanti e positive che alludono ad una strada nuova, ma certamente pesante, e con cose da correggere (sulle pensioni ad esempio come si è cominciato a fare in Parlamento) con cose da implementare (fisco ed evasione fiscale, interventi per il sud, gli enti locali) con cose da monitorare con più attenzione (la spesa sociale, in particolare per i disabili). Continueremo a lavorarci. Ma intanto non possiamo certo fermarci a questo primo passo. Dobbiamo chiedere a noi stessi (ed è giusto che l’Europa ci chieda) di affrontare subito alcuni interventi strutturali favorevoli alla crescita: liberalizzazioni, mercato del lavoro, la giustizia, politiche industriali ed economia verde, mezzogiorno. Tutto questo è giusto chiedercelo. Ma abbiamo detto e diciamo qui ancora una volta: basta con manovre di aggiustamento! Ad un Paese che arriva (e stavolta davvero e non per finta!) al pareggio di bilancio e si mette ad un avanzo primario del 5%, non si può chiedere di più. Noi non saremmo disposti a farci trattare come la Grecia! E non saremo certo noi a produrre un avvitamento fra una recessione già pesante e manovre ulteriormente recessive. Adesso un passo dobbiamo farlo con l’Europa (non ho detto “deve farlo l’Europa” ma “dobbiamo farlo con l’Europa” noi che siamo un Paese fondatore!). Oggi, in questa Assemblea mettiamo l’Europa al centro della nostra discussione. Ci impegniamo a non distrarci mai più dal tema europeo. Il tornante che abbiamo di fronte è cruciale e drammatico. Comunque le si voglia giudicare, le agenzie di rating hanno dato una raffigurazione plastica di un problema che ormai tocca il cuore del sistema. Mentre ci si concentra, sempre e comunque sulla pur rilevante questione della disciplina dei conti, l’impostazione generale delle politiche europee seguita fin qui, ci sta consegnando assieme la recessione e un rischio reale di destrutturazione e di sgretolamento dell’Euro e dell’Europa.

Siamo al paradosso storico: la piattaforma economica più forte del mondo diventa l’epicentro del problema. Noi denunciamo a gran voce e non da oggi l’interpretazione che la destra politica europea, a cominciare da quella tedesca, ha dato e dà della crisi. Ecco la semplice verità: la bolla speculativa è scoppiata, la crisi ha coinvolto il mercato e le banche e ha poi raggiunto l’economia reale; i debiti privati si sono trasformati in debiti pubblici, i mercati finanziari appena salvati dal pubblico si scagliano contro i debiti sovrani. Che tutto questo si risolva semplicemente con una stretta nei conti di questo o quel Paese è assurdo e può solo produrre, stagnazione, recessione e ulteriori squilibri. Le difficoltà delle finanze pubbliche sono soprattutto una conseguenza delle crisi e dividere l’Europa in buoni e cattivi sta diventando un disastro per tutti. Sì, è vero, i Paesi più indebitati avrebbero dovuto approfittare dei bassi tassi di interesse che l’Euro portava, per mettere i propri conti a posto. In Italia, finché c’eravamo noi, questo lo si è fatto. Con i Governi di destra no. Detto questo, l’Euro è stato anche un toccasana per il surplus come quelli tedeschi. Inutile quindi pensare che qualcuno si salvi da solo. Mettere in comune politiche e strumenti nuovi è la ricetta che proponiamo noi, che oggi di nuovo discuteremo, e che riguarda sì la disciplina da assumere in forme credibili, ma riguarda solide e indiscutibili barriere in difesa dell’Euro, riguarda interventi per abbattere l’extra debito, riguarda strumenti comuni per gli investimenti e la crescita, riguarda il coordinamento delle politiche economiche.

Ma voglio qui proporre la domanda di fondo. Per quale motivo ciò che appare razionale ed evidente a tutti gli economisti, a tutti gli osservatori del mondo, non si traduce in fatti? Perché non viene mai dalle riunioni dei vertici europei una parola inequivocabile, rafforzata da inequivocabili fatti? Davvero pensiamo che chi ostacola questo non sappia di poterne ricevere un danno? Io non lo credo. Credo invece che in tutti questi anni sia cambiato qualcosa nella testa della gente, si sia radicato qualcosa in grandi correnti di opinione e quindi nella politica; si sia sedimentata una ideologia durissima da scalfire. Viene a scadenza un lungo ciclo in occidente e in Europa. Un ciclo in cui la finanza si è resa autonoma e ha preteso di essere alla guida e non al servizio della produzione e dei consumi, in cui si è pensato che il denaro fosse una commodity se immesso nei circuiti finanziari; che al comando ci fosse la famosa creazione di valore, cioè in sostanza quello che la finanza riesce a piazzare moltiplicando debito e gonfiando bolle; che lo spaventoso meccanismo di disuguaglianza che è derivato da tutto questo fosse efficiente e funzionale al sistema.

E viene a scadenza un ciclo in cui la globalizzazione ha dispiegato i suoi effetti, dando opportunità nuove e creando meccanismi acquisitivi in molte aree dl mondo, ma anche destabilizzando in profondità le acquisizioni europee, il modello sociale europeo. Siamo dunque alla scadenza di un ciclo, senza che il nuovo orizzonte sia ancora ben chiaro. Ci accorgiamo drammaticamente che si è sedimentata una ideologia che banalizzerei così: in economia i mercati hanno sempre ragione. In politica ha ragione chi prova a salvarsi da solo perché è sempre meglio di un altro nazione, territorio, corporazione, o individuo che sia. Le destre hanno vinto su questo, e se hanno fallito alla prova dei risultati, ciò nonostante il ricatto populista che le condiziona è sempre vivo e vegeto. Quell’umore populista vive ancora ovunque. Vive in Finlandia, in Ungheria, in Francia, in Germania ovunque. O pensiamo davvero che anche in Italia la Lega sia scomparsa? O pensiamo che questi umori difensivi e di ripiegamento non condizionino in tutta Europa formazioni di destra, e di centro democratico, e perfino di sinistra? In realtà la partita è drammaticamente aperta in Europa e in Occidente e non si può affidarla solo alle riunioni a Bruxelles. C’è una battaglia politica, culturale, ideologica da fare. Bisogna accumulare risorse politiche per il rilancio dell’Europa. Senza questo, sarà sempre possibile che un tedesco accetti consapevolmente di rimetterci pur di non rischiare di dare un Euro all’italiano indisciplinato (così come peraltro un leghista lombardo non vuole bruciare i rifiuti di Napoli nel suo inceneritore sapendo bene di rimetterci dei soldi. Non si vive di solo pane, si vive anche di mentalità!).

Ecco allora il lavoro di costruzione di una piattaforma dei progressisti europei che sconfigga conservatori e populisti nei confronti elettorali aspri e incerti che si annunciano! E stavolta non si può certo giocare sull’abbellimento o l’attenuazione di proposte altrui. Stavolta bisogna essere alternativi! Le idee ci sono. Il documento SPD – Verdi del 12 dicembre ed altri documenti e posizioni emersi in questi tempi dalle forze progressiste, lo certificano. Sono idee largamente collimanti con le nostre. Noi stessi, in casa nostra, lavoriamo per fare in modo che l’opinione pubblica italiana possa alzare lo sguardo e leggere il senso di questo passaggio. Come può essere il mondo dopo la destra? Come può essere l’Europa dopo la destra? Qual è davvero la via d’uscita dalla crisi? Alzeremo noi stessi lo sguardo, anche arricchendo il nostro piano di lavoro, come dirò in conclusione, ma sento che al dilà delle analisi e delle proposte, noi riformisti, noi che siamo così razionali dobbiamo metterci un po’ di anima in più, un po’ di sdegno in più. Dobbiamo dire cose che si capiscano, che facciano intendere che noi siamo da un’altra parte rispetto a quello che si è visto fin qui. Voglio leggervi una pagina di un libro uscito recentemente, un libro scritto non da un indignato ma da Carlo Azeglio Ciampi.

Una nostra impostazione marcata, combattiva, alternativa non ha niente di incompatibile con una chiave riformista. Chi pensasse questo avrebbe una visione davvero riduttiva del cambiamento che è in corso. Una impostazione così non ci impedisce di compiere i piccoli passi. Ad esempio non ci impedisce oggi di ricercare una posizione nazionale sui temi europei assieme alle altre forze parlamentari, così da aiutare il Governo italiano ad ottenere interpretazioni acconce e sensate di impegni sul debito avventatamente sottoscritti; così da aiutare il Governo italiano, anche in affiancamento alle posizioni del Parlamento Europeo, ad ottenere passi avanti credibili sul fondo salva stati, sul ruolo della BCE, sulla tassazione delle transazioni finanziarie, sulla prospettiva degli euro bond e così via. In buona sostanza dobbiamo convincere gli amici europei che le mezze parole e i mezzi passi non servono più. O il mondo percepisce che l’Europa fa davvero sul serio o a questo punto si possono risparmiare anche le riunioni.

Care democratiche, cari democratici,
Cari amici e compagni,

dobbiamo avere piena consapevolezza che la crisi è seria e pericolosa davvero. Dobbiamo avere piena consapevolezza che sarà un anno molto difficile per il Paese. Dobbiamo avere piena consapevolezza che anche sul piano politico, per noi non saranno rose e fiori. Chiedo dunque a tutto il gruppo dirigente impegno, unità e tenuta davanti alle difficoltà che verranno. Prima di passare al tema politico, partiamo come nostro costume dal tema economico e sociale. In una situazione già difficile avremo mesi di riduzione ulteriore delle attività economiche e difficoltà ulteriori per l’occupazione. I dati ISTAT di ieri sono impressionanti. Le crisi industriali si stanno moltiplicando e spesso coinvolgono pesantemente interi territori. Non posso farne l’elenco, qui. Un caso per tutti: l’ALCOA e il Sulcis. C’è un rischio reale di dispersione di una parte delle capacità produttive storiche del Paese. Dall’altro lato la crisi di liquidità e l’indebolimento dei consumi, mettono in serissima difficoltà le piccole imprese che operano sul mercato nazionale. Tante ne saltano, tante sono con l’acqua alla gola. Le banche non vengono a soccorso, hanno i problemi loro, legati a filo doppio coi problemi del debito pubblico. Vi sono nuove zone di povertà che non vengono intercettate, soglie vitali di reddito che vengono via via mangiate da una inflazione che rialza la testa. Tutto questo raddoppia di intensità nel Sud. Tutto questo colpisce e limita in particolare le prospettive di lavoro di vita delle donne e dei giovani. Non ho modo qui di andare più a fondo di queste drammatiche questioni né di riassumere o elencare i possibili interventi di contrasto. Voglio da qui semplicemente rivolgere una accorata sollecitazione al Governo. Si attrezzino rapidamente strumenti, task force, sedi di monitoraggio coi soggetti sociali e le istituzioni regionali e locali per seguire i punti critici. Il tavolo del lavoro e quello delle Istituzioni potrebbero essere i luoghi in cui mettere a punto i presidi dell’emergenza che certamente vivremo quest’anno. Più in generale, lo ripeto ancora, è la solidarietà la materia prima della coesione e del necessario sforzo comune. Solo mettendo i riflettori sulle condizioni più difficili possiamo sentirci comunità e rendere prevalente un sentimento di partecipazione, di equità, di impegno. Bisogna insomma dare un senso a questo passaggio. Io sono convinto che in queste settimane, con il nuovo Governo, il Paese abbia percepito finalmente verità e competenza.

