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Tromba d’aria, i parlamentari Pd al fianco dei comuni colpiti

I deputati Davide Baruffi e Manuela Ghizzoni e i senatori Cecilia Guerra e Stefano Vaccari. I parlamentari modenesi Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra e Stefano Vaccari esprimono solidarietà ai feriti e ai danneggiati dalla tromba d’aria, vicinanza alle istituzioni locali e si mettono a disposizione per rappresentare a livello governativo l’ennesima difficile situazione verificatasi in una zona già duramente colpita. Ecco la loro dichiarazione:

“Mentre su Internet apparivano le prime immagini della tromba d’aria che ha colpito i comuni di Nonantola, Castelfranco e San Cesario, abbiamo contattato i primi cittadini per metterci a disposizione di territori che hanno già conosciuto il terremoto, un’altra tromba d’aria, sono stati sfiorati dall’alluvione e ora si trovano colpiti anche da quest’ennesimo fenomeno atmosferico estremo. Esprimiamo solidarietà e vicinanza ai feriti, alle imprese produttive e agricole e ai cittadini che hanno subito danni. Siamo al fianco delle istituzioni locali, dei sindaci in particolare che, ancora una volta, sono in prima linea ad affrontare le emergenze. E’ chiaro che si dovrà riflettere più approfonditamente sul cambiamento climatico in atto e su come affrontarlo. Come sempre, ci mettiamo a disposizione per rappresentare a livello governativo l’ennesima difficile situazione verificatasi in una zona già duramente colpita”

Università: Ghizzoni (Pd), da Pd impegno per realizzare proposta CUN su organico

“Oggi il Consiglio Universitario Nazionale ci ha presentato un quadro davvero fosco, che peraltro conoscevamo bene, dovuto alla forte decurtazione dei finanziamenti statali e alla prolungata mancanza di assunzioni di giovani ricercatori e di promozioni dei professori più meritevoli”. Lo dichiara Manuela Ghizzoni, deputata del Pd e vicepresidente della commissione Cultura della Camera, dove si è tenuta l’audizione di una rappresentanza ufficiale del CUN per discutere del problema della forte diminuzione in atto del numero di professori universitari che porterà, se non arginata, ad avere nel 2018 addirittura la metà dei professori ordinari che erano in servizio nel 2008, con inevitabili gravi conseguenze sulla didattica e sulla ricerca negli atenei.

“Tuttavia l’aspetto più interessante appreso oggi – afferma Ghizzoni – è una proposta tecnica concreta per mettere in sicurezza il sistema e rendere l’organico stabile e autosostenibile finanziariamente”. Il riferimento è a un piano straordinario di assunzioni contingentate di professori ordinari e di ricercatori a tempo determinato, che si aggiungerebbe a quello già stabilito dalla legge nel 2010 per i professori associati.

“E’ ovvio che ogni piano straordinario – continua Ghizzoni – richieda un impegno finanziario aggiuntivo allo Stato e in questo momento non è proprio facile metterlo in cantiere. Ma la novità è rappresentata dal fatto che quello proposto dal CUN è un piano di stanziamenti limitato a un triennio, al termine del quale si può provvedere alle nuove assunzioni e agli incrementi stipendiali utilizzando esclusivamente le risorse liberate dai pensionamenti, garantendo così un sistema regolare di assunzioni e di carriere che purtroppo manca ormai da molti anni all’università italiana. Poiché la proposta del CUN richiede anche interventi di semplificazione legislativa, ci muoveremo subito come Pd, come maggioranza e come commissione per verificare la possibilità effettiva di realizzare la proposta e di offrire così al sistema universitario un primo segnale concreto di cambiamento di verso: dai tagli di finanziamenti e di personale a un ragionevole e autosostenibile dimensionamento del personale docente e tecnico-amministrativo”.

