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"Ci mangiano il cuore guerra ai professori", di Alberto Statera

«´STI comunisti ce stanno a magnà er core», ringhia “Lupo”, tarda evoluzione antropologica del tassinaro romano di “Zara 87”, celebrato da Alberto Sordi ne Il tassinaro del 1983 dove, bonario, scarrozzava Andreotti che interpretava se stesso. «So´ ancora boni», garantisce l´anziano senatore. Ma qui alla stazione Termini tra gli scioperanti selvaggi, l´ambiente francamente non sembra oggi dei più rassicuranti per chi osa dire: «Ma quali comunisti, questi sono liberisti della Scuola di Chicago!».
Sbarchi in Centrale a Milano dopo tre ore sul nuovo treno “classista” superveloce, dotato di “Salottino-Casta” dell´ancora monopolista Mauro Moretti e plasticamente la scena delle auto bianche bloccate e accatastate non cambia. Ma gli argomenti sì. E anche il gradimento della qualità del servizio: Milano viene dopo Barcellona, Monaco e Colonia. Roma è al ventunesimo posto prima di Lubiana.
Qui in Centrale sono un po´ più sofisticati, anche se arrivano gli echi di episodi di guerriglia metropolitana contro i “crumiri”. «Monti farà la fine di Friedman», proclama Luca, tassista milanese laureato, ex impiegato in una casa editrice. Ma che fine ha mai fatto Friedman, che ci ha lasciati in età non proprio giovanissima? «Ha fallito su tutto, come dimostra la crisi globale del capitalismo liberista e anche sui taxi».
In effetti, il premio Nobel per l´economia, autore di “Capitalism and Freedom”, già nel 1962 fece un caso di scuola del mercato delle auto pubbliche. Un mercato che sembra semplicissimo – domanda e offerta – ma che è infarcito di regolamenti, lobby, mafie, fino a farne di fatto un insulto al libero mercato. In mezzo mondo hanno provato ad affrontare il problema e in molte grandi città in vari continenti ci sono riusciti. Da noi il tentativo di Pierluigi Bersani del 2006 è fallito ed è costato al centrosinistra la poltrona di sindaco di Roma. Ora mina il governo dei professori.
Un ex organizzatore lirico, un ex vigile urbano, un ex magazziniere della Rinascente, un ex operaio, trovi ex mestieri di tutti i tipi nella rabbia sul piazzale della stazione Centrale, come se l´auto pubblica fosse ormai l´ultima spiaggia di un paese senza lavoro e con bassi redditi. Uno di loro sventola un libro con un titolo nero su una fascia gialla intitolato “Taxi, driver in rivolta a New York”, autore Biju Mathew, docente di Economia ed effetti della globalizzazione alla Rider University di New Jersey. Il libro racconta la protesta che unì a New York contro Rudolph Giuliani trentamila tassisti di ottanta etnie diverse. «Che farà Monti? – arringa i colleghi uno dei rivoltosi – Getterà le basi di un nuovo oligopolio simile a quello dei broker capitalisti di New York, che affamano poveracci in arrivo dal resto del mondo con bassi salari e turni da schiavi».
L´incubo apocalittico dei ribelli della stazione Centrale è pressapoco questo: Della Valle, Montezemolo, Tronchetti, Benetton e magari la Lega delle Cooperative comprano mille o diecimila licenze. Vanno da Marchionne e ordinano mille o diecimila Fiat o Chrysler a un prezzo scontato del 50 per cento, unificano le revisioni e le riparazioni in una sola officina con abbattimento di costi stratosferico. Vanno alle Generali o all´Allianz e prendono un pacco di assicurazioni da far paura a prezzi d´affezione. Così avremo un altro super-oligopolio miliardario con i vecchi capitalisti o con una nuova classe di tycoon che non vorrà più conducenti milanesi o antichi immigrati pugliesi o napoletani, ma paria asiatici a basso prezzo come a New York.
«Ma ci vede? – fa uno più anziano meridionale – Le sembriamo forse notai o farmacisti da un milione di reddito? O una corporazione da disarmare, come ha detto Monti? Si disarmano gli eserciti nemici, non i lavoratori».
I taxi vanno liberalizzati, ma non sono il male assoluto nel paese che per l´Alitalia, salvata a suo tempo dal banchiere e neo ministro Corrado Passera, ha sospeso le regole antitrust e speso quattro miliardi sulle spalle dei cittadini italiani.
