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"La Legge 40 davanti alla Consulta", di Nicola Luci

E siamo a diciannove. La legge 40 non ha vita facile. Specie sulle norme che disciplinano la fecondazione assistita. Dal 2004 a oggi è stata oggetto di diverse sentenze e pronunciamenti: diciannove in tutto, appunto.
Ieri, l’ultima. Il giudice Filomena Albano del Tribunale di Roma ha sollevato dubbio di legittimità costituzionale sul divieto all’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per le coppie fertili. La vicenda riguarda una coppia (fertile) portatrice di distrofia muscolare di Beckerche, che si è rivolta ad una struttura pubblica autorizzata ad eseguire tecniche di fecondazione assistita ma ha ricevuto il diniego all’accesso perché la legge 40 prevede il via libera solo alle coppie infertili.
Per i legali «la decisione del Tribunale di Roma evidenzia il contrasto della legge 40 con la Carta Costituzionale, che garantisce a tutti i cittadini garanzie e tutele quali il diritto alla salute, all’autodeterminazione, al principio di uguaglianza che sono irrimediabilmente lesi dalla legge 40». Il diritto della coppia ad «avere un figlio sano» e il diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative sono «inviolabili» e «costituzionalmente tutelati» scrive la prima sezione civile del tribunale di Roma. «Il diritto alla procreazione sarebbe irrimediabilmente leso dalla limitazione del ricorso alle tecniche di procreazione assistita da parte di coppie che, pur non sterili o infertili, rischiano però concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili, di cui sono portatori si legge nell’ordinanza Il limite rappresenta un’ingerenza indebita nella vita di coppia».
È per tutto questo che, secondo il giudice Filomena Albano che ha firmato l’ordinanza limitare il ricorso alla procreazione assistita ai soli casi di infertilità appare in contrasto con l’articolo 2 della Costituzione, che tutela i diritti inviolabili. Il possibile conflitto della legge 40 è anche con il principio costituzionale di uguaglianza, vista la «discriminazione» delle coppie fertili portatrici di malattia geneticamente trasmissibile, rispetto a quelle sterili. E c’è anche un problema di lesione del principio della «ragionevolezza», nel senso di «coerenza» del nostro ordinamento, visto che la legge 194 permette, nel caso in cui il feto risulti affetto da gravi patologie, l’aborto terapeutico, che «ha conseguenze ben più gravi per la salute fisica e psichica della donna rispetto alla selezione dell’embrione successiva alla diagnosi preimpianto». Ipotizzabile anche il contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, «sotto il profilo della tutela della salute della donna, costretta per realizzare il suo desiderio di mettere al mondo un figlio, non affetto da patologia, a una gravidanza naturale e a un eventuale aborto terapeutico, con conseguente aumento dei rischi per la sua salute fisica».
Infine per Tribunale di Roma la questione di costituzionalità si può porre anche in relazione al contrasto tra la legge e gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Carta europea dei diritti dell’uomo. Tra l’altro proprio su questo punto la Ue ci aveva già sanzionato.
L’accesso per le coppie fertili alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se portatrici di malattie trasmissibili geneticamente, è «l’ultimo divieto, che arriva ora all’esame della Consulta, ancora contenuto nella legge 40 sulla procreazione assistita» dice Filomena Gallo, legale, insieme ad Angelo Calandrini, della coppia che ha promosso il ricorso al tribunale di Roma. Se la decisione della Consulta «dovesse essere favorevole rileva Gallo la legge 40 sarà stata definitivamente cancellata». «È la prima volta che la legge 40 rileva Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni finisce davanti alla Corte Costituzionale affinché sia cancellato il divieto di accesso alle coppie fertili». Ora, commenta, «confidiamo nei giudici della Corte, visto che il Parlamento è incapace di legiferare nel rispetto dei diritti di tutti i cittadini».
Quanto ai tempi, «speriamo che i tempi tecnici ci facciano rientrare nell’udienza dell’8 aprile». In passato, spiega Gallo, «avevamo avuto già due decisioni sul divieto all’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per le coppie fertili: quella del tribunale di Salerno del 9 gennaio 2010 e quella della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 28 agosto 2012 che ha condannato l’Italia».

