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"La fattoria si tinge di rosa", di Maria Cristina Ceresa

Quando l’azienda è guidata dalle donne aumentano i ricavi. La forza dell’agricoltura italiana sta anche nella discreta fetta di quote rosa che le dà vita, tanto che si valuta che un imprenditore agricolo su tre sia donna. Ma il dato più interessante è che quando l’impresa è guidata dal gentil sesso, i ricavi sono più alti: in media 28.500 euro contro 24.800 euro. Il che cuberebbe una cifra pari ai 9 miliardi di euro l’anno. È quanto dimostra il Rapporto Censis presentato in questi giorni da Cia (Confederazione Italiana Agricoltori).
Lavorando la terra le donne non hanno niente da invidiare: sono un piccolo esercito positivamente agguerrito di circa 228mila imprese (Elaborazione Coldiretti su dati Unioncamere). Con un vigore che risulta essere più “resistente”: secondo elaborazioni Istat, infatti, nell’ultimo decennio le aziende a conduzione femminile sono diminuite meno di quelle a conduzione maschile (-29,6% contro -38,6%).
«Vero è – riflette Serena Giudici, coordinatrice nazionale di Donne in Campo, associazione di imprenditrici agricole in seno a Cia – che le donne, soprattutto in Italia, hanno contribuito ad aprire l’agricoltura a preziosissime novità quali l’agriturismo, le fattorie didattiche, le fattorie sociali, la trasformazione dei prodotti e si sono distinte per una particolare attenzione e cura nei confronti dell’ambiente e di una sana alimentazione». Insomma, l’agricoltura rosa è molto “verde”. E qui starebbe anche il perché della loro resilienza: negli ultimi 10 anni secondo dati Istat messi in evidenza da Federbio il settore bio ha perso solo l’1,2%, contro un meno -24,7% del totale aziende.
Insomma, le donne in agricoltura crescono e fanno spesso del bio il loro distintivo con una «crescente attenzione al benessere – sottolineano in Coldiretti – e al recupero di antiche varietà, ma anche di stili tipici della Green economy».
Le imprenditrici scendono ai mercati a vendere, o lo fanno on line, e trovano di fronte a loro altre donne (il 65% degli acquirenti è donna – stima la Coldiretti Lombardia) che mostrano la stessa sensibilità al tema del buon cibo.
Geograficamente parlando, dove siano in azione le imprese agricole rosa non fa differenza. Anzi per le donne del Mezzogiorno gli equilibri si intensificano: qui il numero di donne a capo di un’impresa agricola arriva al 34,7% del totale (è 31,2% la media).
Nelle aziende bio – sono ancora tendenze rilevate da Federbio guidata dal presidente Paolo Carnemolla – il capo azienda è mediamente più istruito. E questo pare essere un po’ più vero se a capo dell’azienda bio c’è una donna. In tal caso, è anche più probabile che abbia una laurea.
“Le donne nel settore agricolo offrono servizi innovativi, – racconta Federica Ortalli presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di commercio di Milano – e utilizzano social media o Internet creando un ponte che unisce mondi diversi. Quindi, dalla partecipazione femminile al mondo agricolo abbiamo anche una nuova ottica che può far emergere spunti originali e creativi, per una nuova connotazione del “made in Italy”.
La strada è quella della sostenibilità economica, ma anche ambientale: «L’impegno nel biologico e l’attenzione alla salvaguardia e alla fertilità dei suoli, descrivono con chiarezza la cura delle donne nei confronti dei sistemi naturali – si sente di aggiungere la Giudici -. Io credo che in questo momento il più grande desiderio delle nostre imprenditrici sarebbe quello di prendersi cura della terra e dell’acqua, sofferenti da troppi anni di incurie e comportamenti illegali che ne minano gli equilibri».

