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"Movimento 5 stelle: tra l'Imu e il "Napolitano boia" i grillini, relegati ai margini del dibattito, esasperano lo scontro", da Pietro Salvatori

La politica del chiamarsi fuori sempre e comunque da qualunque tipo di accordo e da ogni possibile forma di mediazione ha come naturale conseguenza la necessità di alzare i toni. Sempre e comunque, per non rischiare di scivolare ai margini del dibattito politico. Così il Movimento 5 stelle, che avrebbe potuto sostituire come interlocutore Silvio Berlusconi nella trattativa di Matteo Renzi per riformare la legge elettorale, si trova invece a far votare ai propri attivisti un bizzarro “collegio intermedio proporzionale”, totalmente al di fuori da qualunque possibilità di incidere nel merito della legge che verrà.

Così, se sull’Italicum si sono limitati ad annunciare un improbabile conflitto di attribuzione rispetto alle procedure regolamentari utilizzate dalla commissione Affari costituzionali, è sul decreto Imu Bankitalia che gli uomini di Beppe Grillo hanno provato ad alzare il tiro. Lo schema è sempre quello: tenersi al di fuori da qualunque tipo di soluzione condivisa per poter additare all’inciucio dei partiti tradizionali, rei di portare il paese allo sfascio.

Ma se, in termini generali, qualche parte di ragione potrebbe essere contenuta in un discorso pur grossolano, i deputati a 5 stelle rischiano questa volta di sbattere contro un muro. Perché la loro ostruzione sul provvedimento che rimodulerebbe le tasse sulla casa e ridisegnerebbe gli assetti della Banca centrale rischia, qualora andasse in porto, non solo di far traballare seriamente l’esecutivo guidato da Enrico Letta. Ma avrebbe come effetto collaterale quello di far rivivere – per la mancata concversione in legge del decreto del governo – la seconda rata dell’Imu.

Proprio quell’eventualità che i deputati stellati hanno sempre detto di voler scongiurare, affannandosi a trovare coperture spesso anche fantasiose per non far tirar fuori agli italiani l’importo necessario per saldare la tanto contestata tassa. E se va dato merito alla pattuglia M5s di aver messo nel mirino in particolar modo la parte del testo governativo che mette mano alle quote di Bankitalia, e di aver proposto lo stralcio dei relativi articoli dal complesso della norma, gli stessi deputati stellati non possono ignorare l’effetto boomerang che potrebbe avere la loro azione di interdizione.

Se però la strategia è quella di alzare il livello dello scontro ad ogni costo, tutto diventa lecito. Anche il lapsus di definire la cosiddetta tagliola (lo strumento procedurale che consente alla presidenza della Camera di contingentare i tempi) “ghigliottina”, e di additare Giorgio Napolitano come il “boia” che la dovrebbe azionare. Come ha seraficamente fatto nel corso di una conferenza stampa Giorgio Sorial, attirandosi un fuoco di fila da parte dell’intero arco costituzionale, da Letta a Matteo Renzi passando per Renato Brunetta e Mariastella Gelmini. Con tanto di esposto da parte di una deputata del Pd e ipotesi di iscrizione al registro degli indagati per vilipendio sul fronte procura di Roma.

Una scomposta entrata a gamba tesa, da cartellino rosso. Ma insieme un prezioso assist per i partiti tradizionali, in grande affanno sul fronte legge elettorale, per poter distrarre per qualche attimo l’attenzione dalle ambasce di una trattativa nella quale, come spesso accade, il Parlamento si trova ad essere un mero esecutore di accordi presi altrove. Così, a tarda sera, mentre l’ostruzionismo procedeva allegramente e lo spettro dell’Imu tornava ad aleggiare sulle tasche dei contribuenti, Sorial prendeva la parola in Aula. Immediatamente i banchi del Partito democratico si svuotavano, lasciandolo plasticamente in un emiciclo privo della quasi totalità dei suoi membri. Un gioco delle parti, vero. Ma legittimato da una strategia dell’aggressione ad oltranza che non è ben chiaro quale orizzonte concreto abbia. Se non quello di uno zerovirgolaqualcosa in più nelle urne delle prossime europee.

da Huffington Post 29.01.14

"Obama: il 2014 sarà l'anno della svolta per l'America", di Marco Valsania

“Let’s make it a year for action”. Facciamo diventare il 2014 un anno dedicato all’azione. Quello di Barack Obama al Congresso e alla nazione ha voluto essere ieri notte un discorso più che ispirato da grande oratoria capace di delineare obiettivi concreti. Perchè lo stato dell’Unione migliora, ma non abbastanza rapidamente, malato di crescenti sperequazioni economiche e sociali. E perchè lo stato della sua presidenza, la sua popolarità, è in affanno, per le scarse iniziative che è riuscito a far decollare nell’ultimo anno.

