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"Il coraggio di Meriam", di Barbara Stefanelli

La storia di Meriam è semplice e sconvolgente. Per i giudici sudanesi è un’apostata: figlia di un musulmano e di una cristiana, che l’ha cresciuta da sola, ha abbracciato la religione della madre e non quella del padre come prescrive il diritto islamico. Per questo è stata condannata a morte da una corte locale. Per quei giudici è anche un’adultera: musulmana per forza, in base alla nascita, ha sposato un cristiano e il matrimonio — celebrato in abito bianco, come testimonia la foto che la ritrae il giorno delle nozze — è di conseguenza nullo. Alle donne non è concesso sposare un non musulmano (agli uomini sì). Per questo è colpevole di adulterio e per questo sarà frustata cento volte prima di essere impiccata.
L’apostasia è vietata nei Paesi islamici. Pochi però prevedono la pena capitale. Nei più moderati la soluzione teologica è quella di concedere ai colpevoli «il tempo necessario a pentirsi»: anche tutta la vita. Ma qui siamo a Khartum, nelle terre di Omar Al Bashir, ricercato per crimini di guerra e contro l’umanità. A Meriam di giorni ne hanno concessi quattro. Lei non ci ha ripensato: sono sempre stata cristiana, come posso essere accusata di apostasia? Incinta di otto mesi, resta in cella con accanto il suo primogenito di un anno e mezzo. Aspetta l’appello, aspetta che i giudici (magari quelli di un’istanza superiore, su fino alla Corte Suprema) facciano i conti con l’assedio diplomatico e mediatico internazionale. E decidano se sospendere o no l’esecuzione di una donna che con le sue scelte indipendenti — prima la religione, poi il marito — minaccia «la purezza» della comunità alla quale è chiamata ad appartenere secondo un codice chiuso.
Il destino di Meriam ricorda le vite in ostaggio delle liceali rapite in Nigeria. Due elementi sovversivi tornano a incrociarsi: la libertà di non aderire a una fede come quella professata dai fanatici di Boko Haram e dal regime fondamentalista sudanese; la libertà di determinare la propria esistenza in quanto donne. Libertà di studiare, pregare, amare, di andare via. Queste due storie, insieme, da una parte denunciano il crescere delle tensioni interconfessionali in Africa e dall’altra raccontano la resistenza a un movimento femminile che porta mutamenti nei confini sociali.
Davanti all’immagine della giovane sposa sudanese, come davanti al video delle 200 adolescenti costrette a cantare la propria conversione sotto il tiro dei kalashnikov, sentiamo un dovere, un impegno da prendere: quello di respingere l’idea che si tratti di vicende lontane e complicate e rare, rispetto alla quali possiamo mantenere una distanza di sicurezza intellettuale e non abbandonarci a mobilitazioni ingenue. Sono 39 i Paesi nei quali è vietato cambiare religione e 25 quelli dove sono in atto persecuzioni contro i cristiani. Sono milioni le donne oppresse in tutto il mondo. Ma prenderci cura dell’esistenza di alcune tra loro e nello stesso tempo informarci, interrogarci su quanto accade aiuta a spezzare lo scudo d’indifferenza dietro il quale cerchiamo riparo dal male. Sopraffatti da una sensazione di impotenza che fa apparire inutile e inopportuno ogni sforzo. La rassegnazione, a volte, diventa un inconsapevole scivolo verso la neutralità. E la neutralità al cospetto dell’ingiustizia, ricorda Desmond Tutu, si rivela una forma di complicità.

