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"Caro sindaco, sull'uguaglianza si rilegga don Milani", di Mila Spicola

Gentile sindaco Fucci, io lo so, tu non hai fatto che interpretare alla lettera il famoso adagio di Don Milani. «Non si divide in parti uguali una torta tra diseguali». Vorrei però rilevare che si è creato un increscioso equivoco, che, con tutte le faccende in cui è affaccendato di questi tempi un sindaco, sicuramente ti sarà sfuggito il senso di quella frase. Forse hai letto distrattamente, ma quel prete lì intendeva tutt’altra cosa quando parlava di eguali e diseguali. Intendeva renderli tutti uguali nei diritti. Diversi uno per uno, i nostri studenti, ma eguali nei diritti. Per compensare ciò che non hanno, non per passarci sopra l’evidenziatore fluò. Quanti di noi docenti ripongono quaderni nuovi nell’armadio di classe, dicendo a tutti loro e non solo a quel bimbo lì, «se qualcuno ha dimenticato il quaderno, lo prenda dall’armadio»? E libri, squadrette, persino scarpe da ginnastica. Così, distrattamente, i bambini diversi per sfortuna, tornano uguali tra i banchi. Senza che nessuno se ne accorga. Compensare per eguagliare, caro sindaco. È la normalità nelle classi, giusto per mettere tutti i bimbi alla pari ai nastri di partenza. E spesso son loro stessi a farlo, da soli, naturalmente. Quello che è accaduto a Pomezia è esattamente nel verso opposto. Che sarà mai un dolce in quest’era di bimbi obesi? Mi segnalava oggi una conoscente. È pure meglio se mangiano una merendina in meno. Sarà anche vero, ma ciò valga per tutti. Un bravo sindaco o la toglie per tutti o fa in modo di garantirla a tutti. La tua storia mi ha subito fatto tornare alla memoria una vicenda accaduta nel 2010 a Palermo; sempre di mense, di cibo, di sindaci e di bimbi si trattava. Ne ho viste di cotte in questi anni come responsabile scuola dell’esecutivo a Palermo, ma quella storia mi era rimasta nel cuore. Mi segnalarono che quell’anno l’allora sindaco, di centrodestra, per simili problemi di bilancio, aveva raddoppiato il contributo da pagare per la mensa per i bambini delle scuole elementari: da 70 a 145 euro per le famiglie di fascia media per il pasto caldo dei loro bimbi. Le fasce povere pagavano uno minimo, è vero, ma se le fasce medie sono ormai povere anche loro? Sono fatte di impiegati che magari hanno due o tre figli, e si chiedono se è meglio la palestra per i loro figli o il pasto caldo a scuola. Quella scuola era in un quartiere residenziale, come tanti in Italia, della media borghesia. Un tempo la fascia media era dignitosa, oggi sono la percentuale più alta a rischiare la soglia di povertà. Eravamo a Palermo. Una storia simile a quella di Pomezia, dunque. Alcuni genitori, coppie giovani, con mutui, altri figli, non se lo potevano permettere il pasto caldo e dunque toccò il panino in classe portato da casa tutto l’inverno i più indigenti e super pranzo nella mensa da 145 euro mensili per i più fortunati. Con primo, secondo, frutta e dolce. Quello che avanza si buttava: per legge. «Perché mamma è un pranzo da papa, mica le mangio io tutte quelle cose». Accadde dunque qualcosa in quella scuola e secondo me potrebbe accadere anche a Pomezia. I bambini più fortunati rinunciarono alla mensa e decisero di mangiare il panino con i loro compagni, pur di stare insieme. Genitori e preside convocarono a quel punto un’assemblea allargata per ottenere dall’assessore di abbassare il contributo, chiedendo una sola portata uguale per tutti: mangiare meno, ma mangiare insieme, questo chiesero quei bimbi coi loro genitori. A quell’assemblea venni invitata. Non sapevo se essere fiera di quei bimbi o intristirmi. E ne ho avuta di rabbia in questi anni, tra precari tagliati e scuole che crollano, tra topi che invadono e vandali che rompono. Un pasto caldo per tutti. Meno ricco ma uguale per tutti. Ecco, caro valido sindaco grillino, efficiente e volenteroso, il senso dei bimbi per la vita. Adesso non vorrei strumentalizzare la tua parte politica, che putacaso è opposta alla mia e dunque mi verrebbe in discesa fare della parte il mucchio, dicendo peste e corna di te, della tua parte e chi più ne ha più ne metta. Non lo farò. Voglio credere solo che era a fin di bene. «Chi può pagare mangi e chi non può pagare mangi meno» è una logica perfetta, da ottimo amministratore. C’è che a me, a tanti di noi, così non va giù. Chi può pagare mangi un pochino di meno per far mangiare chi non può pagare. Il discorso è complesso, ma se hai tempo vieni a Palermo, in quella scuola. I bambini te lo spiegheranno in tre parole ​