Obama ha spiegato fin dalle prime parole come intende reagire all’impasse: ha invitato il Congresso a muoversi, ma ha detto che ovunque potrà userà direttamente i poteri della sua presidenza per restituire alla portata di tutti il sogno americano fatto «di opportunità», a cominciare dal lavoro. Un sogno che vuole cominciare a ricostruire con una dozzina di progetti sui quali può far scattare decreti unilaterali della Casa Bianca, dall’aumento del salario minimo per i dipendenti di aziende appaltatrici del Governo a nuovi conti di risparmio pensionistico, da poli manifatturieri a nuovi piani di riqualificazione professionale, fino ad accordi con le aziende per l’assunzione di disoccupati cronici e per collegare le scuole con Internet ad alta velocità.

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Dal tram numero 15 a Milano alla Casa Bianca: storia dell’imprenditore della pizza citato da Obama
«Ovunque e quandunque io sia in grado di prende iniziative senza bisogno di leggi per espandere le opportunità per un numero maggiore di famiglie americane, questo è ciò che farò», ha detto nel suo quinto discorso sullo Stato dell’Unione, con davanti ancora tre anni di mandato alla Casa Bianca ma alle spalle più di metà dell’opinione pubblica che oggi boccia la sua presidenza e un anno di scarse iniziative di politica interna coronate da successo.

L’iniziativa di maggior effetto è scattata sul salario minimo, che alzerà a 10,10 dollari da 7,25 chiedendo al Congresso di seguirlo facendo dell’aumento una legge nazionale. «Ho chiesto al Congresso di alzare il salario minimo ma non c’e’ bisogno di aspettare», ha incalzato. « Alcune aziende già l’hanno fatto». Qui ha citato come esempio da seguire quello di John Soranno, famiglia di origine italiana che ha imparato ad amare la pizza quando viveva a Milano. La sua catena di pizzerie, Punch Pizza a Minneapolis, ha da tempo adottato il nuovo minimo salariale di dieci dollari. «Oggi – ha ricordato Obama – il salario minimo vale il 20% in meno di quando era presidente Ronald Reagan».

Di forte richiamo è stato anche il nuovo piano pensionistico da offrire a chi non ha accesso a conti di previdenza aziendale, i cosiddetti 401(k). Qui il Tesoro è stato incaricato di lanciare nuovi conti ai quali i lavoratori potranno destinare parte del loro salario con vantaggi fiscali e che saranno investiti in sicure obbligazioni federali. Tra le altre azioni unilaterali Obama ha delineato un riesame dei programmi per la riqualificazione affidata al vicepresidente Joe Biden e soprattutto la creazione di poli manifatturieri hi-tech in partnership con il settore privato, sei solo quest’anno, per rilanciare innovazione e competitività. Un gruppo di aziende, da Dow Chemical a Bank of America, si è inoltre impegnato direttamente con il presidente a non discriminare contro disoccupati di lungo periodo nelle assunzioni e un altro gruppo, tra cui Apple e Verizon, a offrire collegamenti broadband alle scuole.

Obama non ha dimenticato, per azioni di più ampia portata e al di là del salario minimo, di chiamare in causa il Congresso, seppur recalcitrante in un anno di elezioni parlamentari e con la Camera dominata dai repubblicani. Ha chiesto anzitutto che proceda con la riforma dell’immigrazione: «Bisogna rispondere alle richieste di aziende e sindacati e correggere il nostro sistema di immigrazione in crisi. Perchè una riforma dell’immigrazione, che deve avvenire quest’anno, può contribuire anche alla crescita economica e alla riduzione del deficit». E ha chiesto l’autorità di fast track per concludere accordi commerciali, dall’Asia all’Europa. Ha invocato nuovi fondi pubblici per l’istruzione e la ricerca, dalla medicina a nuove leghe di metalli. E riforme delle leggi sui brevetti, per evitare continue paralisi legali nelle battaglie tra aziende. Ha difeso infine la sua strategia per l’energia, che prevede lo sviluppo di tutte le fonti energetiche, dal petrolio al solare. Annunciando però anche nuove regole di protezione ambientale: intende introdurre più stringenti norme sui consumi di carburante per gli autocarri dopo averle gia’ introdotte per le vetture. Il cambiamento climatico, ha aggiunto, «è un fatto, occorre muoversi verso una futuro energetico più pulito».