"In fuga dall'Università devastata", di Pietro Greco

Sostiene Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea: con il 22,4% di laureati nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni, nell’anno 2013 l’Italia risulta ultima assoluta tra i 28 Paesi dell’Unione Europea. Superata, negli ultimi quattro anni, anche dalla Slovacchia (26,9%), dalla Repubblica Ceca (26,7%) e, di poco, dalla Romania (22,8%). Sostiene l’Unione Europea: se vogliamo entrare nella società della conoscenza entro il 2020 dovremo avere una media del 40% di laureati tra i giovani dell’Unione. Oggi ci siamo vicini: siamo al 36,8%. Molti Paesi si sono dati obiettivi nazionali più ambiziosi. In Scandinavia si parla del 50%. L’Irlanda, che già è al 52,6%, ha come traguardo il 60% di laureati. L’Italia, invece, si è data l’obiettivo più basso in assoluto dell’Unione: 27% di laureati tra i giovani di età compresa tra 30 e 34 anni entro il 2020. Una soglia così piccola che, come nota De Nicolao sul sito Roars, tutti gli altri, a eccezione di Bucarest, già oggi hanno centrato. Sostiene la Fondazione Agnelli: con un taglio del 9,4% del personale dipendente, l’università è il settore della pubblica amministrazione che ha subito la maggiore sforbiciata al personale tra il 2007 e il 2012. Seconda solo alla scuola, che ha subito un taglio del 10,9% delle sue «risorse umane». Ma poiché il taglio medio del personale nella pubblica amministrazione è del 5,6% e poiché tutti gli altri settori, diversi da scuola e università, hanno subito un’erosione inferiore al 5,0%, ogni dubbio è sciolto: l’Italia ha deciso di risparmiare prima e soprattutto sulla formazione dei suoi giovani. Sostiene il Cun, il Consiglio universitario nazionale: i tagli non sono finiti. Se continueremo ad applicare le leggi e le norme esistenti nei prossimi anni avremo un calo del 50% dei professori ordinari nelle università e un calo molto simile dei professori associati e dei ricercatori. Il sistema universitario italiano ne uscirà semplicemente devastato. Sostiene l’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca, in un rapporto ripreso di recente da l’Unità: negli ultimi anni c’è stato un calo del 20% delle iscrizioni dei giovani all’università, con una punta del 30% nel Mezzogiorno. Nel nostro Paese è in atto una vera e propria «fuga dall’università». Cinque categorie di dati proposti da cinque istituzioni indipendenti ci dicono la stessa cosa: l’università italiana è in piena emergenza. E non si tratta di un’emergenza grave, ma contingente. Si tratta di un’emergenza strategica. Di una devastazione, appunto. Il Paese sembra aver rinunciato con sistematica determinazione a un futuro fondato sulla conoscenza. Si tratta di una scelta in assoluta controtendenza. I giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni con una laurea in tasca nei Paesi Ocse è del 40%. In alcuni Paesi come il Giappone, il Canada e la Russia sfiorano il 60%. In Corea sfiorano il 65%. Per restare in Europa: in Spagna già oggi i giovani laureati sono il 40,0%, in Francia il 44,0%, in Gran Bretagna il 47,6%, in Svezia il 48,3%. E la tendenza è alla crescita. Tutti sono convinti che il futuro sarà sostenibile solo se la gran parte della popolazione attiva avrà almeno 15/18 anni di studi alle spalle e proseguirà in un long life learning. Tutti puntano sull’università. Tutti tranne l’Italia. La scelta di navigare controtendenza è molto discutibile: nessun analista autorevole al mondo, infatti, sostiene che il futuro appartiene all’ignoranza. Nessun analista autorevole sostiene che è possibile sfuggire al declino economico (e non solo economico) del nostro Paese con meno conoscenza relativa rispetto agli altri. Ma, per quanto discutibile, la scelta sarebbe legittima se fosse avvenuta (e avvenisse tuttora) alla luce del sole. Che fosse, appunto, frutto di un dibattito democratico. Invece la scelta è stata effettuata in sordina. Senza che la domanda – volete un’Italia fuori dalla società della conoscenza e, dunque, destinata a restare ai margini dell’economia della conoscenza? – sia discussa chiaramente in pubblico. Senza che i cittadini italiani possano scegliere di tagliare il doppio nella scuola e sull’università rispetto a ogni altro settore della pubblica amministrazione. Il problema non è settoriale. Ma è, appunto, strategico. Mette in gioco il lavoro dei nostri figli e il ruolo che nei prossimi decenni l’Italia avrà in Europa e nel mondo. È un problema culturale. È un problema economico. È un problema politico. Non lasciamo che a discuterne siano pochi addetti ai lavori. I media devono portarlo in prima pagina. Gli economisti lo devono portare in testa alle loro analisi. La politica deve metterlo in cima alla sua agenda. Perché è, semplicemente, il primo dei problemi politici: riguarda il futuro, anche quello immediato, dei nostri figli. Riguarda il futuro, anche quello im- mediato, del Paese.

