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Università, Dionigi: “Troppi laureati? La politica deve trovare lavoro ai giovani”, di Giulia Zaccariello

Il rettore dell’Università di Bologna è intervenuto nel corso della presentazione di un’indagine di Almalaurea sui livelli occupazionali degli universitari. Secondo i dati, i giovani che si iscrivono sono solo il 30% (un tasso molto più basso rispetto agli altri Paesi europei e agli obiettivi richiesti da Bruxelles). Il giudizio è categorico: “Dire che ci sono troppi laureati in Italia è una bestemmia”. E a dirlo è il rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi, che nel corso della presentazione di un’indagine di Almalaurea sui livelli occupazionali degli universitari, ha voluto mandare un messaggio chiaro alla politica. Senza usare mezzi termini. Per il rettore va dimenticata l’immagine di un Paese che sforna un numero eccessivo di laureati. Al contrario, andrebbe avviata una riflessione su alcuni dei dati emersi dal rapporto. In particolare quello che parla della percentuale dei diciannovenni che decidono di iscriversi all’ateneo, oggi ferma al 30%. “Una tragedia” secondo il rettore. ”Un dato, quello sulle iscrizioni del 2012, che allontana in partenza quello che era l’obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020, ovvero il raggiungimento del 40% di laureati nella popolazione tra i 30 e i 34 anni. A oggi, tra i 25 e i 34 anni ha infatti un titolo di istruzione di terzo livello solo il 21% contro il 59% del Giappone, il 47% del Regno Unito, o il 43% di Francia e Stati Uniti. L’Italia è ben al di sotto della media Ocse (39%) e di quella dell’Ue a 21 (36%)”.

Nel corso dell’intervento, di cui l’agenzia Dire riporta alcuni frammenti, Dionigi ha invitato la politica a riflettere sui suoi doveri, come quello di aprire le strade del lavoro e dell’occupazione ai giovani che escono dalle università, con una laurea in mano. Un compito che secondo il rettore dell’Alma Mater ricade troppo spesso sulle spalle degli atenei. Basti pensare al Career day, organizzato proprio qualche giorno fa dall’Università di Bologna. “Credevamo che non fosse nostro dovere trovare lavoro agli studenti, che spettasse alla politica” è stata la stoccata di Dionigi.

Presente all’incontro anche il ministro dell’Ambiente ed ex-sottosegretario dell’Istruzione nell’esecutivo Letta, Gianluca Galletti, che si è concentrato sulla questione dei fondi governativi. “Investire sull’università è la nostra sfida” ha dichiarato dal palco. “Dobbiamo recuperare il gap creato dai precedenti tagli alla pubblica amministrazione, e pensare che ogni euro che mettiamo in istruzione e ricerca non è una spesa, ma un investimento”. Il rapporto di Almalaurea presentato dal rettore prende in esame anche la situazione dei laureati a Bologna nel 2012 (ha coinvolto oltre 26 mila persone, sia con titolo triennale, sia con titolo magistrale), analizzando la loro posizione nel mercato del lavoro. La fotografia non è rassicurante. Il tasso di occupazione dei neolaureati triennali di Bologna è inferiore alla metà, pari al 42%. Valore però in linea con la media nazionale che è del 41%. “Tra gli occupati triennali dell’Università di Bologna – si legge nella sintesi dello studio – il 29% è dedito esclusivamente al lavoro, mentre il 13% si è iscritto ad un corso di laurea magistrale e coniuga gli studi con il lavoro”. Ha scelto di continuare a studiare iscrivendosi a una laurea magistrale circa il 54% (anche qui ci si allontana poco dalla percentuale nazionale che il 55%). Il 12% dei laureati triennali, invece, non lavorando e non studiando si dichiara alla ricerca di lavoro.