Obama ha anche toccato temi di politica estera e di sicurezza, dalla pace in Medio Oriente al disgelo con l’Iran e alla chiusura entro quest’anno del carcere di Guantanamo. Ma il messaggio finale – e il motivo centrale del discorso – è rimasto però quello di politica interna, della lotta alla diseguaglianza e per più diffuse opportunità. «Dopo quattro anni di ripresa la diseguaglianza è peggiorata e la mobilità sociale è in stallo», ha detto Obama, «dobbiamo invertire queste tendenze». E la «miglior misura delle opportunità è l’accesso a un buon lavoro». È questa «l’America che vogliamo per i nostri figli» ed è «a portata di mano». Poi ha concluso con un appello all’opinione pubblica che è parso tuttavia anche la misura della sfida che ha davanti: «Credeteci».

Il Sole 24 Ore 29.01.14

"L’ultimo agguato nella palude", di Stefano Menichini

C’hanno provato. E ci proveranno fino all’ultimo, fino a stasera, fino a quando rimarrà una sola possibilità di fermare la corsa della riforma elettorale. Non è esagerato dire che queste sono le ore decisive per capire se l’Italicum è destinato al fallimento immediato, o a un primo e forse decisivo successo parlamentare.
Negli ultimi giorni, il partito che ha lavorato di più è stato il partito dell’ostruzionismo. Lo compongono coloro (di tutti gli schieramenti) che vorrebbero trascinare il gioco della riforma all’infinito, con le tattiche dilatorie applicate negli ultimi anni. Non è che non vogliano una nuova legge: semplicemente, non la vogliono così esigente nei confronti dei piccoli partiti; e soprattutto non vogliono che il suo varo rappresenti una vittoria di Matteo Renzi e della sua leadership.
Qui c’è la questione cruciale. Il punto forte e il punto debole dell’operazione tentata dal segretario del Pd.
Si diceva la verità, quando si prendeva atto (come ha fatto anche il capo dello stato) che Renzi fosse l’unico attore sulla scena in grado di portare a casa il risultato, nell’interesse dell’intero sistema e del buon nome del parlamento, dei partiti e della politica.
Il risvolto di questa medaglia è che a tutti coloro che vogliono soffocare subito le ambizioni del sindaco è stata offerta l’occasione di fargli del male. Magari non battendolo apertamente ma costringendolo ai tempi lunghi, al rinvio, alla palude di Palazzo nella quale annega ogni entusiasmo. Non si può escludere che fra costoro ci sia anche Berlusconi: non dimentichiamo che è lui l’avversario finale di Renzi.
La normalizzazione del nuovo arrivato, la sua riduzione a politico qualunque, la fine della sua eccezionalità: questa è la partita parallela che si gioca, intrecciata a quella sulla riforma elettorale e a quella sul governo, nelle cui difficoltà si vorrebbe coinvolgere il segretario del Pd fino all’estremo di consegnargli palazzo Chigi.
Il partito della palude non capisce quanto male faccia in realtà a se stesso, più che a Renzi. Il sindaco, agile e sfuggente, saprà comunque proporre una versione dei fatti positiva per sé, foss’anche nel ruolo di vittima.
Gli altri, tutti gli altri, rimarranno ostaggi dell’unico beneficiario della paralisi: Beppe Grillo, lo scienziato pazzo che ha dato voce e vita a quel Frankenstein della politica che ieri dava del boia al capo dello stato stando seduto tra i simboli della Repubblica italiana.

Da Europa QUotidiano 29.01.14

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“E’ l’ora della verità”, di Stefano Folli