L’Unità 22.05.15

"Affari e politica, i segreti di ’O Ninno che fanno tremare l’impero dei clan", di Roberto Saviano

Il boss Antonio Iovine ha deciso di pentirsi: non è uno qualunque. È un capo, è “il ministro dell’economia” della camorra. È stato condannato all’ergastolo nel processo Spartacus e a 21 anni e sei mesi nel processo Normandia. Ora vuole collaborare con la giustizia: è una notizia che rischia di cambiare per sempre la conoscenza delle verità su imprenditoria e criminalità organizzata non solo in Campania, non solo in Italia. Antonio Iovine detto ’ o ninno per il suo viso di bambino ma soprattutto per aver raggiunto i vertici del clan da giovanissimo non è un quadro intermedio, un riciclatore delle famiglie, non un solo capo militare. È uno che sa tutto. E quindi ora tutto potrebbe cambiare. La terra trema per una grossa parte dell’imprenditoria, della politica, per interi comparti delle istituzioni. Le aziende grandi e piccole che hanno ricevuto, che sono nate e che hanno prosperato grazie ai flussi di danaro provenienti da Antonio Iovine, si sentono come in una stanza le cui pareti si stringono sempre più.
Il talento di Iovine è sempre stato quello di saper far fruttare il flusso di danaro del narcotraffico, delle estorsioni, delle truffe oltre che sfruttare alla grande gli appalti statali. Tutto il segmento nero diventava investimento vivo, costruzione vera: imprese edili, ristoranti, import-export.
Uno dei primi colpi di ’ o ninno fu proprio l’acquisto della discoteca Gilda a Roma: una delle sue prime mosse personali nella capitale. Seguendo l’indicazione del padrino Bardellino, Roma era la vera fortezza da espugnare e Iovine l’ha sempre saputo. Ed è qui che si è legato ai tre settori cardine della capitale: cemento, intrattenimento, politica. Ha provato a scalare la squadra di calcio della Lazio, riciclando 21 milioni di euro provenienti dall’Ungheria, attraverso il suo parente Mario Iovine detto Rififì, a Roma ha investito nel settore del gioco d’azzardo legale.
Esistono molti boss della mafia pentiti. Ma nella camorra è diverso: Iovine è stato ai vertici dei Casalesi per oltre dieci anni, non esistono precedenti simili, se non forse quello di Pasquale Galasso, capo della Nuova famiglia. L’altro pentito del clan dei Casalesi che ha cambiato la storia è stato Carmine Schiavone ma era un capo della vecchia generazione, marginalizzato nell’ultima fase, che decise di pentirsi proprio perché estromesso dai vertici, lui che era fondatore del gruppo. Iovine è l’organizzazione. Perché ha deciso di collaborare? A dicembre scorso ‘ o ninno ha revocato i suoi avvocati. La prima cosa che ho pensato è stata che si sarebbe pentito. L’ho scritto e, come speso accade fui deriso e preso per visionario. Invece è successo ma non riesco ancora a capire perché.
