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"Il Pd vola nei sondaggi: ora è al 30%. Ma cresce lo scontento dell'ala sinistra", di Maria Teresa Meli

I dati (falsati dall’astensionismo) e le critiche di Emiliano e Rossi

Ci sono numeri che dicono più delle parole, come sanno bene al Pd. Il Partito democratico, che oggi e domani terrà la sua assemblea nazionale, continua a crescere nei sondaggi. È arrivato a quota 30 per cento. Ma quella cifra non può essere presa nel suo valore assoluto. Pesa, in tutte le rilevazioni, l’astensionismo crescente. Ci sono tanti, troppi intervistati che dichiarano di non voler andare a votare. E pesa anche un altro dato: il calo delle iscrizioni al Pd in alcune grandi città. A Torino si arriva a un meno 40 per cento, percentuali simili a Firenze, a Roma le tessere non sono scese ma non sono nemmeno aumentate. E in tutta Italia monta l’insoddisfazione del popolo della sinistra, che non è ancora del tutto convinto dell’operazione Monti.
In periferia il malumore si allarga anche ai gruppi dirigenti. Michele Emiliano ormai sfida apertamente il suo partito: «Sembrano come quegli astronauti che escono dalla navicella spaziale per aggiustarla e si perdono nello spazio». Il governatore della Toscana Enrico Rossi è un uomo d’apparato per cui non mollerà il Pd, però è molto critico: «O la sinistra ritrova la sua identità o sarà fagocitata dalla svolta tecnocratica. Monti rappresenta una politica economica di destra».
Insomma, il Partito democratico rischia di perdere pezzi a sinistra. Dove, peraltro, sta prendendo piede un nuovo possibile movimento, che debutterà domenica prossima con Vendola, Luigi de Magistris, Emiliano, il leader della Fiom Landini. E all’appuntamento potrebbe affacciarsi anche Rita Borsellino. Bersani l’ha candidata come sindaco di Palermo, ma quel pezzo di Pd che è legato a filo doppio a Lombardo la osteggia.
Il gruppo dirigente del Pd non intende andare all’inseguimento della sinistra, però non vuole neanche abbandonare quel campo. È per questa ragione che, ieri, persino un fan sfegatato di Monti come Enrico Letta ha tenuto un convegno a porte chiuse con Alfredo Reichlin per capire che cosa si agita nella sinistra del fu Pci. Ed è sempre per questa stessa ragione che Bersani, oggi, nella sua relazione introduttiva cercherà di rassicurare elettori e militanti. Come? Rilanciando il ruolo del Pd come «pilastro delle riforme» per «ridare alla politica ciò che è della politica». Il segretario starà bene attento a non dare l’immagine di un partito immobile, al traino del governo e porrà l’accento su un parola, «solidarietà», cara al popolo della sinistra.
Ma il malumore che si avverte in periferia ha, inevitabilmente, anche delle ripercussioni nei gruppi dirigenti. Sempre più insofferenti nei confronti del Pdl. È il caso, per esempio, di Rosy Bindi. La presidente del Pd avrebbe voluto fare un intervento durissimo all’assemblea, dopo una trattativa interna vi ha rinunciato, ma il suo umore non è che sia cambiato troppo. La regia del parlamentino del Partito democratico prevede di mandare in onda un film senza colpi di scena. Tutti cercheranno di attutire dissensi e tensioni. E poiché non esiste un programma vero e proprio si sta puntando a evitare la presentazione di ordini del giorno che potrebbero rivelarsi insidiosi. Un esempio: la proposta presentata da Vassallo e Civati che prevede le primarie per la scelta dei parlamentari nel caso in cui si dovesse andare al voto con l’attuale sistema elettorale. È una proposta che potrebbe interessare i segretari regionali delle regioni rosse, stufi di dover regalare collegi ai dirigenti nazionali.

da www.corriere.it

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“La storia democratica un sondaggio dopo l’altro”, di Paolo Natale

