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La vera innovazione è nella democrazia paritaria

Dichiarazione delle deputate PD dell’Emilia-Romagna: Fabbri Marilena, Incerti Antonella, Petitti Emma, Lenzi Donata , Iori Vanna, Ghizzoni Manuela, Maestri Patrizia, Zampa Sandra, De Micheli Paola, Pini Giuditta.
“Legge elettorale-Italicum: 50% di donne in lista . Non garantisce l’accesso delle donne! Se le donne sono in posizione non eleggibile avremo un Parlamento al 100% di uomini.
Senza alternanza di genere nelle liste e nei capolista di Collegio, arriveranno meno donne in Parlamento.

Il Parlamento più rosa nella storia della Repubblica non può non creare le condizioni perché le donne continuino ad essere rappresentate in modo adeguato in Parlamento.

La qualità della democrazia passa anche dalla presenza delle donne nelle istituzioni e non ci si può accontentare delle regole di pari rappresenta eventualmente presenti nei singoli partiti.

La clausola prevista dal nuovo art. 14 ter del D.P.R. N. 267/1957 che l’Italicum intende introdurre, prevederà che nelle liste bloccate di collegio “non possono esserci più di due candidati consecutivi dello stesso genere”. Ciò significa che se ai primi due posti in lista ci sono due uomini, al terzo dovrà esserci una donna, che con ogni probabilità resterà fuori dal Parlamento considerato che nella stragrande maggioranza dei collegi saranno solo i primi due candidati in lista di ogni partito ad essere eletti.

E solo nei collegi più grandi, al massimo, si potrà sperare di eleggere una donna.

L’accordo raggiunto per le riforme del Paese costituisce un importante risultato, ma non può prescindere dalla verifica del rispetto dei principi costituzionali, e in questo caso degli artt. 3 e 51 della Costituzione che sanciscono il principio di uguaglianza e la necessita di creare le condizioni per la presenza di metà uomini e metà donne nelle istituzioni e nelle assemblee elettive.

Oltre a credere nella parità, bisogna fare passi avanti per promuoverla.

Per questo molte deputate, in modo trasversale, del Partito Democratico, Forza Italia, Sinistra e Libertà, Scelta Civica, Popolari per l’Italia, Nuovo Centro Destra, Partito Socialista Italiano, nei giorni scorsi nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio hanno dichiarato la volontà congiunta di lavorare insieme per introdurre norme antidiscriminatorie tra i generi nella nuova legge elettorale in modo da creare reali opportunità di pari rappresentanza, e in tal senso intendiamo impegnarci fino in fondo.”

Alluvione, parlamentari Pd “Il Governo ha già prorogato le tasse”

“Dal Governo Letta non parole, ma fatti concreti e rapidi per aiutare le zone alluvionate”. Il Consiglio dei ministri ha già deciso la proroga delle scadenze tributarie per le aree del modenese colpite dall’alluvione: lo ha annunciato, in serata, il premier Letta in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio dei ministri. Grande soddisfazione viene espressa dai parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari che, in questi giorni, a più riprese, erano intervenuti, in Aula, nei due rami del Parlamento e avevano presentato interrogazioni per incalzare il Governo a prendere con rapidità provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese danneggiate. “Dal Governo Letta non parole di circostanza – dicono i parlamentari Pd – ma fatti concreti e rapidi in aiuto delle famiglie e delle imprese alluvionate”. Domani pomeriggio, gli stessi parlamentari Pd incontreranno di nuovo i sindaci delle zone danneggiate per fare il punto della situazione e delle richieste.