Sicuramente gran parte del merito ce l’ha Antonello Ardituro il pm che da anni instancabilmente segue le vicende del Ninno . I grandi capi del clan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone e Francesco Bidognetti si fanno il carcere, sepolti vivi, detengono il potere nel silenzio. Quando un capo è al 41bis sa che non può più realmente comandare ma il suo silenzio è l’assicurazione sui soldi della famiglia e soprattutto è un valore generazionale. Un boss non ragiona in anni ma in epoche. Il silenzio di un boss ha un valore inestimabile per i suoi nipoti. È la vera dote. Un investimento sul futuro. Ma ‘ o ninno è sempre stato un boss sui generis. A differenza di Zagaria definito “il monaco” per l’attenzione maniacale a una vita moderata e disciplinata, Iovine non ha fatto una latitanza da recluso. In 14 anni di latitanza, prima di essere arrestato a Casal di Principe il 17 novembre 2010 si è molto mosso soprattutto in Francia, in Emilia e in Toscana e a Roma, ha seguito il flusso del danaro e i reinvestimenti.
Non ha ancora compiuto 50 anni (è nato il 20 settembre del ’64), ha figli giovani, attivissimi su Facebook, e che sono a pieno titolo nella vita sociale della borghesia casertana e romana, una figlia amica di presentatrici tv, importanti imprenditori edili da sempre a stretto contatto con il suo gruppo familiare e suo figlio Oreste che recentemente è finito in galera per traffico di droga, perché dopo l’arresto del padre ha voluto prendere in mano l’organizzazione
senza averne davvero le capacità. Enrichetta Avallone, sua moglie condannata a 8 anni, gestiva la sua rete di comunicazione e il Ninno dovrà spiegare come mai un uomo dei servizi segreti le faceva da autista.
Non sappiamo ora cosa potrà accadere nell’agro aversano, come reagiranno i clan visto che i figli di Schiavone Sandokan sono legatissimi ai figli di Iovine. Potrebbe essere l’inizio di un cambiamento epocale. Iovine potrà chiarire molto, moltissimo: potrà parlare delle voci che lo hanno descritto (senza mai nessuna conferma giudiziaria) come il burattinaio dietro la scalata di Ricucci, Coppola e Statuto. Potrebbe chiarire il potere della famiglia Cosentino e dei rapporti con tutta la politica degli ultimi vent’anni. Potrebbe persino raccontare alcune verità che spiegheranno i retroscena alla caduta del governo di centro sinistra. Ricordate? Il governo di centrosinistra nel gennaio 2008 cadde perché Mastella ritirò la fiducia dopo che la moglie venne indagata per tentata concussione. Era successo che Nicola Ferraro (poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) dirigente Udeur e consigliere regionale chiese a Luigi Annunziata direttore generale dell’Ospedale di Caserta di Caserta di mettere Carmine Iovine cugino del ninno come capo della direzione sanitaria dell’ospedale di Caserta. Solo O’ ninno ora potrà spiegare.
Potrebbe essere una vittoria dello Stato importantissima. La verità può essere vicina: imprenditoria politica, giustizia, giornalismo tutto sta per essere attraversato dalle confessioni del Ninno. Costringere i capi dei clan a raccontare la verità perché ormai non hanno più scampo, perché ormai sanno di non poter più vincere_ questa potrebbe essere una vittoria della democrazia. Una delle più belle.