Pochi coloro che, usciti da un corso triennale, hanno un lavoro stabile, ossia con contratti a tempo indeterminato o da autonomo. A un anno dalla laurea, infatti, solo 28 ex studenti su cento sono inquadrati in questa posizione (la media nazionale è del 34,5%). Gli occupati che non hanno un lavoro stabile rappresentano il 72% (prevalentemente con contratto a tempo determinato, mentre l’11% è senza contratto). “L’analisi deve tenere conto che si tratta di giovani che in larga parte continuano gli studi, rimandano cioè al post laurea di tipo magistrale il vero ingresso nel mondo del lavoro”. Per quanto riguarda i neolaureati magistrali, a dodici mesi dalla fine degli studi lavorano solo 57 giovani su cento. Percentuale di poco superiore alla media nazionale, che è del 55%. Il 15% continua il suo percorso sui libri, mentre il 28% è alla ricerca di un impiego. La precarietà tocca la maggioranza, con dati che sfiorano il 74%. “Il guadagno – si legge infine – è in linea con la media nazionale: 1013 euro mensili netti, contro i 1038 del complesso dei laureati magistrali”.

Il fatto quotidiano 11.03.14

"Il cartello dei sessisti", di Chiara Saraceno

Non è passata l’alternanza uomo-donna nelle liste elettorali. La curiosa neutralità del governo e del decisionista Renzi su questo punto e il voto segreto hanno lasciato libero il campo al “cartello” che da sempre e trasversalmente difende strenuamente la quota azzurra. Anche parte del Pd, in contrasto con lo statuto e le dichiarazioni ufficiali, si è schierata a difesa del mantenimento dello status quo.
Una situazione che lascia alla discrezione delle segreterie dei partiti se e quante donne mettere in condizione di essere elette di fatto proteggendo lo status quo in cui gli uomini sono maggioranza. Perché solo di questo si tratta. È un errore, infatti, parlare di quote rosa ogni volta che si cerca di scalfire il monopolio maschile, di ridurre le “quote azzurre”, che molti uomini (ed anche qualche donna) continuano a ritenere un naturale diritto divino in tutti i luoghi di potere politico ed economico. Sarebbe molto più corretto parlare di norme antimonopolistiche, che impediscano la formazione di un “cartello” basato sul sesso. Sarebbe più chiaro qual è la posta in gioco e chi sta difendendo checosa.Eforsemoltedonnesmetterebberodisentirsiincolpa,o“panda”,ogni volta che si chiede una correzione. Perché la categoria (auto–) protetta, molto strenuamente, è quella degli uomini, che sono riusciti a far passare come ovvia e meritevole la loro presenza, mentre quella delle donne è sempre frutto o di usurpazione indebita, o di graziosa concessione, non di meccanismi che consentano di correre alla pari.
Renzi ha dichiarato che la “vera parità” c’è quando le donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini sono pagate come loro. Ma questa è solo una parte del problema. La questione è che le donne, nel lavoro come in politica partecipano a corse con handicap. Non mi riferisco solo al peso del doppio lavoro, ma proprio al fatto chesonocorsetruccatedachidetienelechiavidiingressoedagliarbitri.Chedi“cartello” si tratti è evidente ovunque, che si tratti di consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, di Corte costituzionale, di presidenze e membership nelle Authority, di presidenze dei vari enti pubblici e parapubblici, in generale di nomine nei posti che contano, chiunque sia chi ha il potere di nomina. È ancora più evidentenelcasodellelistebloccate.Perché,esattamentecomeeranelPorcellum, nulla è lasciato al caso e tanto meno alla scelta degli elettori (con in più la beffa delle candidature multiple. L’elezione o meno di un numero congruo di donne non dipende né dalla disponibilità degli elettori a votarle, né dalla disponibilità di un numero adeguato di donne con le competenze e riconoscibilità necessarie. Dipende esclusivamente dalla posizione in cui saranno in lista. Solo perché il Pd alle ultime elezioni ha messo molte donne in posizione alta nelle proprie liste, la percentuale di donne oggi presente in Parlamento è la più alta di sempre. Bene che ne siano diventate consapevoli anche molte parlamentari di altri partiti. Meno, apparentemente, le neo-ministre, stranamente silenti sul punto, come se la cosa non letoccasseenonnesentisseroalcunaresponsabilitàeconlorogranpartedellevecchie e nuove “renziane”. Sosterranno che pur di far passare l’Italicum si possono anche sacrificare le “quote rosa”, senza rendersi conto di difendere così quella azzurra einognicasodiavercontribuitoadulteriormenteindebolirelacredibilitàdel loro partito, sempre più inaffidabile nella difesa dei propri principi, quanto disposto a tutti i compromessi sulle richieste altrui (si veda anche l’accettazione delle candidature multiple). Chi si è opposto all’alternanza uomo-donna in lista non ha fatto altro che difendere la quota maschile, che, nel caso di alcuni partiti (ad esempio la Lega), può arrivare al cento per cento. Certo, ci sono molte altre cose discutibili in questa nuova legge elettorale dal punto di vista della democrazia e della rappresentanza. La democrazia non si risolve con una presenza equilibrata di uomini e donne nelle liste elettorali. Le donne come tali, inoltre, non sono necessariamente meglio degli uomini come tali. Allargare il pool degli eleggibili, tuttavia, potrebbe, chissà, persino far riflettere un po’ meglio sulle caratteristiche necessarie, mettere in moto dinamiche differenti, dentro e fuori i partiti e nella definizione delle priorità nelle cose da fare. Diverse ricerche hanno mostrato che una presenza consistentedidonneneiconsiglidiamministrazionemiglioralaperformancedelle aziende. Perché non dare questa chance anche alla gestione del Paese?