Per condurre un taxi in Italia ci vuole una licenza, la licenza è limitata a un´area territoriale circoscritta, i turni di lavoro sono rigidi e ciò non consente di far fronte ai picchi di domanda, come quello di questo fine settimana a Milano per la moda. Le tariffe sono fissate e nessuno può fare sconti, semmai al contrario si può truffare qualche turista inesperto, come capita quotidianamente a Fiumicino e a Malpensa.
Un caso da manuale di concorrenza perfetta, tanti produttori, tanti acquirenti, basse barriere all´entrata, diventa così l´emblema della “rendita distorsiva”. Andrea Boitani e Angela Bergantino, due economisti che hanno studiato la questione partendo dalla riforma della Nuova Zelanda sostengono che dove si sono liberalizzate le licenze si sono migliorati i requisiti qualitativi ed è stato introdotto l´obbligo di frequentare corsi di aggiornamento. Le tariffe sono scese e la domanda è aumentata in Olanda, in Svezia, in Irlanda, in Australia. E anche a Londra, dove sono stati creati servizi alternativi soltanto su prenotazione telefonica.
«Non ascoltate i soloni del capitalismo – replica Christian, quasi quarantenne acculturato – lo sapete che in Nuova Zelanda la deregulation ha costretto a fondare compagnie di sole donne per trasportare altre donne di notte, dopo casi di stupro di driver maschi e mascalzoni?» Ecco, forse Christian si dà la zappa sui piedi, se ci dimostra con la Nuova Zelanda che la liberalizzazione fa nascere persino attività diciamo di nicchia per le signore che sfidano la notte.
Resta il mistero greco del prezzo della licenza. Fino a 210mila euro a Milano e anche a Roma. Perché uno investe una cifra del genere, che dovrà restituire per tutta la sua vita se l´ha chiesta a prestito, per avere un reddito ufficiale medio di 8 mila euro o poco più? E qui si incrociano monopolio o “rendita distorsiva”, come dicono gli economisti, e evasione fiscale. Un tassista in una grande città come Roma o Milano guadagna davvero 2 mila euro al mese o in realtà più del doppio, con un´evasione almeno al 50 per cento? E quei 200 mila euro forse investiti non sono il prezzo per godere di un´evasione fiscale di fatto autorizzata da norme e regolamenti? «Pensi quello che vuole – ci liquida un tassista che in giacca tweed sembra un lord inglese a Milano in Corso Italia – ma io non permetterò a Monti né a nessun altro di espropriami il valore della mia licenza, che non solo è il mio Tfr, quello che hanno i lavoratori dipendenti, ma il futuro agli studi di mia figlia».
Il faro politico del tassista romano, dimenticata l´era diccì e la corporazione buona cui Andreotti fece avere un anticipo dei rimborsi della benzina, rimane con molte perplessità il sindaco ex fascista Gianni Alemanno. A Termini alcune braccia si alzano oggi nel saluto mussoliniano. In Centrale invece, La Russa se lo filano pochi («Chi? Quello al servizio di Ligresti?»). Nella Milano da bere i tassisti erano molto socialisti. I più anziani ricordano ancora con rimpianto Tognoli e Pillitteri. Se arrivavi a Linate all´ora di cena ti beccavi quasi sempre quello che ti recitava: «Torna a casa in tutta fretta, c´è il Biscione che ti aspetta», l´antico slogan della prima tivù berlusconiana. Poi molti si misero con An e non pochi andarono a sinistra, dopo «l´arrogante sindaco Albertini».
Qualcuno l´anno scorso ha votato per Pisapia sindaco. Bossi ora è con loro, anche se nelle sue valli e nelle roccaforti delle piccole città nessuno va in taxi.
Ma i driver milanesi sono smarriti. Come Emilio, il più sfigato tassista di sinistra. Ha comprato una licenza un mese fa per 180mila euro, facendo un mutuo di mille euro. Ancora festeggiava la caduta di Berlusconi e la licenza, sperando di guadagnare cinquemila euro al mese, quando Monti gli ha detto: guarda che ti disarmiamo, la tua licenza è carta straccia. È come se avesse comprato una casa e gli avessero detto: ci dispiace per te. È crollata.