Il Sole 24 Ore 21.05.14

"Un simpatico cacciaballe? Già visto, grazie", di Stefano Menichini

Alla domanda se Beppe Grillo l’altra sera da Vespa abbia o no sfondato in un altro elettorato, ognuno dà la risposta che crede. Molto spesso, la risposta che gli conviene di più. Dovessi dire, però, il mio primissimo pensiero d’impulso, sul fotogramma finale di Grillo e Vespa che si stringono la mano complici e felici, è andato altrove. È andato a Silvio Berlusconi. Perché quella immagine, e quella intera puntata di Porta a Porta, sono soprattutto il sigillo alla marginalizzazione irrecuperabile di colui che in quel salotto tv e davanti a quel pubblico ha celebrato i propri trionfi.

Berlusconi escluso dalla contesa elettorale a due è come se fosse escluso tout court: un ruolo da terzo attore, con distacchi abissali, semplicemente non può recitarlo. Perfino Giorgia Meloni può intimargli di lasciare il campo, dovesse rimanere sotto il 20 per cento. I ragionamenti che si fanno sugli scenari post-europee sono tutti assennati, e giustamente tengono in gran conto le scelte di Forza Italia. Ma i sorrisi forzati di Berlusconi nelle sue apparizioni televisive sono ormai come quelli del gatto del Cheshire: intorno non si vede più nulla.

Lunedì a Porta a porta c’era un uomo siffatto: simpatico; molto ricco; professionale nell’uso della tv; alternativo al sistema dei partiti; deciso a cancellare tutti gli avversari politici; confuso e improbabile nelle proposte concrete. Praticamente, era Berlusconi. Solo che aveva molti capelli non tinti, una bella barba e un intervistatore scettico, cosa mai capitata a Berlusconi in quello studio.

Questa è la chiave della progressiva espulsione del fondatore del centrodestra dalla scena: è soppiantato in quella che era la sua parte nella commedia italiana, per come gli elettori-telespettatori la percepiscono. Per alcuni aspetti, l’ha sostituito Renzi. Ma Grillo lo sta sostituendo in tutto e per tutto, e a quanto pare anche nei consensi di coloro che voteranno sempre mossi da un’unica molla: impedire alla sinistra di vincere.

Se questa sia solo un’impressione, o il dato eclatante della nuova realtà italiana, lo sapremo domenica notte e lo valuteremo conoscendo i flussi elettorali. Intanto stasera possiamo fare una verifica. Già, perché da Vespa arriva un altro Berlusconi. Stavolta con pochi capelli (non suoi), allergico alla barba, probabilmente poco propenso alle barzellette. Sarà quello vero? O non è più lui, quello vero?

da Europa Quotidiano 21.05.14

Napolitano: «No a populismi e sterili nazionalismi», da l'Unità

Il presidente della Repubblica, in visita di Stato in Svizzera, non riserva più che una battuta all’attacco continuo di Beppe Grillo a lui, che per l’ex comico dovrebbe lasciare il Quirinale e andarsene a casa, e alla legislatura che dovrebbe finire subito dopo le europee, nel caso di una vittoria dei Cinquestelle, data la scontata caduta del governo.

Da sincero democratico il Capo dello Stato ha ricorda che «c’è libertà di parola». Nient’altro. Dato che i suoi pensieri e il suo impegno Napolitano ancora una volta li ha riservati alla situazione dell’Italia che «vive una fase complessa e cruciale» e all’ormai prossima consultazione elettorale europea che dovrà insediare i nuovi rappresentanti in un Parlamento che si troverà a fare i conti con problemi vecchi e nuovi. Problemi europei alla cui soluzione non giova, certo, il limitare la competizione nell’ambito nazionale. «Su questo sapete come la penso» ha chiosato il presidente, che solo qualche giorno fa aveva sottoscritto con i suoi omologhi di Germania e Polonia un appello al voto per un’Europa sempre più indispensabile, se forte, sullo scacchiere internazionale.