L’Unità 28.01.14

"Parità tra donne e uomini. Tunisi vara la Costituzione", di Roberto Arduini

La Tunisia invia un messaggio forte agli altri Paesi arabi, approvando a tre anni dallo scoppio della prima delle rivoluzioni una nuova Costituzione laica. In una cerimonia a Tunisi, lo speaker dell’Assemblea Mustapha Ben Jaafar, il presidente Moncef Marzouki e il premier Ali Larayedh hanno firmato la nuova Costituzione. La Carta è stata approvata nella tarda serata di domenica dai parlamentari, con 200 voti favorevoli sul totale di 216 (12 contrari e 4 astenuti). La votazione, trasmessa in diretta televisiva, ha visto l’euforia impadronirsi di tutto l’emiciclo al termine dell’approvazione: dopo aver intonato l’inno nazionale brandendo la bandiera tunisina, l’Assemblea costituente è poi esplosa nel grido «Fedeli, fedeli al sangue dei martiri della rivoluzione». Nella cerimonia della firma, Marzouki è stato il primo a mettere il suo nome sotto il testo approvato, abbracciando il documento e agitando due dita in segno di vittoria.
«La nascita di questo testo, conferma la nostra vittoria contro la dittatura», ha detto il presidente tunisino, ma «la stra-
da è ancora lunga. C’è ancora molto lavoro da fare affinché i valori della nostra Costituzione facciano parte della nostra cultura». Il documento è uno dei più progressisti del mondo arabo, prevedendo libertà di religione e parità di diritti tra uomini e donne. «Questa Costituzione, pur non essendo perfetta, è di consenso. Oggi abbiamo avuto un nuovo appuntamento con la storia, per costruire una democrazia fondata su diritti e uguaglianza», ha commentato lo speaker Ben Jaafar. «La Tunisia può essere un modello per altri popoli che sono in cerca di riforme», ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
ISPIRAZIONE LAICA
Il voto definitivo è giunto a pochi giorni dal terzo anniversario della rivoluzione del 2011 che cacciò il dittatore Zine al-Abidine Ben Ali, ispirando la Primavera araba in tutto il Medio Oriente. La rivoluzione tunisina si è dimostrata in grado di perseguire gli obiettivi che si era prefissata.
Nel mese di gennaio ci sono state le votazioni di tutti gli articoli, terreno di aspre controversie politiche tra partiti islamisti e laici. Il testo che ne è uscito è un compromesso, ma tutti gli osservatori internazionali lo giudicano di buona qualità. La Carta vuole rendere la Tunisia una democrazia basata su uno Stato civile le cui leggi non sono fondate sulla legge islamica, a differenza di molte altre Costituzioni del mondo arabo. L’Islam non viene menzionato come fonte della legge, anche se viene riconosciuto come religione nazionale. Lo Stato deve «proibire ogni attacco a ciò che è sacro» e la libertà di religione è garantita.
La grande novità riguarda però la parità uomo-donna. L’articolo 20 afferma l’eguaglianza di diritti e doveri dei due sessi, mentre l’articolo 45 impone che il governo non solo protegga i diritti delle donne, ma garantisca le pari opportunità anche all’interno dei consigli elettivi. Un intero capitolo di 27 articoli è dedicato ai diritti dei cittadini, tra questi protezione dalla tortura, il diritto al giusto processo, la libertà di culto. Le nuove norme impegnano anche lo Stato a proteggere l’ambiente e combattere la corruzione. Il potere esecutivo viene diviso tra il premier, che avrà un ruolo dominante, e il presidente, che mantiene importanti prerogative, in particolare in materia di difesa e politica estera.
Poco prima del voto, il premier Mehdi Jomaa ha presentato un governo ad interim che guiderà il Paese fino alle elezioni. Prenderà il posto di quello a guida Ennahda, il partito islamista che aveva vinto le elezioni dell’ottobre 2011. L’ultimo ostacolo era stato la conferma del ministro degli Interni uscente Ben Jeddou, osteggiato dalle opposizioni. Jooma lo ha tenuto, affiancato però da un nuovo «segretario di Stato alla sicurezza nazionale». L’impegno alla parità però, nel governo degli indipendenti, non è stato rispettato con solo due ministre su 21. In compenso, per la prima volta c’è un ambientalista, Mounir Majdoub. Il voto di fiducia si terrà martedì.