L’Unità 30.04.14

"Lezioni", di Maria Novella De Luca

E allora, come bisogna parlarne? Quali sono le parole per spiegare e raccontare l’omosessualità, l’amore gay, ma anche l’omofobia? C’è un limite, forse, da non varcare se di questo si ragiona con degli adolescenti? Quali strumenti “pedagogici” servono per affrontare la verità che esistono più modi di amare, e dunque chi desidera una persona dello stesso sesso è esattamente come gli altri? La questione, dopo mesi di silenzio, dopo il caso degli opuscoli dell’Unar contro il bullismo omofobico, prima commissionati e poi sepolti nel silenzio sia dal governo Letta che dal governo Renzi, è riesplosa. Acuita dalla cronaca di queste ultime ore, la polemica sulle pagine considerate troppo hard del libro di Melania Mazzucco “Sei come sei”, storia di una famiglia composta da due padri e una figlia, dove in un passaggio si descrive con nettezza una fellatio tra due ragazzi, uno gay, l’altro no, e il giovane gay finisce massacrato di botte in una imboscata.
Giusto, ci si chiede, far leggere queste pagine a dei quindicenni, o il rischio di turbamento è troppo grande? I ragazzi affermano di non sentirsi affatto infastiditi, alcuni genitori sono invece sul piede di guerra, i prof difendono la loro scelta, ma la polemica travalica l’ambito scolastico e diventa tutta politica. Mostrando quanto il panorama dei “diritti civili” tema forse troppo scomodo da sollevare in campagna elettorale, sia finito in un angolo del dibattito. Mentre si fanno ogni giorno più decisi gli attacchi del mondo pro-life, ben deciso ad ostacolare in ogni modo che nelle scuole si affronti il tema dell’omosessualità, ma ancor di più della “omogenitorialità”. Cioè che da una coppia gay possano nascere dei bambini. Eppure questi figli di una sola metà del cielo sono una presenza reale nelle scuole italiane. Basta però mettere in ordine i fatti delle ultime settimane per capire quanto la questione si sia arenata. La polemica, violenta, sul libro di Melania Mazzucco messo all’indice al liceo “Giulio Cesare” di Roma. Il lentissimo cammino della legge contro l’omofobia al Senato. Gli attacchi agli insegnanti che hanno inaugurato le “lezioni di genere” contro gli stereotipi maschili e femminili, e la mai attuata “strategia” nazionale anti discriminazioni sessuali decisa dal ministro Fornero nel 2013.
Quanto fa paura parlare di omosessualità, diversità, sessualità, bullismo antigay? Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Presidi, una vita passata tra i ragazzi, afferma che è giusto parlare di tutto. «Non ci devono essere steccati, il mondo adulto sottovaluta
quanta informazione erotica abbiano oggi dei quindicenni, abituati a navigare su siti di pornografia esplicita. E dunque sono convinto che non si siano sentiti affatto turbati dalle descrizioni del libro della Mazzucco». Vista però la delicatezza del tema, e il rischio di strumentalizzazioni, «che infatti c’è stato», dice Rusconi, «sarebbe stato meglio che di questo progetto i prof ne discutessero con i genitori».
Mentre la scuola naviga a vista, la lista luttuosa dei giovani che si tolgono la vita per la troppa derisione si allunga di stagione in stagione… «E invece — spiega Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme e gay dichiarato — c’è sempre di più un approccio da guerra ideologica, lo dimostra il caso degli opuscoli dell’Unar censurati, o la contestazione al libro di Melania Mazzucco, sotto attacco non tanto perché conteneva dei passaggi di sessualità esplicita, ma perché parlava di una famiglia composta da due padri». Il governo però, aggiunge Scalfarotto, «non potrà sottrarsi a questi temi, del resto Renzi l’ha promesso in campagna elettorale, introdurremo le unioni civili sul modello tedesco, e l’adozione del figlio del coniuge nelle coppie omosessuali». In realtà al centro della campagna dei movimenti pro-life, c’è la battaglia contro la legge sull’omofobia in discussione al Senato e i progetti sul “gender” da attuare nelle scuole. Conferma il presidente dei “Giuristi per la vita” Gianfranco Amato: «Questa è una legge sbagliata, voluta da una lobby. Noi chiediamo che vengano puniti tutti i tipi di bullismo, non solo quello contro i gay».
Il tema imbarazza la politica. A cominciare dal “giallo” degli opuscoli commissionati dall’Unar, cioè l’ufficio antidiscriminazioni del ministero delle Pari Opportunità, all’istituto “Beck”, specializzato in terapia cognitivo-comportamentale, e diretto dalla psicoterapeuta Antonella Montano, autrice di diversi e accurati saggi sull’omosessualità. Le pubblicazioni, destinate ai docenti delle scuole primarie e secondarie, vengono decisi nell’ambito della “strategia nazionale Lgbt” decisa con un decreto del ministro Fornero. Si tratta di un grosso progetto, dotato di congrui finanziamenti, volto a combattere le discriminazione sessuali e in particolare il bullismo omofobico. Nel febbraio scorso i tre opuscoli “Educare alla diversità a scuola” sono pronti per essere distribuiti ai docenti, perché inizino a valutarli. Qualche mese prima, nel luglio del 2013, Ermenegilda Siniscalchi, il capo dipartimento del ministero per le Pari Opportunità, diretto dal viceministro Cecilia Guerra, invia alla dottoressa Montano una lettera di encomio per il lavoro fatto. Si tratta, scrive Siniscalchi, «di un prodotto di cui ho potuto apprezzare l’approccio metodologico, la cura, la completezza e la chiarezza di esposizione che fanno di questa pubblicazione un eccellente supporto didattico ».
E infatti basta leggere con attenzione questi famosi opuscoli per rendersi conto della loro correttezza. Una guida a riconoscere l’omofobia, a confutare teorie antiscientifiche tipo «l’omosessualità è una malattia », a comprendere il disagio degli adolescenti gay, un passo in avanti nella spiegazione di cosa sono le famiglie omogenitoriali. Ma il percorso degli opuscoli si inceppa. Alcuni gruppi cattolici e la Cei ne denunciano presunti attacchi alla “famiglia naturale”. Scoppia la polemica, ma forse nessuno li ha letti davvero. Inizia il fuggi fuggi dei ministri competenti: la Guerra afferma di non saperne nulla, l’attuale ministro Giannini li bolla come «lontani dal modello italiano». Gli opuscoli, prima commissionati ed elogiati poi censurati, finiscono nel dimenticatoio. Migliaia di euro pubblici buttati via. Eppure bastava scorrerli con attenzione e senza pregiudizi ideologici, per capire che questi manuali sarebbero stati una guida preziosa per gli insegnanti. Utili ad evitare forse nuove tragedie di ragazzi incompresi.

