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"I nostri insegnanti, eterni maltrattati", di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Gli insegnanti italiani sono malpagati, come ha certificato l’Ocse. Sono maltrattati dalla politica, che a ogni cambio di governo modifica le regole. Sono poco considerati anche dai genitori, che mettono in dubbio l’istituzione e i metodi didattici. Infine, lavorano in condizioni di grave penuria quando non di emergenza. Nell’ultimo decennio, un docente su 10 ha lasciato la professione. Il malessere di una categoria di quasi 800 mila persone alle quali affidiamo per 6-8 ore i nostri figli.

Sono malpagati: lo ha certificato l’Ocse, gli stipendi degli insegnanti italiani sono sotto la media dei Paesi sviluppati e dell’Unione Europea. Ogni anno «perdono» cinquemila euro rispetto ai loro colleghi. Sono spesso maltrattati, dalla politica che ad ogni cambio di ministro cambia le regole per questa «categoria» di quasi 800 mila persone alle quali affidiamo per sei/otto ore al giorno i nostri figli; e da noi genitori, che non siamo più così sicuri dell’istituzione e dei metodi di insegnamento e tra l’insegnante e nostro figlio siamo propensi a credere quasi sempre al secondo. Lavorano in condizioni di grave penuria quando non di emergenza, anche se le classi italiane non sono quei pollai di cui parlano i rappresentanti di categoria (il rapporto tra docenti e studenti è di uno a 12, poco migliore della media europea). Al momento sono esclusi dalla spending review , anche se per 4 mila di loro la pensione (già sospesa dalla riforma Fornero) è di nuovo rinviata. Ma va detto che negli ultimi cinque anni la scuola ha già «perso» un insegnante su dieci (erano 843 mila nel 2007, sono diventati 766 mila nel 2012): un taglio mai visto per la pubblica amministrazione. E infine sono «vecchi» come ci dicono le indagini internazionali: la lunga e impervia strada del precariato e delle supplenze fa dei nostri insegnanti una categoria per il 62 per cento di ultracinquantenni. Un record in tutta Europa.
Ecco perché alla domanda «le piacerebbe che suo figlio diventasse insegnante?», soltanto un italiano su cinque risponde di sì. Una volta maestri e professori erano come il medico condotto, ma da decenni ormai il crisma sociale del professore si è molto appannato. Così come l’autopercezione dei docenti. Lo si vede bene da una recente indagine della Fondazione Agnelli su come si considerano i docenti entrati in ruolo nel triennio 2008-2010: forti nelle competenze disciplinari (per 9 su dieci la formazione è stata assolutamente adeguata); ma 7 su dieci dichiarano di sentirsi in difficoltà nel gestire classi sempre meno disciplinate (come dimostra la rilevazione Ocse-Pisa 2012: i quindicenni italiani sono scarsi in tutto salvo che nell’arrivare tardi o marinare la scuola) e quando viene il momento di confrontarsi con le famiglie. Strano? Per niente. Il problema sta nella formazione iniziale: anche dopo riforme e controriforme i professori entrano in classe spesso senza una adeguata preparazione specifica sul fronte pedagogico, oltre che stremati dal precariato più lungo e confuso d’Europa: il 27 marzo se ne occuperà la Corte di Giustizia, perché il periodo massimo di contratti a tempo determinato permesso nell’Unione europea è di 36 mesi. Mentre per entrare in ruolo in Italia ci possono volere anche dieci-quindici anni.
Vecchi, stanchi, poco motivati e che puntano solo al posto fisso? Alcuni forse, ma c’è anche un esercito che resiste in trincea e si rimbocca le maniche quotidianamente per fare al meglio il proprio lavoro. Come far funzionare un sistema centralizzato e così complesso? Lo spiega bene Pasi Sahlberg, 54 anni, consulente del ministero dell’Educazione di Helsinki e ambasciatore nel mondo del modello educativo finlandese, un «brand» famoso ormai quanto la Nokia. «Vent’anni fa — dice al Corriere questo ex professore di matematica — abbiamo deciso di investire nella costruzione di un rapporto di fiducia fra gli insegnanti e il resto della società. Abbiamo dato ai docenti più libertà, più indipendenza e più autonomia e presto ci siamo resi conto che così le scuole funzionavano meglio. Maestri e professori devono essere supportati, bisogna avere fiducia in loro, non controllarli o punirli». E i risultati dei test Ocse-Pisa in cui i ragazzi finlandesi rivaleggiano con le tigri asiatiche gli hanno dato ragione. Certo, il sistema di formazione dei docenti è estremamente esigente e selettivo: punta a far entrare nella scuola i «cervelli» migliori, solo uno su dieci aspiranti prof arriva in fondo alla formazione. Ma una volta che diventi docente ti basta insegnare 4 ore al giorno. Gli stipendi non sono stratosferici ma più adeguati e la reputazione sociale ti ricompensa ampiamente della tua fatica.