La Repubblica 11.03.14

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“Dal vestito bianco a Lorena Bobbitt”, di FILIPPO CECCARELLI
E DOMANI rimarrà, forse, questa storia del vestito bianco rivelatosi tanto più vistoso, a Montecitorio, quanto più vano e anche un po’ pretenzioso. Magari rimarrà il tweet minatorio dell’on. Giuditta Pini, che ha un nome biblico impegnativo: «Che lo spirito di Lorena Bobbitt accompagni i colleghi che hannobocciato l’emendamento».
PERALTRO, la signora Lorena è ancora viva, qualche anno fa la Cbs l’ha fatta incontrare con il marito da lei evirato — e lui, divenuto misteriosamente porno attore, ha chiesto scusa.
Per dire che sono comunque faccende complicate, e al limite — come sempre in Italia — un po’ buffe. In ogni caso è andata meglio che nove anni fa. Seriale, per non dire eterna, è infatti la vicenda delle quote rosa. C’è sempre qualcuno che le chiede, qualcuno che si oppone, a volte si mettono in cantiere, sono approvate, poi abrogate, quindi per qualche tempo dimenticate, ma poi si ripropongono, insomma la cosa va avanti per conto suo anche sconsolatamente, ma soprattutto senza esiti certi.
Così nell’ottobre del 2005, quando il ministro per le Pari Opportunità — e già il nome concesso a tale amministrazione doveva destare sospetto — insomma
quando Prestigiacomo predispose un primo, timido progetto di riequilibrio di genere, alla Camera vi si eresse contro, sia pure a mezza bocca, un deputato siciliano con baffoni dicendo molto semplicemente: «Le donne non ci devono scassare la minchia».
Allora non era ancora entrato nel lessico politico il termine «sessismo », che miete oggi un uso forse troppo vasto per non essere un pochino ambiguo. Ma poi anche qui la turpe favola continuò nel modo più stralunato. Per cui, dopo aver passato qualche mese a far finta di scusarsi, Pippo Gianni partecipò a sorpresa a una sfilata di moda per onorevoli maschi — esiste un prezioso e tragico «Cafonal » — e una volta in passerella fece pure la mossetta di togliersi la giacca, da provetto indossatore fantozziano — e anche se questo con la guerra dei sessi non c’entra molto, di recente è andato a pranzo con Annarella, la vecchietta di iper-sinistra che si aggira con sempre maggior successo nella città politica.
A Palazzo Madama, in quell’occasione, fu anche peggio. Le senatrici parlavano e dai banchi della maggioranza ricevevano offese, sberleffi, gesti e versacci. Ma di questo, come scrisse il verde Turroni in una lettera al presidente Pera, non rimasero nemmeno le tracce nei resoconti stenografici. Il Cavaliere, che col suo maschilismo giusto allora cominciava ad andare fuori di testa, aveva detto no e la cancellazione doveva essere completa— Prestigiacomo si mortificò, pianse e al colmo della rabbia gettò pure un fascio di fogli sul bancone del governo. E di nuovo è difficile stabilire un nesso immediato che non sia greve e sarcastico con le «quote rosa», tra virgolette, ma di lì a poco esplosero gli scandali sessuali berlusconiani, le attricette promosse in massa, il casting anche ministeriale, il ciarpame senza pudore», le minorenni, il corpo delle donne, la consigliera Minetti, le proteste di massa di «Se non ora quando». E se con il caso Marrazzo la questione parve per un attimo superata, almeno alla regione Lazio, dove si