La Repubblica 30.04.14

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“Combattere l’omofobia a scuola con le parole”, di Delia Vaccarello

«SE VUOI UN AMICO ADDOMESTICAMI», DCE LA VOLPE AL PICCOLO PRINCIPE. E L’AMICO DIVENTERÀ PER TE UNICO AL MONDO, QUALSIASI SIA IL SUO VOLTO, IL SUO COLO- RE DELLA PELLE, il suo modo di amare, il suo orientamento sessuale, aggiungiamo noi. «Io sto bene nel mio corpo, e non potrei averne un altro. Nessuno può volere da me che io sia diverso. Se offendono un ragazzo o una ragazza di- versi da me, neri, lesbiche, gay, immigrati, pieni di piercing, io mi sento male, mi sembra di ricevere un colpo allo stomaco. Cerco di farli smettere». In uno degli incontri finali del laboratorio che anche quest’anno ho tenuto nelle scuole superiori di Venezia sul tema «Forme di amore» uno studente ha pronunciato a voce alta le parole che avete letto.

Le abbiamo considerate una pietra miliare, il segnale che il lavoro contro le discriminazioni con attenzione al tema caldo dell’omofobia aveva prodotto i suoi frutti, tenendo conto che molto spesso nelle classi i «gay» sono considerati sempre «gli altri», equiparati ai «cannibali dell’isola vicina» per usare l’espressione del preside di uno degli istituti in cui lavoriamo in progetti realizzati nell’ambito dell’assessorato Politiche giovanili e pace.