La Repubblica 14.01.12

"Chiediamo più Europa", di David Sassoli

Ci sono momenti in cui è bene sorvolare sulle contraddizioni degli avversari e far finta che siano frutto di una vera conversione. In questi casi è bene accontentarsi dei buoni propositi e delle convergenze ottenute. Con i regali di Natale, anche il centrodestra italiano ha scoperto l’importanza della tassa sulle transazioni finanziarie. L’ultima volta che sono stato ospite da Bruno Vespa, un esponente del Pdl mi accusò di voler aggiungere una nuova imposta nel carnet dei cittadini, non sapendo che non è una tassa che pagano i cittadini ma le società finanziarie.
La nuova consapevolezza espressa dall’ex ministro Frattini giovedì alla camera è un salto di qualità nella comprensione che gli strumenti a disposizione non sono tanti e, a questo punto, sono obbligati. Le nazioni in difficoltà hanno bisogno di risorse e non ci sono molti modi per racimolarle.
E dello stesso grano ha bisogno l’Europa per crescere e riprendere la competizione globale. La strada è a senso unico: tassa sulle transazioni finanziarie per alimentare il bilancio dell’Unione, project bond per gli investimenti, Eurobond per finanziare il debito. Senza risorse non potrà essere raggiunto equilibrio fra stabilità e crescita. E neppure si potrà alleggerire il peso della crisi sulle fasce sociali più deboli. Tutti gli indicatori segnalano un prepotente ritorno del dramma della povertà nell’agenda politica.
Non ci sono solo i dati nazionali, come l’Istat e la Caritas dimostrano. In tutta Europa la povera gente aumenta come mai era avvenuto. Politiche europee, dunque, sono indispensabili per non abbandonare un tratto distintivo dell’identità comunitaria. Il welfare non va penalizzato, ma rafforzato. E allo stesso tempo è urgente una regolamentazione dei mercati finanziari per evitare che si ripetano i motivi che hanno portato alla grave crisi economica. Senza risorse, comunque, non sarà possibile cambiare rotta. Prendere atto che il centrodestra italiano non manifesta più chiusure preconcette è molto rilevante. D’altronde, già nel parlamento europeo l’intesa fra i gruppi progressisti (Socialisti & democratici e Liberaldemocratici) e il Partito popolare europeo sulle modifiche al trattato intergovernativo ha segnalato una convergenza sui modi per affrontare la crisi. La strada sappiamo quanto sia ripida e quante resistenze vi siano da parte del consiglio europeo e della Germania, ma la consapevolezza delle grandi famiglie politiche europee potrà consentire margini di manovra a quei governi che, senza tanti giri di parole, sono consapevoli che da questa fase l’Europa può farcela insieme altrimenti nessuno uscirà dalla crisi. Per farlo è necessario aggiungere strumenti di governo all’unione monetaria. Senza una politica economica e fiscale, il castello europeo non avrà torri di avvistamento, ponte levatoio, fossato e scuderie. Sarà indifeso e indifendibile. Abbandonarlo sarebbe una decisione irresponsabile. Ma il castello non può essere ristrutturato qua e là. Servono visione e progetto.
Oggi a Milano ne parleremo con importanti leader dei gruppi parlamentari europei. Accanto al difficile lavoro del presidente Monti, di mettere in sicurezza l’Italia e l’Unione, c’è anche la necessità di cominciare subito a pensare all’eredità che lasceremo alle generazioni future. Gli Stati Uniti d’Europa devono essere l’orizzonte del nostro impegno. Alcuni strumenti per coinvolgere l’opinione pubblica europea ci sono e occorre utilizzarli. Il trattato di Lisbona consente ai cittadini, tramite una petizione firmata da un milione di persone di almeno sette paesi, di invitare la commissione europea a presentare una proposta legislativa. La crisi impone ai progressisti di non rassegnarsi. E se da un lato abbiamo un parlamento eletto dai cittadini che lavora con spirito comunitario, dall’altro vi sono governi che non rinunciano per motivi elettorali interni ad alimentare sfiducia nell’Europa. Una grande mobilitazione di cittadini è necessaria per far vivere la democrazia europea.