sfidarono — mai accaduto — due donne (Bonino-Polverini).
E invece no. Si riaccesero nuovamente infiniti dibattiti anche in Parlamento sul ruolo delle donne, dalla farfallina di Belen alla compiuta democrazia di genere. Si registrarono sospette cavalcate nella prateria del politically correct, utile in questo senso rileggersi con il senno di oggi quanto di mirabolante scritto da Matteo Renzi alle pagine 47 e 48 del suo Stil novo
(Rizzoli, 2012): la mancanza di donne ai vertici descritta come una «delle autentiche emergenze del nostro Paese». Si estesero le quote rosa nei cda delle aziende.
Ma intanto i maschi di potere, per quanto sfiniti dalla crisi patriarcale, seguitavano a restare appiccicati alle loro poltrone, prigionieri dei loro immutabili giochi, sempre smaniosi di nuovi
giocattoli, dediti alle loro trame da crudeli bambinoni; mentre le femmine, pure di potere, continuavano a fingere di assecondarli, talora oltrepassandoli in vanità e perfidia, proclamandosi tigri, giaguare, pitonesse, amazzoni.
E con queste designazioni tra il belluino e il mitologico ci si perde negli albori della storia. «Esiste un conflitto fondamentale, probabilmente all’origine dei conflitti sociali fino ai nostri giorni. Un conflitto che non è stato oggetto, in quanto tale, di attenzione da parte degli storici, come se fosse un fenomeno sociale secondario, ed è il conflitto maschile-femminile ». Lo scrive Giorgio Galli, il meno convenzionale, ma anche il più aperto tra gli studiosi di politica. I risultati a cui è giunta la sua ricerca, dal mito delle amazzoni e delle baccanti in qua, appaiono oggi molto più persuasivi di quanto lo fossero venti anni orsono.
Per non farla troppo complicata, la tesi di Galli è che proprio da questo perenne, sommerso e indicibile incontro-scontro tra maschi e femmine si vengono a creare le condizioni non solo per le svolte politiche, ma per la vita stessa degli uomini e delle donne. Con buona pace delle deputate in bianco e magari perfino di Lorena Bobbit.

La repubblica 11.03.14

Gas Rivara, Ghizzoni e Vaccari “Il Pd sempre contrario al progetto”

I parlamentari modenes Ghizzoni e Vaccari rispondono alle accuse del Movimento 5 stelle
Nel dare notizia dell’ennesima archiviazione da parte del Ministero dell’Ambiente relativa al progetto del deposito di gas interrato di Rivara, il Movimento 5 stelle, così come pubblicato da Prima pagina nella giornata di lunedì 10 marzo, attacca il Pd accusandolo di “ambiguità e contraddizioni”. Ecco la risposta dei parlamentari modenesi Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari che, da tempo, seguono la vicenda:

“Nel dare notizia dell’archiviazione da parte del Ministero dell’Ambiente dell’istanza di pronuncia di compatibilità ambientale rilasciata ad Indipendente Gas Management, il Movimento 5 stelle sembra avere toni quasi di rammarico, per poi riprendersi dicendo che tanto ciò che conta sarà il ricorso alla giustizia amministrativa. Cari amici a 5 stelle dovete arrendervi al fatto che la politica sta ottenendo risultati e il Pd, in primis, in tutti questi anni ha lavorato, a tutti i livelli, per contrastare un progetto che non solo le amministrazioni locali, ma anche le perizie hanno certificato come pericoloso per un territorio che, la realtà, ha purtroppo dimostrato essere ad alta sismicità. La politica non la si fa in tribunale, la si fa con la gente e al fianco dei territori. E la posizione del Pd è sempre stata non solo univoca, ma chiara. I Comuni, la Regione, i nostri rappresentanti a Roma hanno sempre lavorato in un’unica direzione e ora quel lavoro comune e congiunto sta portando i propri frutti: quest’ultima archiviazione da parte del Ministero dell’Ambiente non è che l’ultimo in ordine di tempo. Capiamo che le elezioni si avvicinano e agitare le paure delle persone è sempre un modo infallibile per attirare attenzione su di sé. Ma, con buona pace dei grillini, il deposito interrato di gas a Rivara non si farà. Come Pd, insieme ai territori, continueremo incessantemente a combatterlo”.

"L’anticorruzione tra esigenze di immagine e rinnovamento", di Giovanni Bianconi

Quando Matteo Renzi ha parlato con Raffaele Cantone per comunicargli l’intenzione di affidargli la guida dell’Authority anticorruzione, il magistrato ha spiegato al neopresidente del Consiglio che per ottenere qualche risultato bisognava mettere l’organismo in condizione di lavorare seriamente. «Quello è scontato — gli ha risposto il premier —, per noi è un fattore d’immagine molto importante».
Poi domenica sera è arrivato, improvviso e in diretta tv, l’annuncio della nomina prossima ventura. Ma ammesso che davvero domani il Consiglio dei ministri approvi la scelta di Cantone su proposta del titolare della Pubblica amministrazione di concerto coi colleghi di Giustizia e Interno (per poi passare alla firma del presidente della Repubblica, previo parere delle commissioni parlamentari competenti), bisognerà restituire a quella mossa d’immagine un po’ di contenuti. Altrimenti non avrebbe nemmeno senso che il pubblico ministero anticamorra accettasse l’incarico, visto che un’immagine ce l’ha già, e piuttosto buona.
Il primo nodo da sciogliere sarà la composizione dell’Anac, Autorità nazionale anticorruzione. Attualmente coincide con la Civit, la commissione varata nel 2009 dall’ex ministro Brunetta per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, composta da tre membri e presieduta dalla professoressa di Scienza delle finanze Romilda Rizzo. L’interpretazione «minimale» vorrebbe che la nuova Anac (di cinque componenti) fosse solo un’integrazione della Civit, con la nomina del nuovo presidente e di un altro membro, nel rispetto della «parità di genere». Ma nell’interpretazione più «propulsiva» della riforma si potrebbe invece azzerare il vecchio organismo e creare il nuovo, o comunque separarli, in modo da marcare la discontinuità col passato e più diretti legami con gli obiettivi della legge Severino. Un articolo dello stesso Cantone pubblicato la settimana scorsa su L’Espresso indicava come segnale «più disarmante» del disinteresse della politica verso l’anticorruzione, proprio il mancato varo dell’Anac che «oggi funziona con i membri scelti per un altro organismo». Un invito piuttosto esplicito al rinnovamento complessivo, che dovrebbe innescarsi con la sua nomina.
Quanto agli interventi che l’Autorità è chiamata a promuovere, ci sono strumenti già previsti dalla legge che possono essere utilizzati, mentre altri andrebbero introdotti per garantirne l’efficienza. Tra i primi rientra la collaborazione con «gli organismi paritetici stranieri», che fornirebbe all’Anac sponde utili per adeguarsi agli standard europei in tema di prevenzione e trasparenza. Ci sarebbe invece bisogno di qualche aggiustamento per garantire un po’ di concretezza a quello che forse è il compito principale della nuova Autorità: «la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni» per combattere il la corruzione. Per esempio dotare l’Anac di poteri ispettivi, e prevedere la possibilità di infliggere sanzioni a chi non adempie a doveri e indicazioni ricevute. Questo potrebbe far diventare l’Authority un effettivo controllore della gestione del contrasto e della prevenzione del malaffare, sul territorio e nell’intera amministrazione dello Stato. Un obiettivo ambizioso, che potrebbe davvero segnare un cambio di passo rispetto al passato; con l’auspicabile risultato di dare qualche risposta a problemi strutturali e mai risolti (spesso nemmeno mai affrontati), oltre che soddisfare le impellenti esigenze «d’immagine» del nuovo capo del governo .