Il Corriere della Sera 17.05.14

Renzi: «Escludo manovra, estenderemo gli 80 euro», di Dino Pesole

Il giorno dopo la gelata abbattutasi sulla nostra economia, con il Pil del primo trimestre dell’anno a -0,1%, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi interviene a «Radio24» per escludere che il drastico peggioramento della congiuntura imponga di ricorrere a una manovra correttiva. «Di solito le manovre si fanno per mettere nuove tasse ed invece noi dando 80 euro a 10 milioni di italiani facciamo ridistribuzione con una misura che anche alla luce dei dati Pil è anticiclica».
Il governo non ha inserito nella platea dei beneficiari anche incapienti, partite Iva e pensionati: «Riusciremo a farlo con la legge di stabilità, nel settembre-ottobre 2014 per il 2015», ribadisce Renzi che si dichiara ottimista, atteggiamento – spiega – «che fa i conti con la realtà. Non diciamo che la crisi sia finita ma i segnali di ripresa sono importanti». I dati del Pil sono in linea con quelli della Francia, «ma dobbiamo accelerare sulle cose necessarie per il rilancio».
Per sostenere il suo «ottimismo non vano», il premier cita «i 74mila posti di lavoro in più, i mutui che tornano a crescere del 18 per cento». Le chances di invertire il ciclo sono affidate, per la parte che investe il ruolo delle politiche nazionali, sono tutte legate alla concreta realizzazione delle riforme: «Dieci anni fa la Germania ha fatto quel che noi non abbiamo fatto e che dobbiamo fare ora con la riforma della Pubblica amministrazione e del lavoro». Il tutto per far fronte all’emergenza numero uno, quella percentuale del 43% di disoccupazione giovanile «che dovremo avere scolpita in mente».
Linea che al ministero dell’Economia viene così sintetizzata: di certo il dato dei primi tre mesi dell’anno non è positivo e per certi versi inatteso quando le aspettative erano quanto meno per una replica del risultato del quarto trimestre 2013, ma per farvi fronte l’unica strada è «rimboccarsi le maniche», accelerando la messa in atto di tutte le iniziative «utili alla crescita», oltre a quelle già avviate. Il ragionamento che si fa in queste ore in via XX Settembre è che non è affatto detto che uno scostamento, sia pur inatteso, relativo a un trimestre dell’anno pregiudichi il risultato finale. «Si tratta di un segnale negativo che non esprime la tendenza in atto alla ripresa». L’obiettivo di un pil a quota 0,8% è un target che si cerca di raggiungere proprio potenziando interventi e misure in grado di invertire il ciclo, così come è stato disposto con il bonus Irpef.
In serata, intervenendo a un incontro con gli imprenditori a Pesaro, Renzi conferma che il dato del calo del Pil «è poco significativo in termini di futuro del Paese. Ho visto alcuni commentatori che erano quasi contenti, come se il racconto dell’Italia dovesse essere sempre in negativo».
Il governo – conferma il ministro dell’Interno e leader Ncd, Angelino Alfano – lavorerà per evitare una manovra bis «però intanto abbiamo fatto delle cose che servono per i mesi a venire». Di certo, se il trend non s’inverte, il quadro previsionale andrà rivisto già in estate e comunque in settembre con la Nota di aggiornamento del «Def». Lo ammette il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti: «È evidente che se il trend continua a rimanere sotto le stime presenti nel Def i conti vanno rifatti, questo è oggettivo. Però abbiamo in mano degli elementi che ci portano a ritenere che il risultato finale sulla crescita sarà rispettato».

Il Sole 24 Ore 17.05.14

"Così nel mondo si combattono le tangenti", di Federico Varese

Lo scandalo delle mazzette all’Expo di Milano ha riacceso il dibattito sulla lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. Come c’era da aspettarsi, le proposte sul tavolo sono caratterizzate dal vizio tutto italiano di credere che basti approvare l’ennesima legge per far scomparire il problema.
Purtroppo la bacchetta magica, saldamente nelle mani della fata dai capelli turchini, esiste solo nell’immaginazione di Carlo Collodi e nelle pagine del suo capolavoro, Pinocchio. Introdurre nuove e complicate fattispecie nel codice penale è la strategia usata dalla classe politica per autoassolversi e non intacca il sistema delle tangenti.

Quali sono dunque le ricette che hanno ridotto, anche se mai eliminato del tutto, la corruzione negli stati che occupano i primi posti della classifica di Transparency International?

Innanzi tutto la corruzione si può combattere partendo dal basso, dando gli strumenti ai cittadini per operare come «vedette civiche» al servizio del bene collettivo.