Con una procedura inusuale, addirittura prima ancora che sia stata emanata l’ordinanza della Protezione civile, il Consiglio dei ministri, nella seduta odierna, ha deciso la proroga del pagamento delle tasse per le aree del modenese colpite dall’alluvione. L’annuncio è stato dato dallo stesso premier Letta nel corso della conferenza stampa di fine Consiglio dei ministri. Grande soddisfazione viene espressa dai parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari che, in questi giorni, a più riprese, erano intervenuti, in Aula, nei due rami del Parlamento e avevano presentato interrogazioni per incalzare il Governo a prendere con rapidità provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese danneggiate: “Di concerto con il presidente della Regione Vasco Errani e in raccordo con le amministrazioni locali – spiegano i parlamentari modenesi del Pd – abbiamo rappresentato al presidente Letta e ai ministri competenti la difficile situazione in cui si sono trovati all’improvviso i Comuni dell’area a Nord di Modena, gli stessi che nel maggio del 2012 avevano già subito i danni del sisma. Siamo, quindi, particolarmente soddisfatti della celerità con cui il Consiglio dei ministri ha deciso di intervenire, a testimonianza che è stata compresa l’eccezionalità della situazione, con lo stesso territorio martoriato, in così breve tempo, prima dal terremoto e poi dall’alluvione. Insomma – concludono i parlamentari Pd – dal Governo Letta non parole di circostanza, ma fatti concreti e rapidi in aiuto delle famiglie e delle imprese alluvionate. Naturalmente questo è un primo, importante, passo nella giusta direzione. Continueremo con il nostro impegno a favore delle zone alluvionate”. Non si ferma qua, infatti, l’azione dei parlamentari Pd: già lunedì mattina, prima dell’apertura dei lavori delle Camere, si era tenuta una riunione con gli amministratori locali al Coc di Ravarino, domani pomeriggio, al rientro da Roma, i parlamentari modenesi del Pd incontreranno di nuovo i sindaci delle zone alluvionate a Bastiglia per fare il punto della situazione e delle richieste.