Cerchiamo di accompagnare verità e competenza con il calore della solidarietà. Coesione e cambiamento. Ci vogliono entrambi. Guai se ci fosse contrapposizione. Nel nuovo clima, non è stato così difficile ottenere quel che sembrava irrimediabilmente perduto e cioè l’unità del mondo del lavoro e l’apertura di un tavolo di relazione e di riforma fra Governo e Parti sociali. Anche in Parlamento si discute di merito. Non è stato impossibile, ad esempio, introdurre alcune prime giuste correzioni alle norme sulle pensioni. Queste risorse di consapevolezza e di responsabilità devono essere messe a servizio del cambiamento e il Governo deve stimolarlo. Abbiamo visto, seppur sommariamente, le norme per le liberalizzazioni. Un progetto lodevole e importante su un tema a noi carissimo, convinti come siamo che per quella via si possa aprire qualche strada ai giovani e si possa battere la speculazione sui prezzi. Ci sarà consentito tuttavia dire che su diverse materie si può fare di più e meglio e con maggiore immediatezza. Mi riferisco in particolare a quelle materie che incidono direttamente sulle tasche dei cittadini, dei pensionati, delle famiglie numerose; parlo quindi di farmaci, parafarmaci, di gas, di assicurazioni e banche, di servizi professionali. Per fare un solo esempio se si pensa ch ei prezzi di farmaci e parafarmaci possano scendere allargando un po’ il numero dei monopolisti ci si sbaglia di grosso, ma di grosso davvero. Mi fermo qui. Torneremo a discuterne in Parlamento.

La riforma del mercato del lavoro è finalmente consegnata al dialogo sociale e noi abbiamo dato, come era nostro dovere, un contributo serio. Unici a farlo! Noi ci appassioniamo, discutiamo e decidiamo. Gli altri non battono un colpo. Capita poi che ci descrivano confusi e divisi! Non dobbiamo preoccuparcene. Ci vuole pazienza e costanza. Anche in questo caso il nostro contributo c’è e si sta già rivelando un contributo vero, che pesa, laddove attacca i vantaggi di costo dei lavori precari, dove disbosca la giungla contrattuale, dove razionalizza e qualifica il percorso di ingresso e di reingresso. Abbiamo una proposta precisa anche sulla riforma degli ammortizzatori. Ma sottolineiamo anche qui l’esigenza di non distrarci dall’emergenza, quella cioè di finanziarie le indennità in scadenza! Vorrei che questa nostra Assemblea affidasse a quel tavolo anche il ripristino della norma contro le vergognose dimissioni in bianco, vorrei che gli affidasse la questione della democrazia nei luoghi di lavoro, valorizzando gli accordi del 28 giugno; che gli affidasse un modello di assetto contrattuale per i settori liberalizzati, che ampi le possibilità della contrattazione aziendale senza distruggere una essenziale base comune di presidio delle condizioni dei lavoratori, così come si fece nelle migliori esperienze di liberalizzazione.

Sarà bene tuttavia ribadire che liberalizzare è importante, che riformare e civilizzare il mercato del lavoro è importante, ma che non è sufficiente per creare lavoro. Bisogna essere molto concreti ed esserlo subito, così che i mesi della difficoltà che abbiamo davanti siano anche i mesi della speranza e della prima riscossa. La riscossa non può essere la fase tre. Bisogna cominciare da subito a fare qualcosa per dare lavoro. C’è bisogno che le risorse meritoriamente recuperate per il Mezzogiorno vengano adesso rapidamente attivate. C’è bisogno di un programma di economia verde. Nei giorni scorsi il PD ha presentato a questo riguardo proposte precise. C’è bisogno di una deroga selettiva dal Patto di stabilità degli Enti locali così da sollecitare investimenti e garantire un po’ di pagamenti. C’è bisogno di politiche industriali attive su nodi essenziali del sistema produttivo e delle reti. Si trovi il modo attraverso il quale Cassa Depositi e Prestiti, invece di girare attorno alle banche, possa essere resa utile ad una riscossa industriale a cominciare dalle infrastrutture moderne. Ci vogliono insomma iniziative per ridare fiducia ad un sistema produttivo che è in difficoltà, ha scarsissima visibilità sul futuro e può quindi ripiegare nella sfiducia. E se servono un po’ di soldi per queste iniziative, questi soldi si trovano.

Vengo ora ai tratti politici di questo passaggio di fase. Ho accennato prima ad un quadro generale che riguarda l’Europa e l’Occidente in cui si è ancora in bilico fra il rincrudimento di spinte populiste disgregatrici che condizionano le forze in campo e il formarsi di una iniziativa dei progressisti. Questo confronto sembra spesso avvenire in una sorta di campana di vetro, da cui sono fuori milioni e milioni di cittadini. Ovunque viene segnalato un distacco fra politica, istituzioni e cittadini. Un distacco che sembra crescere pericolosamente. Tutto questo da noi si presenta in modo rafforzato e peculiare fino al punto di mettere in dubbio a volte se il conflitto sia fra centrodestra e centrosinistra o fra politica e antipolitica. Bisogna sgombrare il campo da questo dubbio. Non risolviamo il problema inalberando orgogliosi vessilli contro l’antipolitica. Lo risolviamo con una politica che sa ripristinare la sua dignità e con un PD che non si lascia mettere nel mucchio e che interpreta il cambiamento! Agli occhi dei cittadini, una politica che dopo anni e anni non riesce ad aggiustare il problemi a casa sua è disprezzabile e disprezzata. Qualcosa di significativo si è cominciato a fare sui costi della politica e sulla pletora amministrativa. Bisogna andare avanti, servono ulteriori decisioni. Serve altresì che le decisioni diano razionalità al cambiamento e stiano al di qua della demagogia. Per capirci è bene cambiare radicalmente fisionomia alle Province, ma bisogna anche capire chi si carica dei loro mutui! Le improvvisazioni possono diventare boomerang! Ma quel che più importa dire, con voce forte, da questa Assemblea è che nello scorcio di legislatura che rimane bisogna mettere mano alle riforme istituzionali ed elettorale. Anche qui, noi le proposte le abbiamo, e su ogni singolo punto: bicameralismo, riduzione dei parlamentari, regolamenti parlamentari, legge elettorale. Ribadiamo la disponibilità a renderci flessibili per la necessaria discussione con gli altri. Abbiamo consegnato al Presidente della Repubblica un fermo, onesto ed esigibile impegno politico. Ringraziamo il Presidente della Repubblica per l’iniziativa di sollecitazione che ha assunto nei confronti del percorso di riforma. Sopra ogni altra cosa, e rendendoci conto della ristrettezza dei tempi, abbiamo rimarcato l’indispensabilità di una riforma elettorale che la spinta referendaria ha in ogni caso e ancora una volta certificato. Ribadiamo con forza che la legge attuale è inaccettabile per due motivi: per l’impossibilità del cittadino elettore di scegliere i parlamentari e per un parossistico meccanismo maggioritario che consente a chi giunge al 34% di fare tutto, compreso eleggere il Presidente della Repubblica. Io dò per assunto che nella malaugurata ipotesi che si arrivasse a votare con la legge attuale, e tenendo comunque conto di esigenze di equilibrio di genere, di territorio e di essenziali competenze, noi faremo le primarie per i parlamentari. Lo dò per assunto, ma non intendo che la discussione si focalizzi su questo. Non possiamo in nessun modo indebolire o oscurare l’assoluta esigenza di cambiare questa legge. Non possiamo distrarci da questo obiettivo. Infatti qui è in gioco non solo la democrazia del PD, che c’è e ci sarà, ma la democrazia italiana. Non siamo qui per fare la democrazia in un partito solo. Siamo qui per l’Italia. Prima di tutto l’Italia vale anche per questo. Il diritto di ogni cittadino a scegliere il suo rappresentante è un punto cruciale per la democrazia italiana.

Dobbiamo inoltre cogliere ogni occasione per mostrare concretamente che mentre affermiamo il ruolo della politica, noi conosciamo i limiti della politica. Ad esempio ho detto e ripeto qui che se si pensasse, alla scadenza del consiglio di amministrazione della RAI, di ribadire il Cencelli invece di fare la riforma della governance-RAI noi non parteciperemmo. Facessero loro, prendessero loro la responsabilità della progressiva distruzione di una grande azienda pubblica. Ruolo e limiti della politica. Li abbiamo e li avremo chiari entrambi. O si pensa forse, in questo stucchevole dibattito fra tecnica e politica, che nel prossimo governo tornerà il Cencelli o che al posto delle competenze ci saranno le incompetenze, o al posto di donne che contano ci saranno donne che non contano purché ci siano? Non sarà così. Garantiamo noi che non sarà così.
Teniamo dunque il profilo del cambiamento. Facciamo in modo che in questo periodo si veda la nostra responsabilità e si senta la nostra voce.

La destra non è scomparsa. L’elettorato della destra non è scomparso. Abbiamo visto alla Camera sul caso Cosentino una inquietante solidarietà tra PDL e Lega e il riaffiorare di vecchi patti, a quanto pare, inscindibili. Allora è vero che l’autonomia della Lega non c’è più! Allora è vero che non era solo questione di un patto di maggioranza! Adesso la maggioranza non c’è ma la complicità è rimasta! Tutta l’autonomia della Lega, in una vicenda trentennale, si è via via ridotta ad un po’ di xenofobia e ad un po’ di soldi per le quote latte. Per il resto, a rimorchio del miliardario, sperando magari che Berlusconi si decida a fare cadere il Governo, così da tornare al vecchio patto, così da avere un ruolo a Roma, che sarà anche ladrona ma che resta piuttosto accogliente!

Del resto qualcuno nel Popolo delle Libertà non è sordo a quell’appello. Il Popolo della Libertà vive con un certo disagio questa fase. Lo si può capire. Qui non voglio fare polemiche retrospettive. Al Popolo della Libertà noi diciamo: attenzione. Voi, in compagnia della Lega, ci avete portati dopo otto anni di governo al punto in cui ci siamo trovati. Avete fatto tutto voi, avendo governo e una maggioranza di proporzioni inedite. Tenete ben conto delle responsabilità che avete in questa vicenda e della responsabilità che vi si chiede. Questo è un Governo di impegno nazionale davanti al quale ciascuno risponde del suo impegno, con trasparenza, davanti al Governo e soprattutto davanti all’Italia.

Parliamo di noi, adesso. Per quel che ci riguarda la nostra proposta politica rimane ferma e chiara: un patto di legislatura fra forze progressiste e moderate per una ricostruzione della politica e delle istituzioni, del patto sociale e civile del Paese. Abbiamo pronte un buon numero di riforme per dare concretezza a questo patto. In questa fase nuova e cruciale ci rivolgiamo amichevolmente a tutte le forze del centrosinistra e diciamo: questo passaggio di responsabilità verso il Paese coinvolge noi, che siamo la forza principale, ma interpella tutti. Riconosciamo le posizioni di ciascuno, più o meno critiche; non pretendiamo certo che nel centrosinistra ci sia una voce sola e cioè la nostra! Ma siamo certi che nessuno potrà pensare di prendere alle spalle il PD in un passaggio delicatissimo del Paese, perché tutto poi torni semplicemente come prima. L’idea che prima di tutto c’è l’Italia e che non si vince né sulle macerie né a qualsiasi prezzo, non è per noi una idea occasionale! Vale oggi e varrà per il futuro! Non si vince sule macerie, non si vince a qualsiasi prezzo. Confermo qui, con questa trasparenza e chiarezza la nostra scelta per un centrosinistra di governo che si apra al confronto con realtà moderate e civiche che non accettano la deriva populista della democrazia italiana. E’ questa l’attitudine generale con cui andiamo all’appuntamento delle amministrative: a servizio di un larga riscossa civica e valorizzando momenti di partecipazione che consentano il protagonismo dei cittadini nella scelta dei candidati e dei programmi. Da questo week end parte il ciclo delle primarie in tutte le città italiane che andranno al voto. Stiamo lavorando ovunque per incoraggiare la massima partecipazione.

Infine, il PD.
L’anno che abbiamo alle spalle non è stato certo senza risultati. Abbiamo vinto le amministrative, abbiamo mandato a casa Berlusconi, siamo diventati stabilmente il primo Partito del Paese.