da Europa Quotidiano 14.01.12

"Sicurezza, il governo Monti fa sul serio", da La Tecnica della Scuola

Il ministro Profumo annuncia che è in dirittura d’arrivo l’anagrafe degli edifici e che presto chiederà al Cdm di intervenire. Segnali di presa di responsabilità anche dal responsabile del dicastero della Coesione territoriale, Fabrizio Barca: tramite Twitter rassicura gli studenti che gli istituti siciliani più a rischio verranno messi in sicurezza. Dopo una settimana di critiche e perplessità, derivanti da decisioni e dichiarazioni troppo distanti dalle emergenze espresse dai lavoratori e dai loro rappresentanti, l’immagine del ministero dell’Istruzione torna a recuperare quella credibilità che aveva contrassegnato le prime settimane del nuovo corso “targato” Profumo: a far alzare le quotazioni del Miur sono state prima le dichiarazioni dello stesso Ministro a proposito della volontà di chiudere una volta per tutte il cerchio attorno all’anagrafe degli edifici scolastici, al fine di recepire informazioni utili a pianificare gli interventi di manutenzione ed assistenza. In effetti, gli ultimi dati indicano che non c’è tempo da perdere: almeno un istituto su tre, in particolare quelli costruiti prima degli anni Settanta, è privo di certificazione antisismica e necessita di interventi.
Nello stesso giorno in cui il Governo ha iniziato a verificare la fattibilità delle liberalizzazioni, Profumo ha spiegato che presto, probabilmente già la prossima settimana, lo stesso Consiglio dei ministri sarà chiamato ad esprimersi “sull`edilizia scolastica orientata alla sicurezza: occorre una particolare attenzione perché la scuola – ha aggiunto il ministro dell’Istruzione – è il primo contatto dei cittadini con lo Stato”.
Mentre Profumo annunciava l’esigenza di occuparsi in modo capillare della sicurezza degli edifici scolastici, la Rete degli Studenti rendeva pubblico un aneddoto, sullo stesso tema, che sembra confermare l’attenzione dei piani alti del Miur per la delicata questione. Dopo essere scesi in piazza in migliaia per sollevare il tema dell’edilizia scolastica e aver diffuso questionari sulla sicurezza e vivibilità delle nostre scuole, alcuni giorni fa gli studenti hanno segnalato su Facebook la presenza di tanti istituti pericolanti, in particolare di alcune scuole di Castelvetrano, Mazara del vallo e Trapani; la denuncia è stata ripresa dalla giornalista Mila Spicola, che ha puntato il dito sulla incuranze delle istituzioni di fronte a dati sempre più allarmanti. Il dibattito on line, come accade spesso negli ultimi anni su internet, si è presto ampliato. Sino ad arrivare all’attenzione del ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca: il Ministro non solo risposto agli studenti, ringraziandoli della segnalazione e comunicandogli l’impegno del governo per la messa in sicurezza delle scuole, ma lo ha fatto utilizzando Twitter, uno dei loro strumenti di comunicazione preferiti.
Meritandosi gli elogi della stessa Rete degli Studenti: “dopo tre anni di governo Berlusconi e di Ministro Gelmini contraddistinti da un’assoluta mancanza di interesse per i problemi veri delle scuole e assenza di volontà di ascoltare e dialogare con gli studenti e tutto il mondo della scuola, riteniamo un segnale importante che un ministro ascolti l’esigenze e i problemi che vivono gli studenti e si attivi per risolverli e soprattutto che lo faccia utilizzando un linguaggio innovativo come quello dei social network”. Rimane ora da vedere se alla politica degli annunci seguirà ora quella dei fatti.