L’Unità 28.01.14

"La felicità della cultura", di Simonetta Fiori

Questa nostra società veloce che non riesce più a pensare.
Un saggio di Gustavo Zagrebelsky sull’importanza del sapere per la qualità della democrazia. E se davvero ci fossimo ridotti come Funes “el memorioso”, che ricordava tutto ma non capiva niente? Il sospetto è avanzato dal nuovo saggio di Gustavo Zagrebelsky, Fondata sulla cultura, che sceglie il personaggio di Borges come emblematico delle dissennatezze presenti (Einaudi, pagg. 110, euro 10). Capace di ricordare ogni dettaglio, anche il più insignificante, Funes però non sa pensare. Le idee generali gli sfuggono. Nella sua mente sovraccarica di elementi infinitesimali, non c’è spazio per concetti compiuti. E che c’entriamo noi con questo prodigioso matto, che «sapeva le forme delle nubi astrali dell’alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle nel ricordo con la copertina marmorizzata d’un libro visto una sola volta»?
C’entriamo eccome, ci dice Zagrebelsky. Questa è la condizione in cui ci conduce il sapere iperspecializzato, suddiviso in competenze differenziate e sempre più piccole, e soprattutto sprovviste di una cornice comune. E a questo ci costringe anche una politica incapace di uno sguardo generale, una politica che risponde alla disgregazione sociale perseguendo l’interesse di ogni minima categoria e rinunciando a un quadro d’insieme. «Le ideologie», scrive lo studioso, «sembrano cose d’altri tempi. Crediamo che ciò sia perché hanno dato cattiva prova di sé, nel secolo scorso. Forse, invece, è perché stentiamo a raffigurare la straordinaria frammentazione sociale in qualche idea complessiva».
Una singolare forma di miopia colpisce il nostro sguardo, che è poi la malattia del “memorioso”. La vista diventa «acuta, acutissima sui particolari», ma «cieca di fronte a ciò che li dovrebbe tenere insieme, cioè a ciò che è generale». Da qui la missione che investe tutti, a partire dagli intellettuali di professione: restituire la vista alla politica. E restituire alla cultura la sua funzione originaria, ossia fungere da collante di una società. Una funzione ribadita anche dalla carta costituzionale, nell’articolo 33, formulato per difenderne l’autonomia dal potere e dal mercato.
Quella del rapporto tra politica e cultura è una lunga e travagliata storia, che è andata esaurendosi in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Un divorzio progressivo che ha impoverito la politica, schiacciata sul “giorno per giorno”. E ha messo ai margini la figura del maître à penser, caricaturizzata dallo Zeitgeist contemporaneo in pallone gonfiato o in accademico polveroso, incapace di misurarsi con la cultura di massa. Un nome, quello di intellettuale, che oggi è perfino imbarazzante pronunciare, scrive Zagrebelsky. Ma non è sua preoccupazione riabilitare la categoria, coprotagonista non certo innocente del graduale decadimento. Ciò che sembra stargli più a cuore è “la felicità delle idee”, senza le quali non esiste la libertà dal senso comune e dal conformismo.
Fondata sulla cultura può essere letto anche come un trattato sul piacere delle idee, in un’epoca che sembra farne volentieri a meno. E sulla gioia della conoscenza, in un paese che non ci crede più.