Dal 2005, dalla pubblicazione del mio libro L’amore secondo noi (Mondadori), una raccolta di storie di adolescenti alle prese con la scoperta di sè, svolgo insieme ad altri operatori progetti nelle scuole ispirati all’educazione sentimentale intesa come educazione alla cittadinanza. Il nostro metodo prevede alcuni passaggi: sensibilizzare i ragazzi sull’affettività, sottoporre alla loro attenzione esperienze che vengono spesso passate sotto silenzio perché avvolte dal pregiudizio e ascoltarli. Vale a dire riuscire a dare loro davvero la sensazione di essere ascoltati. Iniziamo da un film – abbiamo scelto Billy Elliot o L’attimo fuggente o Le migliori cose del mondo – oppure da un libro. Quest’anno ho letto loro brani del piccolo principe. «Non si conoscono che le cose che si addomesticano – disse la volpe -. Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici, se tu vuoi un amico addomesticami». «Belloooooo» hanno detto i ragazzi, da qui tanti discorsi sul prendersi cura e scoprire l’altro, sul valore assoluto di un’amicizia che scioglie ogni pregiudizio, sul perché si diventa violenti oppure ci si chiude come tombe se qualcuno ti dice «sfigato».

La cornice era ampia, non a caso. Chi conduce il laboratorio deve avere l’intuito e l’esperienza giusti per favorire nei ragazzi lo schiudersi di un discorso personale che è sempre una sorpresa. La cornice ampia dà la possibilità a ciascuno di individuare il tema che più sta a cuore, l’attenzione dell’operatore indica il solco lungo il quale trovare l’espressione e fornisce alla ragazza e al ragazzo il riconoscimento necessario. Se questi tre elementi vanno a segno, le parole sgorgano con semplicità. Non è ciò che io dico in classe che arriva come un tesoro ai ragazzi, ma è ciò che ogni ragazzo riesce a dire di se stesso a voce alta a diventare una conquista inestimabile.

Favorire l’espressione personale è la via maestra per fare buoni progetti contro le discriminazioni. Il passaggio è fondamentale: se vengono visti e riconosciuti imparano cosa vuol dire rispetto. E qui l’educazione sentimentale diventa educazione alla libertà. Occhio: come non ci sono amicizie «già fatte» dai mercanti, così non ci sono temi che vengono affrontati senza forzature se calati dall’alto. In queste ore, che è esplosa la polemica sull’utilizzo al liceo Giulio Cesare di Roma del libro Sei come sei di Melania Mazzucco che parla di una ragazza figlia di due padri, sento l’importanza di sottolineare la validità del metodo fin qui descritto.

Occorre seguire questo percorso (imboccato in molti degli esempi riportati sul sito del Miur www.noisiamopari.it) affinché qualunque film o libro – e quelli di Melania Mazzucco sono tutti opere d’arte – non si presti a operazioni che mancano l’obiettivo porgendo il fianco a critiche distruttive. Non deve arrivare come obbligatorio parlare di differenze e può essere fuorviante soffermarsi sulle pratiche sessuali. Il rischio è di favorire rigidi schieramenti senza aiutare i ragazzi a trovare fertili chiavi di lettura. È vitale che al tema i ragazzi approdino grazie a un lavoro che valorizzi la particolarità di ciascuno e che li metta in grado di nominare la propria differenza e riconoscere quella altrui. Ciò avviene proprio perché «non si conoscono che le cose che si addomesticano» e per far questo «bisogna essere molto pazienti».