Ma io sono più orgoglioso di quello che abbiamo seminato piuttosto che di quello che abbiamo raccolto. Sono infatti fermamente convinto che se seminiamo bene potremo fare ancora di più e meglio. Abbiamo messo in funzione quasi ovunque (ma non ovunque purtroppo) organismi dirigenti funzionanti; abbiamo fatto dei passi per mettere meglio in equilibrio la discussione aperta con l’identità e l’unità del Partito, abbiamo operato per rinverdire i nostri valori e le nostre motivazioni culturali, etiche e religiose; abbiamo fortemente accresciuto la capacità di progetto e di proposta oggi preziosissima; abbiamo ripreso molti contatti con i mondi reali della vita sociale e civile; abbiamo avviato sperimentazioni che possono avere un esito strutturale (la formazione per un anno di duemila giovani del mezzogiorno, l’allestimento di una rete dei circoli, lo sviluppo e il miglioramento delle nostre feste, una bella rivista online e così via). Abbiamo cioè determinato potenzialità da mettere a frutto. Di queste potenzialità, voglio indicarne una sola: la ripresa del tema del Mezzogiorno che può collegarci in forme nuove all’idea dell’unità del Paese. Tocca a tutti noi coltivare questa prospettiva, ad esempio sui temi della legalità. Credo che abbiamo capito tutti, a questo punto, che la grande criminalità non è solo al sud, che i problemi sono anche la nord, che non possiamo lasciare solo chi è esposto su questo fronte. Fra nord e sud in mille forme possibili dovremo organizzare il ponte della legalità.

Nell’anno del dopo Berlusconi il nostro Partito non andrà certo in vacanza. Ci muoveremo con un programma di iniziative che coinvolgerà il Partito dal centro fino ad ogni circolo. Abbiamo un posizionamento politico e un progetto che ci consente di essere interlocutori di chi subisce di più la crisi e di chi si muove per affrontarla. Investiremo su questo. “Incontriamo l’Italia” sarà il titolo di questo nostro programma, che ci consentirà di incontrare in ogni luogo realtà sociali, produttive e culturali, autorità morali, movimenti; ascoltando e promuovendo proposte e iniziative. Comincerà il Segretario Nazionale e lo faremo tutti mettendoci l’impegno e la fantasia necessari. Lavoreremo allo stesso tempo per rafforzare il nostro pensiero e la nostra analisi con un programma proposto dal nostro Ufficio Studi. Chiameremo le migliori intellettualità italiane e non solo per illuminare la fase che si apre. “Il mondo dopo la destra” come dicevo. Continueremo, con ulteriori appuntamenti, la costruzione della piattaforma dei progressisti europei. Rafforzeremo la nostra iniziativa rispetto alle prospettive che si muovono sull’altra sponda del Mediterraneo, mettendo a frutto collegamenti che abbiamo via via costruito.

Mi fermo qui. Voglio concludere. Mi è già capitato di dire che il percorso nuovo che si è aperto sarà il nostro vero battesimo. Questa fase ci dirà se gli italiani potranno davvero percepire, convincersi che c’è una grande forza riformista solida e stabile al servizio del Paese e che vale la pena di ascoltare quello che questa forza dice a proposito di una strada nuova per la nostra democrazia e la nostra società.

Solidità e tenuta, solidarietà fra noi ovunque e in ogni luogo, onestà e rigore, combattività, progetto riformista per l’Italia. Non passiamo il tempo a guardarci dal lato dei difetti. Il solo modo per correggerli è essere sicuri che noi siamo più forti delle nostre debolezze e dei nostri limiti, che l’Italia ha davvero bisogno di noi.

da www.partitodemocratico.it

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Bindi: “ll PD saprà far ritrovare l’autorevolezza alla politica, secondo i valori della nostra Costituzione”
Intervento della Presidente Rosy Bindi, all’Assemblea Nazionale del PD, in corso alla Nuova Fiera di Roma

Dopo l’Inno Nazionale, l’ufficio di presidenza ha preso posto sul palco e la Presidente Bindi, ha salutato la platea, dedicando il primo pensiero alle vittime del Concordia e a coloro che si stanno adoperando per evitare che la tragedia diventi più grande.

“Tragedia frutto di chi ha smarrito il senso del dovere, anche se non dobbiamo farci identificare all’estero, da questa immagine dell’Italia che come la nave continua a sprofondare”, ha esortato la Presidente.

Bindi ha ricordato anche Martino Martini, Giorgio Franceschini e Ugo Spagnoli che sono scomparsi di recente, e che”non ci hanno lasciato soli in passato e non lo faranno neanche adesso”.

Ironicamente ha presentato “i suoi”, ovvero Pier Luigi Bersani, Marina Sereni, Dario Franceschi e Ivan Scalfarotto, presenti in Presidenza, parafrasando la campagna 2012 di tesseramento del PD, oggetto dopo il suo lancio di controverse critiche.

“Nel 2012 – ha annunciato – terremo atre due Assemblee, perché questa è l’ultima del 2011 che è stata rimandata. C’è stata negli ultimi mesi l’acuirsi della crisi economica e di governo e poi il governo Monti. Ma non può passare in cavalleria – ha ribadito Bindi – che siamo arrivati a questo punto perché qualcuno ha concentrato l’agenda politica sui propri problemi. E che almeno dal 14 dicembre del 2010, questo Paese non ha avuto una maggioranza politica. Non è caduto il governo solo per lo spreed – ha spiegato – ma grazie anche alla nostra azione politica che ci ha portato a vittorie importanti nel 2011, alle elezioni amministrative ed una azione ferma e solida nelle sedi parlamentari”.

Bindi ha ricordato che “quel 309 scolpito nel display della Camera è stato il frutto di un sapiente lavoro politico del PD. Noi abbiamo preparato l’avvento del governo Monti e questo deve essere sottolineato con forza. Ciò che è avvenuto in questi mesi è frutto anche della generosità del Partito democratico perché al primo posto c’è l’Italia e il bene degli italiani”.

Inoltre la Presidente ha voluto sottolineare che “tutto ciò non sarebbe accaduto se non avessimo avuto un Presidente della Repubblica che ha saputo gestire la situazione, al di là degli attacchi personali e alla Costituzione che sono stati messi in atto in questa fase”.

“Sarà ancora lunga – ha ammonito – ma vogliamo registrare la qualità delle persone che stanno ora al governo, la dignità che ha ritrovato la politica, l’importanza di aver riavuto la parola in sede europea. Noi sosteniamo questo governo con lealtà e forza, anche se non sono mancati i nostri emendamenti alla manovra. Perché siamo convinti che il tema dell’equità e della crescita daranno valore al governo. Non siamo stati timidi nel chiedere più determinazione nella lotta all’evasione fiscale e nella tutela delle parti deboli del Paese”.

Bindi ha nuovamente espresso “pieno sostegno e lealtà al governo Monti, da parte del PD”, come più volte sottolineato, ma ha voluto ribadire che il PD non è il governo Monti. “La natura di questo governo non è di nessuna forza politica in particolare – ha spiegato – intanto noi come PD lavoriamo per l’alternativa, prima di tutto in Parlamento, per fare le riforme, soprattutto quella elettorale. Non verrà meno la nostra determinazione nel cambiare la legge elettorale. Deve essere un impegno pregiudiziale, in quanto andare al voto con l’attuale legge, non sarebbe rispettoso nei confronti di chi ha raccolto le firme per il referendum, e dell’impegno istituzionale del Presidente della Repubblica”.

A conclusione del suo intervento Rosy Bindi ha voluto sottolineare quello che è lo scopo principe del PD ovvero: ‘lavorare per l’alternativa vera’.

“Stasera discuteremo di Europa, domani di Italia. Ma noi vinceremo le prossime elezioni politiche e dobbiamo continuare a lavorare contro le cause che hanno prodotto questa crisi. Sappiamo che dobbiamo riporre al centro, i valori dell’equità, della giustizia, del lavoro e rafforzare il processo europeo. C’è una favola che gira in questi giorni – ha concluso – che il PD è ridimensionato da questa fase, ma non è vero. I sondaggi dicono il contrario, ma solo un partito che non è democratico potrebbe farsi travolgere da questa fase. Se il PD saprà far ritrovare l’autorevolezza alla politica, contro l’antipolitica, attraverso il modo di stare nei territori e di stare insieme, non potrà che uscire più forte da questa fase e ne costruirà una nuova, secondo i valori della nostra Costituzione e questa Assemblea che è l’organismo più alto del PD, potrà fare un buon lavoro, auguri a tutti”.

da www.partitodemocratico.it

"Porcellum, il Pd non torni indietro", di Mario Lavia

Il Partito democratico farà una grande campagna politica per cancellare il Porcellum. Una campagna esterna, fra i cittadini; e una battaglia nelle sedi politiche e istituzionali. Sacrosanto. Non si può pensare infatti di tornare alle urne l’anno prossimo con una legge elettorale vergognosa come quella voluta dal centrodestra, con il consenso anche dell’Udc, rinnegata oggi anche da alcuni suoi ex fautori, negativa riguardo all’obiettivo della stabilità e impopolare in un tempo di nuova domanda democratica. Peraltro, il Pd è in ottima compagnia. Non solo giornali e studiosi (ieri due editoriali, Mauro su Repubblica e Panebianco sul Corriere), non solo la disponibilità del Terzo polo: soprattutto in campo c’è la vigorosa iniziativa di Giorgio Napolitano. Si potrebbe recriminare sul fatto che per i partiti sarebbe stato più agevole scrivere una nuova legge “sotto dettatura” del popolo espressosi col referendum. Ma è acqua passata. E il capo dello stato, che ben conosce i limiti di questi partiti, comprensibilmente mette loro fretta.
Il “giro” del presidente ha visto più ombre che luci. Dicono che su regolamenti, diversificazione delle camere, finanche sulla riduzione del numero dei parlamentari l’accordo sia ragionevolmente a portata. Ma nessuno può far finta di non sapere che lo scoglio vero è la legge elettorale, un pugno di sabbia che può ingrippare l’intero meccanismo riformatore.
Il Pd ha una posizione forte (che si vorrebbe sostenuta con maggiore convinzione), il doppio turno prevalentemente maggioritario ma con recupero proporzionale e diritto di tribuna. Sarebbe un errore mollare sui principi di fondo: il maggioritario che rende limpida la scelta del governo da parte degli elettori, e il diritto del popolo a scegliersi i rappresentanti. E col maggioritario le primarie di partito sono imprescindibili. Su questo bisogna essere chiari.
Ma la difficoltà reale è legata all’ambiguità di Berlusconi. Che vorrebbe tenersi stretto il Porcellum.
Vorrebbe il Porcellum non solo e non tanto per mantenere il suo pieno dominio sulle candidature e nemmeno solo per salvare l’asse con la traballante Lega, quanto per sollecitare quel largo sentimento dell’anti-politica che inevitabilmente contro il Pd si scaglierebbe. Una mossa disperata ma non priva di senso: gonfiare la “bolla” di un Beppe Grillo a tutto discapito di quello che oggi è il partito più forte non è un grande progetto politico, ma per un leader al tramonto è meglio di niente.
Il problema di Berlusconi è però duplice. Primo, se questa “astuzia” venisse smascherata e denunciata per tempo, l’opinione pubblica si rivolterebbe contro di lui. E soprattutto il Cavaliere avrebbe di fronte Giorgio Napolitano, vero maieuta di un progetto complessivo di riforme recuperando appieno la bussola di una sana democrazia dell’alternanza.
Insomma, è l’ex premier davanti a una scelta: e stia bene attento perché rischia di

da www.europaquotidiano.it

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“Napolitano: sessioni parallele per riforme e legge elettorale”, di Marcella Ciarnelli

Una sessione parlamentare da dedicare alle riforme per riuscire a varare quelle necessarie. Potrebbe essere la strada da seguire. Conclusi i colloqui di Napolitano
con le forze politiche rappresentate in Parlamento.