"Stop a Crocetta, niente aiuti alle coppie di fatto", di Anna Tarquini

Era quella che chiamavano la rivoluzione silenziosa di Crocetta. Primi, in Italia, a concedere alle coppie di fatto le agevolazioni per la casa e altri livelli di assistenza attribuibili solo alle unioni legalmente riconosciute. Ma ieri il Commissario dello Stato Carmelo Aronica ha impugnato quei provvedimenti demolendo di fatto tutta la manovra Finanziaria approvata dal governo siciliano nei giorni scorsi. Trentatré articoli su 50 bocciati. Una mannaia che colpisce anche le norme sul reddito minimo, gli aiuti ai giovani e i fondi a sostegno delle imprese. Salve quelle che garantiscono la stabilizzazione di 700 precari. Il governatore della Sicilia ha già fatto sapere che ricorrerà alla Consulta e alla Corte di giustizia europea. E mentre l’opposizione si divide nel chiedere le sue dimissioni, Rosario Crocetta davanti all’ennesima crisi fa sapere che aprirà una vertenza con il governo Letta per varare le leggi che consentano alla Sicilia di voltare pagina. «L’impugnativa sulle coppie di fatto – dice Crocetta – è ideologica, conservatrice, discriminatoria e incoerente rispetto alla direttive europee. È crudeltà sociale. Ci impedisce anche di mettere in campo le azioni di sviluppo e solidarietà per i giovani e le persone svantaggiate. Colpisce in modo particolare la negazione dei diritti in materia sanitaria alle coppie di fatto poiché, tali affermazioni, sono in contrasto con il di- ritto inviolabile alla salute di ogni cittadino e di qualsiasi persona che si trovi persino a transitare sul territorio nazionale».
Il Commissario che ha decapitato la manovra si è soffermato nelle sue motivazioni soprattutto sulla presunta incostituzionalità dell’articolo 37, quello che estende tutte le agevolazioni, contribuzioni e benefici previsti dalla Regione per la famiglia a tutte le coppie di fatto, anche omosessuali, iscritte nei registri delle unioni civili istituite dai Comuni. Era stata una battaglia durissima e vinta. Il fiore all’occhiello del governatore siciliano che aveva parlato di una scelta civile di grande coraggio. La norma era passata con 48 voti a favore e 24 contrari, con l’ok anche da parte dell’opposizione che aveva chiesto il voto segreto. Tre milioni di euro da destinare alle coppie di fatto per mutui prima casa e altro. Ma secondo il Commissario Aronica proprio questa «siffatta generalizzata estensione tout court, senza distinzione alcuna tra i singoli benefici e le ragioni e le finalità sottese ad ognuno di questi, si ritiene in- compatibile con il principio di cui all’articolo 3 della Costituzione che impone diversità di trattamento per situazioni diverse quali quelle della famiglia fondata sul matrimonio e delle unioni di fatto che trovano rispettivamente fondamento negli articoli 29 e 2 della Costituzione». E anche se non esclude che su singole questioni le coppie di fatto e quelle legalmente riconosciute sia- no sovrapponibili e meritevoli di tute- la, il Commissario solleva una singolare obiezione. La norma – dice – «introduce un’ulteriore ed ingiustificata disparità di trattamento all’interno della stessa categoria di unioni di fatto in quanto potrebbero accedere alla piena parificazione con le famiglie tradizionali solo quelle iscritte in appositi registri istituiti dai comuni della Regione. Poichè l’istituzione di detti registri è frutto della discrezionalità dei singoli enti civici, e soltanto in alcuni di essi sono presenti, le coppie di fatto residenti in comuni privi di tali registri, sarebbero escluse da ogni possibilità di accedere ai benefici e alle provvidenze per una circostanza non dipendente dalla loro volontà, a prescindere dall’ esistenza o meno del legame affettivo esistente». Ci sarebbe poi anche un problema di copertura finanziaria. Tra le 33 norme cassate ci sono il fondo per i disabili, l’accesso abitativo per le famiglie disagiate, il salario di solidarietà con un assegno previsto di 400 euro al mese per un anno, le agevolazioni per le giovani coppie per l’acquisto della prima casa. Stralciata la norma sul blocco del rimborso chilometrico ai forestali che avrebbe permesso notevoli risparmi; la riduzione delle royalties ai petrolieri, i fondi previsti per l’integrazione sanitaria. Il capogruppo della Lista Musumeci, Santi Formica, e il M5s hanno chiesto le dimissioni del governatore. Ma le opposizioni sono divise. Contrario Nello Musumeci, il candidato alla Presidenza della Regione, sconfitto da Crocetta. «Non ritengo si debba dimettere – afferma – perchè ne uscirebbe da vittima e noi da carnefici». Cosa accadrà adesso? Il governo si trova di fronte a due soluzioni, promulgare la Finanziaria senza le parti impugnate o lo scontro di fronte alla Corte costituzionale. Questa mattina se ne discuterà alla conferenza dei capigruppo.

L’Unità 24.01.14

«Non c’è alternanza di genere». Fronte rosa contro l’Italicum, di Andrea Carugati