Gli Stati Uniti hanno una legislazione molto avanzata sul ruolo del whistleblower, quel dipendente pubblico che denuncia illegalità nell’amministrazione dove lavora. E’ cruciale promuovere questo tipo di denunce e difendere chi le fa dall’accusa di essere una spia oppure un invidioso. Questi cittadini, al contrario, svolgono un servizio pubblico, anche se i loro motivi iniziali possono essere poco nobili. Un altro modo di combattere la corruzione dal basso è promuovere la discussione del fenomeno. Siti come Ho pagato una tangente (https://www.ipaidabribe.com/) stanno avendo un grande successo. Tale piattaforma è stata introdotta dapprima in India e permette ai cittadini di raccontare, facendo o meno i nomi, i loro incontri quotidiani con la corruzione. In Italia, bisognerebbe imparare dalla lotta alla mafia e applicare alla corruzione il principio di AddioPizzo, l’associazione di imprenditori siciliani i quali si rifiutano di pagare il pizzo. Questi movimenti hanno bisogno di leader carismatici e tempo per crescere, ma possono avere un effetto rivoluzionario. Nel Regno Unito, ad esempio, esiste un’iniziativa simile, tra aziende nel settore delle costruzioni. Questi imprenditori hanno creato anche un forum anti-tangenti, che permette loro di scambiarsi informazioni preziose su funzionari corrotti (un’iniziativa simile esiste anche nel settore del trasporto navale).

Dare potere ai cittadini va di pari passo ad uno sforzo della politica. I Paesi più onesti hanno un numero di leggi e regolamenti molto inferiore del nostro. Ad esempio, nel 2003, il Parlamento italiano ha approvato 173 leggi, mentre il Regno Unito 50, la Spagna 82 e la Germania 85, nazioni che hanno livelli di corruzione inferiori al nostro. Vi è una relazione statisticamente significativa tra quantità di leggi e regolamenti, e corruzione. Un funzionario pubblico ha più potere discrezionale quando la legislazione è fuori controllo. La ricetta è semplificare le regole. Un’altra misura utile consiste nell’introdurre forme di competizione tra uffici pubblici: quando è possibile ottenere licenze, passaporti e altri titoli in uffici diversi dal proprio comune di residenza si riduce il potere discrezionale dei funzionari.

Vi è un’altra riforma della pubblica amministrazione che avrebbe un effetto rivoluzionario: introdurre un sistema di rotazione e di estrazione a sorte dei funzionari assegnati a certi settori. Il corruttore istituisce rapporti di lungo periodo con il corrotto. Non stupisce se anche nello scandalo dell’Expo incontriamo sempre gli stessi signori, già all’onore delle cronache negli Anni Novanta. Questi individui dispongono di un capitale di rapporti sociali costruito negli anni e di grande valore. E’ necessario rompere il sodalizio tra di loro e i funzionari statali introducendo degli elementi di incertezza, attraverso l’estrazione a sorte di coloro cui viene affidato un incarico pubblico. I nomi dei prescelti potrebbero benissimo essere pescati da una lista idonei, scelti sulla base delle loro competenze da una commissione indipendente.

Chi legge le cronache in questi giorni rischia di farsi prendere dallo sconforto. Al contrario, non bisogna cedere al pessimismo cosmico. L’Italia dispone di una magistratura indipendente, di una società civile attenta, e di molte persone oneste. Alcune riforme mirate potrebbero avere effetti rivoluzionari in poco tempo. Diversi Paesi sono passati da un equilibrio della mazzetta ad uno di relativa onestà in pochi anni. Per fare questo miracolo servono però due ingredienti: uno sforzo collettivo, e non credere alla bacchetta magica. Quella esiste solo nel mondo di Pinocchio, il burattino che diceva le bugie.

La stampa 17.05.14

"ASN 2013: naufragio imminente, si salvi chi può", da Roars.it

Il 31 maggio scade il termine per la conclusione della seconda tornata ASN. Ad oggi, non risulta che siano stati resi disponibili alle commissioni gli indicatori bibliometrici dei candidati, che dovrebbero certificare il superamento o meno delle “mediane”. Se non verrà concessa una proroga, tutte le commissioni ASN decadranno senza aver potuto concludere i loro lavori. Ministro e governo hanno menzionato più volte (anche dinanzi al CUN) la proroga dandola per inevitabile, ma, alla prova dei fatti, sembra che non vogliano o non possano vararla. Il “tutti a casa” dei commissari suggellerà il prematuro naufragio della seconda tornata ASN? In un clima da “si salvi chi può”, è partita la corsa alle scialuppe. Ma il tempo stringe.

Nel 2012, l’allora Ministro Profumo rilasciò dichiarazioni che rassicuravano l’opinione pubblica sulla continuità delle future tornate di abilitazione scientifica. Ciò anche allo scopo di offrire affidamento ai candidati che avrebbero potuto distribuirsi sulle due tornate, sulla base delle proprie qualifiche scientifiche.