La linea di Napolitano è ferma, nota. Nessuna invasione di un campo delicato, che appartiene alla libera scelta di ognuno, e cioè quello della scelta elettorale. «Non dico una parola in merito al- le scelte che devono essere libere» ha detto il presidente incontrando la comunità italiana di Berna. Però «voglio solo dire che bisogna tenere presente lo straordinario progresso che l’Europa ha rappresentato per noi e per centinaia di milioni di cittadini».

Grazie all’Europa, ha ricordato Napolitano «è fortemente cresciuta l’economia, abbiamo conquistato diritti e consolidato la pace. Ora si tratta di darle un nuovo slancio, di ridare all’Italia un nuovo ruolo, forse più assertivo». Questo però «è diverso dal negare quello che si è fatto, dal negare le grandi scelte compiute da una Europa che solo ora inizia a mostrare ancora troppi timidi segnali di ripresa dopo sei anni di crisi economica».

Nel corso degli incontri con i vertici elvetici il presidente non ha mancato di rilanciare l’allarme su populismi e nazionalismi. Affermando che «l’Europa inizia a mostrare segnali di ripresa ancora troppi timidi ed è attraversata da pulsioni e populismi e sterili nazionalismi» che mettono in discussione «struttura ed obiettivi della costruzione peculiare comune». Così come il nostro Paese «attraversa una fase complessa e cruciale» ma «di rinnovato impegno per il rilancio dell’economia e occupazione e di riforme strutturali e costituzionali, da tempo mature».

Rivolto agli amici svizzeri Napolitano li ha voluti rassicurare «che l’asprezza del confronto politico in questo momento dello scontro elettorale non ci farà deviare dalla attenzione necessaria sia sul versante interno che europeo non ci priverà dell’energia per prosegui- re nel progetto di unità europea nel senso più ampio e comprensivo. L’Italia ha un rinnovato impegno per la definizione di riforme strutturali, anche in senso costituzionale, e si confronta al suo interno per gettare le basi di un futuro degno della nostra storia».

In un clima di collaborazione costante tra i due Paesi il presidente della Re- pubblica non ha mancato, però, di esprimere il suo sconcerto per l’introduzione delle quote per gli immigrati (anche italiani) in Svizzera, dopo il referendum del 9 febbraio. «Siamo troppo amici per nascondervi lo sconcerto nell’apprendere un risultato che si pone in controtendenza rispetto alla consolidata politica europea della Confederazione», ha detto incontrando il Consiglio Federale Elvetico.

Nel corso della visita di Stato, che si concluderà oggi ed a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri Mogherini, sono stati affrontati diversi dossier bilaterali, tra cui i trasporti e l’energia, la cooperazione economica e fiscale e la formazione. Il governo svizzero ha espresso la propria soddisfazione per la forza e l’importanza delle relazioni tra i due Paesi. Il presidente della Confederazione ha sottolineato i legami umani ed economici molto stretti tra la Svizzera e l’Italia. Il volume degli scambi tra i due Paesi che ha raggiunto i 35 miliardi di franchi nel 2013. L’Expo di Milano nel 2015 offrirà l’occasione per rafforzare la cooperazione nella regione di frontiera italo-svizzera.

L’Unità 21.05.15

"Un ponte di cui essere orgogliosi", di Mario Calabresi

Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio. La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro già disastrato mercato del lavoro. Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molti di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia o in Svezia. Noi siamo terra di passaggio non meta finale.

Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi. Guardi la foto qui accanto e scopri che su questa barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che ieri sera sono stati asciugati, rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare italiana che li ha salvati. Sono siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.

L’operazione Mare Nostrum ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi. Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto. Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.

Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti. E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità? Mi attirerò una bella dose di critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una nazione che manda i militari a salvare le famiglie e non a sparargli addosso.