Il Corriere della Sera 20.03.14

"Scuola, il record di pigrizia degli studenti italiani “Ecco perché hanno brutti voti”, di Salvo Intravaia

L’impegno paga più del talento, almeno nello studio della matematica. E i quindicenni italiani risultano tra i più demotivati del mondo. Piazzandosi in fondo alla classifica stilata dall’Ocse, precedendo su 65 paesi soltanto Argentina, Colombia, Costa Rica e Albania. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha di recente rielaborato i dati dell’indagine Pisa 2012, il Programma di valutazione delle competenze degli studenti in Lettura, Matematica e Scienze, approfondendo gli aspetti dello studio della matematica. “Successo scolastico: gli alunni sono motivati?”, il titolo del focus che mette in relazione i risultati nel test con il livello di impegno dichiarato dagli stessi studenti nell’affrontare lo studio di questa materia. Secondo gli esperti dell’istituto di Parigi, sono sacrificio e perseveranza a portarli in alto nelle classifiche internazionali — dove Corea, Norvegia e Finlandia svettano su tutti — più del corredo genetico e della predisposizione.
Ma perché i nostri quindicenni sono così demotivati quando a scuola affrontano teoremi e problemi? «Più che demotivati, gli studenti mi sembrano scoraggiati», dice Angela Schirru, docente di Matematica in un liceo scientifico di Palermo. «Purtroppo la nostra società pensa che occorra essere portati in questa materia per riuscire.
È un luogo comune difficile da sfatare di cui spesso si convincono anche i ragazzi. Una tesi che contesto: chi si impegna ottiene sempre risultati ». Per Gianfranco Staccioli, pedagogista e docente all’università di Firenze, «i ragazzi non vedono l’applicabilità nella vita quotidiana della matematica, che considerano una materia astratta, e di conseguenza perdono l’interesse». Se gli studenti si scoraggiano, per Staccioli, è anche colpa dei professori.
«Gli insegnanti dovrebbero fare amare la matematica ma occorre trovare il metodo più efficace. Rispetto a tantissimi anni fa — conclude il docente universitario — si insegna sempre allo stesso modo. Occorrerebbe invece costruire progetti educativi incentrati sull’interesse, ma nel nostro paese questo è un traguardo ancora piuttosto remoto». «I ragazzi italiani — commenta Damiano Previtali, preside del liceo classico Sarpi di Bergamo — abbandonano
quasi subito un problema difficile, ma è un atteggiamento tipico della scuola italiana, ancora troppo legata ad un modello di insegnamento di tipo trasmissivo piuttosto che ad una didattica per competenze».
Soltanto il 41 per cento degli studenti è convinto che un maggiore impegno può portarli a buoni risultati in matematica, contro il 65 per cento dei quindicenni di Singapore e il 48 per cento della media Ocse. Stesso discorso sull’utilità di questa materia. Soltanto 19 ragazzi italiani su cento pensano che possa dare una marcia in più sul lavoro contro il 41 per cento dei compagni inglesi. «I risultati dello studio rivelano — dice Francesca Borgonovi, analista dell’Ocse — che una mentalità che porta gli studenti a dividere il mondo in chi è portato per la matematica e chi non lo è, è associata a risultati peggiori. Molti studi hanno evidenziato che il cervello è plastico e muta in funzione dell’apprendimento: più si impara più diventa facile imparare». E la scuola può incidere tantissimo. Le elevate percentuali di studenti dei paesi asiatici motivati a studiare questa materia che ottengono punteggi elevati «lascia pensare — si legge nel report — che l’educazione e il suo contesto sociale possono giocare un ruolo determinante nella trasmissione dei valori che incoraggiano al successo».

La Repubblica 20.03.14

"È finito il calvario di Sakineh la donna accusata di adulterio che gli ayatollah volevano lapidare", di Rosalba Castelletti