Il Corriere della Sera 11.03.14

"Cercando la crescita", di Raffaella Cascioli

Esordio del ministro Padoan all’eurogruppo dove ha illustrato il piano del governo. Il nodo delle coperture per il taglio fiscale e sui conti pubblici una parola definitiva. Domani il consiglio dei ministri sui provvedimenti shock per l’economia. Con il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan da ieri a Bruxelles, per l’Eurogruppo prima e l’Ecofin poi, la ricerca delle coperture per l’annunciato taglio delle tasse sta diventando ora dopo ora sempre più frenetica.

Entro domani il taglio del cuneo fiscale, annunciato dal premier Renzi, dovrà essere messo nero su bianco in uno dei provvedimenti che il governo si accinge a varare in quello che è già stato ribattezzato un mercoledì da leoni. Un pacchetto shock in grado di rilanciare la crescita e aumentare il numero degli occupati. Un debutto inusuale tra i colleghi europei per il ministro conosciuto solo fino a qualche settimana fa con un altro ruolo.

L’obiettivo per Padoan è stato quello di illustrare a grandi linee «il programma di governo basato su aggiustamenti strutturali» improntati «su orizzonti temporali di medio termine, cioè l’orizzonte che si è posto il governo». Insomma, un intervento non per chiedere favori a Bruxelles, ma «per fare delle cose».

Padoan, che ha incontrato in mattinata il presidente del Consiglio Ue Herman van Rompuy, ha garantito l’impegno del governo per l’assestamento dei conti pubblici italiani definendo una «sciocchezza, per fare un understatement, disperdere l’enorme risultato ottenuto sul fronte delle finanze pubbliche oggi molto più sostenibili». Insomma il ministro ha sgombrato il campo dai sospetti e dal chiacchiericcio degli ultimi giorni, sostenendo che a Bruxelles «c’è il riconoscimento generale da parte di tutti che c’è stato un periodo di aggiustamento doloroso» e che ora le finanze pubbliche sono «molto più vicine all’equilibrio di quanto non fosse qualche anno fa».

E ha illustrato il pacchetto di misure economiche che l’esecutivo Renzi intende varare domani: dal Jobs Act che si tradurrà in un disegno di legge delega a cui sarà affidato il compito di ridisegnare l’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, il piano scuola del valore di 10 miliardi in tre anni e il piano casa per 1,3 miliardi in quattro anno. Oltre ad un provvedimento finalizzato al taglio del cuneo fiscale e allo sblocco dei pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione. In queste ore si stanno mettendo a punto proprio queste due ultime misure per le quali si starebbe decidendo più che l’entità dell’intervento, già annunciato da Renzi in 10 miliardi di taglio di tasse e 50 miliardi di pagamento dei debiti della pa, l’arco temporale di intervento.

«Il programma passa per riforme strutturali – ha spiegato da Bruxelles Padoan – riduzione del cuneo coperto in modo permanente da tagli di spesa, condizione importante per garantire la sostenibilità di bilancio».