Gli insulti a Giorgio Napolitano da esponenti del movimento “grillino” indicano che questo partito, peraltro votato un anno fa dal 25 per cento degli italiani, non è mai riuscito a darsi un profilo maturo, sia pure nell’ambito di una forza che si concepisce solo all’opposizione.
L’episodio di ieri è al limite del teppismo politico e fotografa il degrado dei rapporti istituzionali. Se il Parlamento diventa la mera cassa di risonanza di un estremismo intollerante e triviale, i rischi che ne derivano sono molto seri. Da un lato l’opposizione perde la sua ragion d’essere e le stesse battaglie parlamentari, quando si combattono, si trasformano in risse indecorose. Il Parlamento, già indebolito, viene ferito e le istituzioni oltraggiate.
Dall’altro lato, il pericolo per gli italiani è affondare lentamente in questo clima velenoso che si somma all’immobilismo cronico del sistema. Una miscela pestifera le cui conseguenze non sono prevedibili. Di sicuro sappiamo che gli assetti istituzionali non sono eterni e richiedono molta cura. Potrebbero non reggere alla pressione e in tal caso non è detto che sia Beppe Grillo il beneficiario del caos. È già capitato nella storia che gli apprendisti stregoni siano a loro volta travolti dagli eventi e da altri personaggi più intolleranti di loro.
L’altro giorno un sondaggio descriveva il crescente bisogno di un «uomo forte» che si respira ormai nell’opinione pubblica. È il logico prodotto della palude, per usare un’espressione cara a Matteo Renzi. Una palude nella quale qualcuno, che ambirebbe a rappresentare addirittura l’alternativa di sistema, in realtà si limita a gettare fango e a spargere il discredito.
In altre parole, si cammina lungo uno stretto crinale. E le notizie non positive sul versante della riforma elettorale sono un altro segnale d’allarme. Finora si è molto puntato sull’ipotetico “patto” fra Renzi e Berlusconi. Ma ora siamo giunti al momento in cui il cammello deve passare nella cruna dell’ago. Se il “patto” è solo un espediente mediatico, non reggerà alla prova dei fatti. Se viceversa costituisce davvero un inedito duopolio fra il giovane fiorentino e l’anziano uomo di Arcore, allora dobbiamo aspettarci che non serva solo a cambiare la legge elettorale.
Non a caso il volto nuovo del centrodestra, il giornalista Toti, ha parlato di un «governo di scopo» con Renzi a Palazzo Chigi sostenuto da Forza Italia. L’idea è bizzarra, soprattutto per come viene presentata: Renzi dovrebbe in sostanza distruggere la sua parte politica a tutto vantaggio del fronte berlusconiano. Si intuisce allora che Berlusconi non è troppo soddisfatto del famoso “patto”. Forse si aspetta di ottenere molto di più di quello che Renzi è in grado di dargli. Per cui siamo di nuovo nel pantano, quando mancano solo ventiquattro ore alla presentazione della legge in Parlamento. È noto che, se il termine non viene rispettato, si rotolerebbe verso un drastico rinvio.
Si discute e si negozia in queste ore, ma il risultato è del tutto incerto. La verità è che finora si è data eccessiva enfasi ad accordi incompleti. Il duopolio non è veramente tale. Il vero patto è fra Renzi e Verdini, uniti anche dalla fiorentinità. Ma è da capire fino a che punto Verdini riesce poi a convincere Berlusconi, se questi non vede concreti vantaggi dall’intesa con il pur simpatico leader del Pd.

Il Sole 24 ore 29.01.14

"Errani “scarica” l’Aipo e chiede delle agevolazioni", di Francesco Dondi