Il calvario di Sakineh Mohammad Ashtiani è finito. Dopo aver trascorso otto anni nel carcere di Tabriz in attesa della morte, ora per impiccagione ora per lapidazione, l’iraniana quarantasettenne madre di due figli è libera. Lo annunciano gli attivisti locali. Rimasta vedova nel 2005, Sakineh era stata condannata all’impiccagione per complicità nell’omicidio del marito (accusa che ha sempre respinto) e alla lapidazione per adulterio. La prima condanna era stata commutata in appello nel 2007 in dieci anni di carcere, ma lo stesso anno la Corte suprema iraniana aveva confermato la lapidazione. L’esecuzione fissata nel luglio 2010 era stata sospesa grazie alla mobilitazione internazionale sollevata dall’avvocato Mohammad Mostafei, poi costretto a fuggire dall’Iran. Seguirono petizioni e veglie in tutto il mondo, un voto di condanna del Parlamento europeo e l’offerta di asilo del Brasile, mentre da Teheran e dagli attivisti arrivava una ridda di notizie contrastanti. Un giornale iraniano a un certo punto definì Carla Bruni-Sarkozy, allora
première dame, «prostituta», solo perché aveva unito la sua voce alla campagna internazionale. Poi sul caso scese il silenzio.
«Noi però non abbiamo mai smesso di lottare. Qualche mese fa avevamo ottenuto il rilascio dell’avvocato, Javid Hutan Kian, dopo due anni di carcere e di torture. Siamo tornati a premere con forza per il rilascio di Sakineh quando il 23 febbraio ha tentato il suicidio in carcere ingoiando degli aghi. Sono riusciti a salvarla solo dopo due interventi allo stomaco», racconta a Repubblica Ahmad Fatemi, direttore di “Mission Free Iran”. «Martedì la notizia tanto attesa: il rilascio. Ora Sakineh è libera, anche se è ancora molto debole. Le sue condizioni di salute fisica e psicologica sono purtroppo pessime». Ad annunciare il rilascio è stato Mohammad Javad Larijani, il segretario generale del Consiglio superiore iraniano per i diritti umani. Attaccando le «interferenze esterne» dell’Occidente, Larijani ha tenuto a sottolineare che la grazia è stata concessa in ragione della «buona condotta», e non di un riesame del dossier, a dimostrazione della «clemenza della religione musulmana verso le donne».
«Il caso di questa persona condannata alla pena capitale nel 2010 è stato utilizzato per quattro mesi per attaccare il regime islamico. C’è stato tanto rumore da parte della comunità internazionale su questa sentenza », ha detto Larijani in conferenza stampa. «Non ci siamo preoccupati delle reazioni internazionali, ma abbiamo comunque cercato il perdono della famiglia del morto. Per questo avevamo commutato la pena della donna in 10 anni di carcere, ma data la sua buona condotta è stata graziata».
Per una Sakineh salvata, in Iran però ci sono decine di donne senza volto e senza nome su cui pende la stessa sorte. La lapidazione, in arabo rajm, non è menzionata nel Corano, ma in un hadith, un detto attribuito a Maometto, dove il Profeta chiamato a fare da arbitro tra due clan ebraici stabilisce che un’adultera venga lapidata in base al Deuteronomio. Non dovrebbe perciò essere applicata ai musulmani, eppure l’Iran è uno dei pochi Paesi dove resta in vigore come pena capitale prevista per “l’adulterio extraconiugale”. Se però in Nigeria, Pakistan o Iraq che pur la prevedono non è mai stata comminata, in Iran ne sono
state praticate centinaia. Si tratta di una morte terribile: si avvolge la donna in un sudario bianco e la si interra fino alle ascelle, poi boia specializzati o gente qualunque le tirano addosso delle pietre che non devono essere né troppo piccole, né troppo grandi. La fine atroce che sarebbe dovuta toccare anche a Sakineh.