Sul taglio del cuneo al momento l’ipotesi più accreditata è quella che vede il concentramento delle risorse per il 70% sul taglio Irpef per i redditi più bassi e il 30% sul taglio Irap, di cui ovviamente beneficerebbero soprattutto le imprese di dimensioni medie e grandi. Se al momento l’unica copertura certa è quella che riguarda il risparmio per l’ulteriore riduzione dei tassi di interesse sul debito pari a 1-2 miliardi, Padoan dovrà in questa due giorni convincere gli europei che le misure per la spending per 5 miliardi di euro possano in qualche modo considerarsi strutturali fin da subito.

Si sta ragionando in queste ore sull’arco temporale in cui far scattare il taglio del cuneo che potrebbe avvenire in più tappe così da spalmarne il costo contabilmente in un tempo più ampio, magari con una prima tranche immediatamente visibile in busta paga che si sommerebbe a quella già disposta dal governo Letta e una seconda che scatterebbe a fine anno. Insomma, un assegno e un “pagherò” che potrebbe finire contabilmente sul prossimo anno finanziario.

Tanto più che Padoan ha chiarito che «bisogna cominciare subito. I risultati saranno crescenti nel tempo e probabilmente veramente significativi nel giro di 2-3 anni». Insomma, un orizzonte di medio termine. Un intervento che potrebbe non soddisfare però né le imprese (Squinzi con il governo Letta ha chiesto un “minimo” di 10 miliardi di taglio del cuneo subito) né i lavoratori visto che, dopo il pressing della Cgil, ieri anche Uil e Cisl attendono di verificare che con i provvedimenti di domani l’esecutivo metta – come annunciato dal premier – 100 euro nelle buste paga degli italiani.

Nel consiglio dei ministri di domani si dovrebbe anche sbloccare il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione che conterebbe sulla garanzia statale e sulle anticipazioni da parte delle banche e della Cassa depositi e prestiti rafforzando il piano Bassanini della metà dello scorso anno. Proprio sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione ieri a Bruxelles attendevano una lettera da Roma per quel che attiene la direttiva sui ritardi. Una missiva che, con ogni probabilità, non riuscirà a scongiurare l’apertura di una procedura di infrazione comunitaria visto che anche ora la pubblica amministrazione italiana paga le sue fatture con ritardi superiori al limite generale di un mese fissato dalle norme comunitarie.

Sul fronte poi dei fondi strutturali l’eurocommissario alle politiche regionali Johannes Hahn ha, da un lato, comunicato una buona notizia per il ministro Padoan relativa alla rinegoziazione della programmazione 2007-2013 tra Ue e l’Italia che ha visto liberati 12 miliardi di euro di fondi nazionali con quote di cofinanziamento da 50 al 25%, ma dall’altro ha messo paletti chiari sulla programmazione del nuovo settennato di programmazione. Per Bruxelles la bozza di accordo di partenariato inviata a Bruxelles a novembre scorso dal governo Letta per i fondi strutturali 2014-2020 è una «buona base di lavoro» tanto più che «non possiamo assolutamente permetterci di ricominciare tutto da capo».

da Europa Quotidiano 11.03.14

L. elettorale, deputate “Persa un’occasione, ma la battaglia riparte”

L. elettorale, deputate“Persa un’occasione, ma la battaglia riparte”

Il commento delle deputate modenesi Pd Manuela Ghizzoni, Cécile Kyenge e Giuditta Pini. “A perdere non sono state le donne, è stato il Paese. Per questo diciamo la battaglia non è finita, riparte già dal Senato con lo stesso obiettivo: la presenza di più donne laddove si prendono le decisioni, il Parlamento in primis”: le deputate modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, Cécile Kyenge e Giuditta Pini esprimono rammarico perché alla bocciatura degli emendamenti sulla rappresentanza paritaria nella legge elettorale ha contribuito anche una parte di voti Pd, ma si dicono non rassegnate: “Nel nostro partito la rappresentanza paritaria è già realtà – concludono Ghizzoni, Kyenge e Pini – ma questa buona prassi deve diventare norma per tutti”.