La Repubblica 22.05.14

"L’Europa che vogliamo", di Lucio Caracciolo

Domenica si vota per il “Parlamento europeo”. Rigorosamente tra virgolette. Infatti non è un vero parlamento e non è davvero europeo. Vediamo. Nessuno Stato che esibisse come parlamento l’assemblea di Strasburgo, con i suoi limiti di autorità e potestà legislativa, senza un governo da votare, controllare e sfiduciare, potrebbe infatti passare il test preliminare di democrazia. Sicché, una volta insediato, i media di tutto il mondo si disinteressano quasi totalmente di ciò che accade in quell’esoterico emiciclo. Né si tratta di un’elezione europea in cui ognuno di noi sceglie i suoi deputati a prescindere dallo Stato di origine. Semmai, di 28 scrutini nazionali. Su liste composte in base a logiche domestiche nei diversi paesi dell’Ue, cui seguono molto virtuali campagne elettorali, centrate sui temi che interessano le opinioni pubbliche locali. Le quali lo considerano un voto nazionale di serie B, un test in vista del vero voto politico, quello interno.
Di più: non solo non esiste un progetto d’Europa condiviso, manca una discussione su quali debbano essere i fini dell’esercizio comunitario, oltre alla riproduzione di se stesso. Ilvo Diamanti ha misurato lunedì scorso, su queste colonne, il grado di disincanto verso l’Unione Europea e verso l’euro nei principali paesi europei. Incluso il nostro, il cui euroscetticismo tocca quote britanniche
(solo il 27% degli elettori italiani ha fiducia nell’Ue e il 12% si considera avvantaggiato dall’euro, secondo un’indagine Demos-Pragma per la Fondazione Unipolis). Conclusione: se non ci fossero gli antieuropei a farlo, di Europa non si parlerebbe proprio.
È moda prendersela con i “populisti”. I quali se ne rallegrano e ne traggono profitto. Certo, va bene deprecare le sguaiatezze di grillini, leghisti o loro simili in altre contrade europee. Costoro vellicano il più odioso particolarismo, se non addirittura il razzismo che corre sotto la pelle di noi civilissimi europei. Ma conviene chiederci da dove derivi tale eurofobia primaria. E come opporvisi. Se vogliamo dare un senso a queste elezioni, anche se queste elezioni un senso non ce l’hanno, è d’obbligo azzardare una risposta.
Il problema dell’Europa sta nell’offerta non nella domanda. Non serve sdegnarsi per il senso di noia o financo di deprecazione di cui la sfera semantica di questo termine si è sovraccaricata. Nessuno pare in grado di determinare in modo univoco che cosa significhi Europa, quale spazio geografico designi, di quali istituzioni debba dotarsi, quali obiettivi debba perseguire per i suoi cittadini e quale funzione possa svolgere nel mondo. Ciascuno ne coltiva idee diverse, più spesso nessuna idea. Perché nessun leader europeo pensa che questo esercizio possa portargli vantaggio. Anzi, a mostrarsi pro-europei i voti si perdono
— giurano tutti (in privato).
È davvero così? Lo è senz’altro, se si scambia per pro-europeo il vuoto europeismo retorico, con i suoi discorsi della domenica recitati al modo ottativo intorno agli Stati Uniti d’Europa e ad altri magnifici ideali mai definiti, senza una road map verificabile. Ma non si può solo moralizzare intorno al “dover essere”, magari non credendo nemmeno alle proprie parole. Come si può chiedere a un cittadino elettore di entusiasmarsi per qualcosa che non siamo nemmeno in grado di definire?
In che senso possiamo considerare democratico un insieme in cui le decisioni che contano vengono prese non dal Parlamento o dalla Commissione, ma nelle sedute segrete notturne dei capi di governo che si aprono al tramonto con l’aperitivo, si concludono con il cappuccino dell’alba, alle quali seguono 28 conferenze stampa parallele in cui ogni leader si rivolge al suo elettorato per raccontare la sua verità sugli esiti di un negoziato di cui nemmeno gli storici futuri potranno scandagliare i percorsi, visto che non ne esiste uno straccio di verbale? In questo modo non si costruisce una democrazia
europea. In compenso, si delegittimano quelle nazionali — anche di qui il rifiorire dei secessionismi in Spagna, in Gran Bretagna, in Italia e altrove — e si attacca alla radice l’albero della politica.
A Bruxelles e dintorni resta in auge il precetto del grande europeista Jacques Delors, per cui «l’Europa avanza mascherata ». Forse, ai suoi tempi. Ma oggi il velo del pudore europeista contribuisce a farci arretrare verso inconfessabili — o invece agognati? — fortilizi feudali e corporativi, verso sempre disastrosi nazionalismi. Il “populismo” riflette la sfiducia dei leader europei nei loro elettori: perché dovrei fidarmi di chi non si fida di me?
Si può sperare in non troppo future elezioni per il Parlamento europeo, senza virgolette? Si deve. La deriva antipolitica non si ferma da sola. Per invertire la rotta, orientandola verso una democrazia europea, dunque verso uno Stato europeo a tutto tondo, prodotto da chi lo vuole e lo può erigere, occorre che ciò che resta delle democrazie e dei parlamenti nazionali produca un disegno possibile, non per aggirare il consenso, ma per coagularlo. Scopriremmo forse che, coinvolti in un progetto d’Europa, noi europei ne premieremmo gli artefici con il nostro voto. L’alternativa non è lo status quo, che non esiste. Galleggiare a lungo nel mare dell’antipolitica è illusione. E naufragarvi non sarebbe dolce.