La Stampa 21.05.14

"Una speranza per l'Unione", di Martin Schultz

Carissimo Scalfari, è stata per me una sorpresa e un grande piacere leggere il suo lucido editoriale domenicale. Condivido pienamente le sue riflessioni sulla politica italiana ed europea. Negli ultimi cinque anni, l’Europa è stata nelle mani di una maggioranza conservatrice al Parlamento e al Consiglio dei Ministri. E ha impostato una politica di austerity a senso unico per Stati e cittadini. Nel corso degli ultimi anni, l’Unione europea si è trasformata da progetto di pace e prosperità a insieme di regole. Un’Unione di sole regole ha perso la capacità di raccontarsi, di entusiasmare e di far guardare al futuro con ottimismo.
L’obiettivo del nostro progetto comune non è un’Unione burocratica, ma un’unione politica ed economica. Eppure, negli ultimi anni, nel mezzo della crisi, l’Europa ha risposto aggrappandosi alle regole, senza una vera leadership politica. I trattati europei, e la mancanza di competenze esplicite, sono stati utilizzati come giustificazione all’inazione. La gestione puramente amministrativa e la deriva inter-governativa hanno acuito la crisi economica, ma soprattutto quella politica.
Nei trattati non c’è scritto come uscire dalla crisi. Abbiamo subìto un’Europa che si è spesso occupata di dettagli, ma ha lasciato da parte il senso profondo della sua missione, offrendo il fianco agli euroscettici. Abbiamo creato un’Europa capace di salvare banche, ma incapace di far fronte comune all’emergenza sociale, alla crescita della disoccupazione e ai divari crescenti tra cittadini e tra Stati. È stato grazie al lungimirante intervento di Draghi e della Bce, come lei riconosce giustamente nel suo articolo, che abbiamo evitato il peggio, ma ora dobbiamo assolutamente ricostruire la fiducia e la speranza.
Le elezioni del 25 maggio offrono per la prima volta l’opportunità di cambiare direzione, di chiudere il divario che si è stabilito tra un’Unione e cittadini, sostenendo un partito che ha un programma e un candidato chiaro per la presidenza della Commissione europea. Sono stati i progressisti a rompere gli ordini precostituiti, scegliendo me e forzando gli altri partiti politici europei a scegliere un candidato per la presidenza della Commissione.
Per la prima volta, i candidati alla Presidenza della Commissione si sono impegnati in una campagna pan-Europea. Per la prima volta, i candidati alla Presidenza della Commissione si sono confrontati in molteplici dibattiti pubblici dimostrando le differenze tra visioni diverse di Europa. Per la prima volta, i cittadini non avranno l’alibi di astenersi dietro all’affermazione: tanto non cambia nulla. Non la sorprenderà che condivida la sua opinione sul fatto che il Partito Democratico sia la migliore opzione per gli italiani per cambiare l’Europa, per offrire un’alternativa al conservatorismo che ha finora gestito la crisi. I candidati del Partito Democratico hanno le idee, le competenze, il coraggio e le alleanze necessarie per riequilibrare il progetto europeo e per rafforzare l’unità europea: che si guardi a temi quali l’immigrazione o la governance economica, al commercio internazionale o l’agricoltura.
Le altre opzioni sono desolanti: Forza Italia ha promosso una campagna anti-tedesca, pur sedendo comodamente nella stessa famiglia europea di Angela Merkel e sostenendo il candidato comune della cancelliera, Jean-Claude Juncker. Berlusconi l’ha nascosto, anzi, ancor peggio, l’ha accusato di essere fra i responsabili della sua caduta nel 2011, occultando il fatto che Forza Italia l’ha sostenuto ed eletto come candidato comune della famiglia popolare! Il Movimento Cinque Stelle non solo sarà assolutamente isolato a Strasburgo, ma avanza proposte schizofreniche mettendo nello stesso programma un referendum per uscire dall’euro e la creazione di eurobond. La Lega, alla testa delle tre regioni più ricche, produttive e popolose del paese, ha impostato una campagna contro la moneta unica, un’opzione che va contro gli interessi di imprenditori, lavoratori e consumatori.
Domenica abbiamo una grande opportunità: democratizzare e cambiare la direzione del nostro progetto comune. Rimettere la solidarietà, valore fondante del progetto europeo, al centro dell’azione comunitaria.
(L’autore è candidato del Pse alla presidenza della Commissione europea)