La Repubblica 20.03.14

"Silvio e il lavoro una leggenda tradita", di Filippo Ceccarelli

Frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, prima o poi tutti i nodi vengono al pettine e così da oggi Silvio Berlusconi, il Cavaliere, non è più Cavaliere del Lavoro. Con ordinaria astuzia e rinomato tempismo si è autosospeso in extremis, poche ore prima che la Federazione lo cacciasse via per indegnità. Sono gli effetti, per certi versi anche un po’ ritardati, di una sentenza definitiva che a 77 anni oscura per sempre non solo l’identità e la cultura, ma anche la stessa leggenda imprenditoriale di Berlusconi.
QUEST’ULTIMA precocemente gli valse l’»Ordine al Merito del Lavoro», ma adesso proprio il lavoro, il lavoro senza maiuscole e senza onorificenze, il lavoro di tutti e di tutti i giorni, quei delitti hanno prima offeso e poi colpito al cuore. Per cui basta, via, vade retro, gli altri meno noti Cavalieri non lo riconoscono più come tale, e non è un modo di dire, ma davvero finisce un’epoca.
Per vent’anni e più egli è stato in effetti «il Cavaliere», là dove l’articolo determinativo, oltre ad accomunarlo ad altri pochissimi protagonisti — l’Avvocato (Agnelli), il Professore (prima Fanfani, quindi Prodi), il Contadino (Gardini), l’Ingegnere (De Benedetti), per qualche mese il Sindaco (Renzi) — comunque indicava un’autorità e una caratura professionale pressoché esclusive. E per quanto nell’intima cerchia aziendale ci si riferisse a lui come «il Dottore», mai risulta che Berlusconi abbia disdegnato quell’altro assai più roboante titolo che pure alcuni giornalisti simpatizzanti, a partire dal Foglio, avevano abbreviato e nel contempo reso pop: «il Cav.» Vero è pure che un Cavaliere in Italia c’era già stato, e anche con sinistra risonanza se si pensa al comunicato radio con cui Sua Maestà il Re e Imperatore, il 25 luglio del 1943, accettò le dimissioni di «Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini ». Ma tutto poi si dimentica, la storia è meno fraudolenta delle figure che vi si incontrano e adesso non mancheranno le ironie sul Cavaliere disarcionato o caduto da cavallo.
Quando invece, ai tempi primigeni della Cavalleria, la degradazione era una faccenda piuttosto seria; un rito che ruotava intorno al denudamento e alla morte, per cui l’indegno veniva appunto svestito delle sue armi, a loro volta destinate alla rottura e al calpestamento, e coperto di un drappo funebre veniva trasportato in chiesa tra insulti e sberleffi prima di esserne ignominosamente espulso.
Oggi, al netto della gogna e del medioevo post-moderno, va così. Eppure è difficile in questo giorno dimenticare quanta importanza il lavoro — «la trincea del lavoro», «il gusto del lavoro fatto bene », «un laurà de la Madona» — abbia rivestito nel carattere e nel fenomeno del berlusconismo. Quando voleva dire il peggio di qualcuno gli veniva naturale: «Non ha mai lavorato» — e spesso, occorre riconoscerlo, con parecchi avversari aveva anche ragione.
Inutile qui ripercorrere la prodigiosa disponibilità tutta
milanese del personaggio, fin dalla più tenera età disponibile a svolgere compiti in classe a pagamento, commercializzare merendine, poi pubblicizzare aspirapolvere, fotografare matrimoni e via con un’abbondante mitografia prima di conseguire quei successi nell’edilizia e nelle telecomunicazioni che lo portarono al più rapido cavalierato.
Inutile anche soffermarsi sull’assai superficiale istruttoria che nel giugno del 1977, presidente della Repubblica Giovanni Leone, consentì quel salto nell’empireo del Lavoro. Basti ricordare che a quei tempi erano ben noti gli impicci — abusi, corruzione — che avevano portato quell’imprenditore con misteriose società in Svizzera e
storica villona acquistato con dubbi magheggi alla costruzione di Milano 2.
E tuttavia, una volta sceso in politica, Berlusconi non perse mai l’occasione di presentarsi, anzi nell’automagnificarsi come il supremo imprenditore, per questo invidiato anche dai Grandi della terra, un tycoon, e io ho fatto questo, io ho creato un impero, io non ho mai licenziato nessuno, e alla fine arrivò a raccontare addirittura barzellette in cui faceva Dio vicepresidente riservandosi il comando definitivo — e vai a vedere come finiscono queste cose, male, malissimo, ché quasi fanno pena, o forse nemmeno perché contengono una lezione per tutti.

La Repubblica 20.03.14

Dichiarazione di voto di Manuela Ghizzoni al decreto legge che contiene misure a favore delle zone alluvionate e del sisma

Signor Presidente, il decreto che ci apprestiamo ad approvare è un piccolo decreto, ma io lo definirei anche un decreto prezioso, perché contiene delle misure utili e positive per le famiglie e per le imprese. Poi, stranamente, presenta un elemento positivo che però attiene ad una assenza, lo hanno richiamato molti gruppi, cioè il fatto che sia stato deciso unanimemente – non credo che si sia trattato di ricatti ma di una discussione approfondita – di stralciare il primo articolo, quello che riguarda il rientro dei capitali, e affidarlo a un progetto di legge (nel frattempo ne sono stati depositati anche altri) e, quindi, ad una discussione approfondita; ma c’è l’impegno – credo importante, è stato valorizzato anche da altri – che questa discussione di una materia molto complessa e molto delicata sia però concluso entro il mese di maggio.
  Io, quindi, credo che si possa dire che non si tratta di una rinuncia ad affrontare un tema di questo spessore, semmai si tratta insieme di affrontarlo meglio e di affrontarlo bene.
  Perdendo il primo articolo, perdendo la testa, però io credo che il decreto abbia anche acquisito un’apprezzabile omogeneità nel resto del contenuto su cui vorrei soffermarmi brevemente. Lo hanno fatto alcuni gruppi, ma credo che ci siano delle norme che è bene richiamare nella discussione conclusiva. Per esempio, la cancellazione della riduzione delle detrazioni fiscali che ci coinvolgono tutti come contribuenti quando andiamo a compilare la denuncia dei redditi e presentiamo le spese sanitarie, le spese per l’iscrizione all’università dei figli, le spese per affrontare il mutuo. Ecco, se fosse stata ancora in campo questa riduzione, i danni sarebbero stati evidenti, ne ha parlato a lungo il relatore Sanga in discussione generale. Quindi, bene che il provvedimento abbia cancellato questa riduzione.