L’Unità 30.04.14

"Omosessualità chi ha paura di un libro a scuola", di Massimo Recalcati

Quelli della mia generazione si ricorderanno forse improbabili corsi di educazione della sessualità di tipo botanico. Uno strano “esperto della materia” mostrava dei semi sulla cattedra. E le loro possibili combinazioni da cui sarebbero scaturiti i caratteri del nuovo nato. I corpi sessuali in carne ed ossa restavano coperti e solo enigmaticamente allusi. Erano anni dove la censura morale prevaleva ottusamente provando ad esorcizzare il demone del sesso. Era l’Italia cattolico-fascista che dopo la contestazione del ‘68 avrebbe però ben presto lasciato il posto ad un altro padrone.
Questo nuovo padrone — quello che Pasolini denominava negli anni Settanta “nuovo fascismo” — non agirà più in nome della censura ma offrirà una immagine della libertà senza limiti. Il suo imperativo non risponderà più alla logica del dovere e del sacrificio ma a quella di un godimento senza argini.
Nel nostro ultimo ventennio questa rappresentazione della libertà troverà la sua enfatizzazione più radicale e, al tempo stesso, più fatua. È una constatazione banale: basta girare in un qualunque aeroporto italiano per trovarsi davanti agli occhi corpi di donne seminude e ammiccanti a promuovere prodotti coi quali non hanno alcuna relazione di senso.
La discreta solitudine dei semi sulla cattedra ha lasciato il posto ad una proliferazione di immagini sessuali o a sfondo sessuale che hanno ormai invaso la nostra vita più ordinaria. Ecco perché la denuncia nei confronti di alcuni professori del liceo Giulio Cesare di Roma che avevano proposto ai loro allievi un percorso di letture su temi di attualità, tra cui quella della differenza di genere, non può non colpire. Non l’opportunità dell’iniziativa di quei docenti — ai miei occhi totalmente legittima — , ma proprio l’atto che la vuole denunciare come “pornografica”. Il nuovo fascismo sembra qui lasciare il suo passo ad un ritorno del vecchio. L’ideale di una sessualità anatomicamente e naturalmente eterosessuale, una educazione morale rigidamente normativa, accompagnata dall’omofobia e dall’esaltazione della virilità, sono stati invocati contro i professori degeneri. Grave errore di giudizio. Come non vedere che se c’è una salvezza dallo scempio iperedonista che ogni giorno ci invade facendo dei corpi erotici carne da macello, se c’è una salvezza dalla violenza che scaturisce da una rappresentazione tutta fallica della sessualità, essa non è nel ritorno ad un Ordine giustamente defunto, ma proprio nel libro, nella lettura, nella vita della Scuola.
È attraverso, il libro, la lettura, la Scuola che si gioca infatti la vera prevenzione ai rischi della barbarie e della dissipazione in un godimento senza soddisfazione. Il libro incriminato non è un libro pornografico, ma un libro che racconta la storia di una formazione e di una filiazione. Un libro di letteratura non è mai pornografico ma, casomai, erotico nel senso che anima il desiderio di sapere. Resta sullo sfondo la vera questione: come si può parlare a Scuola di sessualità senza ricorrere alla tristezza dei semi sulla cattedra e al suo moralismo implicito, ma senza nemmeno — come accade oggi — ridurre tutto all’altrettanto arida descrizione senza veli della spiegazione scientifica di come, per esempio, funzionano gli organi genitali. L’educazione alla sessualità dovrebbe preservare sempre il velo del mistero. Cosa di meglio allora della letteratura e della poesia? La sessualità senza amore ha il fiato corto sia essa cosiddetta omosessuale o eterosessuale. Quando invece l’amore feconda il sesso non c’è mai gesto erotico che rischi l’oscenità. Sia esso cosiddetto omosessuale o eterosessuale.

La Repubblica 30.04.14

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“Difendo quelle docenti la scuola deve affrontare il tema della diversità”, di CATERINA PASOLINI
«TROPPI ragazzi si sono uccisi in questi anni perché gay, dopo aver subito offese e umiliazioni. Il problema esiste e va affrontato anche nelle scuole. Al liceo Giulio Cesare l’hanno fatto, per quanto ho potuto ricostruire, in modo assolutamente corretto ». Il ministro della pubblica istruzione Stefania Giannini interviene sul libro di Melania Mazzucco, che narra di una storia d’amore omosessuale, dato da leggere a casa agli studenti e che ha visto i professori per questo denunciati da due associazioni sollecitate
da una coppia di genitori.
I genitori scandalizzati parlano di libro porno.
«Ammetto di non aver letto “Sei come sei”, non so quindi se quello fosse il libro più adatto come stile a dei teenagers per trattare l’argomento della diversità di orientamento sessuale. Ma stiamo parlando di una scrittrice che ha vinto il premio Strega, di una casa editrice come Einaudi, mi sembra francamente difficile sostenere un’accusa di pornografia».
Allora il problema è l’omosessualità?
«Forse, certo è che in tutta la letteratura dai greci in poi, da Platone a Saffo, il tema dell’amore omosessuale è stato trattato in tutte le sue declinazioni, da quelle più crude ad altre metafisiche. Quindi mi viene il sospetto che questa volta le accuse siano strumentali, ideologiche».
Perché dice: tutto regolare?
«Perché da quello che ho potuto ricostruire, ed è mio compito essendoci stato un esposto, quel libro è stato dato da leggere all’interno di un progetto sulle diversità condiviso tra studenti, professori, docenti. Un progetto elaborato che parlava di tutte le diversità, dalla nazionalità alle differenze religiose. Con tanto di discussioni in classe e tema alla fine. Insomma qualcosa di approfondito e serio».
Gli studenti hanno apprezzato?
«Sì, molto, tanto che mi risulta che oggi abbiano scritto alla preside per darle il loro appoggio, risentiti per gli attacchi».
Fuori dal liceo c’erano cartelli con scritto «maschi selvatici e non checche isteriche »…
«Non sono frasi neppure da commentare, si commentano da sole. Dimostrano quanto ancora ci sia da fare in questo paese perché tutte le diversità vengano accolte, perché i ragazzi non si uccidano dopo essere stati insultati o aggrediti. Bisogna lavorare a scuola, ma anche le famiglie devono fare la loro parte. Lo ha detto anche il Papa».
Cosa ha detto il Papa?
«Anche lui ha parlato di omosessualità dicendo: chi sono io per giudicare. Un modo per segnalare l’importanza di un tema, di un vero problema. Perché un dato di fatto: il bullismo sui gay è una realtà oggettiva da combattere in tutto il mondo, Italia compresa».
Come: tutto ma non il silenzio?
«Sì, il grande nemico è l’ignoranza, per questo ben vengano i programmi di lettura
che integrano i libri classici a temi di attualità. Ogni scuola decida come meglio crede ma affronti argomenti delicati, bisogna sensibilizzare gli studenti e le famiglie a conoscere e capire tutte le diversità».
Lei come ne ha parlato con i suoi figli?
«Non mi ricordo un giorno specifico in cui ho affrontato l’argomento dell’omosessualità, ma hanno respirato un atteggiamento di apertura. E hanno avuto la fortuna di andare in una scuola dove tutte le diversità erano rappresentate, fossero di nazionalità, religione o orientamento sessuale. Tanto che i miei figli hanno amici omosessuali e all’interno del loro gruppo non hanno alcuna difficoltà».
Su indicazione del ministro Fornero erano stati fatti opuscoli per aiutare i professori sul tema dell’omosessualità. Mai stati consegnati.
«Erano stati commissionati all’istituto Beck, ma per le parti che mi sono state fatte leggere sulla famiglia mi sembravano assolutamente fuori contesto, nulla a che fare con l’Italia».
I cattolici li hanno contestati. Ora si buttano?
«Non sta a me decidere».