La repubblica 20.05.14

"Quell’alba che cambiò la vita della Bassa", di Enrico Grazioli

Due anni non sono passati invano, ma due anni non potevano bastare e non sono bastati. In due anni dalla prima scossa di quella tempesta infinita di tremori e tragedie sono serviti ai paesi della Bassa per ripartire: ben sapendo che ci si sarebbe trovati un giorno a metà del guado. Ricostruire è un’opera anche dell’anima: ricostruire è ricostruirsi, nella fiducia da ritrovare giorno per giorno, quando a sera si fa il conto della fatica spesa, delle speranze tradite, dei risultati raggiunti. E ci si guarda allo specchio: per riconoscersi, ancora. In cosa è stato riportato a come era, in cosa è stato cambiato o si vuole cambiare, in cosa ancora non si sa se e come potrà essere futuro nella memoria del passato. Nel presente, tutti i paesi stravolti dal terremoto sono uguali e diversi. Uguali nella coraggiosa determinazione ad andare fino in fondo, magari non sapendo bene ancora quale sarà e come sarà la meta di questo cammino così impegnativo. Diversi nel loro apparire, nei segni lasciati dalle ferite che si è voluto curare subito, con sollecitudine incurante di sconfinare nell’impazienza: diversi nella consapevolezza di sé che le comunità hanno costruito in questi due anni e che le porta oggi a essere qui, non a commemorare ma a testimoniare la propria identità, il proprio orgoglio, il proprio impegno più forti della sofferenza e dell’errore là dove può esserci stato. Due anni sono stati lunghi da passare: in certi giorni si è sentita dentro una profonda solitudine, un senso di trascuratezza e abbandono. Ma non ci si è mai arresi, perché la sera guardandosi allo specchio, ci si è saputi riconoscere ancora: nello sguardo al futuro, nella preghiera di essere compresi nel proprio coraggio.

