lavoro, partito democratico, politica italiana

"Contratto unico, aperture con riserve", di Paolo Griseri

Cgil e Cisl puntano sull´apprendistato. Commenti prudenti in vista del vertice di lunedì. La Camusso si affida a Twitter per una prima reazione al piano della Fornero
Il Pdl frena: il sistema attuale risponde meglio alle esigenze del mercato del lavoro

ROMA – I sindacati condividono l´idea del governo di abbattere la giungla di contratti che regolano il lavoro precario in Italia. Poi si dividono sulla ricetta per raggiungere il risultato. Le reazioni delle parti sociali alle indiscrezioni sulla riforma del lavoro cui starebbe lavorando il ministro Elsa Fornero, sono nel complesso prudenti. Perché, in vista dell´incontro di lunedì a Palazzo Chigi, nessuno vuole sbilanciarsi. Prudenza anche tra i partiti con l´unica eccezione di Giuliano Cazzola, ex sindacalista Cgil ora approdato al Pdl, che preferirebbe lasciare tutto com´è: «Il Pdl – dice Cazzola – considera la pluralità delle forme contrattuali ora esistenti, un´opportunità per meglio corrispondere ad esigenze specifiche del mercato del lavoro».
Ma non è questo l´orientamento del governo Monti. Lo aveva detto chiaramente il premier nei giorni scorsi: «Dovremo ridurre la frammentazione dei contratti». «Per noi il contratto d´ingresso per i giovani nel mercato del lavoro è il contratto di apprendistato», dice il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Che apprezza l´asse centrale delle proposte di queste ore: «Definire, dopo un periodo di tre anni, uno sbocco a tempo indeterminato». Qual è la differenza tra contratto unico e contratto di apprendistato? Per Bonanni «non è una questione di forma ma di sostanza». Il contratto di apprendistato infatti prevede lo svolgimento di corsi di formazione professionale obbligatori.
Prudente la Cgil che preferisce affidare il suo commento all´anonimato di Twitter, in modo da far emergere quel che pensano i militanti di base senza esporre i dirigenti. I cinguettii di corso d´Italia esprimono scetticismo: «Fornero vuole ridurre a uno i 46 contratti oggi esistenti? E´ una bugia». Come dire, sarebbe bello ma è impossibile. Per questo, aggiunge la Cgil, «il contratto unico è solo un inganno». Anche il sindacato di Camusso tiene molto alla formazione professionale e per questo ripete, con la Cisl che «il canale d´ingresso al lavoro per i giovani è l´apprendistato». Poi ironie anonime contro «i professori»: «Lunedì ci piacerebbe discutere di mercato del lavoro con qualcuno che lo conosca per averlo frequentato ogni tanto». Battute pesanti che ricordano nello stile l´attacco di Susanna Camusso a Elsa Fornero sull´articolo 18: «Se guardo alla manovra penso che lavori per le assicurazioni private». Una forma dura che nasconde una sostanza tutto sommato morbida perché la Cgil approva l´idea di ridurre a uno, sia pure con l´introduzione della formazione obbligatoria, i molti contratti di precariato oggi esistenti in Italia.
Chi attacca frontalmente l´ipotesi di riforma è invece il partito di Gianfranco Fini. Il capogruppo alla Commissione attività produttive della Camera, Enzo Raisi, parla di «una ipotesi di riforma al ribasso» perché il provvedimento non modificherebbe l´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Secondo Raisi invece «se al compimento di primi tre anni di lavoro rimanesse in vigore l´articolo 18, una norma inefficiente e discriminatoria, le imprese licenzierebbero prima».

da la Repubblica

******

“I sindacati: bozza Fornero? È una finta e non serve”, di Mariantonietta Colimberti