  Voglio anche ricordare una cosa di cui si è parlato poco nell’ultima ora e mezza, ma io penso che sia importante, cioè il differimento del pagamento dei premi assicurativi INAIL che da febbraio slittano alla metà di maggio. Si tratta, in effetti, di un’applicazione molto veloce, celere e quindi appropriata di una norma già approvata in legge di stabilità. Questa disposizione di fatto è un’anticipazione del taglio del cuneo fiscale per le imprese, perché l’intervento che assomma a circa 1 miliardo consente di beneficiare per le imprese di questo risparmio già nell’esercizio in corso.
  Dopo lo stralcio dell’articolo 1, il cuore di questo provvedimento – lo testimonia anche la discussione di stamattina – è diventato l’articolo 3, quello che riguarda le emergenze. Io, signor Presidente, vorrei soffermarmi su questo aspetto e lo farò – spero di riuscirci – in assenza di demagogia, lavorando con quella scuola politica e nello stile di quella scuola politica nella quale sono cresciuta che dice che alcuni argomenti, come le alluvioni e le ricostruzioni, non sono appannaggio di una parte politica, sono semmai l’impegno delle forze politiche a dare risposte concrete ai cittadini, e questo noi lo abbiamo fatto nei due anni passati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e continueremo a farlo. E lo abbiamo fatto chiedendo l’aiuto di tutti e insieme, perché i risultati si portano a casa insieme. Non sono appannaggio di una parte politica, si portano a casa insieme perché i cittadini sono interessati a sapere cosa conquistiamo per loro e non tanto chi l’ha proposto. Al netto naturalmente di una polemica politica che ci sta, francamente, io non capisco cosa c’entri questa ossessione per le primarie del PD, peraltro quelle locali modenesi, se non una sorta di invidia, perché francamente non riesco a spiegarmelo.
  Detto questo, io vengo al merito della questione. L’articolo 3 dava una risposta veloce. Io voglio ricordare che il Consiglio dei ministri si è riunito quattro giorni dopo l’alluvione modenese, che è accaduta il 19, e ha ottenuto per quelle popolazioni una sospensione di circa sei mesi per il pagamento delle tasse con la discussione che abbiamo fatto insieme; con tutti i gruppi abbiamo conquistato un altro risultato, abbiamo portato il termine al 31 di ottobre. È un termine importante, sono tre mesi importanti perché così arriviamo al periodo in cui viene definita la legge di stabilità, che è la sede opportuna per verificare se lì potremmo chiedere altre agevolazioni.
  Da valutare positivamente una norma che è stata presentata da SEL e che tutti noi abbiamo sostenuto, che è quella relativa alla sospensione delle rate dei mutui a beneficio delle famiglie e delle imprese. Peraltro così fissiamo un principio. Lo dico: è da tempo che tentavamo di approvare questa norma a vantaggio delle famiglie e delle imprese coinvolte nelle alluvioni e, ci auguriamo, per estensione applicata anche ai terremoti; finalmente ci siamo riusciti e ora è una norma nero su bianco, grazie al lavoro di tutti.