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«La ricostruzione è un modello:
sarà la base per il resto d’Italia»
iL MINISTRO DELLA CULTURA Manca ancora un miliardo di euro per completare i lavori sulle opere pubbliche ma partono i cantieri a Finale e Carpi
di Stefano Luppi wBOLOGNA Nel giorno del secondo anniversario di una tragedia chiamata terremoto il ministro ai Beni Culturali, Dario Franceschini, annuncia l’arrivo di una legge quadro nazionale sulle calamità naturali e fa il punto sul recupero e il salvataggio del patrimonio artistico e culturale della Bassa. Anche se il direttore regionale dei beni culturali Carla di Francesco definisce il 2015 come “L’anno dei cantieri”, una prima fase pratica della ricostruzione la si vedrà già tra novembre e dicembre. Apriranno infatti nei prossimi mesi una trentina di cantieri, di cui 18 nel settore dei beni culturali e altri 10 di opere pubbliche. In particolare vedranno il via i cantieri della chiesa della Confraternita della buona morte di Finale e del torrione degli Spagnoli di Palazzo dei Pio di Carpi oltre a lavori previsti alla chiesa di San Paolo in Monte (Bologna), chiesa di San Pietro di Cento e alcuni beni ferraresi tra i quali le chiese di Santa Apollonia e dei Santissimi Giuseppe, Tecla e Rita oltre al museo nazionale dell’ebraismo e della Shoah. A giugno invece sarà pronto il concorso di progettazione per la chiesa di San Francesco di Mirandola e proseguiranno i lavori già intrapresi agli archivi di Stato di Modena e Ferrara. Ieri, a due anni dal primo terremoto dell’Emilia, in Regione è stato fatto il punto della situazione con il direttore Carla di Francesco, il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, il commissario Vasco Errani e l’assessore Alfredo Peri. La mattinata è servita a fornire i numeri della ricostruzione delle opere pubbliche che vedono per ora impiegate risorse per 538 milioni di euro utili a eseguire 664 interventi per i tre piani operativi attivi nel 2013-2014. In futuro ce ne saranno altri: il “Programma per la riparazione ed il ripristino delle opere pubbliche e dei beni culturali” prevede infatti complessivamente 1540 interventi per un importo totale di un miliardo di 354 milioni di euro. E poi c’è il tema delle risorse che mancano. Su questo delicato punto, a richiesta diretta del commissario Vasco Errani sul miliardo di euro che il governo dovrebbe stanziare a completamento degli altri otto già arrivati, il ministro Franceschini ha tergiversato, ma ha anticipato alcune altre importanti novità. In particolare l’esponente del governo dice che «Entro poche settimane porterò in Consiglio dei ministri un disegno di legge per la legge quadro sulle calamità naturali. La gestione successiva al sisma dell’Emilia è stato un vero e proprio esempio da seguire in futuro. La legge quadro prodotta sarà un sistema integrato tra i diversi enti dello Stato anche in rapporto ai privati e dunque arriverà, ma voglio ricordare che finora da Roma e dalla Comunità Europea sono giunti otto miliardi. Però invito a parlare delle cose positive, come ad esempio il modello virtuoso dell’utilizzo dei fondi oppure gli incentivi fiscali per il rientro delle attività nelle ex zone rosse. Questi ci saranno e saranno a termine». E proprio nella legge quadro potrebbe entrare il provvedimento delle zone franche urbane. Errani aveva spinto anche su questo punto: «È necessaria una fiscalità di vantaggio nel rispetto delle norme europee e confido che arriveremo a questo traguardo. Sarà uno stimolo ed un aiuto per i centri storici e per le piccole attività insediate. Con la ricostruzione intendiamo riqualificare i centri e migliorare la qualità della vita dei cittadini». Nel dettaglio i piani operativi della ricostruzione prevedono 288 milioni di euro per 363 interventi riguardo i beni culturali tutelati, 131 milioni per 179 interventi su opere pubbliche e 122,6 milioni di euro per ridare un futuro a 122 progetti di edilizia scolastica e universitaria. Ieri infine anche la diocesi di Modena ha fatto il punto della situazione di chiese ed edifici della sua giuridiszione colpiti. La stima dei danni è di 105 milioni: finora sono stati messi in sicurezza 76 edifici pericolanti tra cui una decina di chiese e sono stati costruiti 9 centri di comunità. «Il programma delle opere pubbliche partito nell’autunno scorso – conclude l’assessore Peri – ha visto un minuzioso lavoro di verifica e di incrocio dei dati. Nel primo anno e mezzo dal sisma abbiamo eseguito le messe in sicurezza dei beni per evitare altri danni e ora passiamo ai cantieri. Abbiamo lavorato bene e faccio un solo esempio: a Miradola, in due anni, nella ex zona rossa le attività produttive rientrate sono il 50% del totale». Oggi infine verrà presentato da Errani e dal prefetto Franco Gabrielli, capo della Protezione civile, il sito web con le donazioni e le relative destinazioni su progetti specifici.

La Gazzetta di modena 20.05.14

"Edilizia, operazione verità al via", di Osvaldo Roman

Il governo Renzi si accinge a valutare gli oltre 4000 progetti che i sindaci avranno sottoposto all’attenzione del governo con le relative richieste di finanziamento per la messa in sivurezza. «Settimana positiva per la scuola», ha scritto via tweet il premier, Matteo Renzi.

Entro il 23 maggio dovranno infatti pervenire al governo i dati identificativi, anche in termini finanziari, dei singoli progetti avanzati da ogni comune richiedente.