La Tecnica della Scuola 14.01.12

I sindacati per l’intesa «Ma l’articolo 18 resti fuori dal tavolo», di Luigina Venturelli

Le premesse per un vero confronto sul mercato del lavoro ci sono tutte. Nella riunione conclusiva di ieri mattina, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno definito nei dettagli la piattaforma unitaria – anticipata ieri sulle pagine di questo giornale – con cui intendono presentarsi all’incontro con il governo sulla riforma del mercato del lavoro.
LA PIATTAFORMA DEI SINDACATI Adesso la parola spetta al ministro Elsa Fornero e al premier Mario Monti che – davanti a interlocutori uniti e desiderosi di entrare nel merito delle questioni con proprie proposte concrete – dovranno dimostrare la reale volontà dell’esecutivo di procedere a modifiche legislative con il consenso delle parti sociali. Il primo banco di prova, manco a dirlo, sarà l’assenza dai temi della discussione di qualsiasi modifica all’articolo18 dello Statuto dei lavoratori, che le tre confederazioni sindacali continuano a porre come precondizione necessaria al dialogo. A cominciare dallo stralcio della bozza sul decreto liberalizzazioni che innalzerebbe da 15 a 50 dipendenti la soglia per la sua applicazione nelle imprese in caso di fusioni. «Il tema dell’articolo 18 non è tra i problemi veri da affrontare al tavolo» hanno avvisato i leader sindacali. E se l’esecutivo ne farà «un totem» ideologico, una questione di principio, allora i rapporti con i sindacati «rischiano il black out». «Abbiamo opinioni identiche » ha spiegato il leader Cisl, Raffaele Bonanni, al termine del vertice di ieri, a cui martedì prossimo seguirà la riunione unitaria delle segreterie confederali dalla quale scaturirà un documento comune su crescita, mercato del lavoro, ammortizzatori sociali e pensioni da presentare a Palazzo Chigi. «Noi siamo pronti, adesso vediamo se lo è la politica». Anche il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, si è augurato da parte dell’esecutivo un percorso coerente con le intenzioni dichiarate, perché «non vorremmo scoprire che alla fine l’unica cosa fatta sarà il disastro sulle pensioni». Gli auspici sono tutti per «una discussione trasparente, con il coinvolgimento di tutti», anche in tempi rapidissimi, ma soprattutto «in totale trasparenza, senza usare la tecnica delle indiscrezioni e dei documenti anonimi, che poi vengono più o meno smentiti a seconda delle convenienze».