Lunedì le parti sociali al tavolo con i ministri di welfare e sviluppo

Nel giorno in cui Repubblica apriva con le indiscrezioni sul “piano Fornero” in vista dell’incontro di lunedì tra esecutivo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e la crescita, l’Istat ha diffuso l’indagine “Noi Italia, le 100 statistiche per capire il paese in cui viviamo”. Una messe di dati dalla quale emerge un panorama del lavoro drammatico, in Europa ma soprattutto nel nostro paese. Sono oltre due milioni i giovani che in Italia non sono inseriti né in un percorso scolastico-formativo né in un’attività lavorativa, il 22% tra i 15 e i 29 anni, uno dei valori più alti a livello europeo; il tasso di inattività italiano ha continuato a crescere attestandosi al 37,8%, con una forte prevalenza femminile (48,9% contro il 26,7% dei maschi).
Infine, la disoccupazione di lunga durata, che nella media Ue nel 2010 ha sfiorato il 40%, in Italia si aggira intorno al 50% del totale dei disoccupati. Sono dati più che preoccupanti, che alla vigilia di una trattativa importante acquistano una forza tutta particolare. Il quotidiano di Ezio Mauro ieri accreditava come fulcro di un possibile accordo una bozza di modello contrattuale che ricalca il progetto Boeri-Garibaldi ed è molto simile alla mediazione di Franco Marini sulla quale molto si è detto e scritto anche su queste pagine.
Nel piano di riforma attribuito da Repubblica al ministro del welfare (e ritenuto attendibile da un autorevole esponente del Pd) si prevede di sostituire gli attuali 48 contratti censiti dall’Istat con un contratto unico di ingresso (il Cui) di durata massima triennale, variabile a seconda del tipo di lavoro. Conclusa la fase di ingresso, interviene la stabilizzazione con il passaggio al tempo indeterminato. Durante il primo periodo, il datore di lavoro non avrà l’obbligo di reintegrare il dipendente in caso di licenziamento, ma dovrà risarcirlo pagando una penale proporzionale al tempo lavorato.
Un capitolo a parte riguarderebbe poi i contratti a termine, uno degli escamotage utilizzati per pagare poco i dipendenti. Secondo il progetto diffuso da Repubblica, nessun contratto a tempo determinato potrà essere inferiore ai 25mila euro annui lordi. Un tetto riguarderà i contratti a progetto e di lavoro autonomo continuativo che rappresentino più di due terzi del reddito di un lavoratore con la stessa azienda (i rapporti di lavoro dipendente mascherato).
Infine, la questione più delicata ma anche la più urgente: gli ammortizzatori sociali. Come si sa, uno dei principali temi è quello della cassa integrazione, diventata di fatto un ammortizzatore sociale essa stessa, che aiuta l’azienda a scaricare sull’Inps parte del peso delle crisi aziendali. Da tempo da più parti si chiede di cambiare. In altri paesi c’è il reddito minimo di disoccupazione, una misura costosa, non facile da applicarsi in una fase di crisi come l’attuale.
Soprattutto, Confindustria ha più volte detto chiaramente di non potersi assumere ulteriori oneri economici e i sindacati non hanno grande fiducia nelle capacità del governo di riuscire davvero a trovare le risorse per una incisiva riforma degli ammortizzatori sociali, ritenuta centrale e preliminare anche dal Pd.
Ieri le reazioni allo “scoop” di Repubblica non si sono fatte attendere. La Cgil, con una serie di tweet, ha ribadito la sua contrarietà al contratto unico, ritenendo inattendibile e dunque un bluff l’obiettivo di eliminare tutte le altre forme contrattuali esistenti. E ha attaccato: «Se il governo dice che prepara una proposta originale da discutere lunedì, perché Repubblica parla di Boeri-Garibaldi?».
Meglio estendere l’attuale contratto di apprendistato, secondo la confederazione guidata da Susanna Camusso. D’accordo la Cisl, che con Cgil e Uil ha firmato un documento unitario considerato la base della discussione. Dalle parti del sindacato di Raffaele Bonanni, in realtà, si pensa che l’indiscrezione del quotidiano romano sia stata una sorta di prova «per vedere l’effetto che fa», come nel caso della famosa norma anti-articolo 18 nascosta nel decreto liberalizzazioni, poi sparita, un qualcosa targata più palazzo Chigi che Fornero. «Il problema vero saranno le risorse per gli ammortizzatori sociali, il “chi paga”…» si ragiona. Quanto al contratto unico, «ingesserebbe il mercato del lavoro invece di flessibilizzarlo. Non è questo che l’Europa ci ha chiesto». Lunedì è ormai molto vicino.