Nessuno ha detto «no, non è possibile». Non c’è stato uno dei rappresentanti delle forze politiche che sono salite al Quirinale negli ultimi tre giorni che abbia detto di voler conservare lo statu quo. Il presidente della Repubblica li aveva convocati
per una ricognizione sulla possibilità di procedere, nel tempo che manca alla fine della legislatura, sulla strada delle riforme, a cominciare da quella elettorale, arrivando così a dare risposte concrete alla richiesta sostenuta dalla opinione
pubblica concretizzata nell’oltre milione di firme a sostegno dei referendum poi bocciati dalla Consulta.

IL RUOLO DELLA POLITICA
Una ricognizione che è stata anche una sollecitazione alle forze politiche ad impegnarsi nei luoghi deputati dato che «è ai partiti e al Parlamento che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche alla vigente legge elettorale»
come si sono trovati in accordo ad affermare il Capo dello Stato e i presidenti di Senato e Camera subito dopo la decisione della Corte. Che i problemi ci siano è stato
ribadito da tutti i politici che sono stati ricevuti al Colle. Ieri la tornata si è conclusa con la delegazione dell’Idv, composta dai capigruppo parlamentari Bellisario e Donadi e dal portavoce Orlando anche se poi Antonio Di Pietro, che non c’era, si è preso l’incarico di illustrare la posizione del suo partito, più disponibile rispetto al solito anche se sempre scettico. «Io non ho condiviso la decisione della Consulta ma ora prendo atto che il capo dello Stato con impegno, in queste ore, si sta confrontando per stimolarci a fare una nuova legge elettorale» che per l’Idv dovrà «rispettare lo spirito referendario» e «la necessità di una riforma costituzionale che, partendo dalla
drastica riduzione del numero dei parlamentari, preveda la fine del bicameralismo
perfetto».
Anche gli esponenti della Lega, Bricolo capogruppo al Senato e Lussana al posto di Reguzzoni, in altre faccende impegnato, hanno portato al Colle la disponibilità a modificare la legge elettorale confezionata dal loro collega di partito Calderoli, anche
se il leitmotiv dell’incontro è stato la conclusione del percorso federalista.

TRE GIORNI DI COLLOQUI
Ora che la ricognizione con le forze politiche si è conclusa, i primi ad andare al Quirinale sono stati i rappresentati del Terzo Polo, poi è stata la volta di Pd e Pdl ed, infine, i partiti ricevuti ieri, il presidente Napolitano farà le sue valutazioni e poi si confronterà con i vertici di Senato e Camera, con i quali è possibile possa essere
concordato un percorso parlamentare che porti alla discussione nei luoghi propri delle riforme necessarie, fino all’auspicabile approvazione.
Una sessione parlamentare specifica che in tempi rapidi porti al risultato. Questo potrebbe essere il percorso. E per superare l’obbiezione, fatta da alcuni sul prima e il dopo, e cioè su quali argomenti iniziare il confronto la soluzione potrebbe essere
quella di affrontare in una Camera le riforme costituzionali e, quindi, le diverse funzioni delle assemblee e il numero dei parlamentari, e nell’altra la discussione sulla riforma elettorale. Un percorso in parallelo che porterebbe ad una indiscutibile
accelerazione. La situazione è quella che è. Nessun esponente delle forze politiche
si è tirato indietro davanti alla sollecitazione del presidente. Però appare evidente che ognuno ha obbiettivi, modelli, interessi diversi. E vale per i singoli partiti ma anche all’interno degli stessi. Nel momento in cui il confronto dovesse partire è
chiaro che le differenze diventerebbero ancora più evidenti di quelli apparsi nei momenti del solo dibattito teorico. D’altra parte, basti solo l’esempio della riforme elettorale, in Parlamento sono molte e diverse i disegni di legge depositati a nome di
singoli parlamentari o partiti.
L’argomento è diventato di nuovo di stringente attualità nei partiti. Ed ora bisogna vedere come si concretizzerà la disponibilità al confronto confermata da tutti al Capodello Stato. «Insistiamo molto sul fatto che la politica debba mettersi a disposizione di un processo di riforme» aveva affermato il segretario del Pd, Pier
Luigi Bersani, l’altra sera al termine del colloquio con Napolitano, ribadendo che «siamo anche quelli che vogliono essere flessibili, aperti a una discussione da fare in Parlamento con gli altri partiti». Il disegno di legge del Pd è stato depositato.

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“Bersani: se resta il Porcellum il Pd farà le primarie”, di Simone Collini

Per il leader dei Democratici sarebbe una tragedia conservare l’attuale legge. Ma il confronto parte male: il Pdl vuole anteporre l’assetto istituzionale e rilancia il presidenzialismo

Tra diffidenze reciproche, i partiti hanno già cominciato a discutere di legge
elettorale. In questa fase un po’ tutti si limitano a sondare il terreno, consapevoli del
nesso tra sistema di voto e strategia delle alleanze. Nel Pdl si sta ragionandose
convenga lavorare per riallacciare con l’Udc in vista delle prossime elezioni o se aprire il confronto col Pd per salvaguardare il bipolarismo e chiudere a ipotesi proporzionaliste.
Nell’Udc (così come nell’Idv) c’è il timore che Pdl e Pd vogliano andare verso una legge come quella spagnola che favorirebbe i grandi partiti e quelli, come la Lega,
molto regionalizzati. Fli, per rimanere nel Terzo polo, lancia attraverso il finiano “Futurista” una bordata al proporzionale. Nel Pd si guarda con sospetto sia alla proposta di “emendare” il Porcellum inserendo le preferenze (La Russa) che a quella di posporre la modifica della legge elettorale all’approvazione delle riforme istituzionali, rilanciando per di più il presidenzialismo (Cicchitto).
Bersani, che ha discusso dell’argomento con Alfano il giorno del vertice a Palazzo Chigi con Monti, è convinto che le «sollecitazioni» del Quirinale e la spinta referendaria che comunque si è fatta e si farà sentire, porteranno ad approvare entro la fine della legislatura una nuova legge elettorale.Mail leader del Pd ha garantito fin d’ora in diversi colloqui che nel caso in cui il Pdl alla fine si mettesse di traverso (per Berlusconi il Porcellum è strategico all’alleanza con la Lega), i candidati parlamentari del suo partito saranno scelti attraverso le primarie. «Se non si arrivasse a una nuova legge elettorale – è il suo ragionamento – attiveremo tutti i possibili meccanismi di partecipazione nella scelta dei nostri candidati». Si tratta ad un tempo di un modo per rispondere all’esigenza di far scegliere gli eletti dagli elettori, per tranquillizzare quanti nel partito (all’Assemblea nazionale che si apre oggi a Roma Civati e Vassallo presenteranno un ordine del giorno in questo senso) chiedono le primarie nel caso in cui rimanesse il Porcellum, e anche per lanciare una campagna di mobilitazione che farebbe già emergere una prima importante differenza tra i partiti che si confronteranno alle prossime politiche.
Secondo Bersani andare a votare per la terza volta con questa legge elettorale sarebbe però drammatico perché il sistema politico rimarrebbe bloccato e perché aumenterebbe il distacco dei cittadini nei confronti della politica. Tema che il leader del Pd toccherà oggi aprendo l’Assemblea nazionale del partito, sottolineando la necessità di approvare le riforme (elettorale compresa) per ridare credibilità ai partiti e alle istituzioni.
Il Pd lancerà una mobilitazione tra iscritti ed elettori «per una buona politica» e chiederà un’accelerazione anche in Parlamento. Ed è bastato che si ventilasse l’ipotesi di presentare una mozione che impegnasse le Camere ad avviare la discussione perché dal Pdl si levassero voci allarmate e minacciose: dice Cicchitto che solouna volta delineate le soluzioni sulla forma politico-istituzionale dello Stato si potrà portare avanti il dibattito della riforma della legge elettorale, «che nessuno può pensare di ipotecare con la improvvida presentazione di mozioni in Parlamento».
E in attesa che il confronto parta a Montecitorio e Palazzo Madama, Veltroni ha organizzato per giovedì con Democratica un incontro per discutere il tema. Parteciperanno il capogruppo Pd a Montecitorio Franceschini, Quagliarello (ala dialogante del Pdl), Della Vedova (Fli) e Orlando (Idv).

da L’Unità

"Il Pd vola nei sondaggi: ora è al 30%. Ma cresce lo scontento dell'ala sinistra", di Maria Teresa Meli

I dati (falsati dall’astensionismo) e le critiche di Emiliano e Rossi

Ci sono numeri che dicono più delle parole, come sanno bene al Pd. Il Partito democratico, che oggi e domani terrà la sua assemblea nazionale, continua a crescere nei sondaggi. È arrivato a quota 30 per cento. Ma quella cifra non può essere presa nel suo valore assoluto. Pesa, in tutte le rilevazioni, l’astensionismo crescente. Ci sono tanti, troppi intervistati che dichiarano di non voler andare a votare. E pesa anche un altro dato: il calo delle iscrizioni al Pd in alcune grandi città. A Torino si arriva a un meno 40 per cento, percentuali simili a Firenze, a Roma le tessere non sono scese ma non sono nemmeno aumentate. E in tutta Italia monta l’insoddisfazione del popolo della sinistra, che non è ancora del tutto convinto dell’operazione Monti.
In periferia il malumore si allarga anche ai gruppi dirigenti. Michele Emiliano ormai sfida apertamente il suo partito: «Sembrano come quegli astronauti che escono dalla navicella spaziale per aggiustarla e si perdono nello spazio». Il governatore della Toscana Enrico Rossi è un uomo d’apparato per cui non mollerà il Pd, però è molto critico: «O la sinistra ritrova la sua identità o sarà fagocitata dalla svolta tecnocratica. Monti rappresenta una politica economica di destra».
Insomma, il Partito democratico rischia di perdere pezzi a sinistra. Dove, peraltro, sta prendendo piede un nuovo possibile movimento, che debutterà domenica prossima con Vendola, Luigi de Magistris, Emiliano, il leader della Fiom Landini. E all’appuntamento potrebbe affacciarsi anche Rita Borsellino. Bersani l’ha candidata come sindaco di Palermo, ma quel pezzo di Pd che è legato a filo doppio a Lombardo la osteggia.
Il gruppo dirigente del Pd non intende andare all’inseguimento della sinistra, però non vuole neanche abbandonare quel campo. È per questa ragione che, ieri, persino un fan sfegatato di Monti come Enrico Letta ha tenuto un convegno a porte chiuse con Alfredo Reichlin per capire che cosa si agita nella sinistra del fu Pci. Ed è sempre per questa stessa ragione che Bersani, oggi, nella sua relazione introduttiva cercherà di rassicurare elettori e militanti. Come? Rilanciando il ruolo del Pd come «pilastro delle riforme» per «ridare alla politica ciò che è della politica». Il segretario starà bene attento a non dare l’immagine di un partito immobile, al traino del governo e porrà l’accento su un parola, «solidarietà», cara al popolo della sinistra.
Ma il malumore che si avverte in periferia ha, inevitabilmente, anche delle ripercussioni nei gruppi dirigenti. Sempre più insofferenti nei confronti del Pdl. È il caso, per esempio, di Rosy Bindi. La presidente del Pd avrebbe voluto fare un intervento durissimo all’assemblea, dopo una trattativa interna vi ha rinunciato, ma il suo umore non è che sia cambiato troppo. La regia del parlamentino del Partito democratico prevede di mandare in onda un film senza colpi di scena. Tutti cercheranno di attutire dissensi e tensioni. E poiché non esiste un programma vero e proprio si sta puntando a evitare la presentazione di ordini del giorno che potrebbero rivelarsi insidiosi. Un esempio: la proposta presentata da Vassallo e Civati che prevede le primarie per la scelta dei parlamentari nel caso in cui si dovesse andare al voto con l’attuale sistema elettorale. È una proposta che potrebbe interessare i segretari regionali delle regioni rosse, stufi di dover regalare collegi ai dirigenti nazionali.