«L’Agenzia va riformata, discutiamone e trasformiamo i cittadini in sentinelle» «Cancellare le tasse è impossibile, ma una fiscalità di vantaggio va applicata». Vasco Errani ascolta gli interventi dei consiglieri, poi sveste i panni del pacificatore – la lettera firmata dai sindaci che si complimentavano con Aipo e protezione civile era stata ispirata da lui – e va giù duro. «Qui è successo qualcosa che non mi sento di lasciare alla fatalità o a una nutria o al problema generale del nodo idraulico – dice – Non gioco a ping pong sulle responsabilità, ma facciamo una operazione di trasparenza e verità. Le proteste, il disagio e le preoccupazioni le comprendo fino in fondo. L’autoorganizzazione dei cittadini per me è sempre utile. Non è un problema, anzi serve». Ben vengano dunque i comitati, che stanno nascendo in forma embrionale in ogni paese e anche di più… Ma è su Aipo che Errani non usa mezzi termini. Sa bene che l’Agenzia è “governata” da uomini scelti dalle Regioni Piemonte e Lombardia e la presenza del suo assessore, Alfredo Peri, nel comitato d’indirizzo non è un grande problema. Il presidente ha quindi le mani libere, può scaricare i vertici Aipo senza troppe remore. «Deve essere chiaro – dice – che si tratta di un’agenzia interregionale, finanziata in base ad una legge nazionale. Detto ciò, siamo convinti che sia giusto avviare una riflessione, prima in commissione e se necessario in aula, sul lavoro svolto in questi anni dall’Agenzia. Se c’è qualcosa che non va, va cambiata. Serve una riforma dell’Aipo, che imposti una diversa integrazione col territorio, anche integrando la vigilanza con i frontalieri. Perché non è possibile il controllo h24 e millimetro per millimetro del Po e degli affluenti. Quindi serve un sistema intelligente e coraggioso, che vada al di là delle vecchie competenze». “Riconosceremo tutti i danni”, aveva detto Errani. Ora le parole devono trasformarsi in fatti ed ecco che all’orizzonte si intravede un tentativo di fiscalità di vantaggio, criticata da Andrea Leoni, a sua volta sostenitore della “no tax area”. «Lavoriamo per il riconoscimento dei danni ai beni mobili, dei beni certificabili (auto, magazzini, macchinari) ma anche di quelli non certificabili (abitazioni). Io penso che riusciremo nell’obiettivo in rapporto con il Governo. Studiamo una fiscalità di vantaggio, non che nessuno paga le tasse: perché questo non si dà in nessuna norma. Però forme di aiuto dobbiamo farle passare. Penso in primo luogo alle piccole e piccolissime imprese, sottoposte a grandi stress». Oltre alla dura presa di posizione di Errani, diventa significativo anche il manifesto elaborato da Stefano Bonaccini. Nel suo ruolo di responsabile nazionale degli Enti Locali ha un peso specifico sul condizionamento del governo Letta: va sfruttato. «Ci sono sette punti determinanti e da ottenere: lo stato di emergenza nazionale; modalità certe e semplici di risarcimento dei danni di aziende e famiglie; sospensione ragionevole (ben oltre i sei mesi) delle scadenze fiscali e contributive; attivazione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori colpiti; definizione certa e rapida di una fiscalità di vantaggio; stanziamenti straordinari per l’agricoltura; garantire la copertura economica per la sospensione dei mutui delle case inagibili, aspetto che vale anche per il terremoto; escludere dal patto di stabilità Regione, Provincia e Comuni per sbloccare fondi necessari al ripristino dei servizi. Bene i 19 milioni, garantiti dai ministri Orlando e Delrio per il nodo di Modena, ma è solo l’inizio».