La Repubblica 30.04.14

"Gli scatti stipendiali sono al sicuro, Giannini firma l'Atto di indirizzo", di A.G. da La Tecnica della Scuola

“Poi la negoziazione si farà all’Aran ma intanto si mettono in sicurezza un milione di dipendenti”, ha detto il Ministro nella sua replica in commissione Istruzione del Senato al dibattito sulle linee programmatiche del suo dicastero. Ben 350 milioni, una cifra imponente, vengono ricavati dal Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa: risolviamo un problema aprendone un altro. Tempo pieno: rispetto al 2007 abbiamo 8.000 classi in più, ma il Sud rimane indietro.
Gli scatti di stipendio del 2012 sono al sicuro. Lo ha fatto intendere nel primo pomeriggio del 29 aprile il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, nella sua replica in commissione Istruzione del Senato al dibattito sulle linee programmatiche del suo dicastero: “firmerò oggi stesso l’Atto di indirizzo che permette il recupero degli scatti stipendiali in maniera strutturale. Poi la negoziazione si farà all’Aran ma intanto si mettono in sicurezza un milione di dipendenti”.
Giannini ha aggiunto che “bisogna essere consapevoli che i soldi che servono per questa operazione – 350 milioni, una cifra imponente – vengono ricavati dal Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa. E’ chiaro dunque che risolviamo un problema aprendone un altro”.
A proposito del ripristino delle risorse del Fondo in questione, per il ministro, “un segnale di inversione di marcia, questo Governo che afferma di puntare sulla scuola deve darlo”.
Il responsabile del Miur è stato anche sollecitato sulla discrepanza delle classi a tempo pieno tra le regioni del Meridione e quelle del Settentrione. Dal 2007-2008 ad oggi, ha tenuto a dire Giannini, le classi a tempo pieno sono aumentate a livello nazionale passando da circa 33.000 a 41.000, 8.000 classi in più, ma con forti squilibri Nord-Sud”.
Il Ministro ha anche ammesso che proprio per approfondire questo gap sta facendo “utilissime visite al Sud per avere una visione diretta. In queste realtà gli enti locali – ha spiegato il ministro – non hanno la disponibilità materiale di mettere a disposizione servizi basici, come, ad esempio la mensa, che servono per attivare il tempo pieno”.
“Per il futuro andrebbe fatto un censimento preciso per poi procedere a un graduale aumento” ha detto ancora Giannini. Che, riferendosi a diverse questioni aperte (dalla scuola dell’infanzia all’organico funzionale), non ha nascosto che l’ostacolo resta sempre quello delle risorse: “i nodi che vengono al pettine hanno un capolinea scontato al ministero dell’Economia”. Insomma, ancora una volta sarà Via XX Settembre a decidere le sorti della scuola pubblica.