Ecco le parole precise di Profumo:

Il bando delle abilitazioni scientifiche arriverà a luglio. Ci saranno quattro sessioni di abilitazione scientifica da qui al 2015, mentre i bandi per i commissari saranno due, uno nel 2012 e uno nel 2014.

Sul sito ASN c’è perfino un cronoprogramma.

Nonostante i candidati avessero presentato le loro domande entro il 31 ottobre 2013 i ritardi nello svolgimento e nella pubblicazione degli esiti della prima tornata hanno spinto sempre più in là l’avvio dei lavori delle commissioni per la seconda tornata. Per dare un’idea di quanto in là siano slittati i tempi, basti dire che fino a metà aprile 2014 le commissioni non avevano nemmeno accesso all’elenco dei candidati. Tanto in là che si rischia di far decadere le commissioni prima che siano state messe in grado di lavorare. Secondo il bando, i lavori della seconda tornata avrebbero dovuto concludersi entro il 31 marzo 2014. Scadenza del tutto impossibile da rispettare, tanto che è già stata consentita la proroga ex lege di 60, quella che, ai sensi dei dpr 222/2011, poteva essere concessa dal direttore generale del MIUR.

Era ampiamente noto che il termine per la conclusione dei lavori, inopinatamente fatto decorrere dal Dpr dalla pubblicazione del bando, non avrebbe potuto essere prorogata se non con legge o con un altro dpr, visto che non si era proceduto in via cautelativa ad avvalersi dei procedimenti milleproroghe di fine anno per autorizzarne la dilazione, come era stato fatto per la prima tornata.

I lavori dovranno dunque concludersi entro il 31 maggio.

Ormai mancano solo 15 giorni al termine e non c’è traccia di proroghe: un primo tentativo di vararne una pare essere fallito e il MIUR tace.

In questo quadro, diventa sempre più probabile che la procedura naufraghi, violando l’affidamento dei candidati che avevano scelto di presentarsi alla seconda tornata anziché alla prima.

La situazione è resa ancor più paradossale dal fatto che alle commissioni non sono stati ancora forniti gli indicatori bibliometrici dei candidati ma solo i curricula e le pubblicazioni. Fino a qualche giorno fa, le commissioni non potevano neppure operare sulla piattaforma informatica. Ora pare che sia possibile.

Su una nave che imbarca acqua e si sta paurosamente inclinando, spicca l’assoluta mancanza di una “corretta informazione” da parte del Ministero nei confronti dei commissari e dei candidati.

E le commissioni? C’è qualcosa che possono fare per sottrarsi al naufragio imminente? Forse sì, ma solo per chi sarà abbastanza veloce nella corsa alle scialuppe.

Alle commissioni conviene procedere il più rapidamente possibile alla redazione dei giudizi sulla base dei titoli e delle pubblicazioni, tralasciando le mediane per ora non disponibili (o calcolandosele “in casa”), e chiudere i lavori entro il 31 maggio.

Non è certo colpa delle commissioni se il CINECA non rende disponibili tali dati.

Sarà poi il MIUR, se è il caso, a dover riaprire i lavori in autotutela, una volta resi disponibili gli indicatori quantitativi.

In tal modo, si potrebbe forse scongiurare il totale naufragio della seconda tornata.

Inoltre, se venisse bloccata la pubblicazione dei risultati delle commissioni che, nonostante tutto e tutti, avessero consegnato i verbali, il MIUR si troverebbe esposto alle azioni legali di candidati valutati positivamente allo stato dei documenti disponibili, i quali avrebbero dunque ottime probabilità di ottenere il risarcimento del danno dal ministero per perdita di chance.

La verità è che si sarebbe dovuto procedere prima, tentando di assicurare uno svolgimento ordinato della seconda tornata, e di precostituire le condizioni per un sistema di abilitazioni più solido e al riparo dal contenzioso. Nulla di ciò è stato fatto. Siamo scrivendo la cronaca di un naufragio annunciato, inevitabile conseguenza di regole o norme concepite e scritte in modo pessimo e di apparati amministrativi che mai hanno curato adeguatamente la loro pur complessa applicazione. In sostanza

Un naufragio che non solo suonerà come una beffa per numerosi candidati e commissari, ma avrà effetti catastrofici sul nostro sistema di reclutamento, probabilmente bloccato per un tempo indefinito.