da www.corriere.it

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“La storia democratica un sondaggio dopo l’altro”, di Paolo Natale

Sono ormai trascorsi quasi 5 anni dalla nascita del Pd in Italia, ed è quindi tempo di un primo rapido bilancio dei consensi che nel corso di questo lustro sono giunti, verso il partito, dagli elettori italiani. Al di là dei risultati elettorali, il cui unico momento di verifica certa a livello nazionale è stato quello del 2008, nella sfida (positiva ma non troppo) di Veltroni contro Berlusconi, è interessante ripercorrere la breve storia degli orientamenti di voto dichiarati, nei confronti del Pd.
Questo per comprendere un po’ meglio quale sia stata l’impressione che l’elettorato ha avuto di questo novello raggruppamento politico. Alla sua prima apparizione, in concomitanza con i mesi di agonia del governo Prodi, il Pd godeva dell’apprezzamento di una quota consistente degli elettori, sia di destra che di sinistra, i quali giudicavano positivamente l’opera di Veltroni, il tentativo di scardinare un quadro di riferimento in cui entravano mille piccoli partiti, mille rivoli che tendevano a disperdere e vanificare una possibile gestione centralizzata di un esecutivo ed, eventualmente, di una potenziale opposizione.
I costanti veti incrociati delle diverse formazioni politiche presenti nel governo uscente, che rendevano quasi impossibile proposte coerenti ed unitarie, indebolendo vieppiù il già fragile esecutivo prodiano, avevano finito per stancare a dismisura la maggioranza della popolazione.
Ecco allora che la proposta di Veltroni, la semplificazione cioè del quadro politico di riferimento, escludendo di fatto le frange riottose alla sua sinistra o alla sua destra, coglievano nel segno nell’incontrare l’umore prevalente nel paese, sia a destra che a sinistra. Il progetto veniva dunque salutato dal favore degli elettori che, nelle dichiarazioni di voto, attribuivano al Pd quote percentuali già superiori ai trenta punti, come si è poi puntualmente verificato nelle successive elezioni del 2008, quando il partito ottenne consensi superiori al 33 per cento, in linea con le tendenze che si registravano nelle indagini demoscopiche.
E anche nei mesi successivi, insediatosi il nuovo Berlusconi, gli orientamenti di voto vedevano permanere la fiducia nel Pd sulla stessa linea del periodo di nascita del partito. La speranza degli elettori era che il primo segretario del partito agisse all’interno di una opposizione costruttiva, come costante interfaccia con l’operato dell’esecutivo, avanzando proposte alternative che mettessero in luce i punti deboli del governo stesso. Una sorta di “governo ombra” che potesse iniziare a costruire una vera alternativa, in parlamento ma soprattutto nel paese, agli ultimi anni dell’era berlusconiana.
Ma, alle prime ovvie difficoltà, questa linea di condotta parve agli italiani venir meno troppo repentinamente, e i consensi, soprattutto all’indomani delle dimissioni di Veltroni, iniziarono a scemare. Nell’ottobre 2008 già mantenere l’asticella del 30 per cento dei voti potenziali era divenuto il nuovo obiettivo; dopo qualche mese in cui il Pd veniva stimato attorno a quella quota, in concomitanza con la sconfitta abruzzese e sarda, e poi con il subentro di Dario Franceschini alla guida del partito il Pd viveva una nuova contrazione negli orientamenti di voto, giungendo al suo nuovo livello più basso, tra il 25 ed il 26 per cento.
E così restava per l’intero 2009, l’anno più buio del progetto democratico. A nulla portò il nuovo cambio del segretario. Anche Pier Luigi Bersani non riuscì a risollevare le sorti del partito, gettonato ormai da meno del 25 per cento degli italiani. Fino a pochi mesi dalla fine del governo Berlusconi, con le sue dimissioni, le fortune del partito non furono molto più positive, parallelamente peraltro a quelle del suo storico rivale, il Pdl.
Soltanto negli ultimi due-tre mesi, da quando la crisi dell’esecutivo uscente si è fatta più evidente, è potuto avvenire il sorpasso, con il Pd di nuovo vicino all’asticella del 30 per cento. Sembra una sorta di piccolo paradosso: oggi che in qualche modo il partito di Bersani appoggia il governo, i suoi consensi tendono a rimanere sufficientemente elevati; nel momento invece in cui l’operato del governo veniva giudicato altamente deficitario, altrettanto deficitario era giudicato quello dell’opposizione nel suo complesso, e del Pd nello specifico.
È successo dunque qualcosa che i manuali di politologia stentano a riportare. Quando diminuiscono i consensi per il governo, di solito se ne avvantaggia il principale partito di opposizione. In Italia, è stato invece necessario il tramonto dell’esecutivo-Berlusconi, e l’avvio della nuova fase politica, per permettere al Pd di rianimarsi, nei consensi degli italiani. Giudicato incapace di fare opposizione dagli stessi sostenitori del partito, essi si aspettano ora grandi cose, dall’altra parte della barricata. Il tempo ci dirà se avevano riposto giuste speranze.

da www.euroaquotidiano.it

"Contratto unico, aperture con riserve", di Paolo Griseri

Cgil e Cisl puntano sull´apprendistato. Commenti prudenti in vista del vertice di lunedì. La Camusso si affida a Twitter per una prima reazione al piano della Fornero
Il Pdl frena: il sistema attuale risponde meglio alle esigenze del mercato del lavoro

ROMA – I sindacati condividono l´idea del governo di abbattere la giungla di contratti che regolano il lavoro precario in Italia. Poi si dividono sulla ricetta per raggiungere il risultato. Le reazioni delle parti sociali alle indiscrezioni sulla riforma del lavoro cui starebbe lavorando il ministro Elsa Fornero, sono nel complesso prudenti. Perché, in vista dell´incontro di lunedì a Palazzo Chigi, nessuno vuole sbilanciarsi. Prudenza anche tra i partiti con l´unica eccezione di Giuliano Cazzola, ex sindacalista Cgil ora approdato al Pdl, che preferirebbe lasciare tutto com´è: «Il Pdl – dice Cazzola – considera la pluralità delle forme contrattuali ora esistenti, un´opportunità per meglio corrispondere ad esigenze specifiche del mercato del lavoro».
Ma non è questo l´orientamento del governo Monti. Lo aveva detto chiaramente il premier nei giorni scorsi: «Dovremo ridurre la frammentazione dei contratti». «Per noi il contratto d´ingresso per i giovani nel mercato del lavoro è il contratto di apprendistato», dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Che apprezza l´asse centrale delle proposte di queste ore: «Definire, dopo un periodo di tre anni, uno sbocco a tempo indeterminato». Qual è la differenza tra contratto unico e contratto di apprendistato? Per Bonanni «non è una questione di forma ma di sostanza». Il contratto di apprendistato infatti prevede lo svolgimento di corsi di formazione professionale obbligatori.
Prudente la Cgil che preferisce affidare il suo commento all´anonimato di Twitter, in modo da far emergere quel che pensano i militanti di base senza esporre i dirigenti. I cinguettii di corso d´Italia esprimono scetticismo: «Fornero vuole ridurre a uno i 46 contratti oggi esistenti? E´ una bugia». Come dire, sarebbe bello ma è impossibile. Per questo, aggiunge la Cgil, «il contratto unico è solo un inganno». Anche il sindacato di Camusso tiene molto alla formazione professionale e per questo ripete, con la Cisl che «il canale d´ingresso al lavoro per i giovani è l´apprendistato». Poi ironie anonime contro «i professori»: «Lunedì ci piacerebbe discutere di mercato del lavoro con qualcuno che lo conosca per averlo frequentato ogni tanto». Battute pesanti che ricordano nello stile l´attacco di Susanna Camusso a Elsa Fornero sull´articolo 18: «Se guardo alla manovra penso che lavori per le assicurazioni private». Una forma dura che nasconde una sostanza tutto sommato morbida perché la Cgil approva l´idea di ridurre a uno, sia pure con l´introduzione della formazione obbligatoria, i molti contratti di precariato oggi esistenti in Italia.
Chi attacca frontalmente l´ipotesi di riforma è invece il partito di Gianfranco Fini. Il capogruppo alla Commissione attività produttive della Camera, Enzo Raisi, parla di «una ipotesi di riforma al ribasso» perché il provvedimento non modificherebbe l´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Secondo Raisi invece «se al compimento di primi tre anni di lavoro rimanesse in vigore l´articolo 18, una norma inefficiente e discriminatoria, le imprese licenzierebbero prima».

da la Repubblica

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“I sindacati: bozza Fornero? È una finta e non serve”, di Mariantonietta Colimberti

Lunedì le parti sociali al tavolo con i ministri di welfare e sviluppo

Nel giorno in cui Repubblica apriva con le indiscrezioni sul “piano Fornero” in vista dell’incontro di lunedì tra esecutivo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e la crescita, l’Istat ha diffuso l’indagine “Noi Italia, le 100 statistiche per capire il paese in cui viviamo”. Una messe di dati dalla quale emerge un panorama del lavoro drammatico, in Europa ma soprattutto nel nostro paese. Sono oltre due milioni i giovani che in Italia non sono inseriti né in un percorso scolastico-formativo né in un’attività lavorativa, il 22% tra i 15 e i 29 anni, uno dei valori più alti a livello europeo; il tasso di inattività italiano ha continuato a crescere attestandosi al 37,8%, con una forte prevalenza femminile (48,9% contro il 26,7% dei maschi).
Infine, la disoccupazione di lunga durata, che nella media Ue nel 2010 ha sfiorato il 40%, in Italia si aggira intorno al 50% del totale dei disoccupati. Sono dati più che preoccupanti, che alla vigilia di una trattativa importante acquistano una forza tutta particolare. Il quotidiano di Ezio Mauro ieri accreditava come fulcro di un possibile accordo una bozza di modello contrattuale che ricalca il progetto Boeri-Garibaldi ed è molto simile alla mediazione di Franco Marini sulla quale molto si è detto e scritto anche su queste pagine.
Nel piano di riforma attribuito da Repubblica al ministro del welfare (e ritenuto attendibile da un autorevole esponente del Pd) si prevede di sostituire gli attuali 48 contratti censiti dall’Istat con un contratto unico di ingresso (il Cui) di durata massima triennale, variabile a seconda del tipo di lavoro. Conclusa la fase di ingresso, interviene la stabilizzazione con il passaggio al tempo indeterminato. Durante il primo periodo, il datore di lavoro non avrà l’obbligo di reintegrare il dipendente in caso di licenziamento, ma dovrà risarcirlo pagando una penale proporzionale al tempo lavorato.
Un capitolo a parte riguarderebbe poi i contratti a termine, uno degli escamotage utilizzati per pagare poco i dipendenti. Secondo il progetto diffuso da Repubblica, nessun contratto a tempo determinato potrà essere inferiore ai 25mila euro annui lordi. Un tetto riguarderà i contratti a progetto e di lavoro autonomo continuativo che rappresentino più di due terzi del reddito di un lavoratore con la stessa azienda (i rapporti di lavoro dipendente mascherato).
Infine, la questione più delicata ma anche la più urgente: gli ammortizzatori sociali. Come si sa, uno dei principali temi è quello della cassa integrazione, diventata di fatto un ammortizzatore sociale essa stessa, che aiuta l’azienda a scaricare sull’Inps parte del peso delle crisi aziendali. Da tempo da più parti si chiede di cambiare. In altri paesi c’è il reddito minimo di disoccupazione, una misura costosa, non facile da applicarsi in una fase di crisi come l’attuale.
Soprattutto, Confindustria ha più volte detto chiaramente di non potersi assumere ulteriori oneri economici e i sindacati non hanno grande fiducia nelle capacità del governo di riuscire davvero a trovare le risorse per una incisiva riforma degli ammortizzatori sociali, ritenuta centrale e preliminare anche dal Pd.
Ieri le reazioni allo “scoop” di Repubblica non si sono fatte attendere. La Cgil, con una serie di tweet, ha ribadito la sua contrarietà al contratto unico, ritenendo inattendibile e dunque un bluff l’obiettivo di eliminare tutte le altre forme contrattuali esistenti. E ha attaccato: «Se il governo dice che prepara una proposta originale da discutere lunedì, perché Repubblica parla di Boeri-Garibaldi?».
Meglio estendere l’attuale contratto di apprendistato, secondo la confederazione guidata da Susanna Camusso. D’accordo la Cisl, che con Cgil e Uil ha firmato un documento unitario considerato la base della discussione. Dalle parti del sindacato di Raffaele Bonanni, in realtà, si pensa che l’indiscrezione del quotidiano romano sia stata una sorta di prova «per vedere l’effetto che fa», come nel caso della famosa norma anti-articolo 18 nascosta nel decreto liberalizzazioni, poi sparita, un qualcosa targata più palazzo Chigi che Fornero. «Il problema vero saranno le risorse per gli ammortizzatori sociali, il “chi paga”…» si ragiona. Quanto al contratto unico, «ingesserebbe il mercato del lavoro invece di flessibilizzarlo. Non è questo che l’Europa ci ha chiesto». Lunedì è ormai molto vicino.