Suona ancor più chiaro l’avvertimento della segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: «Speriamo che il governo non voglia far fallire la trattativa prima di cominciare » e, a tal fine, «che la bozza che sta circolando in questi giorni, contenente anche un riferimento all’articolo 18, non sia confermata». Una trattativa, comunque, che Corso d’Italia non vuole preventivamente limitata nel merito: «Non vogliamo discutere solo del mercato del lavoro, ma anche di crescita e sviluppo», temi su cui il fronte sindacale si presenterà con «un’agenda condivisa».
GLI INCONTRI DEL MINISTRO Intanto, non si fermano gli incontri preventivi del ministro del Welfare, Elsa Fornero, con le diverse parti sociali in vista della fase decisionale del confronto. Ieri è stata la volta dell’Associazione banche italiane, delle associazioni imprenditoriali di Rete imprese Italia, e delle Acli. Al termine di unfaccia a faccia durato un’ora e mezza, il primo ufficiale con il nuovo esecutivo, il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, ha presentato al ministro l’esperienza del comparto bancario e assicurativo nel mercato del lavoro: «Il nostro settore ha infatti sperimentato, prima di altri, le soluzioni esaminate nell’ambito della riforma che il ministero si appresta a studiare». Soddisfatto anche il presidente di Rete imprese Italia, Marco Venturi, secondo cui il confronto sulla riforma del mercato del lavoro «può e deve andare a buon fine, perché l’Italia in questa situazione di difficoltà ha bisogno di mettere tutti i tasselli a posto». In particolare, «abbiamo posto al centro i problemi del lavoro legati alle Pmi, ci vogliono quelle condizioni di flessibilità e opportunità per avere più occupazione nel Paese». Al proposito, anche la modifica circolata in questi giorni all’articolo 18 «può essere un’opportunità per favorire l’aggregazione, la capacità concorrenziale e la crescita dimensionale, quindi noi la giudichiamo positivamente». Nei prossimi giorni, invece, il ministro Fornero proseguirà le consultazioni sulla riforma del mercato del lavoro con il mondo delle cooperative. Per lunedì pomeriggio sono stati infatti convocati i rappresentanti dell’Alleanza nazionale delle cooperative (che associa Confcooperative, Legacoop e Agci

L’Unità 14.01.12

"Premiato l'egoismo", di Stefano Lepri

Proprio quando sembrava di intravedere segni di sollievo per l’area dell’euro, Standard& Poor’s assesta una nuova mazzata. Ma prima di ridire delle agenzie di rating tutto il male che si meritano, riflettiamo su quanto resta fragile la nostra unione monetaria. Ieri mattina, la nuova asta dei titoli di Stato italiani era andata così così, non bene come la precedente: il nostro Paese ancora stenta a recuperare la fiducia, forse anche a causa di ciò che avviene nelle sue aule parlamentari.

Ieri pomeriggio, poco dopo le prime voci sulla probabile perdita della «tripla A» per Francia ed Austria, e su ulteriori declassamenti per Italia e Spagna, si sono interrotte le trattative per ristrutturare il debito della Grecia: una vicenda che si trascina troppo a lungo in una sequela di errori, tra discordie di istituzioni e furbizie di banchieri.

In qualche caso, i verdetti delle agenzie di rating ormai vengono ignorati dai mercati. Il declassamento degli Usa, deciso dalla stessa Standard & Poor’s il 5 agosto, non ha inciso sui tassi del debito pubblico americano. Tutta questa severità contro gli Stati sovrani si rivela sempre più come un tentativo di farsi perdonare anni di colpevole indulgenza, anzi di complicità, verso le emissioni di titoli «tossici»; in Italia, basti ricordare che le tre agenzie si sono accorte del dissesto Parmalat quando ormai se ne discuteva nei bar.

La mossa multipla di ieri è solo l’effetto ritardato del deludente vertice europeo di dicembre; era attesa, tanto che i suoi danni almeno per ora restano limitati. Nelle ultime settimane, nulla è cambiato in peggio nella situazione italiana; forse troppo poco è cambiato, però nella direzione del meglio. Certo, in una fase come questa i ritardi possono far sospettare ancor più che negligenza. Somme enormi sono in gioco per scommesse sulle tendenze dei mercati. Ma finora non abbiamo mai avuto «pentiti» in grado di svelare malversazioni.

Invano il governo di Parigi ha ripetuto nelle settimane scorse che i dati economici francesi sono molto migliori di quelli della Gran Bretagna la cui «AAA» resiste indisturbata. E’ vero. Ma la Francia soffre perché l’Europa non riesce a decidere, e non decide perché non si sa chi debba farlo, grazie anche alla tenacia con cui la Francia rifiuta di cedere anche briciole di una sovranità nazionale ormai incapace di contrastare le ondate di piena dei mercati finanziari.