da www.europaquotidiano.it

******

“No di Cgil Cisl e Uil. Marcegaglia: si parli di flessibilità in uscita”, di Giusy Franzese

Rischia di partire in salita la trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Non piace il contratto unico alle parti sociali. Non piace ai sindacati che insistono su un potenziamento dell’apprendistato; non piace alle imprese che temono un irrigidimento del mercato del lavoro in entrata senza alcun vero beneficio in uscita. Le motivazioni cambiano, ma il risultato è lo stesso: bocciato. Se questo sarà il piatto forte della nuova riforma del mercato del lavoro targata Fornero (dal ministero però smentiscono che ci sia già una bozza), è altamente probabile che i commensali decidano di restare a dieta. In attesa di convincere Monti, nella riunione plenaria che ci sarà lunedì mattina a Palazzo Chigi, a cambiare menù.
Su Twitter la Cgil si scatena: «Il contratto unico è solo un inganno. L’apprendistato è il canale di ingresso al lavoro per i giovani e il contratto a tempo indeterminato deve continuare a essere la forma comune di impiego». «E’ la prima picconata vera all’articolo 18» rincara Giorgio Cremaschi, della Fiom.
Il problema è: che cosa succederà al 35esimo mese? Il contratto unico che piacerebbe alla Fornero, infatti, sposa l’idea degli economisti Boeri-Garibaldi (tradotta poi in un disegno di legge a firma di parlamentari del Pd): sostituisce le tante tipologie di ingresso precario, ma nei primi 36 mesi l’azienda può licenziare anche senza giusta causa, corrispondendo un indennità che aumenta in base al tempo in cui il lavoratore è stato in azienda (cinque giorni per ogni mese lavorato); se il rapporto continua alla fine dei tre anni scatta l’assunzione a tempo indeterminato con tutte le tutele attualmente vigenti. «E’ un periodo di prova allungato a forte rischio di abusi. Se l’azienda ogni tre anni ruota il personale, che sanzioni ha?» osserva Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. «Per la Cisl il modello di contratto per i nuovi assunti deve essere quello di apprendistato» ribadisce secco Raffaele Bonanni.
Anche l’apprendistato dura tre anni, ma è a tutti gli effetti già un contratto a tempo indeterminato: prima della scadenza l’apprendista può essere licenziato solo per giusta causa o giustificato motivo. Oltre ad avere una sua specifica valenza formativa, l’apprendistato gode di importanti sgravi del costo del lavoro: zero contributi fino a 9 dipendenti, solo il 10% se si supera questo plafond. Attualmente gli apprendisti sono circa 530.000. L’apprendistato può essere utilizzato solo per i giovani fino a 29 anni. C’è però un contratto con caratteristiche simili (dura 18 mesi) che può essere utilizzato per gli over 30 finiti nelle liste di mobilità: il contratto di inserimento. Infine c’è il contratto di somministrazione (ex interinale). Il presidente di Assolavoro, Federico Vione, ricorda: «La nostra flessibilità è l’unica che garantisce stessi diritti, stesse tutele e stessa retribuzione rispetto al lavoro a tempo indeterminato».
Anche gli industriali sono scettici. Ieri la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha ribadito: «Sarà necessario modificare la flessibilità in entrata, ma anche quella in uscita: non si possono tutelare posti di lavoro che non esistono più». Secondo il dossier presentato da Confindustria alla Fornero la settimana scorsa, le tipologie di contratto di ingresso non sono 46, ma 16. Marcegaglia insiste: «Vogliamo ragionare sui numeri e credo che si debba sempre fare un confronto con il quadro europeo. Su troppi fronti siamo distanti dai dati dei Paesi più avanzati».
Il contratto unico non piace, infine, nemmeno al Pdl. Avverte Giuliano Cazzola: «Il Pdl considera la pluralità delle forme contrattuali ora esistenti un’opportunità per meglio corrispondere ad esigenze specifiche del mercato del lavoro».

da Il Messaggero