Le idee celebrate da Zagrebelsky non sono però “beni in commercio”. Non si traducono in valore economico. E non sono un fattore produttivo. Qui la sua analisi si distingue dalla nutrita saggistica che combatte l’infelice slogan della destra “con la cultura non si mangia”. Con la cultura certo si mangia, ma non è questo che interessa a Zagrebelsky. Anzi, viene denunciata l’ossessione economicistica con cui oggi, in ogni luogo della geografia culturale, anche a sinistra, si soppesano invenzione e creatività. «Il fine è sempre e solo economico: le idee sono strumentali alla felicità e al benessere che questa ideologia continua a collocare nell’economia della ricchezza di beni materiali». Ne consegue che un’idea incapace di produrre innovazione nel mercato delle merci – ma solo consapevolezza o arricchimento spirituale – di per sé non vale niente. Mentre, proprio sulla base della vivacità delle idee, potremmo stabilire classifiche della felicità: sia per le vite dei singoli, sia per ciascuna collettività.
Pur nella forma del trattato classico – e della riflessione intellettuale – il libro di Zagrebelsky parla dell’attualità. Delle idee che sono di per sé “divisive” – categoria bandita nella stagione delle larghe intese – e dei governi tecnici, che come gli idraulici possono al più riparare il danno ma non certo incidere sul cambiamento. Degli intellettuali di servizio – al potere, al mercato, ma soprattutto alle personali carriere – e di quelli scettici che tutto comprendono e tutto giustificano, abilissimi nel destreggiarsi tra i vari poteri. Di quelli apocalittici, in attesa del messia (che non arriva mai, e se arriva sono dolori), e degli eterni consenzienti, per paura di restare esclusi dal “cerchio formidabile” di cui parlava Tocqueville. Una ricca fenomenologia dell’intellettuale smarrito che resta quasi sempre innominata, ma non è difficile riconoscervi i vari personaggi del teatrino pubblico.
Ora però si pone il problema: come restituire integrità alla funzione culturale? Qui Zagrebelsky introduce la categoria del “tempo”. «Se la chat e i suoi fratelli appartengono al mondo dell’istantaneità, i libri richiedono durata». Da una parte la comunicazione, dall’altra la formazione. «La comunicazione vive nell’istante, la formazione si alimenta nel tempo». Non una contrapposizione, ma una necessaria integrazione. «Non si costruisce sommando istanti isolati, ma collegandoli in un senso che crea comunanza. Il collegamento è compito della cultura».
E chi l’ha detto che sia un compito facile? «Io voglio che il mio lettore», scrive Petrarca, «pensi solo a me, e non stia a pensare alle nozze della figlia, alla notte che ha passato con l’amante, alle trame dei suoi nemici, alla causa in tribunale, alla terra e ai soldi». No, il lettore deve concentrarsi sul testo, perché «non voglio s’impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto». Il monito di Petrarca, fatto proprio da Zagrebelsky, vale ancora oggi. Soprattutto oggi. Costanza e dedizione. Tempo e durata. L’unico modo – ci avverte l’autore – per salvarci dalla sindrome di Funes, che pensava di saper tutto mentre era solo un demente.
IL LIBRO E L’AUTORE Fondata sulla cultura di Gustavo Zagrebelsky Einaudi, pagg.120, euro 10 da oggi in libreria