La Tecnica della Scuola 30.04.13

Il premier alla battaglia più difficile", di Paolo Baroni

Matteo Renzi sa benissimo in quale (altro) vespaio sta per andare a ficcarsi e mette le mani avanti: «Molte cose faranno discutere» dice il presidente del Consiglio. Oggi assieme al ministro Marianna Madia il presidente del Consiglio presenta i primi provvedimenti sulla pubblica amministrazione e annuncia che il metodo sarà «diverso dal solito». E infatti, anziché prendere di petto come al solito lo statale, sempre fannullone nell’accezione comune, salva la truppa (che tra l’altro in questa fase rappresenta anche un bel bacino elettorale) ed esclude tassativamente che ci siano degli esuberi, quindi punta dritto contro i dirigenti. I capi, i veri privilegiati. Tutta gente che di qui a breve potrebbe essere addirittura licenziata e che certamente si vedrà tagliare in maniera significativa lo stipendio. Poi, giusto per restare sul terreno degli argomenti delicati, e proseguire nel braccio di ferro con la magistratura, annuncia che intende pure affrontare il problema della giustizia amministrativa, o meglio dello strapotere dei Tar. Posto che in Italia nel settore degli appalti, come aveva denunciato mesi fa, lavorano più gli avvocati che i muratori.

Di riforme della Pa ne abbiamo viste già tante negli ultimi vent’anni, alcune si sono rivelate inutili, altre hanno prodotto danni, altre sono partite bene e poi si sono arenate nel ventre molle della macchina pubblica. Nel frattempo costi e inefficienze sono finite sulla groppa di cittadini e imprese.

Anche per questo la sfida che Renzi si appresta a lanciare è particolarmente difficile. E certamente anche molto popolare. Non a caso mentre i sindacati, tutti, dai confederali all’Ugl sino a quelli dei dirigenti, protestano per il mancato coinvolgimento, il presidente del Consiglio usa pugno di ferro e guanto di velluto: annuncia che su tutta la materia verrà effettuata una consultazione pubblica aperta a tutti, spiegando poi che «la riforma non si fa contro la Pa ma coinvolgendo le persone, sfidandole». Il suo obiettivo dichiarato è «beccare i fannulloni e farli smettere e valorizzare i tanti non fannulloni dando un premio a chi non è fannullone, incentivando gli scatti di carriera e magari lo stipendio». Popolare e populista in un colpo solo.

Discorsi un po’ diversi riguardano invece i dirigenti, per i quali si annunciano certamente tempi difficili. «Servono dirigenti che facciano i dirigenti – ha spiegato ieri il premier – non è possibile poi che il premio di produzione aumenti con l’indennità e a prescindere dai risultati e dalla situazione del Paese. Se il Paese va male anche i dirigenti devono stringere la cinghia». Verranno pertanto ridotte le parti variabili e di posizione e gli importi saranno agganciati ad una serie di parametri, compresi quelli dell’intera struttura. E poi, più avanti, verranno unificate le assunzioni e si arriverà alla totale intercambiabilità dei funzionari. Che pertanto avranno molti meno poteri (anche di interdizione) di oggi.

Quanto ai Tar, per i quali già nei mesi scorsi si era arrivati ad ipotizzare addirittura l’abolizione per farne delle sezioni specializzate dei Tribunali ordinari, si interverrà soprattutto sui poteri di sospensiva, che oggi bloccano l’attività di enti locali e Parlamento, «frenando lo sviluppo economico», e che pertanto verranno ridotti.

Programmi ambiziosi, certo. Che Renzi e Madia illustreranno oggi al termine del Consiglio dei ministri nel corso del quale si aprirà formalmente il cantiere di questa nuova, grande riforma. Sfida impossibile? Renzi ci prova citando John Kennedy: «Io so che è difficile, ma gli obiettivi non si scelgono perché sono facili ma perché sono i più difficili». Ha ragione: la cosa più difficile che può fare il governo è cambiare la pubblica amministrazione. Ne sanno qualcosa tanti suoi predecessori. Secondo Renzi è roba addirittura «da marines». Vedremo se i corpi speciali basteranno a vincere quella che si annuncia come una vera guerra di trincea.

L’Unità 30.04.14