Sembra quasi di sentir già ribollire i gorghi che accompagneranno nell’abisso il relitto dell’ASN. Fin dai tempi di Lucrezio, conosciamo il piacere perverso che le catastrofi procurano a chi le contempla dalla riva.

Vuoi vedere che al ministro Giannini e forse anche al governo non dispiacerebbe poi così tanto assistere ad uno spettacolare naufragio?

www.roars.it

"Cari ragazzi vi spiego il razzismo", di Michelle Obama

È un enorme piacere e un onore essere qui per festeggiare la classe dei diplomandi del 2014. Penso che sia più che opportuno celebrare proprio oggi lo storico caso della Corte Suprema, non soltanto perché il caso Brown partì proprio da qui a Topeka, o perché ricorre il suo sessantesimo anniversario, ma perché credo che tutti voi — i nostri diplomandi — siate l’eredità vivente di
quel caso.
Per capirlo è sufficiente guardarci intorno, osservare tutti i colori, le culture, le confessioni religiose rappresentate qui. Voi tutti arrivate da posti diversi e avete percorso strade diverse per arrivare a vivere questo momento. Forse, i vostri antenati hanno vissuto per secoli qui in Kansas. Forse, invece, sono arrivati in questo paese in catene, come i miei antenati. A prescindere da come siete arrivati fino a qui, siete arrivati a vivere questo giorno insieme.
Per molti anni avete studiato insieme, nelle stesse classi. Avete giocato per le medesime squadre, avete frequentato le stesse feste. Avete discusso tra voi le vostre idee, e ascoltato ogni opinione e prospettiva possibile. Avete sentito parlare nei corridoi altre lingue, inglese, spagnolo e altre ancora, tutte mescolate in un unico dialogo americano. Avete festeggiato ciascuno le feste e le tradizioni degli altri.
Cari diplomandi, è evidente che una parte molto importante dell’istruzione che avete ricevuto non l’avete ricevuta semplicemente in classe, ma direttamente dai vostri compagni di classe. In fondo, la speranza e il sogno di Brown erano proprio questo. È per questo motivo che stiamo facendo festa, perché quando il caso Brown vs. Board of Education arrivò alla Corte Suprema nel 1954 la vostra esperienza qui a Topeka era del tutto inimmaginabile. Come voi tutti sapete, allora Topeka era una città nella quale vigeva la segregazione razziale: bianchi e neri avevano ristoranti separati, alberghi separati,
teatri separati, piscine separate, e anche alle scuole elementari c’era la segregazione.
E così, anche se molti bambini neri vivevano ad appena pochi isolati dalla scuola dei bianchi del loro quartiere, dovevano prendere l’autobus e scendere dopo molte fermate, entrare in scuole per soli neri dall’altra parte della città. Alla fine, un gruppo di genitori di bambini di colore si stancò di questo stato di cose e decise di fare qualcosa in proposito.
I genitori si rivolsero al tribunale per chiedere che le scuole dei bambini fossero desegregate. Provate adesso per un momento a pensare a quelle persone che dovettero rivolgersi addirittura alla Corte Suprema degli Stati Uniti soltanto per affermare una questione di principio: che i bambini neri e i bambini bianchi avrebbero dovuto poter frequentare la scuola insieme.
Oggi, a sessanta anni di distanza, probabilmente tutto ciò parrà assurdo e insensato per le classi che si diplomano. Voi tutti date per scontata la diversità dalla quale siete circondati. E questo è del tutto comprensibile, se teniamo conto del paese nel quale siete cresciuti: una governatrice donna, un giudice della Corte Suprema di origini latino-americane, un presidente di colore. Avete visto cantanti latinoamericani vincere premi Grammy e allenatori neri vincere il Super Bowl.
Avete assistito a spettacoli televisivi con personaggi di ogni background possibile, e quando seguite uno show come “The Walking Dead” non vi interessa se si tratta di una donna nera, di un ragazzo di colore, di un asiatico-americano, di una coppia gay, di un bianco. Tutto ciò che vi interessa è che c’è un gruppo di amici che cerca di salvarsi dall’arrivo degli zombie.
Vedete? Se siete cresciuti in un posto come Topeka, nel quale tutto ciò che avete conosciuto è la diversità, i vecchi pregiudizi non hanno più senso alcuno. Ma ricordate: non tutti sono cresciuti in un posto come Topeka. Sappiate che molti distretti di questo paese hanno invertito la marcia e hanno smesso di sforzarsi per integrare le loro scuole e molte comunità sono diventate meno diverse perché alcuni cittadini si sono trasferiti dalle città in periferia. Oggi, quindi, in un certo senso le nostre scuole sono segregate come lo erano quando Martin Luther King fece il suo discorso. Di conseguenza, molti giovani in America frequentano scuole che in buona parte hanno studenti identici. Noi sappiamo che oggi in America troppi individui sono fermati in strada a causa del colore della loro pelle, o non sono accolti bene a causa del luogo dal quale provengono, o sono oggetto di sopraffazioni a causa delle persone che amano.
La verità è che il caso Brown vs. Board of Education non è soltanto la nostra storia: è anche il nostro futuro. Perché anche se quel caso si chiuse 60 anni fa, il caso Brown si discute ogni singolo giorno, e non soltanto nelle aule dei tribunali o delle scuole, ma nel modo stesso col quale viviamo la nostra vita. Le risposte a molte delle sfide con le quali siamo alle prese noi oggi non si trovano necessariamente nelle nostre leggi: il cambiamento deve aver luogo anche nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Sta a voi indicare la strada e trascinare la mia generazione e quella dei vostri nonni lungo di essa. Questa è la sfida che io oggi vi lancio. Ci saranno occasioni in cui vi sentirete frustrati o scoraggiati. Ma ogni qualvolta a me capita di sentirmi così, mi piace fermarmi e ripensare a tutti i progressi ai quali ho assistito nell’arco della mia vita. Penso a mia madre, che da bambina frequentava una scuola per soli neri di Chicago e sentiva quanto fosse pungente la discriminazione. Penso ai nonni di mio marito, bianchi nati e cresciuti qui in Kansas, loro stessi oggetto di segregazione, persone buone e oneste che hanno aiutato ad allevare il loro nipotino meticcio, ignorando coloro che avrebbero voluto mettere in discussione l’esistenza stessa di quel bambino. E poi penso che quel bambino è cresciuto ed è diventato presidente degli Stati Uniti. Infine, mi piace pensare alla storia di una donna che si chiamava Lucinda Todd e fu il primo genitore a firmare per la causa Brown vs. Board of Education. Oggi, a distanza di sessant’anni, la bisnipote della signora Todd, una giovane donna di nome Kristen Jarvis, lavora come mio braccio destro alla Casa Bianca. Traduzione di Anna Bissanti L’autrice è la First Lady degli Stati Uniti d’America.