Sono ormai trascorsi quasi 5 anni dalla nascita del Pd in Italia, ed è quindi tempo di un primo rapido bilancio dei consensi che nel corso di questo lustro sono giunti, verso il partito, dagli elettori italiani. Al di là dei risultati elettorali, il cui unico momento di verifica certa a livello nazionale è stato quello del 2008, nella sfida (positiva ma non troppo) di Veltroni contro Berlusconi, è interessante ripercorrere la breve storia degli orientamenti di voto dichiarati, nei confronti del Pd.
Questo per comprendere un po’ meglio quale sia stata l’impressione che l’elettorato ha avuto di questo novello raggruppamento politico. Alla sua prima apparizione, in concomitanza con i mesi di agonia del governo Prodi, il Pd godeva dell’apprezzamento di una quota consistente degli elettori, sia di destra che di sinistra, i quali giudicavano positivamente l’opera di Veltroni, il tentativo di scardinare un quadro di riferimento in cui entravano mille piccoli partiti, mille rivoli che tendevano a disperdere e vanificare una possibile gestione centralizzata di un esecutivo ed, eventualmente, di una potenziale opposizione.
I costanti veti incrociati delle diverse formazioni politiche presenti nel governo uscente, che rendevano quasi impossibile proposte coerenti ed unitarie, indebolendo vieppiù il già fragile esecutivo prodiano, avevano finito per stancare a dismisura la maggioranza della popolazione.
Ecco allora che la proposta di Veltroni, la semplificazione cioè del quadro politico di riferimento, escludendo di fatto le frange riottose alla sua sinistra o alla sua destra, coglievano nel segno nell’incontrare l’umore prevalente nel paese, sia a destra che a sinistra. Il progetto veniva dunque salutato dal favore degli elettori che, nelle dichiarazioni di voto, attribuivano al Pd quote percentuali già superiori ai trenta punti, come si è poi puntualmente verificato nelle successive elezioni del 2008, quando il partito ottenne consensi superiori al 33 per cento, in linea con le tendenze che si registravano nelle indagini demoscopiche.
E anche nei mesi successivi, insediatosi il nuovo Berlusconi, gli orientamenti di voto vedevano permanere la fiducia nel Pd sulla stessa linea del periodo di nascita del partito. La speranza degli elettori era che il primo segretario del partito agisse all’interno di una opposizione costruttiva, come costante interfaccia con l’operato dell’esecutivo, avanzando proposte alternative che mettessero in luce i punti deboli del governo stesso. Una sorta di “governo ombra” che potesse iniziare a costruire una vera alternativa, in parlamento ma soprattutto nel paese, agli ultimi anni dell’era berlusconiana.
Ma, alle prime ovvie difficoltà, questa linea di condotta parve agli italiani venir meno troppo repentinamente, e i consensi, soprattutto all’indomani delle dimissioni di Veltroni, iniziarono a scemare. Nell’ottobre 2008 già mantenere l’asticella del 30 per cento dei voti potenziali era divenuto il nuovo obiettivo; dopo qualche mese in cui il Pd veniva stimato attorno a quella quota, in concomitanza con la sconfitta abruzzese e sarda, e poi con il subentro di Dario Franceschini alla guida del partito il Pd viveva una nuova contrazione negli orientamenti di voto, giungendo al suo nuovo livello più basso, tra il 25 ed il 26 per cento.
E così restava per l’intero 2009, l’anno più buio del progetto democratico. A nulla portò il nuovo cambio del segretario. Anche Pier Luigi Bersani non riuscì a risollevare le sorti del partito, gettonato ormai da meno del 25 per cento degli italiani. Fino a pochi mesi dalla fine del governo Berlusconi, con le sue dimissioni, le fortune del partito non furono molto più positive, parallelamente peraltro a quelle del suo storico rivale, il Pdl.
Soltanto negli ultimi due-tre mesi, da quando la crisi dell’esecutivo uscente si è fatta più evidente, è potuto avvenire il sorpasso, con il Pd di nuovo vicino all’asticella del 30 per cento. Sembra una sorta di piccolo paradosso: oggi che in qualche modo il partito di Bersani appoggia il governo, i suoi consensi tendono a rimanere sufficientemente elevati; nel momento invece in cui l’operato del governo veniva giudicato altamente deficitario, altrettanto deficitario era giudicato quello dell’opposizione nel suo complesso, e del Pd nello specifico.
È successo dunque qualcosa che i manuali di politologia stentano a riportare. Quando diminuiscono i consensi per il governo, di solito se ne avvantaggia il principale partito di opposizione. In Italia, è stato invece necessario il tramonto dell’esecutivo-Berlusconi, e l’avvio della nuova fase politica, per permettere al Pd di rianimarsi, nei consensi degli italiani. Giudicato incapace di fare opposizione dagli stessi sostenitori del partito, essi si aspettano ora grandi cose, dall’altra parte della barricata. Il tempo ci dirà se avevano riposto giuste speranze.

da www.euroaquotidiano.it