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"Premiato l'egoismo", di Stefano Lepri

Proprio quando sembrava di intravedere segni di sollievo per l’area dell’euro, Standard& Poor’s assesta una nuova mazzata. Ma prima di ridire delle agenzie di rating tutto il male che si meritano, riflettiamo su quanto resta fragile la nostra unione monetaria. Ieri mattina, la nuova asta dei titoli di Stato italiani era andata così così, non bene come la precedente: il nostro Paese ancora stenta a recuperare la fiducia, forse anche a causa di ciò che avviene nelle sue aule parlamentari.

Ieri pomeriggio, poco dopo le prime voci sulla probabile perdita della «tripla A» per Francia ed Austria, e su ulteriori declassamenti per Italia e Spagna, si sono interrotte le trattative per ristrutturare il debito della Grecia: una vicenda che si trascina troppo a lungo in una sequela di errori, tra discordie di istituzioni e furbizie di banchieri.

In qualche caso, i verdetti delle agenzie di rating ormai vengono ignorati dai mercati. Il declassamento degli Usa, deciso dalla stessa Standard & Poor’s il 5 agosto, non ha inciso sui tassi del debito pubblico americano. Tutta questa severità contro gli Stati sovrani si rivela sempre più come un tentativo di farsi perdonare anni di colpevole indulgenza, anzi di complicità, verso le emissioni di titoli «tossici»; in Italia, basti ricordare che le tre agenzie si sono accorte del dissesto Parmalat quando ormai se ne discuteva nei bar.

La mossa multipla di ieri è solo l’effetto ritardato del deludente vertice europeo di dicembre; era attesa, tanto che i suoi danni almeno per ora restano limitati. Nelle ultime settimane, nulla è cambiato in peggio nella situazione italiana; forse troppo poco è cambiato, però nella direzione del meglio. Certo, in una fase come questa i ritardi possono far sospettare ancor più che negligenza. Somme enormi sono in gioco per scommesse sulle tendenze dei mercati. Ma finora non abbiamo mai avuto «pentiti» in grado di svelare malversazioni.

Invano il governo di Parigi ha ripetuto nelle settimane scorse che i dati economici francesi sono molto migliori di quelli della Gran Bretagna la cui «AAA» resiste indisturbata. E’ vero. Ma la Francia soffre perché l’Europa non riesce a decidere, e non decide perché non si sa chi debba farlo, grazie anche alla tenacia con cui la Francia rifiuta di cedere anche briciole di una sovranità nazionale ormai incapace di contrastare le ondate di piena dei mercati finanziari.

La conseguenza vera è che diventa più costoso irrobustire l’Efsf, il fondo europeo di salvataggio, perché perderà anch’esso la tripla A. Una responsabilità maggiore si abbatte sulla Germania: come previsto, il rifiuto di più consistenti mosse di solidarietà finora rischia di far sì che il prezzo per i tedeschi diventi assai più alto dopo. Tutte le soluzioni tecniche fin qui proposte sono state bocciate da Berlino. Ma solo provando ai mercati che si è davvero disposti a pagare un prezzo per salvare l’euro si può calmarli, e quindi minimizzare il prezzo. Occorre dunque andare oltre la promessa di un maggior contributo fatta a Mario Monti l’altro giorno a Berlino.

Se fosse questione di saldare i debiti altrui, i tedeschi avrebbero tutte le ragioni di rifiutare. Ma si rendano conto che i mercati, così come prima della crisi davano credito a troppo buon mercato ai Paesi spendaccioni, nell’ansia attuale premiano eccessivamente l’egoismo del Paese parsimonioso. Dal prolungarsi della crisi, la Germania risparmia miliardi pagando tassi di interesse eccessivamente bassi. Responsabilità è anche rifiutare i doni eccessivi.

La Stampa 14.01.12