La Repubblica 17.05.15

#SmartCitiesNazionali 48 progetti di social innovation abbandonati: il PD interroga il ministro

Due anni di pantano burocratico, nel quale stanno affogando le speranze e il talento dei giovani ricercatori vincitori del bando Smart Cities and Communitie, del 2012. Dall’ammissione al finanziamento (28 febbraio 2013), non un solo euro è stato attribuito ai progetti. Perchè? Lo abbiamo chiesto al ministro Giannini.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE
GHIZZONI, BRATTI, BRAGA. Al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Per sapere Premesso che:
in coerenza con gli orientamenti europei di “Horizon 2020, con decreto direttoriale del 5 luglio 2012, n. 391 il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca indiceva il bando Smart Cities and Communities, che assegnava 655,5 milioni di euro (di cui 170 milioni di euro di contributo nella spesa e 485,5 milioni di euro per il credito agevolato) per interventi e per lo sviluppo di Città intelligenti su tutto il territorio nazionale;
una quota della dotazione finanziaria, pari a 25 milioni di euro, veniva destinata a Progetti di Innovazione Sociale presentati da giovani ricercatori, di età non superiore ai 30 anni, relativi a soluzioni tecnologicamente innovative per risolvere specifiche problematiche presenti nel tessuto urbano di riferimento; la scadenza per la presentazione dei progetti era fissata al 7 dicembre dello stesso anno;
una nota ufficiale del Miur sul bando in parola, del gennaio 2013, informava che già con “decreto direttoriale prot. n. 924/Ric del 7 dicembre 2012 i termini per la chiusura delle attività di valutazione da parte del MIUR, dei progetti presentati, erano stati procrastinati al 31 gennaio 2013, stante la difficoltà nell’individuazione di esperti internazionali di chiara fama da coinvolgere nelle attività di valutazione. Solo qualche giorno fa, il MIUR, grazie ad un accordo con i competenti servizi della Commissione Europea, ha avuto accesso alla banca dati degli esperti del 7° programma quadro e sono quindi in corso le attività di individuazione, richiesta di disponibilità e contrattualizzazione degli esperti internazionali. Per tali motivi non sarà possibile completare le valutazioni di prima fase entro il 31 gennaio 2013, e le stesse sono pertanto prorogate al 28 febbraio p.v…. Poiché, tuttavia, il Ministero riconosce un’alta valenza strategica al bando in questione, sarà massimo l’impegno della struttura affinché la valutazione di seconda fase si chiuda in tempi stretti, tali da recuperare, in massima parte, il tempo già trascorso…”.
con il Decreto Direttoriale del 28 febbraio 2013, n. 371 è stata “approvata la graduatoria generale finale dei Progetti di Innovazione Sociale”, che risultano ammessi al finanziamento se conseguono un punteggio complessivo non inferiore a 60 punti. L’art. 2 di detto D.D. rinviava ad una successiva disposizione “affinché i Progetti giudicati ammissibili siano funzionalmente e strutturalmente collegati dal MIUR all’interno dei progetti esecutivi…”;
Successivamente, valutata la capienza della dotazione finanziaria ancora disponibile per detti Progetti di Innovazione Sociale con punteggio non inferiore a 60 punti (mediante la nota Prot. n. del 18 giugno 2013), è stato emanato il Decreto Direttoriale del 26 giugno 2013, n. 1222, che ha disposto una integrazione della graduatoria ammettendo al finanziamento ulteriori progetti fino a concorrenza delle risorse disponibili;