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“Aipo arrivò sull’argine solo alle 10 e Bastiglia non si poteva evacuare”, di Francesco Dondi

L’assessore Gazzolo ripercorre i momenti della rottura del Secchia: «Fu il Comune a telefonare alle 8» Ci si rese conto tardi dell’andamento dell’acqua: troppo pericoloso far riversare in strada i cittadini. Una falla che in poco tempo si è allargata da 15 a 80 metri, ma soprattutto una reazione tardiva da parte di Aipo. È quanto emerge dalla ricostruzione presentata all’Assemblea regionale dall’assessore Paola Gazzolo, che ha ripercorso le prime ore dell’emergenza alluvione. Andamento lento «Nelle prime ore di quella mattina – ricostruisce la Gazzolo – sull’argine destro del Secchia – tra le sezioni di Ponte Alto e Ponte Bacchello, nei pressi di San Matteo – si è aperta una breccia che ha fatto defluire le acque nella pianura circostante. Attorno alle ore 8 – secondo quanto riferito da Aipo – il personale idraulico dell’Agenzia interregionale del fiume Po, già in servizio di piena dalla serata del sabato, veniva raggiunto dalla telefonata di un tecnico del Comune di Modena; il dipendente Aipo si è quindi immediatamente recato in località San Matteo tra le 8,15 e le 8,30, dove già erano presenti polizia municipale, vigili del fuoco e frontisti. La situazione che si presentava al tecnico di Aipo era la seguente: la sommità arginale, per un tratto di almeno 15 metri, risultava crollata e sormontata da una lama d’acqua che aveva già allagato le aree al piede dell’argine, confinanti con un paio di aziende. L’apertura è andata progressivamente aumentando – fino a circa 80 metri – a causa della pressione della corrente del fiume. Viene immediatamente allertato il Dirigente di Subarea Emilia occidentale di Aipo che si reca sul posto giungendovi prima delle 10». In sostanza colui che doveva decidere nell’immediato come intervenire ha preso coscienza diretta della situazione almeno tre ore dopo il crollo dell’argine. Bastiglia, pericoloso sfollarla Nella relazione, Paola Gazzolo offre una lettura inedita sui motivi che hanno sconsigliato l’ordine di evacuazione generale di Bastiglia. Una decisione che ha sollevato tantissime polemiche tra i cittadini rimasti “intrappolati” in casa per diversi giorni, senza corrente elettrica, gas e acqua potabile. I soccorsi hanno provato ad alleviare lo sconforto, consegnando a domicilio cibo e medicinali, ma restare al buio e al freddo fin da metà pomeriggio, avvolti nel silenzio totale, è un duro colpo psicologico. «Da subito – spiega l’assessore – i Comuni hanno avviato le operazioni di evacuazione delle case più vicine alla rottura in alcune frazioni del comune di Modena – San Matteo, La Rocca, Navicello e Albareto – di Bastiglia e Bomporto, con il supporto tecnico della Provincia di Modena e l’ausilio delle forze dell’ordine. Tra le preoccupazioni prioritarie, quella per i soggetti deboli o fragili: è stata quindi disposto il trasferimento dei 54 ospiti della Casa protetta “Villa Anna” all’ospedale di Baggiovara, operato dal 118 regionale, mentre gli utenti del gruppo per disabili di Sorbara sono stati evacuati a Carpi. In relazione agli scenari di propagazione delle acque che si sono man mano definiti, le operazioni di evacuazione sono proseguite nelle ore successive. L’invito rivolto alla popolazione è stato quello di lasciare le abitazioni o, in alternativa, di salire ai piani superiori. Queste indicazioni hanno consentito da un lato di salvaguardare la popolazione più fragile per la quale è stata disposta l’evacuazione e ha contestualmente evitato un esodo di massa dalle zone in pericolo che avrebbe aumentato significativamente il rischio per la pubblica incolumità delle persone». Riassumendo, la strada imboccata dall’acqua è cambiata nel corso del tempo. Una volta capito che avrebbe invaso Bastiglia era troppo tardi: l’evacuazione generale avrebbe riversato sulla Canaletto e verso la Panaria Bassa troppi cittadini in auto, esponendoli al rischio di venire travolti dall’alluvione. Lo stato d’emergenza Sono conclusi i controlli sugli argini e nei paesi alluvionati a supporto della procedura di dichiarazione dello stato di emergenza che sarà discussa venerdì dal Consiglio dei ministri. Intanto, con lo “stato di crisi” regionale, viale Aldo Moro si accollerà la copertura delle spese della prima emergenza, ossia i famosi 15 milioni. La Regione, in parallelo, ha chiesto ai Comuni una prima sommaria stima dei danni per suffragare la richiesta di rimborso totale. Perché, non va dimenticato, Errani ha promesso di “riconoscere tutti i danni” anche se, con il passare dei giorni, è palese che per scucire soldi al governo “servirà una nuova legge”, come spiega sui social network, la deputata Pd, Manuela Ghizzoni. Nascerà inoltre un Comitato istituzionale ed un Centro di coordinamento operativo a cui parteciperanno i politici e la Protezione Civile. Curioso poi scoprire come si indagherà sulle cause del cedimento dell’argine. «Vogliamo conoscere le ragioni e rispondere ai tanti perché dei cittadini e alle loro preoccupazioni che sono anche le nostre», ha detto Gazzolo. Sarà formata una commissione speciale a cui parteciperanno docenti delle università di Padova, Bologna, Ferrara e Modena che metteranno a disposizione esperti particolarmente qualificati in materia idraulica e geotecnica. «Saranno loro – dice l’assessore – ad assicurare supporto professionale e valutazioni tecniche indipendenti di cui si avvarrà un gruppo di lavoro, che vedrà coinvolto anche Aipo, per svolgere un’analisi strutturale delle arginature di Secchia, Panaro e Canale Naviglio». Operazione già avviata e che al momento vede diversi ruspe in azione per chiudere i buchi creati dagli animali.

La Gazzetta di Modena 29.01.14

"Alluvione a Modena, si contano i danni: colpiti otto comuni e 1.800 aziende", di Franco Giubilei

Diecimila ettari di territorio allagati, due paesi – Bastiglia e Bomporto -, sott’acqua per più di 48 ore, otto comuni colpiti, 1.800 imprese danneggiate. E’ il bilancio ancora provvisorio, perché la vera conta dei danni arriverà solo quando la gente avrà finito di spalare il fango da abitazioni e aziende, dell’alluvione che si è abbattuta sulla Bassa modenese dieci giorni fa. Era domenica di primo mattino quando un argine del fiume Secchia all’altezza del Passo dell’Uccellino, pochi chilometri a nord di Modena, ha ceduto sotto l’urto dell’onda di piena: una falla provocata da tane di volpi o di tassi (questa la prima spiegazione ufficiale fornita dall’Aipo, Agenzia del Po, ndr), che in poche ore si è trasformata in una voragine di 80 metri, da dove l’acqua si è rovesciata su campagne e centri abitati.