  C’è poi, infine, la proroga dei due anni. Certo, su questo mi soffermo un attimo perché è una vicenda che – come dire – ci portiamo dentro, non tanto per l’esito perché io non voglio negare che si tratta di un risultato positivo. È un passo importante: dalla proroga di un anno siamo passati ad una proroga di due anni.
  Però c’è un tema – e lo dico anche a vantaggio del lavoro e dell’impegno che ha mostrato il sottosegretario Zanetti in questa vicenda – e cioè che non possiamo, come legislatori, lavorare nella contraddizione in cui ci siamo trovati a lavorare questa mattina in Commissione bilancio. Perché io ritengo – e mi riferisco anche alle parole del Premier Renzi, che ha parlato poco fa in questa stessa Aula di una deriva tecnocratica – che non possiamo più tacere sul fatto che le tardive perplessità della Ragioneria dello Stato e i mutevoli pareri della Ragioneria dello Stato rendono incerto – e insisto su questo aspetto – il nostro lavoro di legislatori, rendono incerta anche la programmazione delle aziende, mentre quello che noi dobbiamo fare è dare certezza ai cittadini e alle imprese. Noi gliela dobbiamo dare e questo questa mattina non è stato possibile.
  Io voglio anche ricordare l’impegno che si è assunto – e chiudo con la vicenda modenese – a dare risposta con un atto appropriato a un territorio che ha vissuto in venti mesi la tragedia prima del terremoto e poi dell’alluvione, e su questo naturalmente noi saremo sentinelle.
  Grazie al lavoro di tutti – è stato ricordato dai colleghi della Lega – le norme che ho qui velocemente richiamato sono state estese anche ai territori veneti. Veneto e Modena sono accomunati da una recente comune vicenda alluvionale, che sarà oggetto anche di una mozione in discussione credo già in Aula da domani. Ma io penso che le norme che qui abbiamo conquistato insieme siano già un buon viatico per i contenuti della mozione futura.
  Il Partito Democratico ha contribuito, insieme agli altri, a migliorare questo testo e quindi noi voteremo favorevolmente.
  Però, per i pochi minuti che mi restano, vorrei sottolineare un elemento. Mi soffermo su un elemento di riflessione che affido ai colleghi perché nessuno, a mio avviso, ha sottolineato questo elemento; è anche un elemento di riflessione per il Governo.
  Lo faccio a partire dall’esclusione delle vicende toscane e sarde dal decreto, regioni che hanno subito lo sfregio e la ferita di recenti alluvioni, ma potrei ricordare anche la Liguria, di cui questa mattina non si è parlato. Questo è un destino che, purtroppo, coinvolge molti territori nel nostro Paese, che però – guardate – sono accomunati non solo dai danni, forse lo dico da terremotata e poi da alluvionata – ma dal fatto della pena, della fatica di non vedere immediatamente riconosciuto questo danno. È questo l’elemento che è mancato nella nostra discussione perché non è possibile oggi che questo riconoscimento dei danni si debba strappare con i denti – lo dico figurativamente parlando, ma in realtà è proprio così – e lo si debba alla capacità di pressione e alla tenacia dei propri rappresentati in Parlamento.
  Questo fatto, da una parte dall’altra, il fatto che il nostro territorio vive emergenze continue – che siano sismiche o alluvionali, poco importa – evidenzia una cosa: a noi non mancano solo i soldi. Certo, il Fondo per le emergenze alluvionali e sismiche è importante, ma quello che manca nella nostra discussione è l’impegno ad una legge nazionale e ad una cornice nazionale, perché sennò noi saremo sempre abbandonati, ogni territorio sarà abbandonato a conquistarsi la propria ricostruzione. Questo non è giusto e non è possibile.
  Oggi, nell’assenza di una legge nazionale per la ricostruzione, al verificarsi di analoghe situazioni – come quelle che adesso stanno vivendo l’Emilia, il Veneto, la Sardegna, la Liguria e la Toscana – non abbiamo identiche risposte – ho concluso, signor Presidente – non abbiamo gli stessi provvedimenti a sostegno delle popolazioni e del tessuto economico e produttivo. Ci sono figli e figliastri e questo non è giusto, lo ripeto.
  Come ha dimostrato anche la discussione in Aula questa mattina e come hanno dimostrato le norme per affrontare le crisi sismiche dell’Abruzzo, dell’Emilia o quella umbra, in assenza di una legge quadro, continueremo ad incorrere inevitabilmente in una disparità di trattamento, una disparità di trattamento che tradisce il principio di equità e che appare ancora più insensata perché ci rivolgiamo a chi sta soffrendo, ma soprattutto mina la solidarietà dei territori su cui si basa il nostro patto sociale.
  Questa legge – e ho concluso, signor Presidente – è un impegno morale che noi abbiamo nei confronti del Paese. La dobbiamo a chi sta soffrendo proprio in questo momento per i danni di una calamità naturale. La dobbiamo al diritto che hanno i cittadini di essere protetti. Lo dobbiamo ai cittadini italiani che devono sentirsi tutti di serie A (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ordine del giorno presentato dal Pd (prima firmataria Manuela Ghizzoni) insieme a Sel e Movimento 5 stelle, che impegna lo stesso Esecutivo ad adottare un provvedimento d’urgenza ad hoc per le zone alluvionate