a seguito degli esiti delle attività di valutazione tecnico-scientifica e delle relazioni istruttorie svolte rispettivamente dagli esperti tecnico-scientifici e dagli istituti convenzionati e verificata la correttezza della procedura espletata, è poi stato emanato il decreto del Capo Dipartimento del 31 ottobre 2013, prot. n. 2057, per approvare la graduatoria relativa ai progetti ammissibili; ad esso ha fatto seguito la nota del 13 febbraio 2014, prot. n. 3258, con la quale il dott. Emanuele Fidora, in qualità di Direttore Generale per il coordinamento e lo sviluppo della Ricerca nonché Responsabile Unico del Procedimento (RUP), ha espresso parere favorevole all’accoglimento delle proposte di rimodulazione trasmettendo gli atti valutativi al Capo Dipartimento;
è solo con il decreto direttoriale n. 498 del 13 febbraio 2014 che il Ministero ha proceduto all’approvazione definitiva della graduatoria dei progetti ammessi alle agevolazioni: tuttavia, l’articolo 2 di detto decreto ha disposto che “Con successivi e appositi decreti di finanziamento si procederà a disporre l’impegno finanziario per ciascuno dei Progetti…, comprensivi dei Progetti di Innovazione Sociale…, fatte salve tutte le verifiche, i controlli e gli adempimenti previsti ai sensi delle vigenti normative nazionali e comunitarie”;
peraltro dalla tabella allegata al decreto n. 498 in parola si apprende che i fondi totali a disposizione del bando sono 350 milioni rispetto agli annunciati 665: a tale proposito, fonti giornalistiche (Repubblica, Espresso) riferiscono che 300 milioni sarebbero caduti in perenzione e quindi decurtati dalle effettive disponibilità del bando;
ad oggi, non vi è ancora alcuna certezza né sulle modalità, né sulla tempistica con cui questi fondi europei verranno assegnati: del resto, la lunga elencazione degli atti ufficiali relativi al bando Smart Cities and Communities richiamata in premessa, testimonia un processo burocratico che rischia di compromettere inevitabilmente progetti che, per la loro natura innovativa, hanno invece bisogno di essere realizzati in tempi celeri per non essere “bruciati” da altri competitors internazionali;
il bando Smart Cities and Communities indica il termine del 30 dicembre 2015 per il completamento delle attività, pena la perdita dei finanziamenti europei. A tale proposito, si ricorda che i progetti finanziati hanno un programma di attività di tre anni, come richiesto dal bando, e business plan adeguati a questa tempistica;
si segnala, che in alcuni casi, i progetti sono stati avviati subito dopo l’ammissione a finanziamento (primavera 2013), al fine di evitare che i ritardi compromettessero la buona riuscita della ricerca: in questi casi, l’attività di progetto procede con risorse personali dei ricercatori coinvolti, con evidente aggravio per la situazione economica del gruppo di lavoro che da oltre un anno mesi lavora senza compenso;
peraltro, i giovani ricercatori presentatori di progetti ammessi alle agevolazioni non possono nel frattempo essere assunti, poiché il citato bando gli impone l’impossibilità di avere un contratto di lavoro parallelo a quello della sperimentazione, se non per un numero esiguo di ore;
in un momento in cui la disoccupazione giovanile tocca percentuali da vero allarme sociale e di fronte alla possibilità di realizzare concretamente il tanto auspicato incontro tra giovani, enti locali, Università e impresa, è inaccettabile che lungaggini prive di motivi sostanziali rischino di vanificare l’opportunità offerta dal bando in questione;
:-
come il ministro interrogato intenda intervenire affinché siano immediatamente attribuite le agevolazioni previste ai progetti selezionati;
per conoscere le ragioni del dimezzamento dei fondi disponibili e quali iniziative intenda assumere per ripristinare le risorse originarie.
poichè oltre un anno è stato impiegato nelle procedure di valutazioni, se il ministro intenda considerare valide le attività nel frattempo svolte o se valuti di prorogare il termine delle attività di ricerca previste.