A dare un’idea approssimativa di quel che è successo, ci sono anche i dati contenuti nel rapporto sull’alluvione presentato ai ministri Delrio e Orlando: l’area colpita si estende per oltre 30 chilometri in linea d’aria, migliaia di persone hanno dovuto lasciare la loro casa nell’immediatezza dell’esondazione, mentre almeno duemila sono rimaste intrappolate nei piani alti dei centri di Bastiglia e Bomporto, e 190 sono tuttora sfollate, ospiti perlopiù di alberghi. Per far fronte all’emergenza sono stati impiegati 176 vigili del fuoco, che hanno compiuto 764 interventi di soccorso urgente e 907 salvataggi di persone, oltre 110 interventi con mezzi aerei.

A complicare le cose, la drammatica circostanza che il disastro si è abbattuto su zone già flagellate dal terremoto del 2012 (come Camposanto e Medolla, ma soprattutto San Felice e Finale Emilia). Lo ha sottolineato oggi anche il presidente della regione Emilia Romagna Vasco Errani, che già nei giorni scorsi aveva chiesto lo stato d’emergenza: “Non stiamo parlando di un� �alluvione, stiamo parlando di un’emergenza che si sovrappone purtroppo a un terremoto. Ora dobbiamo affrontare il percorso attraverso cui ottenere quello che per noi è assolutamente indispensabile, vale a dire il riconoscimento di tutti i danni. Valuteremo anche la fiscalità di vantaggio”. C’è anche da capire come l’argine lungo un tratto rettilineo di fiume abbia potuto sbriciolarsi in quel modo: al di là della spiegazione dell’Aipo, una commissione scientifica formata dalla regione indagherà sulle cause del cedimento, poi si penserà a “mettere in sicurezza definitivamente quel nodo idraulico” (si parla di 19 milioni di investimenti su cui è arrivata una risposta dal ministro Orlando) mentre fra gli abitanti cresce la rabbia.

Qui nessuno crede veramente all’ipotesi delle tane, quanto alla trascuratezza nella manutenzione degli argini, come dimostra il profilo Facebook “Alluvionati e incazzati”, che in pochi giorni ha raccolto quasi 19mila mi piace alla parola d’ordine, oppure l’iniziativa delle associazioni consumatori e di alcuni legali, che stanno valutando una class action e invitano i cittadini a fotografare scrupolosamente i danni subiti. Una risposta sullo stato degli argini è arrivata dalla Protezione civile: l’ultimo intervento di manutenzione sull’argine che ha ceduto risale allo scorso 5 dicembre.

Intanto la regione ha aperto un sito internet dedicato e, sempre online, sono disponibili i moduli per i risarcimenti. L’acqua è defluita da Bastiglia e Bomporto, le idrovore hanno quasi terminato il loro lavoro nelle campagne di San Felice e Finale, ma resta il problema dello smaltimento dei rifiuti. Martedì è nevicato, e per le prossime 36 ore c’è un allerta pioggia intensa per le zone appenniniche dei fiumi Secchia e Panaro e per le pianure di Modena e Reggio.

La Stampa 29.01.14

"Una ferita alla democrazia", di Giovanni Valentini

Non ha più la dignità di una questione politica. E neppure il decoro di una questione di galateo istituzionale o parlamentare. Ormai l’attacco frontale del Movimento 5 Stelle al presidente della Repubblica è diventato un insulto all’intero Paese. Un’offesa alla democrazia repubblicana e quindi a tutti i cittadini che a questa appartengono.
Fa ribrezzo anche soltanto scrivere e riferire quella parola “boia” lanciata come un sasso o una bomba contro il Capo dello Stato nell’aula di Montecitorio da un “nominato” di Beppe Grillo. Un urlo selvaggio, da ultras del calcio, simile a quelli razzisti indirizzati ai giocatori di colore della squadra avversaria. Un atto d’inciviltà e di barbarie, più che di protesta o denuncia. Qui siamo oltre il confine della ragionevolezza e della decenza. E anche oltre il limite della critica, più o meno lecita, più o meno condivisibile. Una tale violenza verbale, anzi, toglie qualsiasi credibilità ed efficacia anche all’esercizio legittimo del diritto di critica, lo vanifica, lo sterilizza. È un’escandescenza, uno scatto d’ira o di rabbia, che rinnega la stessa funzione parlamentare: tanto da provocare un’immediata reazione di solidarietà bipartisan.
Il Movimento 5 Stelle può avere tutti i suoi motivi per contestare il comportamento e le scelte del presidente Napolitano. O addirittura, per chiederne l’impeachment. Ma per una forza politica che rappresenta circa un terzo del
Parlamento, ed esprime anche un rispettabile vice-presidente della Camera, questa è in realtà una prova di debolezza, una fuga dalla realtà, un’alienazione da sé.
Chiamare “boia” il rappresentante dell’unità nazionale, rieletto l’anno scorso per il secondo mandato al Quirinale, parlamentare di lungo corso, già presidente dell’assemblea di Montecitorio e ministro della Repubblica, equivale a ripudiare la convivenza civile prima ancora che l’assetto dello Stato. È come se un Movimento di uomini e donne, di elettori ed elettrici, di militanti e attivisti, si chiamasse fuori da quello stesso circuito istituzionale per entrare nel quale ha chiesto e ottenuto il voto al popolo italiano. E ora c’è solo da augurarsi che un tale estremismo possa produrre qualche reazione di dissenso, qualche distinguo o almeno una presa di distanza da parte delle persone più serie e responsabili.
Da tempo, in uno sforzo ostinato di comprensione e di dialogo, andiamo ripetendo che il torto principale di Grillo è stato quello di congelare il consenso raccolto nelle urne, deludendo le aspettative e le speranze di una larga parte del suo elettorato. Ma così si annulla qualsiasi spazio di confronto, si chiude qualsiasi canale di comunicazione, accentuando un irriducibile isolamento che alla fine si risolve nell’impotenza politica. Oppure, si traduce nella logica nichilista del “tanto peggio tanto meglio”. In questo modo, continuando a soffiare sul fuoco, si rischia però di fare il gioco della reazione e di favorire i propri avversari.