La conseguenza vera è che diventa più costoso irrobustire l’Efsf, il fondo europeo di salvataggio, perché perderà anch’esso la tripla A. Una responsabilità maggiore si abbatte sulla Germania: come previsto, il rifiuto di più consistenti mosse di solidarietà finora rischia di far sì che il prezzo per i tedeschi diventi assai più alto dopo. Tutte le soluzioni tecniche fin qui proposte sono state bocciate da Berlino. Ma solo provando ai mercati che si è davvero disposti a pagare un prezzo per salvare l’euro si può calmarli, e quindi minimizzare il prezzo. Occorre dunque andare oltre la promessa di un maggior contributo fatta a Mario Monti l’altro giorno a Berlino.

Se fosse questione di saldare i debiti altrui, i tedeschi avrebbero tutte le ragioni di rifiutare. Ma si rendano conto che i mercati, così come prima della crisi davano credito a troppo buon mercato ai Paesi spendaccioni, nell’ansia attuale premiano eccessivamente l’egoismo del Paese parsimonioso. Dal prolungarsi della crisi, la Germania risparmia miliardi pagando tassi di interesse eccessivamente bassi. Responsabilità è anche rifiutare i doni eccessivi.

La Stampa 14.01.12

"Bossi e Maroni, lo scontro finale", di Rodolfo Sala

Il diktat arriva alle otto sella sera, suona come il preannuncio dell´espulsione e porta la firma di Umberto Bossi. «Devo segnalare la volontà del segretario federale di sospendere tutti gli incontri pubblici con la presenza di Maroni». A comunicarlo, in coda alla riunione del consiglio «nazionale», è il segretario della Lega lombarda Giancarlo Giorgetti. Al suo fianco c´è Roberto Calderoli. Nella sala di via Bellerio scende il gelo, e tutti capiscono che per “Bobo” è finita. Diversi segretari provinciali – sono loro i destinatari del diktat – che cancella l´ex provano a contestare la decisione. Ma non c´è niente da fare. Passano un paio d´ore e si fa vivo Maroni. Su Facebook: «Mi hanno appena chiamato per comunicarmi che la segreteria nazionale ha deciso di impedirmi di tenere gli incontri pubblici già programmati in Lombardia; non so perché, nessuno me l´ha spiegato, sono stupefatto, mi viene da vomitare. Qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega, ma io non mollo». E aggiunge: «Sono pronto ad andare alla conta».
Un antipasto della fatwa era stato servito in giornata. Sul web. Il pasticciaccio brutto del voto su Cosentino lo ha «amareggiato e un po´ deluso», scriveva Maroni sul suo frequentatissimo profilo facebook. «Però – aggiungeva – non smetto di credere e di lavorare per la Lega che ho contribuito a costruire in oltre 25 anni di attività politica. La Lega per la quale lavoro – aggiunge – è la Lega degli onesti, senza intrallazzi né conti all´estero, la Lega che mi ha conquistato per i suoi ideali di onestà e trasparenza». Al mattino, sempre su Facebook, ci aveva però pensato il suo avversario numero uno, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, a gettare altra benzina sul fuoco. Con una lettera aperta indirizzata proprio a Maroni: «Cosentino non lo abbiamo salvato noi, quasi tutto il gruppo parlamentare ha seguito le indicazioni di Bossi, che ha detto di votare sì all´arresto, salva la libertà di coscienza; purtroppo sulla stampa sembra che siamo stati noi a votare no». E qui arriva la coltellata: «Con le tue dichiarazioni avvalori queste ipotesi, solo smettendola di alimentare le falsità che i nostri nemici mettono in giro riusciremo a conquistare la nostra libertà». Intelligenza col nemico, questa l´accusa.
Ma l´ex titolare del Viminale non ha degnato neppure di una risposta il suo antagonista, più volte da lui indicato come «pretoriano di Bossi». Altro post su Facebook, indirizzato a una fan che lo invita alla replica: «Lasciamo perdere queste cose e non alimentiamo polemiche inutili, questa pagina è a disposizione di chi vuol parlare di cose serie…». Tra cui Maroni annovera senz´altro la richiesta di celebrare i congressi della Lega, quelli regionale e quello federale, per dare vita alla «svolta». L´argine è saltato, adesso quella richiesta non è più sussurrata. «Grande dolore – dice il maroniano Attilio Fontana, sindaco di Varese – vedere che sul caso Cosentino non si sia riusciti al avere un atteggiamento unitario, tra Bossi e Maroni non c´è divisione, ma serve un chiarimento su altre cose e la sede giusta per farlo sono in congressi». Li chiede anche Flavio Tosi, primo cittadino di Verona: «Per fortuna non siamo come il Pdl, dove i coordinatori li nomina Berlusconi; quindi bisogna tenere subito i congressi, a maggior ragione in un momento come questo».