La Repubblica 28.01.14

"Legge elettorale, Renzi e Berlusconi ricuciono. Si tratta su premio di maggioranza al 37%", da repubblica.it

“E’ evidente che anche Berlusconi oggi è a un bivio. La partita è complicata, noi abbiamo fatto un accordo molto serio che prevede alcuni paletti, ci sono un paio di ipotesi di emendamenti, io confido che si possa chiudere rapidamente”. Così Matteo Renzi, intervistato a Ballarò, al termine di una giornata scandita dalle voci sulle telefonate intercorse tra il segretario Pd e il Cavaliere per rimettere nei binari giusti la trattativa sulla legge elettorale. Voci non confermate, ma nemmeno smentite, sia da fonti del Pd sia di Forza Italia. Mentre viene smentito dal portavoce della segreteria Pd Lorenzo Guerini un faccia a faccia Renzi-Berlusconi previsto per domani.

“Credo che il problema non sia fare un nuovo incontro” con Berlusconi, spiega Renzi a Ballarò, “il problema è se riusciamo a stringere adesso. E anche se riusciamo a vincere le procedure parlamentari, che mi confermano una volta di più, per come sono complicate e farraginose, che bisogna superarlo il bicameralismo perfetto. Siamo veramente a un passo, è lì. L’accordo su legge elettorale e riforme è a un passo e sarebbe un peccato buttare via questa occasione”.

I contatti con Berlusconi ci sono e, riferiscono fonti bene informate, i due partiti stanno ragionando su una possibile mediazione che sciolga i nodi sulla nuova legge elettorale. L’ipotesi al vaglio è quella di alzare la soglia per ottenere il premio di maggioranza dal 35 al 37 per cento.

Un punto di equilibrio si sarebbe trovato anche sulla questione della ridefinizione dei collegi: Renzi e Berlusconi avrebbero concordato di affidare la delega al governo, ma secondo una tempistica inferiore ai tre mesi precedentemente preventivati.

Infine, ci sarebbe un via libera da parte di Forza Italia alle candidature plurime, ma con la fissazione di un tetto massimo (si ipotizza non più di tre o quattro), modifica chiesta da Alfano.

Dal partito di Berlusconi si sottolinea tuttavia che al momento si sarebbero fatti passi in avanti ma che nessuna intesa sulle soglie è stata ancora chiusa, complice anche il fatto che il Cavaliere non vedrebbe di buon occhio l’abbassamento delle soglie di ingresso, dal 5 al 4% per i partiti in coalizione e dall’8 al 7% per quelli che si presentano da soli. L’intesa reintrodurrebbe invece la cosiddetta norma “salva Lega”, che prevede il ripescaggio dei partiti fortemente radicati in un determinato territorio qualora questi superino l’8% dei voti in 7 circoscrizioni. Inclusa la previsione di primarie regolate per legge ma non obbligatorie, resta la chiusura netta di Berlusconi alle preferenze.

Slitta di un giorno, intanto, l’approdo in aula: al 30 gennaio, ma le votazioni non si avvieranno prima di febbraio. Il 31 gennaio infatti è stato deciso il ritorno in assemblea del decreto ambiente sulla Terra dei fuochi. Notizia confermata da Renato Brunetta, che in serata garantisce: “L’accordo tra Berlusconi e Renzi, l’accordo tra Forza Italia e Partito democratico regge, tiene”.

Alfano: “Renzi sostenga ed entri nel governo”. I nodi della legge elettorale si intrecciano evidentemente con l’assetto di governo, che oggi è talmente precario da congelare l’annunciato ‘patto di coalizione’ per il 2014. Con il leader del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano, a reclamare la concreta partecipazione di Renzi in “un nuovo governo che abbia il sostegno del nuovo leader Pd”. “Io non credo che ci voglia un rimpasto o un rimpastino – dice il vicepremier a Porta a Porta -. Se non c’è questo sostegno di Renzi” che si traduce “con uomini di Renzi nel governo, non si può proseguire, non si può andare avanti”.

Alfano spiega che uno sbarramento del 4 per cento sarebbe preferibile perché “era la soglia del Mattarellum ed è anche quella che si applica per le europee. Inoltre – sottolinea – si tratta di un milione e 300mila voti e io credo che chi ha quel consenso abbia diritto ad entrare in parlamento”.

Trattativa riparte dopo tensioni. La revisione del Porcellum assomiglia tanto a una bomba che, dopo lo scontro di ieri tra Pd e Forza Italia, rischia di far esplodere l’esecutivo guidato da Enrico Letta. Ecco perché la trattativa sull’Italicum tra lo stesso Renzi e Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, oggi riparte con l’obiettivo di dipanare i punti su cui si sta consumando lo scontro.

Ieri sera era sembrato che Renzi e Denis Verdini, plenipotenziario di Fi, potessero raggiungere una sorta di intesa sul premio di maggioranza. Poi era giunto lo stop di Renato Brunetta: “Nessun accordo sull’innalzamento della soglia dal 35 al 38 per cento. Per noi i patti vanno mantenuti. Noi li manterremo e speriamo che li mantenga anche il Pd”. Retromarcia commentata, alcune ore più tardi, da Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria Pd: “Le modifiche al 35 per cento? Verdini sa bene che sono fondamentali”.