"Ritorno alla realtà", di Roberto Napoletano

Non esiste la ripresa naturale, non è stata ancora inventata. È vero che sui mercati l’euforia era eccessiva, ma lo shock è arrivato del tutto imprevisto e (tutto) intero dal terreno più delicato che è quello dell’economia reale. Andiamo peggio degli altri principali Paesi europei in termini di prodotto interno lordo (ritorna il segno negativo) e siamo quelli che perdiamo di più sui mercati. L’obiettivo di una crescita dello 0,8% accreditato come una stima prudente, è in parte compromesso, di sicuro lo è se non cambia il trend. I capitali affluiti in quantità ingente sui nostri titoli sovrani sono di portafoglio non di investimento. In una sola giornata ci hanno dimostrato qual è il tasso di velocità con il quale possono migrare altrove. Non ci resta che sperare, per quanto ci riguarda, in una semplice battuta d’arresto della ricchezza complessiva prodotta dal Paese e in una correzione di un mercato troppo euforico.
L’America si è svegliata e ha scoperto che l’Europa è ferma: la sola Germania va bene, ma non fa da locomotiva. L’Olanda va molto male, il Portogallo pure, la Francia è al palo inchiodata allo zero, una piccola crescita (+0,4%) la porta a casa la Spagna dove c’è una classe di governo che è uscita dalla propaganda e qualche riforma l’ha fatta. Da notare che i mercati continuano a far valere lo scudo tedesco per i Paesi Nordici e la Francia (anche quando, come in questo caso, vanno davvero male) non per gli altri. Si è detto che sui mercati possono aver pesato voci che il Tesoro italiano ha categoricamente smentito su un’ipotesi (assurda) di tassazione retroattiva sui titoli di Stato, ma la caduta dei mercati non ha riguardato solo noi e resta da interrogarsi su come nascano simili (inquietanti) voci.
Al netto della confusione, resta un’Europa che deve bruscamente voltare pagina (da ieri) e si spera che la Francia capisca che lo scudo tedesco alla lunga non serve a niente se l’economia europea sprofonda. La Francia si allei con l’Italia e la Spagna e incoraggi i segnali di ravvedimento sempre più forti che emergono nel ceto politico, economico e finanziario all’interno della stessa Germania.
Resta, per noi, qualcosa di più importante (e vitale): un test di fragilità che “buca” i semplicismi e gli ottimismi di maniera. La forza politica e le energie che il premier Renzi sprigiona e che segnano positivamente la sua stagione politica, si devono tradurre in un piano organico che sappia coniugare il taglio della spesa pubblica improduttiva alla voce fatti (avvalendosi e motivando le competenze giuste) con una scelta di politica economica che metta al centro della sua azione il tessuto produttivo sano e globalizzato di questo Paese tagliando il cuneo fiscale e incentivando la ricerca. Il segnale dato sul mercato del lavoro è importante, mettere 80 euro in busta paga è una scelta che non avremmo compiuto per prima e in questo modo, ma va comunque nella direzione giusta di lungo termine e merita rispetto. Lo shock di ieri, elezioni permettendo, può essere addirittura salutare se favorisce un ritorno alla realtà.

Il Sole 24 Ore 16.05.14