da www.europaquotidiano.it

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“No di Cgil Cisl e Uil. Marcegaglia: si parli di flessibilità in uscita”, di Giusy Franzese

Rischia di partire in salita la trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Non piace il contratto unico alle parti sociali. Non piace ai sindacati che insistono su un potenziamento dell’apprendistato; non piace alle imprese che temono un irrigidimento del mercato del lavoro in entrata senza alcun vero beneficio in uscita. Le motivazioni cambiano, ma il risultato è lo stesso: bocciato. Se questo sarà il piatto forte della nuova riforma del mercato del lavoro targata Fornero (dal ministero però smentiscono che ci sia già una bozza), è altamente probabile che i commensali decidano di restare a dieta. In attesa di convincere Monti, nella riunione plenaria che ci sarà lunedì mattina a Palazzo Chigi, a cambiare menù.
Su Twitter la Cgil si scatena: «Il contratto unico è solo un inganno. L’apprendistato è il canale di ingresso al lavoro per i giovani e il contratto a tempo indeterminato deve continuare a essere la forma comune di impiego». «E’ la prima picconata vera all’articolo 18» rincara Giorgio Cremaschi, della Fiom.
Il problema è: che cosa succederà al 35esimo mese? Il contratto unico che piacerebbe alla Fornero, infatti, sposa l’idea degli economisti Boeri-Garibaldi (tradotta poi in un disegno di legge a firma di parlamentari del Pd): sostituisce le tante tipologie di ingresso precario, ma nei primi 36 mesi l’azienda può licenziare anche senza giusta causa, corrispondendo un indennità che aumenta in base al tempo in cui il lavoratore è stato in azienda (cinque giorni per ogni mese lavorato); se il rapporto continua alla fine dei tre anni scatta l’assunzione a tempo indeterminato con tutte le tutele attualmente vigenti. «E’ un periodo di prova allungato a forte rischio di abusi. Se l’azienda ogni tre anni ruota il personale, che sanzioni ha?» osserva Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. «Per la Cisl il modello di contratto per i nuovi assunti deve essere quello di apprendistato» ribadisce secco Raffaele Bonanni.
Anche l’apprendistato dura tre anni, ma è a tutti gli effetti già un contratto a tempo indeterminato: prima della scadenza l’apprendista può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo. Oltre ad avere una sua specifica valenza formativa, l’apprendistato gode di importanti sgravi del costo del lavoro: zero contributi fino a 9 dipendenti, solo il 10% se si supera questo plafond. Attualmente gli apprendisti sono circa 530.000. L’apprendistato può essere utilizzato solo per i giovani fino a 29 anni. C’è però un contratto con caratteristiche simili (dura 18 mesi) che può essere utilizzato per gli over 30 finiti nelle liste di mobilità: il contratto di inserimento. Infine c’è il contratto di somministrazione (ex interinale). Il presidente di Assolavoro, Federico Vione, ricorda: «La nostra flessibilità è l’unica che garantisce stessi diritti, stesse tutele e stessa retribuzione rispetto al lavoro a tempo indeterminato».
Anche gli industriali sono scettici. Ieri la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha ribadito: «Sarà necessario modificare la flessibilità in entrata, ma anche quella in uscita: non si possono tutelare posti di lavoro che non esistono più». Secondo il dossier presentato da Confindustria alla Fornero la settimana scorsa, le tipologie di contratto di ingresso non sono 46, ma 16. Marcegaglia insiste: «Vogliamo ragionare sui numeri e credo che si debba sempre fare un confronto con il quadro europeo. Su troppi fronti siamo distanti dai dati dei Paesi più avanzati».
Il contratto unico non piace, infine, nemmeno al Pdl. Avverte Giuliano Cazzola: «Il Pdl considera la pluralità delle forme contrattuali ora esistenti un’opportunità per meglio corrispondere ad esigenze specifiche del mercato del lavoro».

da Il Messaggero

Piano liberalizzazioni, Fassina: bene che il governo vada avanti

Proponiamo grande attenzione su tre punti: lavoro, energia e distribuzione benzina. Punti su cui il Pd presenterà emendamenti in Parlamento se il decreto non dovesse contenerli.

Le liberalizzazioni sono in cima alle priorità del Pd: è un ambito su cui lavora da sempre, un tema su cui ha provato a lasciare un segno con il governo Prodi. Da qui la considerazione più che positiva sulla volontà di Mario Monti e Corrado Passera ad andare avanti. A dirlo è Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro Pd, che premette subito: «Aver messo le liberalizzazioni in agenda è un fatto rilevante».
Ma da un primo esame dei testi – peraltro provvisori – è necessaria una riflessione che lo stesso Fassina sintetizza in tre punti:

– No alla possibilità di non applicare i contratti nazionali di lavoro nei settori liberalizzati
– Rivedere i compiti dell`Autorità dell`energia perché così com`è «non funziona» e rischia di bloccare l`operatività sul settore
– Per la benzina un grande acquirente che faccia arrivare carburante dei diversi marchi anche ai piccoli gestori

Il primo è senz`altro quello che ha un valore politico più pesante e anche un impatto più forte visto che si parla di lavoro. È quello che riguarda la possibilità di non applicare i contratti nazionali di lavoro nei settori liberalizzati, quindi, nelle ferrovie tanto per fare un esempio. «È sbagliato spiega Fassina-consentire la deroga dei contratti perché così le liberalizzazioni si fanno sulla pelle dei lavoratori. Questo, concretamente, vorrà dire che avremo tanti Pomigliano. In alternativa, Fassina propone di «rinegoziare il contratto collettivo nazionale ma il contratto deve essere solo uno, non tanti».
Insomma, se il testo del Governo resterà quello che circola già da ieri, «ci sarà una frammentazione delle condizioni di lavoro, un modello Marchionne che si moltiplica».

C`è poi la questione dell`Autorità dei trasporti presso l`Autorità dell`energia. «Non funziona perché ha compiti molto ampi e impegnativi e quindi rischia anche di bloccare l`operatività sull`energia». E ancora, per Fassina, non funziona «la decretazione secondaria sulla separazione di Snam e Rete gas da Eni, serve un`operatività immediata».
Sull`ultimo punto, quello che riguarda la possibilità per i distributori di benzina di avere più marchi petroliferi. «Serve, in una prima fase, un grande acquirente che faccia arrivare la benzina dei diversi marchi anche ai piccoli gestori, altrimenti non si avrà l`effetto benefico dell`abbassamento dei prezzi».

da www.partitodemocratico.it

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“I consumatori: risparmi fino a 1.800 euro a famiglia con il sì alle liberalizzazioni La cautela degli economisti”, di Lorenzo Salvia

Dai farmaci generici ai conti correnti Cosa cambia per le famiglie
In Via delle Liberalizzazioni ci potrebbero essere grandi vantaggi per le famiglie, dicono le associazioni dei consumatori. Entrando in una strada virtuale già ridisegnata secondo le regole allo studio del governo — dal distributore di benzina al supermercato, facendo un salto pure in farmacia — si potrebbe risparmiare parecchio. Fino a 1.800 euro l’anno secondo Adiconsum che taglia la sua ipotesi sulla bozza di ieri sera, che potrebbe ancora cambiare, e considerando una famiglia di quattro persone che vive in una grande città e ha un reddito lordo di 80 mila euro l’anno.
Possibile? Sull’altro piatto della bilancia non ci sono soltanto le critiche delle categorie che con il «disarmo multilaterale» messo in cantiere dal governo perderebbero qualche rendita di posizione. Ma anche le perplessità di numerosi esperti che alle liberalizzazioni sono pure favorevoli ma invitano a non leggerle così. A non considerarle, insomma, una bacchetta magica che dopo un tocco in consiglio dei ministri può cambiare la vita agra del consumatore ai tempi della crisi. E suggeriscono, piuttosto, di cambiare punto di osservazione, di guardare alla deregulation come stimolo alla crescita. Vista da qui la lenzuolata di Monti potrebbe portare ad un aumento del Prodotto interno lordo pari all’1% secondo la Banca d’Italia, dell’1,4% per il Cermes Bocconi. Ma cosa potrebbe cambiare davvero nella vita di tutti i giorni? Entriamo in Via delle Liberalizzazioni e proviamo a capire.

Farmacie
Tra medicine e prodotti da banco la famiglia tipo disegnata dall’Adiconsum risparmierebbe 70 euro l’anno. Un risultato raggiunto grazie alla cancellazione dei paletti previsti oggi per gli orari e i turni. Ma soprattutto perché adesso il medico deve indicare nella ricetta il farmaco generico, meno caro. Secondo Farmindustria, però, il consumatore non risparmia nulla e l’unico effetto è quello di «spostare milioni di confezioni prodotte in Italia verso il mercato estero». Chi ha ragione? Qualche vantaggio ci potrebbe essere ma bisogna tener conto anche di quanto è grande l’intera torta. Calcola l’ufficio studi della Cgia di Mestre che per i farmaci di fascia C, quelli interamente a carico del paziente, una famiglia italiana spende in media 126 euro l’anno.

Benzina
La famiglia tipo che abita in Via delle Liberalizzazioni ha due macchine. E alla fine dell’anno, sempre secondo i consumatori, il salasso al distributore potrebbe essere meno caro di 250 euro. Questo se la nostra strada virtuale è fuori città, dove non ci sono più limiti per i self service. E se il gestore è proprietario dell’impianto, perché in questo caso può comprare la benzina non solo da un produttore come avviene oggi ma da più fornitori, provando a spuntare un prezzo migliore. Funziona? Disegnato così, secondo alcuni sindacati del settore, il decreto riguarda solo 500 impianti su 25 mila. E secondo uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, qualche vantaggio potrebbe arrivare piuttosto dai grandi distributori dei centri commerciali. Dove ci sono, hanno trascinato verso il basso di 4 centesimi al litro anche il prezzo delle stazioni di servizio tradizionali che si trovano nella stessa zona.