Si riprende oggi dall’ipotesi di un nuovo incontro Renzi-Berlusconi in giornata, che perde consistenza col passare delle ore. Finché da Firenze Renzi interviene su Facebook con toni che sanno di furia: “Ieri ho chiesto ai nostri deputati di ritirare gli emendamenti per far cadere ogni alibi sulle divisioni interne. Bene, adesso tocca al Parlamento. Personalmente non mi farò ingabbiare nelle stanche liturgie della politica tradizionale: le carte sono in tavola, nessuno può bluffare, se qualcuno vuol far saltare tutto, lo faccia a viso aperto e lo spieghi al paese”.

da repubblica.it

"Cari senatori, ecco perché il reato di negazionismo è un errore", di Emma Fattorini

Cari colleghi, mi rivolgo a voi, in questa occasione, non solo in veste di politica ma di storica che si è occupata per decenni della questione relativa alle persecuzioni contro gli ebrei. Scovando documenti, rintracciando responsabilità, e denunciandone gli orrori, in molti scritti.
Vi scrivo questa lettera per ragionare insieme sul perché sarebbe un gravissimo errore approvare una legge che introducesse il reato di negazionismo. Ciò che, del resto, attraverso numerosissime e autorevoli prese di posizioni la comunità scientifica nazionale e internazionale ha proclamato a viva voce.
E non si tratta di una preoccupazione per così dire corporativa degli studiosi, mossa dall’esigenza peraltro sacrosanta, di difendere la libertà della ricerca scientifica. Tanto meno si vuole dare espressione a un sussiego accademico un po’ snob che non vuole sporcarsi con la recrudescenza di manifestazioni antisemite purtroppo in crescita in tutta Europa, e di cui abbiamo visto le disgustose manifestazioni anche nei giorni scorsi a Roma.
Qual è allora la materia in questione? Con la legge in discussione si introdurrebbe di fatto una “verità di stato”. La verità di stato non solo è cosa profondamente diversa dall’autentica verità storica che è sempre il prodotto di un dibattito critico; essa agisce altresì coattivamente sulle coscienze che quella verità debbono poter liberamente e appunto criticamente assimilare e vivere. A cominciare proprio dai nostri giovani. Insomma la verità storica non si può mai imporre per legge. Per sua natura il pensiero è libero e qualsiasi procedimento che tende a coartarlo non persuade, non convince, non educa.
Per questa ragione il reato di negazionismo ha un effetto controproducente e alimenta, reazioni opposte al suo scopo. Le tesi negazioniste vanno isolate e combattute sul piano della ricerca e su quello, profondo, dell’educazione e del costume ma non si possono imporre per legge. Del resto farne un reato ha significato in Francia, enfatizzarne l‘importanza, farlo uscire dall’isolamento e dall’insignificanza.
Noi abbiamo celebrato il giorno della memoria, in molti casi in modo toccante e autentico, fuori da ogni retorica. Ed è così che si deve fare. Mentre si tratta certo di approfondire la conoscenza e di rendere sempre vigile e viva la memoria, sostenendo anche da parte nostra iniziative che incontrano troppi ostacoli, come la realizzazione del museo dell’Olocausto a Roma. Perché ci sono dei rischi persino nell’uso della memoria. Come prestigiosi e impegnati intellettuali ebrei ci stanno spiegando ormai da anni, l’ipostatizzazione della memoria, quale ritualità della denuncia e dell’ indignazione, finisce per assuefare le coscienze di ragazzi e studenti, raggiungendo l’effetto paradosso dell’indifferenza.
E, per concludere, cari colleghi, vorrei farvi notare come questo reato riveli, inoltre, un’idea profondamente sbagliata del legiferare e della politica che, più è screditata e più pensa di rilanciarsi in una patetica onnipotenza: normando, proibendo, sanzionando, ammanettando…
Come se valori e comportamenti, convinzioni e memoria si potessero stabilire “per legge”, punendo le “opinioni”, siano pure quelle scandalosamente scorrette riguardanti la Shoah, l’omosessualità o le relazioni tra i sessi.
Senza alcuna retorica invece, media, scuola, famiglia, devono formare, educare, ricercare allontanandosi il più possibile dalle altisonanti dalla dannosa dichiarazioni dimostrativa.
Per tutte queste ragioni, vi chiedo dunque di riflettere molto seriamente e di rimandare il testo in commissione giustizia per un’ulteriore approfondimento che preveda anche l’audizione delle principali associazioni storiche e giuridiche che hanno chiesto in queste ore di essere ricevute dal presidente del senato.