La Repubblica 22.05.14

Interrogazione al ministro Franceschini sulle risorse per gli archivi

Condivido la proposta di ARCH.I.M. Archivisti in Movimento, tanto da farne oggetto di interrogazione al ministro competente. Grazie per l’iniziativa che avete intrapreso, a difesa del patrimonio archivistico, della professione degli archivisti e della memoria delle comunità.

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE

GHIZZONI, PICCOLI NARDELLI – Al Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo – Per sapere – Premesso che:

gli istituti archivistici svolgono l’importante funzione di tutela, conservazione e fruizione del patrimonio documentario; ad essi, pertanto, è anche affidato un ruolo irrinunciabile nella valorizzazione e promozione della storia, della cultura e dell’identità sia locale sia nazionale;
a fronte di tale funzione dal rilievo costituzionale, dal mondo archivistico – segnatamente da ARCH.I.M. Archivhisti in Movimento – arriva l’appello urgente affinché adeguate risorse siano assegnate ai fabbisogni di detti istituti dato che, ad oggi, i finanziamenti costringono a gestioni inadeguate da punto di vista culturale, scientifico, didattico o addirittura a chiusure (con grave danno per la tutela del patrimonio), mentre in molti Comuni ed altri enti pubblici, gli archivi, storici e correnti, versano in condizioni di degrado e senza personale, strutturato o a contratto, adeguato a trattare documenti ai quali, oltre all’interesse ed al valore storico-patrimoniale, è affidata la certezza dei diritti delle comunità locali;
gli ambiti di investimento negli archivi pubblici, che offrirebbero significative opportunità di lavoro di medio-lungo periodo per professionisti qualificati, dovrebbero riguardare: il recupero del gap strutturale in termini di lavori specialistici (catalogazioni, ordinamenti e inventari di migliaia di archivi, redazione di altri strumenti di corredo, incremento delle attività di digitalizzazione e pubblicazioni scientifiche); implementare le banche dati disponibili sui siti internet degli istituti; incrementare la dotazione strumentale ordinaria (attrezzature informatiche e strumenti per la digitalizzazione, acquisto di software dedicati già tarati su standard descrittivi internazionali); ampliare il numero dei collegamenti al Sistema Archivistico Nazionale; restaurare e/o consolidare le sedi storiche degli istituti di conservazione; ammodernare impianti, sale di consultazione e depositi di conservazione, nonché attivare coperture wireless; internazionalizzare l’offerta culturale con una diffusa rete di servizi attivi direttamente attraverso la rete internet; promuovere l’attività di valorizzazione, didattica, espositiva;
l’incremento dei servizi archivistici può concorrere significativamente ad innalzare l’attrattività turistico-culturale del Paese e tradursi in un indotto economico per il territorio e introdurre, in maniera sistematica, il concetto di turismo di studio che in Paesi, come la Germania e l’Inghilterra, è una voce economica importante;
una concreta opportunità per dare seguito a quanto espresso in premessa potrebbe arrivare dall’imminente programmazione del PON Cultura 2014-2020;

:-

Se il ministro interrogato valuti, nell’ambito della programmazione del PON Cultura 2014-2020, l’opportunità di riconoscere agli Archivi la dignità di Attrattori culturali e come tali indicarli tra i beneficiari dei Fondi UE e destinare così a questo settore, riconosciuto come patrimonio culturale pubblico, risorse adeguate.

Medicina. Pd, rivedere sistema dei test e garantire diritto allo studio e sbocchi professionali

“Siamo d’accordo con il cambio delle regole per l’accesso alle facoltà di medicina, ma sia garantito il diritto allo studio per gli studenti, la qualità della formazione e la certezza per il futuro professionale dei giovani medici”. Lo dicono Maria Coscia, capogruppo Pd in commissione Cultura, e Manuela Ghizzoni, vicepresidente della commissione Cultura della Camera.