Avvocati
Lo studio legale non può più applicare le tariffe minime e nemmeno quelle massime. Il prezzo viene fissato liberamente tra avvocato e cliente e così se i professionisti di chiara fama possono guadagnare ancora di più, quelli all’inizio della carriera hanno la possibilità di attirare clienti offrendo parcelle low cost. È diventato obbligatorio anche il preventivo che, con i tempi lunghi della giustizia italiana, può mettere il cliente al riparo da quelle «revisioni al rialzo» che sono spesso la regola. Dicono i consumatori che la famiglia tipo, considerando non solo gli avvocati ma tutti i professionisti, potrebbe risparmiare fino a 400 euro l’anno. L’organismo unitario dell’avvocatura protesta e dice che così si vuole ridimensionare la funzione del legale.

Negozi
Le regole sono già cambiate più volte e sempre nella stessa direzione. Ma adesso per i negozi arriva una libertà praticamente totale negli orari di apertura e anche nei turni di chiusura. Diventa possibile comprare il latte sotto casa anche tornando tardi a casa dal lavoro. E, sempre secondo i consumatori, questo potrebbe innescare un meccanismo di concorrenza che farebbe risparmiare alla nostra famiglia tipo 350 euro l’anno. I commercianti dicono che non è vero. Secondo loro una competizione così spietata costringerà i piccoli negozi a chiudere sotto i colpi della grande distribuzione. E alla fine per comprare il latte dovremo lasciare Via delle Liberalizzazioni, prendere la macchina e andare al centro commerciale.

Banche
La nostra famiglia tipo ha deciso di comprare casa e deve fare un mutuo. La banca non può più aggiungere un’assicurazione sulla vita, solo quella prendere o lasciare. Ma deve far scegliere il cliente tra le polizze offerte da almeno due compagnie diverse. Un meccanismo di concorrenza che allo sportello di Via delle Liberalizzazioni potrebbe far scendere il costo di 150 euro, sempre secondo i consumatori. Ai quali aggiungere altri 50 euro l’anno che, entro tre mesi, potrebbero arrivare dalla possibilità di avere il conto corrente base che deve garantire una serie di servizi minimi gratuiti. E anche con le nuove regole sulle commissioni che mettono ordine nella selva delle tariffe applicate e spesso modificate unilateralmente dagli istituti.

Rc auto
In questo caso lo sconto è previsto per legge. E si applica a chi decide di mettere sulla propria macchina la scatola nera che, un po’ come sugli aerei, registra i movimenti del veicolo anche in caso di incidente. Così diventa possibile complicare la vita a chi simula un tamponamento per ottenere il rimborso. E le compagnie hanno sempre detto che le truffe sono uno dei motivi per cui le polizze italiane sono le più care d’Europa. Adesso non hanno più alibi anche perché i periti che certificano il falso rischiano fino a cinque anni di carcere. Il nostro assicuratore in Via delle Liberalizzazioni, poi, al momento della firma del contratto deve parlarci anche delle condizioni proposte da altre tre compagnie. Stimano i consumatori che in tutto si risparmieranno 350 euro l’anno.

Taxi
Pur senza arrivare al modello New York, del resto possibile solo senza traffico privato, anche in Via delle Liberalizzazioni l’aumento del numero delle licenze si è fatto sentire. Gli orari e le tariffe sono più flessibili, c’è concorrenza e abbassare il costo della corsa può essere lo strumento per avere più clienti. Dicono i consumatori che la nostra famiglia tipo risparmierà 100 euro l’anno. Possibile? Non ci sono solo le proteste dei tassisti che hanno fatto un mutuo per comprare una licenza che oggi non vale niente. In Italia il taxi è un servizio per pochi, di fatto disponibile solo nella grandi città. L’ufficio studi della Cgia di Mestre calcola che oggi la spesa media delle famiglie italiane è 48 euro. Davvero difficile risparmiarne 100 se ne spendiamo la metà.

Bollette
Che succede alle bollette che arrivano a casa della nostra famiglia tipo? Dicono i consumatori che adesso sono meno salate, 150 euro in meno l’anno. Questo per effetto del nuovo metodo di calcolo deciso ogni tre mesi dall’Autorità dell’energia, agganciato non più ai vecchi contratti di lungo termine ma a quelli spot, più vantaggiosi. Anche la separazione fra Snam ed Eni potrebbe avere degli effetti positivi, anche se ci vorrà più tempo.
Ma le cose stanno proprio così? Dice Tito Boeri, coordinatore del sito Lavoce.info: «Nel medio periodo le liberalizzazioni avranno sicuramente un effetto positivo sui prezzi per famiglie ed imprese». Si chiedono però i più scettici: non è possibile che una parte del prezzo più basso venga recuperato su un’altra voce e che, ad esempio, il pieno costi di meno ma il benzinaio ricarichi tutto il resto? «Il rischio c’è ma anche qui il meccanismo della concorrenza dovrebbe regolare i prezzi rimodulati arbitrariamente, cioè premiare chi è meno caro. Tuttavia è riduttivo guardare alle liberalizzazioni solo in termini di risparmio per le famiglie. Il vero obiettivo è sbloccare il Paese, a questo servono davvero». E su questo punto è d’accordo Linda Lanzillotta, presidente di Glocus, che pure alle liberalizzazioni non è certo contraria: «Qualche effetto ci sarà ma viste in questo modo rischiano di creare delle aspettative inappropriate e difficili da mantenere».
Giuseppe Roma, direttore del Censis, fa l’esempio delle telecomunicazioni: «Con i telefoni la liberalizzazione c’è stata, ma se il prezzo del servizio singolo è sceso la spesa finale delle famiglie è aumentata. Intendiamoci, quest’operazione deve servire a creare lavoro e quindi a far crescere il reddito. Non a far spendere meno le famiglie che non hanno più un euro perché adesso pagano più tasse». Troppo ottimisti i consumatori, allora? Così pensa l’ufficio studi della Cgia di Mestre che guarda alle liberalizzazioni del passato, su 11 beni e servizi di largo consumo. Il costo delle assicurazioni è cresciuto quattro volte più dell’inflazione, quello delle autostrade il doppio.

da www.corriere.it

"Le scelte di un partito che sa governare", di Debora Serracchiani

Per una coincidenza quasi simbolica, mentre il Pd riunisce la prima assemblea nazionale del 2012, nella Lega si parla di celebrare il primo congresso dopo dieci anni di gestione oligarchica. In parecchi di noi abbiamo guardato, forse con una punta di invidia, la compattezza apparentemente inscalfibile del Carroccio, che dal vertice dei parlamentari all’ultimo dei militanti, recepiva e trasmetteva la linea e le parole d’ordine. E i giornali, intanto, ci stavano a informare a giorni alterni che “il Pd si spacca”. Ci eravamo abituati a considerare la leadership di Berlusconi un elemento immutabile della politica italiana, al pari degli acquedotti nella campagna romana. E al Pd arrivavano le accuse, a scelta, di essere subalterno o di prestarsi agli inciuci.
Il tempo ci ha dato ragione. Perché dopo questo lungo purgatorio, siamo riusciti a favorire l’aggregazione di un numero di parlamentari sufficiente a indurre Berlusconi a lasciare Palazzo Chigi poche ore prima che il Paese precipitasse nel fallimento. Abbiamo fatto nostro il senso dell’appello del Capo dello Stato e siamo stati pronti a sostenere il Governo di emergenza quando ancora il Pdl si travagliava, e mentre la Lega e l’Idv sceglievano l’opposizione. In una manovra difficile e dura abbiamo introdotto correttivi di equità e ci siamo impegnati a migliorare gli altri provvedimenti necessari a far ripartire il nostro Paese. Questa è la condotta di un partito che può avere l’ambizione di governare l’Italia, anzi che lo sta già facendo. Perché a questo punto il Pd è un partito che a tutti gli effetti partecipa alle scelte di governo e se ne assume la responsabilità votando in Parlamento. Di tutto ciò non dovremmo avere nessun timore o timidezza ma anzi dovremmo rivendicare con chiarezza il merito davanti agli italiani, senza smettere di spiegarglielo. Se è vero che l’identità e la maturità di ogni soggetto si saldano nei transiti più ardui dell’esistenza, la prova di questa crisi e la sfida del suo superamento possono diventare il vaglio ultimo per l’assestamento definitivo del Pd, in quanto partito del riformismo europeo che si è lasciato con serenità alle spalle ogni residua nostalgia. Il confronto sulle pensioni, sul lavoro, sulle liberalizzazioni, così come la condivisione di un approccio alle grandi questioni dell’Europa, nonostante le apparenze più eclatanti, stanno costituendo una serie di punti fermi metodologici che sono il risultato di un’elaborazione politica da cui non si torna indietro. Lo diciamo, senza albagìa, anche agli amici di Sel che domenica si riuniscono in assemblea. È una scommessa, e come tutte le scommesse non è esente da rischi. Ma da questo tavolo non ci possiamo alzare.

da l’Unità del 20 gennaio 2012

"Con Monti un cambio di passo. Ma alcune cose vanno cambiate", intervista a Pier Luigi Bersani di Emanuela Fiorentino

«Pensioni? Aggiustare subito il tiro. Evasione? Più coraggio con le banche dati. Liberalizzazioni? Sono circolate troppe bozze».

Segretario Pier Luigi Bersani, lei è stato il primo liberalizzatore. Le piacciono le «lenzuolate» di Mario Monti?
Rivendico almeno il coraggio: con un mio provvedimento, dalla sera alla mattina, scomparvero a suo tempo le licenze del commercio e le tabelle merceologiche: c’era un asse della politica che cercava di dare qualche occasione di lavoro ai giovani e di limitare speculazioni sui prezzi. Ora chiedo al governo di riprendere la questione sotto quei due profili, senza lasciare margine a cattive interpretazioni.

Chi interpreta male e che cosa?
Sento dire per esempio che intervenire sui farmaci è de minimis. Non è vero, è una cosa fondamentale che riguarda miliardi di euro addosso in particolare agli anziani e alle famiglie numerose. Facciano il massimo, con coraggio, senza discriminare questo o quello.

Quale consiglio, lei che ci è passato e che di proteste ne ha incassate tante, si sente di dare al premier?
Avrei dato un consiglio preventivo: far girare meno bozze. Prima le decisioni, poi le discussioni e gli aggiustamenti. Secondo consiglio: stare larghi, trattandosi appunto di lenzuolate, affrontando il tema a 360 gradi. Terzo: darsi alcune priorità, non tutto quello che si fa poi lo si porta a casa. Vuole la scala? Farmaci, benzina, gas, banche e assicurazioni, professioni e servizi pubblici. Per equilibrare il consenso tra lobby e opinione pubblica, il messaggio di occuparsi di cose che incidono sul reddito reale, dà una forza enorme per combattere.

Ma i tassisti, che lei non cita, sono un potere debole o forte?
Qui a Roma, per me o per lei, sono un potere fortissimo. Ma per l’universalità dei pensionati e dei lavoratori italiani no. E quindi se si parla di Roma, Napoli, Milano, ok. Poi ci appassioniamo moltissimo perché questa categoria rappresenta un’idea di città non spendibile in Europa.

Anche lei fu attaccato dai tassisti. Per questo ora li mette in secondo piano?
No, guardi, ero stupefatto dai titoli sui giornali, tutti sui taxi. Avevo avuto minore attenzione facendo una cosa unica in Europa, e cioè la liberalizzazione del sistema elettrico. Per intenderci, avevo spacchettato l’Enel, che adesso è un attore mondiale.

Due mesi sono pochi per giudicare, ma come si sta a bordo di un governo tecnico?
Vedo più luci che ombre, se non altro per come è cambiato il glossario del governo, che ci ha riportato sui problemi reali. Ha fatto parecchie cose buone ma alcune scelte non vanno bene. Riguardo alla riforma delle pensioni, non aver ragionato sui meccanismi di transizione è un guaio serio che va aggiustato. Penso ai lavoratori precoci, quelli che si trovano senza lavoro, senza ammortizzatori, senza pensione. Bisogna aggiustare il tiro, e il governo si è impegnato a farlo.