Rammarico per un’occasione persa, ma la battaglia per la rappresentanza paritaria riparte: non ci stanno le deputate modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, Cécile Kyenge e Giuditta Pini a considerare chiusa la partita dopo che, alla Camera, sono stati bocciati gli emendamenti trasversali che avrebbero consentito di introdurre il principio della parità di genere nella nuova legge elettorale. “Non si trattava di introdurre le “quote rose” come qualcuno, semplificando, ha detto – spiegano Ghizzoni, Kyenge e Pini – ma di prevedere norme per dare concretezza al principio di rappresentanza paritaria così come previsto dall’art. 51 della Costituzione. Ci rammarichiamo perché, alla Camera, oltre ai partiti come i 5 stelle che avevano dichiarato di votare contro, è venuta a mancare anche una parte dei voti dello stesso Pd. Un riequilibrio di genere è necessario per cercare di colmare quel gap culturale e sociale che fa sì che in Italia, come nel resto dell’Europa, nonostante i brillanti risultati che le donne conseguono negli studi e nel lavoro non sono, poi, adeguatamente rappresentante nelle Istituzioni. Al Movimento 5 stelle che ha detto che la parità si costruisce nella società con più asili nido e più servizi per le donne che lavorano, ricordiamo che non siamo ingenue, queste politiche sociali sacrosante si fanno solo se più donne siedono, ai vari livelli, nelle Istituzioni. Come donne Pd – concludono Ghizzoni, Kyenge e Pini – possiamo con orgoglio ribadire che la rappresentanza paritaria all’interno del nostro partito è già una realtà. Le ultime liste alle elezioni politiche sono state costruite alternando una donna e un uomo, così come i capolista erano un uomo alla Camera e una donna al Senato. Alla Camera, nel gruppo Pd le donne sono il 38%, la percentuale più alta di tutte le formazioni politiche. Però questa buona prassi doveva diventare norma che valeva per tutti i partiti. A perdere non sono state le donne, è stato il Paese. Per questo diciamo la battaglia non è finita, riparte già dalla prossima discussione della legge elettorale in Senato con lo stesso obiettivo: la presenza di più donne laddove vengono prese le decisioni, il Parlamento in primis”.

"Errani va a battere cassa da Matteo Renzi", da la Gazzetta di Modena

Vasco Errani ha incontrato, ieri pomeriggio, il premier Matteo Renzi e il sottosegretario Delrio per parlare di fiscalità di vantaggio e rimborsi legati ad alluvione e terremoto. Lo ha reso noto la presidenza del Consiglio, spiegando che “rispetto alle misure previste per danni e fiscalità di vantaggio il sottosegretario Delrio ha rassicurato il presidente Errani affermando che una soluzione definitiva a questi problemi, da tempo sul tavolo del governo, verrà individuata quanto prima”. Si lavora, come raccontato da alcune settimane, sulle zone franche urbane per Bomporto e Bastiglia e alcuni dei centri più colpiti dal terremoto, mentre è in fase di valutazione una bozza di fiscalità e sgravi a favore delle imprese ospitate nei poli industriali. Prima di arrivare ad un via libera positivo, però servirà ancora tempo. “L’intenso lavoro che il presidente Errani ha svolto nelle scorse settimane, per porre all’attenzione del governo la specificità dei problemi causati dalla recente alluvione che si sovrappongono all’emergenza terremoto, trova le rassicurazione del sottosegretario Delrio, a proposito del riconoscimento dei danni e su fiscalità di vantaggio”. Commenta così l’incontro romano, Stefano Bonaccini in veste di segretario regionale del Pd e referente degli enti locali della segreteria nazionale. “E’ una rassicurazione molto importante che conferma l’impegno e la determinazione con cui il governo Renzi è impegnato nel trovare la soluzione richiesta dalla Regione e attesa dalle popolazioni dei comuni colpiti”.

La Gazzetta di Modena 11.03.14