“Siamo favorevoli – proseguono Coscia e Ghizzoni – ad aprire subito un confronto su questo importante e delicato tema, che mette in ansia ogni anno decine di migliaia di studenti con le loro famiglie. Chiediamo quindi al ministro Giannini di attivare al più presto un tavolo di confronto tra i ministeri interessati – Università, Salute e Tesoro –, le organizzazioni degli studenti, le università e gli ordini professionali per dirimere i tanti aspetti tecnici del problema e per arrivare ad una scelta ragionata ed evitare, come è accaduto nel passato, di cambiare le regole ogni anno.

Ad esempio, se la soluzione sarà quella di rinviare la selezione alla fine del primo anno di università, occorre allora prevedere un primo anno comune tra i corsi di laurea di “scienze della vita” e disporre meccanismi per riorientare gli studenti che non supereranno la selezione, affinché non perdano del tutto un duro anno di studio. Sarà quindi necessario rivedere l’organizzazione dei corsi di studio, i contenuti culturali e le metodologie di insegnamento e quindi di dover disporre di nuove risorse umane, finanziarie e logistiche.

Al ministro chiediamo anche la certezza di sbocchi professionali per i giovani medici laureati, attraverso un congruo aumento dei posti disponibili presso le scuole di specializzazione ed un impegno particolare attività di orientamento presso la scuola superiore, affinché ogni studente sia messo in grado di valutare le proprie attitudini e capacità rispetto ai contenuti e alle tipologie dei percorsi di studio e di lavoro che gli si prospettano dopo la maturità e per la vita adulta”.

Organici scuola, Ghizzoni “Dare le risposte attese dalle famiglie”

La parlamentare modenese Pd si è già attivata presso gli uffici competenti e il Ministero. “Personalmente mi sto già interessando presso gli uffici competenti a livello locale e nazionale, compreso il Ministero, perché siano garantiti, in tutta la provincia, i livelli di servizio precedenti e si diano le risposte attese dai bambini e dalle famiglie”: la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, vicepresidente della Commissione Istruzione della Camera, assicura il proprio impegno affinché, anche quest’anno, come già l’anno scorso, gli organici di fatto delle scuole modenesi consentano di rispondere alle richieste dei bambini e delle famiglie. Ecco la sua dichiarazione:

«Leggo delle proteste dei genitori di Spilamberto, analoghe necessità sono state espresse anche a Castelfranco e San Cesario: posizioni condivisibili, perché la richiesta di più tempo scuola nella primaria e nell’infanzia risponde a precise esigenze pedagogiche per gli alunni e alle necessità dei tempi di lavoro dei genitori. Non creiamo tuttavia allarmismi, poiché ci sono i presupposti affinché anche quest’anno com’è accaduto già l’anno scorso, con l’impegno comune di tutti i soggetti coinvolti si riuscirà a coprire tutte le esigenze. L’organico a cui fanno riferimento le legittime preoccupazioni dei genitori di Spilamberto e degli altri comuni modenesi è l’organico di diritto che, come noto, é sottostimato rispetto alle reali esigenze che intercorrono nel periodo compreso tra l’iscrizione e la composizione delle classi. A queste esigenze reali farà fronte il cosiddetto organico di fatto. Certo, se avessimo l’organico funzionale alle esigenze dell’offerta formativa non avremmo da affrontare ogni anno questi problemi: da quando il ministro Moratti cancellò la sperimentazione introdotta dal precedente ministro Berlinguer, non si é stati più in grado di istituire questo modello, attento alle esigenze educative così come ai livelli occupazionali. L’organico funzionale è obiettivo dei parlamentari democratici impegnati nelle politiche scolastiche, ma tornando al merito delle questioni modenesi, personalmente mi sto già interessando presso gli uffici competenti a livello locale e nazionale, incluso il Ministero, perché siano garantiti, in tutta la provincia, i livelli di servizio precedenti e si diano le risposte attese dai bambini e dalle famiglie».