Le situazioni in cui i comuni potrebbero trovarsi possono essere raggruppate nelle seguenti tipologie:

comuni che, avendo le risorse nelle proprie casse comunali, chiedono unicamente lo sblocco del Patto di Stabilità per poter partire con i lavori.
In questo caso si richiede di specificare la previsione di spesa suddividendola per anno;
comuni che hanno nelle proprie casse una parte delle risorse necessarie alla realizzazione dell’opera di cui chiedono l’esclusione dal Patto di Stabilità. In questo caso deve essere specificata la previsione di spesa suddividendola per anno. La richiesta di finanziamento statale riguarda la parte residua del progetto;
comuni che chiedono allo stato il finanziamento integrale per coprire l’importo del progetto;
comuni che chiedono il finanziamento allo Stato per coprire una parte dell’importo del progetto. I comuni hanno in questo caso già richiesto una parte delle somme necessarie presso un altro bando, e risultano non aver ancora incassato o essere stati ammessi a un finanziamento non finanziato. Molto opportunamente si prevede di specificare in quale progetto ancora non finanziato risulta inserita quella scuola.

Poiché sono molti i progetti avviati negli anni scorsi che sono rimasti a secco di finanziamenti, questa operazione verità dovrebbe mettere in luce la situazione reale. Potrà così accadere che anche alcuni comuni già destinatari di una quota di finanziamento inseriti in una graduatoria esistente non abbiano ricevuto alcun finanziamento. É evidente che in tal caso si dovranno trovare le risorse per reintegrare i piani definanziati in vigore. É il caso soprattutto del Piano realizzato con fondi Fas del 2010 che prevedeva una spesa di 358 milioni, ma anche di altri ad esso successivi.

Le risorse per fare fronte al superamento del Patto di stabilità non sono moltissime ma neppure trascurabili. Infatti con il decreto legge n. 66/2014 (art.48 del decreto Irpef, meglio conosciuto come il decreto degli 80 euro) attualmente all’esame del Senato, si prevede lo stanziamento di 122 milioni per ognuno degli anni 2014-2015. I comuni beneficiari dell’esclusione dal Patto di stabilità e l’importo dell’esclusione stessa saranno individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da emanare entro il 15 giugno 2014.

Con lo stesso decreto legge per l’attuazione delle misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali di cui all’articolo 18, comma 8ter, del decreto-legge n. 69 del 2013, si prevede che il Cipe assegni, nell’ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, fino all’importo massimo di 300 milioni di euro, previa verifica dell’utilizzo delle risorse assegnate nell’ambito della programmazione 2007-2013 del Fondo medesimo e di quelle assegnate a valere sugli stanziamenti relativi al programma delle infrastrutture strategiche per l’attuazione di piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici. In esito alla predetta verifica il Cipe dovrà riprogrammare le risorse non utilizzate e assegnare le ulteriori risorse a valere sulla dotazione 2014-2020 del Fondo sviluppo e coesione in relazione ai fabbisogni effettivi e sulla base di un programma articolato per territorio regionale e per tipologia di interventi. Con la stessa delibera saranno individuate le modalità di utilizzo delle risorse assegnate, di monitoraggio dell’avanzamento dei lavori ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 2011 e di applicazione di misure di revoca, utilizzando le medesime procedure di cui al citato articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013.

Come si può comprendere il punto debole dell’iniziativa governativa in corso di svolgimento resta quello delle risorse fresche da destinarvi in quanto i suddetti 300 milioni rientrano nei fondi strutturali 2014-2020 non risultano ancora programmati. Il sottosegretario all’istruzione, Roberto Reggi, ha di recente accennato alla possibilità di recuperare risorse (400 milioni) presenti e non utilizzate nella programmazione dei fondi strutturali 2007-2013. Se si tratta di risorse non impegnate in progetti per le scuole occorre chiamarle con il loro nome e renderle visibili al più presto.

da flcgil.it