da Europa QUotidiano 28.01.14

"Alluvione – Errani: stiamo studiando fiscalità di vantaggio"

Non sara’ facile ottenere in Parlamento altri aiuti e provvedimenti a favore delle popolazioni alluvionate della bassa modenese. Per questo “dobbiamo aiutarci tutti, da destra a sinistra, per portare a casa il risultato”. Il governatore dell’Emilia-Romagna lancia un avvertimento e insieme un richiamo non solo al ‘suo’ Consiglio regionale, ma anche ai parlamentari eletti in regione. “Evitiamo tutti di fare promesse che non riusciremo a portare a casa- mette in guardia Errani, parlando questo pomeriggio in Assemblea legislativa- aiutiamoci a portare a casa il risultato, da destra a sinistra, e dimostriamo serieta’ non chiedendo cio’ che non e’ giusto. In Parlamento non sara’ semplice”. Oltre al riconoscimento dei danni e al risarcimento al 100%, spiega Errani, “stiamo studiando una fiscalita’ di vantaggio, ma dobbiamo verificare se sia possibile farla passare. Penso in particolare alle piccole e alle piccolissime imprese, che sono sottoposte a un grande stress”. Il presidente ricorda che sulla bassa modenese si sono abbattuti, nell’ultimo anno e mezzo, prima il terremoto poi la tromba d’aria e ora l’alluvione. “E’ una situazione unica, che non ci colloca dentro le procedure ordinarie per le alluvioni- rimarca Errani- e questo deve essere il nostro nord. E’ questo che ci ha consentito di avere un primo provvedimento”: il rinvio delle tasse per sei mesi “non e’ esaustivo ma e’ molto importante, e’ un provvedimento integrativo e continuativo del decreto sul terremoto”. Errani ribadisce che l’obiettivo e’ “il riconoscimento in pieno di tutti i danni” subiti da imprese e cittadini. Ma “dobbiamo trovare una strada rapida e stiamo lavorando ventre a terra su questo, perche’ e’ giusto ed equo”. Insomma, rivendica Errani, “continuiamo a non lamentarci e a chiedere cio’ che e’ giusto. Io credo che ci riusciremo”.

Agenzia Dire

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“CAPISCO PROTESTE MA NON GIOCO A PING PONG SU RESPONSABILITA'”
“Qui e’ successo qualcosa che io non mi sento di lasciare alla fatalita’ o a una nutria o al problema generale del nodo idraulico”. Cosi’ il presidente regionale Vasco Errani, a chiusura del dibattito in Assemblea legislativa sull’alluvione nel modenese. In risposta alle critiche dei consiglieri, alcuni dei quali hanno chiesto alla Regione i responsabili del crollo dell’argine del Secchia, Errani ha detto: “non gioco a ping pong sulle responsabilita’, ma facciamo una operazione di trasparenza e verita’”. Questo il senso della commissione di ‘saggi’ a cui la Regione intende affidare l’analisi dell’evento. In ogni caso le “proteste, il disagio e le preoccupazioni io le comprendo fino in fondo. L’auto-organizzazione dei cittadini per me e’ sempre utile. Non e’ assolutamente un problema, anzi serve”. Ben vengano dunque i comitati. Quanto alla manutenzione “non siamo stati con le mani in mano. Gli investimenti li abbiamo fatti”, sottolinea Errani, che insiste poi anche sul fatto che le cose potevano andare peggio. “Se l’acqua non e’ arrivata alla zona industriale di Camposanto e’ perche’ l’abbiamo gestita cosi'”. Errani pero’ non ‘assolve’ del tutto Aipo, anzi si dice a favore di una “riforma” dell’agenzia che si occupa del Po. “Se c’e’ qualcosa che non va va cambiata”, dice il presidente.