"Le scelte che fanno la differenza", di Massimo L. Salvadori

Che cosa può dare il voto ad un elettore che non scambi l’urna per il luogo in cui appagare i suoi ultimi desideri? Consente di scegliere tra le diverse opzioni che offre in concreto lo stato politico di un paese, bello o brutto che sia. In Italia è quello che è. Ma, proprio per le gravi difficoltà in cui versa il paese, il voto è importante.
Uno può buttare via il suo voto in quattro diversi modi: standosene a casa (il che equivale a dire: “andate tutti al diavolo!”) oppure consegnando scheda bianca (il che, se non si è organicamente indifferenti, equivale a dire: “vorrei fare il mio dovere di cittadino, ma fate tutti egualmente schifo”) oppure dando un voto di punizione (il che equivale a dire: “vorrei votare per te in base alle mie inclinazioni di fondo, ma non lo faccio perché desidero darti una lezione e quindi scelgo un altro anche se non mi piace”) oppure do la mia preferenza ad un partito incapace di influire sui rapporti di forza per dare quanto meno una testimonianza ideale. Questo atteggiamento ha fatto breccia tra molti di coloro che in passato, nonostante tutti i maldipancia possibili, si ascrivevano alla sinistra, fornendo così prova di dare ancora importanza a distinzioni che ora sembrano non più riconoscere.
Nella loro diversità di motivazioni i quattro modi sopra indicati convergono in un unico esito: contribuire all’indebolimento se non alla sconfitta della forza politica che pure dovrebbe rappresentare anche ai custodi del meglio ideale il meno peggio reale. Poiché nella realtà dei rapporti politici e sociali esiste sempre il meno peggio. Chi non vuol vederlo e accettarlo si pone al di fuori dei comportamenti orientati a criteri di razionalità. Aspira a rendere più sana, più alta la politica e, spinto dalle proprie delusioni, contribuisce a farla affondare del tutto. Invoca una più nobile responsabilità negli altri mentre ignora la propria che è di non lasciare libero campo alle forze che se non altro il buon senso dovrebbe indicare come le peggiori anche nello scenario che è indotto ad avversare nel suo insieme. Non percepire il valore del relativo significa in politica, appunto, porsi contro la razionalità.
Passando dal discorso generale ai fatti con cui l’elettore si troverà a fare i conti, chi non andrà a votare, chi deporrà scheda bianca, chi voterà con intenti punitivi e chi lo farà per testimoniare scegliendo l’inefficacia si orienterà in base ad un comune orientamento: quello secondo cui Berlusconi, Alfano, Renzi pari sono, mentre a Grillo, se non lo si fa rientrare nella stessa compagnia, si attribuisce il ruolo di vendicatore dei peccati altrui. Orbene, concediamo una certa venia ai tanti che, comprensibilmente imbufaliti dagli spettacoli indecenti offerti dalla mala politica, si lasciano trascinare dal sentimento a perdere il senso delle differenze che vi sono tra un partito e l’altro, e quindi il senso del relativo; ma non possiamo concederla ai non pochi illustri intellettuali di sinistra che fanno sfoggio di accanimento — guarda caso — soprattutto nei confronti di Matteo Renzi. Li abbiamo sentiti dire, contenti della prova offerta di allegra e compiaciuta intelligenza, che Renzi è l’alter ego di Berlusconi, una minaccia per la democrazia, un populista, che questi due insieme con Grillo rispecchiano la stessa Italia. Non entro nel merito di tali giudizi. Li si lasci a chi li pronuncia. Fatto è che, comunque la pensino, essi non possono eludere l’interrogativo che ha posto Scalfari e a cui si deve rispondere: ritengono che un grave insuccesso del Pd non faccia differenza? Sono indifferenti alle conseguenze che avrebbe l’eventuale sorpasso da parte di Grillo?
È un vecchio, intramontabile vizio della “sinistra pura” l’amore per le dichiarazioni di principio, per l’etica della convinzione, per l’imperativo categorico che non transige e induce a avversare in primo luogo la sinistra impura. Più la sinistra ne è stata danneggiata e più questo vizio si riproduce come un fungo dalle belle apparenze e dagli effetti velenosi. Sì, siamo costretti a scegliere tra Berlusconi, Alfano, Renzi e Grillo. Tutti uguali? Dopo il 25 giugno avremo i risultati elettorali. Ebbene, questo nostro paese che si trova nella tenaglia in cui lo stringono le difficoltà non avrà lo stesso destino se vincerà l’uno o l’altro. Chiunque lo dovrebbe capire. La ragione può sopportare molte violenze, ma di queste violenze non abusino in primo luogo intellettuali dottissimi ed espertissimi di politica antica e moderna.

La Repubblica 21.05.14