E poi l’evasione fiscale. Secondo Vincenzo Visco si sta agendo con timidezza.
Monti ha dato un segnale forte, pedagogico: mai più condoni. Anche la pressione mediatica è importante, ma si può fare di più.

Che cosa, ci dica.
Banche dati interconnesse per creare una normale fisiologia di fedeltà fiscale. Consentire al fisco di guardare i movimenti bancari è positivo. Ma sulla tracciabilità avremmo fatto un passo in avanti, con misure scomode come l’elenco clienti fornitori, che è una delle chiavi fondamentali della banca dati. Insomma, noi la metteremmo ancora di più sullo strutturale: facciamo una Maastricht della fedeltà fiscale, un 2 o 3 per cento in più o in meno del livello europeo, andando a prendere i meccanismi di banca dati che funzionano meglio in Europa. Tassare a cascata gli enti locali che magari vogliono calibrare la pressione a seconda del reddito diventa paradossale di fronte a una base di imposizione poco credibile. Le regioni applicano il ticket secondo il reddito, poi ti trovi quello esente che parcheggia il Suv davanti alla farmacia.

Perché è così difficile incrociare tutti i dati che segnalano gli evasori?
Noi, nel 2008, abbiamo perso un pezzo delle nostre elezioni sulla questione elenco clienti fornitori. Mascherato sotto il tema del carico burocratico c’è spesso la volontà di aggirare il fisco. Ma adesso basta: tu cittadino ti accolli un minimo di carico burocratico in nome della fedeltà fiscale. Abbiamo cominciato, ora andiamo avanti per favore.

E che altro dice a Monti dopo due mesi di coabitazione, anzi, di sostegno.
Le dico quali dovrebbero essere i prossimi passi. Primo, una mozione unitaria con tutti i partiti sui grandi temi europei. Secondo: sull’agenda di governo va fatta una mossa ulteriore per creare un rapporto stabile tra governo e gruppi parlamentari. Terzo: i partiti devono fare subito un calendario per le riforme istituzionali ed elettorale.

Regolamenti parlamentari, bicameralismo, riforma elettorale, costi della politica: mettervi d’accordo su tutto in tempi brevi sarà impossibile.
No, se ciascuno dice ok, ho la mia posizione, ma faccio uno sforzo. Il peggio del peggio sarebbe arrivare dopo un anno senza aver portato a casa qualcuna di queste cose.

Su «Panorama», Pier Ferdinando Casini ha lanciato il suo personale auspicio, dopo Monti, di una grande coalizione con lei e Angelino Alfano al governo.
Alfano e Bersani sono due italiani leali verso l’Italia che però la pensano diversamente. E penso che la democrazia respiri in questa dialettica. Il prossimo appuntamento elettorale sarà di ricostruzione, ciascun schieramento presenterà il suo programma per la ripartenza dell’Italia. Io auspico un bipolarismo civilizzato, alternativo sulle grandi questioni. Per esempio, torniamo ai meccanismi di semplificazione populistica, col nome sul simbolo, il maggioritario estremizzato e il consenso che viene prima delle regole o andiamo a riformare la democrazia rappresentativa dove ci sono i partiti, le coalizioni, dove c’è un sistema parlamentare più efficiente, dove i leader sono pro tempore e vengono fuori da un processo politico? Anche sul tema sociale dobbiamo chiarici: o facciamo un po’ di ridistribuzione o non possiamo avere crescita. Siamo alla disparità non più tollerabile dei redditi. Poi c’è il terzo punto, il civismo: dovremo rilanciare il sistema delle regole nella vita comune e qui c’è un campo sterminato che va dalla legalità alla giustizia, dalle donne agli immigrati.

L’attuale sistema elettorale non garantirebbe questo processo?
Tutti pensano che non si può continuare così, e quando vedo riaffiorare antichi legami tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, penso che in tale illusione disastrosa ci potrebbe essere l’idea di andare avanti con questo meccanismo per fare ciascuno pulizia in casa propria. Spero che non si arrivi a questo, sarebbe un disastro. Per fare pulizia in casa tua non puoi far crollare la casa di tutti.

Quando dice «noi» si riferisce ancora al Pd con l’Idv e con Nichi Vendola?
La ricostruzione presuppone un incontro tra forze progressiste, il Nuovo Ulivo, e forze moderate o di centro. Presuppone una piattaforma comune di legislatura che si preoccupi con una decina di riforme di fare democrazia contro il populismo e di aggiustare il patto sociale. Questo passaggio può influire sulla prospettiva. Quindi dico ad Antonio Di Pietro e a Vendola: il Pd si è caricato generosamente di questo passaggio, ben vengano le critiche, ma se si grida all’inciucio o al tradimento, non ci sto.

Quanto ritiene possibile un rapporto politico, se non una futura alleanza, con il Movimento 5 stelle?
Invito il mio partito a tenere l’orecchio a terra e ad ascoltare tutto quello che si muove, anche nel movimento 5 stelle. Però non credo alla possibilità di un rapporto politico. Quando il movimento esprime domande le ascolto con rispetto, ma quando sento le soluzioni, non mi convincono. Non serve la demagogia.

Sul tema del lavoro, dopo tutti i distinguo, riuscirete ad approdare a una posizione unitaria?
Da un anno ci occupiamo del tema, abbiamo fatto un centinaio di assemblee locali e due nazionali. Il Pd è diviso? No, abbiamo fatto la nostra proposta al tavolo delle forze sociali. Al 90 per cento ci vede tutti d’accordo. La minoranza la tuteliamo come un patrimonio prezioso.

Ma quanto tempo impiega, tutte le volte, a negare le divisioni dentro il suo partito?
Non è facile abituarsi all’idea che ci sia una democrazia dei partiti dove il leader non è indicato dalla Madonna, ma risulta da un meccanismo competitivo. Qui ci sono una maggioranza e una minoranza, ma quando si arriva al dunque sappiamo decidere. Non do la colpa ai giornalisti, mi rendo conto che stiamo proponendo un altro sistema politico. Due anni fa ho detto: non metterò mai il mio nome sul simbolo. Qualcuno poteva chiedersi: ma questo che si è beccato un milione mezzo di voti alle primarie, che idee ha in testa? È inutile che mi girino attorno. Non ho carisma? Il mio carisma è questo.

Quante volte si è sentito messo in difficoltà da Susanna Camuso, la leader della Cigl?
Non sono stato sempre d’accordo con la Cgil, con la Cisl o con la Uil, ma ancor meno con un governo che puntava sulla loro divisione. Mi sembrava puro masochismo. Ora vedo che il sindacato si presenta al tavolo del ministro Elsa Fornero con la sua piattaforma. È un bene. I tavoli sono fatti perché ognuno lasci lì qualcosa e tutti assieme si prenda su qualcosa. I tavoli sono drammatici, non sono inciucio, sono il luogo della sofferenza.

Ha mai pensato a quando riterrà conclusa la sua esperienza di segretario?
Ho una missione: devo svezzare questo bambino. Il Pd ha 4 anni, è nato da una cosa che non si è mai vista, cioè da culture e politiche diverse che si sono date un’idea comune. Questi quattro anni ci dicono che siamo troppo giovani per aver risolto tutto, ma che non siamo più un esperimento fallito, tocca a noi. Devo mettere in sicurezza la prospettiva del partito riformista del nuovo secolo. Se pensassi che questo partito c’è già, me ne andrei ora.

L’emergenza economica e politica ha relegato in secondo piano i rottamatori. Col senno del poi rinosce a Matteo Renzi qualche ragione?
Ho sempre riconosciuto a Renzi la volontà di dare al Pd il senso di un contenitore vivace e mi dispiacerebbe,ora, vedere indebolita questa vivacità. Però ribadisco: tutto quello che si dice deve suonare come lealtà alla ditta. Se non siamo solidali fra noi, perché dovrebbero essere solidali con noi.

Festeggia per i risultati degli ultimi sondaggi?
Guardi, abbiamo vinto le amministrative, Berlusconi è andato a casa e siamo il primo partito. Ma io festeggio per quello che abbiamo seminato. Mi emoziona di più dire che siamo riusciti a mettere in formazione duemila giovani nel Mezzogiorno per un anno. Oppure avere allestito una specie di anagrafe, i circoli online, dove saranno collegati i nostri iscritti. L’anno prossimo potrò parlare online con tutti i farmacisti e i tassisti iscritti al Pd. O con quelli nati nel 1952 che magari mi insulteranno per la riforma delle pensioni.

Secondo lei si devono ancora fare i conti con Berlusconi?
Guardo avanti, non mi interessa metterlo nel mirino. Credo che influenzi largamente la situazione, ma voglio augurarmi che prospetti per sé un futuro da leader, perché i leader a un certo punto sanno lanciare le fasi nuove e essere generosi sul futuro.

Hanno ancora senso proclami di «discesa in campo» di personaggi come Luca Cordero di Montezemolo?
La politica ha bisogno di persone nuove, ma le persone nuove devono emergere da un percorso politico. Il ritornello: Montezemolo si presenta o non si presenta mi appassiona poco.

E di Corrado Passera si preoccupa? Sono sempre più insistenti le voci di una sua candidatura con un movimento appoggiato dalla Chiesa…
Passera dove, come, con chi, con quali voti? Benvenuti quelli che dicono: voglio dedicarmi alla politica, ma mi aspetto che dicano attraverso quale percorso. Non può esistere più l’uomo solo al comando che si alza al mattino e dice: io amo l’Italia.

Quindi, niente più ausiliari?
No, non è che finita questa storia torniamo al manuale Cancelli. Ma non è il tasso tecnico di un ministro che fa la differenza. Il governo può ospitare personalità non suddite del partito, ma i partiti sono fondamentali per tenere insieme il Paese, il Nord e il Sud, e per rendere stabili le maggioranze. Detto questo, alt. Finito Monti torna il pur simpatico Mastella? Non credo davvero.

I partiti servono anche nella Rai?
No, sia chiaro che a marzo, se capita ancora di fare il cda con i partiti, io non partecipo, facciano loro.

Può nascere un nuovo partito dei cattolici?
Quest’anno festeggeremo i 50 anni del Concilio: voglio che alla festa nazionale del Pd si discuta anche di questo. Incrociando gli esiti del Concilio Vaticano con la Costituzione repubblicana, penso che l’idea di coagulare un partito attorno a una religione non sia proponibile. Non esiste in natura.

Senza Berlusconi, si chiude la stagione degli interventi sulla giustizia? Lascerete la faccenda nelle mani dei tecnici?
Se questo governo riuscirà a cambiare l’agenda e cioè a dirci: mi occupo prima dei problemi strutturali, quindi di circoscrizioni giudiziarie, del codice, dei tre gradi di giudizio, dei disastri del processo civile, io porterò il mio partito a qualsiasi convergenza. Il paradosso italico è che per dieci anni abbiamo parlato di giustizia e la giustizia è il settore meno riformato e meno funzionante. Se il Pdl si convince di questo, io ci sto.

Il caso Penati ha scosso le fondamenta del Pd: serve un nuovo rigore anche a casa vostra?
Quell’inchiesta è stato un colpo duro che mi ha fatto soffrire e riflettere sempre con la presunzione di innocenza. Nessuna cautela, la magistratura vada in fondo. Da parte nostra, abbiamo con l’occasione lavorato per rafforzare i meccanismi interni. Il partito deve trovare regole di ingaggio più strette, lo stiamo già facendo.

Con Maurizio Crozza lei è diventato più pop. A maggior ragione in questa fase servirebbero i comici per riavvicinare i politici all’opinione pubblica?
Potevo dirlo anche in latino che non stiamo qui a pettinare le bambole. Ma mi piace l’idea di una politica al di sotto della sua solennità. Non credo, come qualcuno dice, di aver consentito a un comico di ridicolizzare la politica, quindi penso che sì, una comicità che critica senza volgarità e becerume, può riavvicinare noi politici alla gente.

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