Premesso che:
domenica mattina 19 gennaio 2014, in località San Matteo – a valle della città di Modena – un’ampia falla nell’argine del fiume Secchia ha determinato la fuoriuscita di circa 13 milioni di metri cubi d’acqua, che hanno invaso il territorio circostante per circa 75 chilometri quadrati;
i comuni più colpiti sono stati quelli di Bomporto e di Bastiglia – nei quali l’acqua ha invaso anche i centri abitati – nonché Modena, San Prospero, Camposanto, Finale Emilia, Medolla, San Felice;

detti comuni erano già stati duramente colpiti dagli esiti delle ripetute scosse telluriche del maggio 2012, in quanto i loro territori coincidono con una porzione significativa di quel cratere sismico;

a seguito dell’alluvione del 19 gennaio:
tra i volontari immediatamente intervenuti si è purtroppo registrato un morto;
migliaia di famiglie hanno abbandonato le proprie abitazioni ricercando una autonoma sistemazione, mentre oltre 1500 persone si sono rivolte ai Centri operativi comunali e più di 800 hanno ottenuto assistenza negli 8 Centri di prima accoglienza;
anche in considerazione dell’ampia estensione dell’area interessata dagli allagamenti, i rilevanti danni al patrimonio edilizio pubblico e privato, alle infrastrutture, alle attività industriali, artigianali, commerciali e agricole coinvolte, rendono drammatiche le condizioni di migliaia di famiglie e imprese: in particolare, sono 1.800 le aziende che hanno interrotto la produzione e oltre 5.000 gli addetti coinvolti nell’inattività forzata;
sono ben 2.500 gli ettari di produzioni agricole invasi dall’acqua, con danni ingentissimi alle imprese del settore, data la perdita dei raccolti, la distruzione di impianti ed infrastrutture e la necessità di dovere bonificare i suoli;

considerato che:
la prima stima redatta dalla struttura regionale assomma a circa 400 milioni di euro i danni arrecati dall’evento alluvionale mentre dai dati elaborati dall’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali (IRES) si evince che il sisma del 2012 ha comportato un danno diretto di circa 6 miliardi di euro, a cui si aggiunge il danno indotto sull’intera economia regionale stimato in 8,25 miliardi di euro di fatturato;

valutato che:
il susseguirsi di eventi calamitosi sta mettendo in ginocchio l’economia della zona di pianura della provincia di Modena, a forte vocazione manifatturiera e all’export da un lato, e con colture e produzioni di eccellenza che vantano un numero di certificazioni che non ha eguali nel Paese dall’altro;

ritenuto che:
la coincidenza di eventi sismici e alluvionali su un medesimo territorio e, spesso, su singoli soggetti, rende la situazione in tali aree assolutamente unica a livello nazionale

impegna il Governo

ad assumere un provvedimento d’urgenza destinato specificamente alle zone del modenese che nell’arco di soli 20 mesi sono state danneggiate prima dal sisma (maggio 2012) e poi dall’alluvione (gennaio 2014) affinché:
– si sblocchino immediatamente le risorse già stanziate per la soluzione del nodo idraulico modenese affinché siano realizzate tempestivamente le opere di adeguamento e messa in sicurezza;
– sia destinata, con urgenza, alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle citate aree alluvionate quota parte delle risorse del Fondo delle politiche di coesione per interventi di messa in sicurezza del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico (art. 1, comma 7, Legge n. 147/2013).
– si escludano dal patto di stabilità interno relativo agli anni 2014 e 2015 le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dai Comuni, dalla Provincia e dalla Regione per far fronte all’emergenza alluvionale, alle conseguenti opere di ripristino e ad opere di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico;
– si esentino i Comuni al tempo stesso alluvionati e terremotati dai tagli previsti dalla cosiddetta spending review o, in subordine, si allentino gli obiettivi fissati per gli anni 2014 e 2015 al fine di consentire un’adeguata risposta ai bisogni della popolazione derivanti da queste calamità;
– si definiscano tempi certi e modalità semplificate – anche mediante le amministrazioni territoriali competenti – per la concessione, tanto ai soggetti pubblici quanto a quelli privati (famiglie, imprese, associazioni, ecc.), del rimborso del danno effettivamente subito e dei contributi per il ripristino e la riparazione dei danneggiamenti, al fine di riprendere le normali condizioni di vita e dell’attività economica e produttiva;
– si disponga la detassazione dei contributi, degli indennizzi e dei risarcimenti e si attivino sistemi di finanziamento immediato per fare ripartire l’economia e la vita delle comunità coinvolte;
– oltre alla sospensione dei termini amministrativi, contributivi, previdenziali, assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria previsti nel decreto in parola, si preveda la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per l’anno 2014 e si dispongano le successive modalità affinché il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
– si integrino le risorse per gli ammortizzatori sociali in favore delle lavoratrici e dei lavoratori, costretti all’inattività;
– in aggiunta alle misure già disposte dalla Legge di stabilità 2014 per le zone colpite dal sisma 2012, si individuino misure di fiscalità di vantaggio, incluse le disposizioni del Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006 , relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore (“ de minimis”), pubblicato nella G.U.U.E. L. 379 del 28 dicembre 2006 , al fine di corrispondere alle nuove e maggiori esigenze poste dalle imprese colpite dal terremoto e dall’alluvione;
– si utilizzino tutti gli strumenti a disposizione per fare fronte alla drammatica situazione delle imprese agricole alluvionate, dove, oltre ai danni ai raccolti, appaiono in molti casi compromessi impianti e strutture.