La Repubblica 29.01.14

"Scuola, 18mila assunzioni per l'anno 2014-2015. Ma i sindacati rimangono critici", da repubblica.it

In arrivo più di 18mila assunzioni nella scuola per il prossimo anno scolastico, ma i sindacati non sono affatto soddisfatti dell’azione di governo sulla scuola. Oggi, durante l’incontro con i sindacati, il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza e i sindacati ha annunciato la prima tranche di assunzioni nella scuola a partire dal mese di settembre. Si tratta, per entrare nel dettaglio, di 12.625 immissioni in ruolo per i docenti su posto comune, 1.604 per gli insegnanti di sostegno e 4.317 posti per il personale Ata: amministrativi, tecnici e ausiliari. Un pacchetto di assunzioni che farà scattare il nuovo Piano triennale varato dal governo Letta che prevede oltre 82mila assunzioni.

L’annuncio è arrivato mentre ancora sulla questione degli scatti di anzianità non si è ancora trovata la soluzione definitiva. “Un confronto su molti temi – è il commento piuttosto interlocutorio di Francesco Scrima, della Cisl scuola – e con qualche interessante spunto di apertura, ma nessuna concreta soluzione per le emergenze su cui abbiamo ancora una volta posto l’accento nell’incontro di oggi con la ministra”. Prima fra tutte quella per le cosiddette posizioni economiche del personale Ata, scatti che hanno già prodotto aumenti stipendiali, che per effetto del blocco degli automatismi economici, gli Ata rischiano di dovere restituire.

Una eventualità che Scrima definisce come “un vero e proprio furto a danno di lavoratori che hanno già svolto le attività per cui sono stati retribuiti”. Anche la Flc Cgil è piuttosto critica nei confronti della Carrozza e parla di incontro con “poche luci e molte ombre”. “Sul versante del ripristino degli scatti di anzianità di docenti e Ata – dichiara Mimmo Pantaleo – pur apprezzando l’impegno del ministro per evitare il recupero forzoso in busta paga, dobbiamo rilevare che nessuna risorsa aggiuntiva è stata prevista e l’unica possibilità che ci è stata prospettata è la decurtazione del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”. “Nessuna soluzione invece – continua Pantaleo – per le posizioni economiche del personale Ata e per il salario di posizione dei dirigenti scolastici”.

La Gilda degli insegnanti parla di importante “passo in avanti” per le prime assunzioni del Piano triennale e chiede al ministro di affrettare l’incontro all’Aran per trovare una soluzione alla questione degli scatti stipendiali. Ma sul contingente delle assunzioni su sostegno secondo l’Anief “i conti non tornano”. “Col decreto Scuola – dichiara Marcello Pacifico – si era stabilito un numero di assunzioni su sostegno superiore di dieci volte. Con questi numeri, oltre a danneggiare gli allievi, si rischia di lasciare per strada almeno 2mila docenti specializzati vincitori di concorso. Mentre Marco Paolo Nigi, dello Snals, “ha espresso con forza l’insoddisfazione del sindacato che non può dichiararsi soddisfatto soltanto perché il governo ha ridotto le penalizzazioni per il personale scolastico”.

da repubblica.it