La Repubblica 14.01.12

"Per l’occupazione giovanile e femminile", di Stefano Fassina

Il cambiamento della politica macroeconomica nell’area euro per uno sviluppo sostenibile è condizione necessaria per aumentare l’occupazione e contrastare la precarietà, in particolare giovanile e femminile. A complemento di tale strategia, in Italia si possono prevedere alcuni interventi specifici per il mercato del lavoro:

• la definizione di un contratto per l’ingresso dei giovani e per il reingresso dei lavoratori e delle lavoratrici deboli al lavoro stabile (sostituisce il “contratto di apprendistato professionalizzante”, il “contratto di apprendistato di alta qualificazione” ed il “contrato di inserimento”). Uno strumento di inserimento e reinserimento formativo caratterizzato da durata da 6 mesi a tre anni definita dalla contrattazione collettiva, livello contributivo inferiore a quanto in vigore per i “contratti atipici”, retribuzione crescente fino ai livelli delle qualifiche corrispondenti previsti nel contratto collettivo nazionale di riferimento, agevolazioni contributive per il triennio successivo alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato secondo le regole vigenti (incluso art. 18 dello Statuto dei Lavoratori). Durante la fase iniziale, il licenziamento prevede una compensazione monetaria crescente in riferimento alla durata del rapporto di lavoro;

• la drastica riduzione delle forme contrattuali precarie (contratto di collaborazione coordinata e continuativa, contratto a progetto limitato alle alte qualifiche, associazione in partecipazione, rapporti a partita Iva in mono-committenza o a committenza prevalente, ecc), la limitazione per ogni impresa dell’utilizzo dei contratti a tempo determinato (in riferimento a quote e causali) e l’eliminazione dei vantaggi di costo delle forme contrattuali flessibili residue;

• nel quadro di una complessiva riforma degli ammortizzatori sociali, ad esempio secondo le linee della legge delega del 2007 condivisa da tutte le parti sociali, un’indennità di disoccupazione universale e tutele fondamentali (malattia, infortunio, ferie, congedi parentali, sostegno ai carichi familiari) ridefinite ed estese a tutte le tipologie di lavoro, dipendente, autonomo;

• una retribuzione o compenso minimo orario, determinato in relazione ai minimi dei contratti nazionali di riferimento per i rapporti di lavoro fuori dal contratto nazionale;

• in particolare, per l’occupazione femminile, il potenziamento dei servizi pubblici per conciliare lavoro e maternità ed un significativo aumento della detrazione fiscale per le mamme che lavorano; il ripristino delle norme di contrasto alle “dimissioni in bianco” e l’universalizzazione dell’indennità di maternità.

• Le politiche attive per il lavoro e la riforma dei servizi per l’impiego, al fine di costruire sinergie tra intervento pubblico e privato profit e non profit, e della formazione professionale e della formazione continua.

• la defiscalizzazione per i primi tre anni di attività delle imprese avviate da giovani.

• la regolazione e la remunerazione degli stage.

• La riforma del processo del lavoro.

• l’introduzione di uno Statuto per i lavoratori autonomi ed i professionisti.

Intervento introduttivo di Stefano Fassina alla riunione del Forum Pd sul lavoro

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