Agenzia Dire

"Sfida sul contratto oltre gli scatti", di Alessandra Ricciardi

I nodi stanno per venire al pettine. Il faccia a faccia di oggi tra il ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, e i segretari di Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals-Confsal e Gilda dovrà chiarire non solo tempi e modalità del definitivo recupero degli scatti dei docenti (il decreto legge è approdato al senato, la direttiva non è invece ancora all’Aran), ma anche il destino del personale Ata e dei dirigenti.
Se sui capi di istituto, anche loro alle prese con il blocco del salario accessorio, i sindacati hanno già proclamato lo sciopero, per gli ausiliari, tecnici e amministrativi la proclamazione potrebbe essere imminente. E potrebbe essere decisiva proprio al risposta che la Carrozza darà oggi: è attesa una disposizione normativa che possa sottrarre le posizioni economiche I e II dal blocco dei contratti. Anche perché, ed è la tesi dei sindacati contrapposta all’interpretazione finora ostativa data dal ministero della Funzione pubblica, si tratta non di aumenti, ma di emolumenti per prestazioni aggiuntive di circa 9 mila ausiliari, svolte a seguito di una selezione e di un corso di formazione. Dipendenti che si sono visti interrompere i pagamenti, se non avanzare richieste di restituzione a partire dal 2011. E poi c’è la vicenda della possibile riapertura contrattuale per l’intero comparto, che il ministro in questi giorni ha fatto capire vorrebbe però fosse legata anche una revisione della struttura retributiva del personale: basta scatti, o comunque solo scatti, sì ad elementi dinamici che attengono al maggior impegno. Un terreno che però è scivoloso, ancora di più in questa fase in cui a un’assenza cronaca di risorse aggiuntive (e i sindacati non tollererebbero uno scippo di quelle che ad oggi servono a finanziare la retribuzione base) si accompagna una estrema fragilità del governo. Che non potrebbe sostenere che da scioperi di categoria (dirigenti, personale ausiliario) si passi a uno sciopero dell’intero comparto. Ma il pericolo, almeno per il momento, dovrebbe essere scongiurato.

Il ministro ha praticamente pronta la direttiva da inviare all’Aran per l’inizio della trattativa sugli scatti, ai cui esiti il decreto legge lega il recupero integrale del 2012 ai fini delle progressioni. I sindacati hanno chiesto di poter avere maggiore flessibilità nel recuperare i fondi necessari dal Mof (circa 250 dei 370 milioni necessari).

Il decreto legge trasmesso al senato per il primo via libera pone rimedio anche agli effetti del congelamento dei salari per il 2014 (che vige in tutto il pubblico impiego) e che impedirebbe di erogare le somme dello scatto 2013: nella relazione tecnica allegata al dl, si legge che dai dati di preconsuntivo 2013 emerge che si sono spesi per gli stipendi dell’istruzione circa 100 milioni di euro in meno. «Pertanto detti margini possono essere utilizzati per fronteggiare i miglioramenti stipendiali derivanti dalla norma e quantificabili in circa 70 milioni». Intanto, in commissione affari costituzionale di palazzo Madama, è stato presentato giovedì scorso un emendamento al decreto Milleproroghe che recava contenuto analogo a quello del decreto legge. Un emendamento che poi è stato dichiarato non ammissibile dalla commissione e ritirato dal governo. Era il tentativo, raccontano rumors di palazzo, del ministero dell’istruzione di evitare di dover sostenere l’iter di una nuova conversione in legge, con i prevedibili assalti emendativi. Il tentativo non è andato.

ItaliaOggi 28.01.14