On. Manuela Ghizzoni

La Camera ha varato proroghe fiscali per alluvionati e terremotati

Governo impegnato per un provvedimento ad hoc con indennizzi e fiscalità di vantaggio. Il Governo ha assunto l’impegno di adottare un provvedimento d’urgenza ad hoc per indennizzi e misure di fiscalità di vantaggio. Altre misure sono state, invece, già inserite, grazie al lavoro dei parlamentari Pd, in sede di conversione in legge del dl 4/2014: si tratta dello slittamento al 31 ottobre della sospensione delle scadenze fiscali e contributive e della sospensione dei ratei dei mutui per le famiglie e le imprese delle zone alluvionate. Disposta, inoltre, la proroga biennale nella restituzione dei finanziamenti accesi per far fronte al pagamento delle imposte pregresse per le imprese danneggiate dal sisma. “La proroga nella restituzione dei finanziamenti è una norma a lungo attesa nella zona del cratere sismico – sottolineano i deputati modenesi Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Cécile Kyenge, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini e Matteo Richetti – ma ha avuto vicissitudini difficilmente comprensibili visto l’atteggiamento contraddittorio tenuto in materia dalla Ragioneria di Stato”.

Novità importanti per le zone colpite dall’alluvione del gennaio scorso e dal sisma 2012 sono contenute nel testo del dl 4/2014 la cui conversione in legge è stata votata oggi dalla Camera dei deputati. Sono stati accolti emendamenti presentati dai deputati modenesi del Pd, e un ordine del giorno che impone precisi impegni da parte del Governo in favore delle aree alluvionate. “Si tratta di una prima risposta parziale, ma celere, alle istanze del territorio modenese travolto, nel giro di 20 mesi, prima dal terremoto e poi dall’alluvione” ha ribadito Manuela Ghizzoni, che ha avuto il compito di esprimere, alla fine del dibattito in Aula, la dichiarazione di voto a nome del Pd. Innanzitutto è stato deciso di spostare al 31 ottobre la sospensione delle scadenze fiscali e contributive per le zone alluvionate che era originariamente stata stabilità al 31 luglio: tre mesi in più di tempo consentono di arrivare alla legge di stabilità, sede utile per poter prevedere ulteriori provvedimenti in materia. Accolta anche la sospensione dei ratei dei mutui per le famiglie e le imprese, misura che ha visto la convergenza dei parlamentari modenesi di diversi schieramenti. L’auspicio è che, ora che è stata messa nero su bianco, potrà essere utilizzata, per analogia, anche per le zone terremotate, vista anche la disponibilità in tal senso già registrata da parte dell’Abi. Per quanto riguarda, invece, le zone colpite dal sisma è stata accolta la proroga di due anni per la restituzione dei finanziamenti accesi dalle imprese per far fronte al pagamento delle imposte pregresse: “E’ una norma importante e a lungo attesa nelle aree del sisma – spiegano i deputati modenesi Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Cécile Kyenge, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini e Matteo Richetti – che ha avuto, però, vicissitudini difficilmente comprensibili per i cittadini e, sinceramente, anche per noi stessi. Non è un caso che alcuni di noi abbiano votato in dissenso, proprio per rimarcare l’atteggiamento contraddittorio tenuto dalla Ragioneria dello Stato che solo a dicembre aveva dato il via libera alla proroga triennale e che oggi, invece, l’ha bocciata adducendo un ipotetico pericolo per i conti dello Stato. Due anni sono, comunque, un lasso di tempo sicuramente congruo per dare ossigeno alle aziende danneggiate, anche se il nostro impegno per un ulteriore proroga non viene meno”. Infine, questa volta solo in tema di alluvione, il Governo ha accolto un ordine del giorno presentato dal Pd (prima firmataria Manuela Ghizzoni) insieme a Sel e Movimento 5 stelle, che impegna lo stesso Esecutivo ad adottare un provvedimento d’urgenza ad hoc per le zone alluvionate. “Sarà in questa sede – spiega Manuela Ghizzoni – che dovranno trovare spazio alcune delle richieste messe a punto insieme ai territori: in particolare la definizione, in tempi certi e modalità semplificate, del rimborso dei danni subiti e l’istituzione di misure di fiscalità di vantaggio per le imprese”. Ora le norme del dl 4/2014 dovranno essere votate anche dal Senato per avere la definitiva conversione in legge.