Alla vigilia del voto in commissione alla Camera sull’Italicum, previsto per stasera, scoppia il caso quote rosa. Già, perché se è vero che la bozza che sarà adottata come testo base prevede un limite del 50% di candidature per ciascuno dei due sessi, ieri un fronte femminile vasto e bipartisan si è fatto sentire per spiegare che si tratta di una parità solo formale e non di sostanza. E che per avere un effettivo equilibrio è necessaria una norma che preveda l’alternanza uomo-donna nelle liste (che sono bloccate e dunque solo chi sta nei primi posti ha possibilità di passare) e la metà dei capilista di sesso femminile. Lo chiedono in una nota congiunta deputate di quasi tutti i partiti, da Roberta Agostini (Pd), a Dorina Bianchi (Ncd), e Elena Centemero (Fi). Sulla stessa linea anche Mara Carfagna e Alessandra Mussolini. «Lavoreremo per modificare il testo attraverso la presentazione di emendamenti. Non si tratta di una questione di quote ma di un avanzamento della nostra democrazia». «Mi piacerebbe che deputati e senatori condividessero questa priorità facendo sentire anche la loro voce», dice Valeria Fedeli, Pd, vicepresidente del Senato. Che ricorda come Renzi all’ultima direzione Pd avesse parlato esplicitamente di «alternanza uomo-donna» nelle liste.
La questione dunque è sul tavolo. E non è la sola. Un altro fronte bipartisan che si sta irrobustendo è quello che dice no alle liste bloccate. E che chiede le preferenze o, in alternativa, una quota di collegi uninominali. Su questa linea c’è la minoranza Pd, che ieri si è riunita e ha deciso di insistere con Renzi per chiedere anche l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza sopra il 35% e un abbassamento della quota d’ingresso dell’8% per i partiti non coalizzati. Sul fronte delle preferenze sono schierati anche Ncd, i popolari di Casini e Sel, mentre Scelta civica punta sui collegi uninominali. E poi ci sono i Cinquestelle che, nonostante l’Aventino ribadito da Grillo, sono pronti a un blitz in commissione (o in Aula) per approvare le preferenze, grazie al voto segreto, con l’obiettivo di far saltare il patto tra Renzi e Berlusconi.
Una mossa insidiosa, che ormai è alla luce del sole. Nelle ultime ore i grillini non hanno fatto mistero delle loro intenzioni, offrendo un prezioso assist alla minoranza Pd. Che intende tirare dritto: «Come Renzi è riuscito a convincere Berlusconi sul doppio turno, noi pensiamo che se ci convinciamo tutti insieme arriveremo al risultato che ci chiedono gli elettori delle primarie», spiega il bersaniano Alfredo D’Attorre. La replica dei renziani è secca: «Nessuna modifica senza l’ok degli altri contraenti». Oggi i membri Pd della commissione Affari costituzionali si riuniranno per fare il punto. L’obiettivo della minoranza è quella di riunire tutto il Pd nella battaglia, senza fughe in avanti con emendamenti «di corrente» che sono malvisti dall’ala dei Giovani turchi. Una ipotesi di mediazione potrebbe essere prevedere il 50% di collegi uninominali, come nel sistema tedesco. «Il gruppo Pd è unito», dice il capogruppo in commissione Emanuele Fiano. «Saremo tutti responsabili».
Anche gli alfaniani affilano le armi, sulle preferenze ma anche sulle soglie di sbarramento. «Servono correzioni, vogliamo superare il Parlamento dei nominati», dice il ministro Quagliariello. Insomma, si prevede una pioggia di emendamenti: il termine per la presentazione è lunedì, il 29 l’arrivo in Aula (l’obiettivo è chiudere il 31). Al Pd sarà affidato il compito di dirigere il traffico, cercando le possibili convergenze sulle modifiche da approvare.
Sul tavolo anche la delicata questione delle nuove circoscrizioni, che passano a circa 120 dalle 27 attuali. La bozza dell’Italicum prevede che il ridisegno spetti al Parlamento, ma ci sono vari problemi. Da un lato per via del rischio di una defatigante discussione sui confini delle circoscrizioni, che potrebbe allungare i tempi di approvazione della legge. Dall’altro perché Forza Italia non vorrebbe delegare il delicato al dossier al Viminale, dove siede Alfano. L’ipotesi di mediazione è che se ne occupi l’Interno, con un successivo parere del Parlamento.
Sul fronte delle soglie di sbarramento, cresce l’ipotesi di uno sconto per i piccoli in coalizione che non superassero il 5%: una mossa che potrebbe favorire sia la Lega (ieri Verdini ha visto Bossi) che Sel.

L’Unità 24.01.14

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“Italicum”: così non si cambia davvero. Soprattutto per le donne, di Valeria Fedeli

Il testo base di legge elettorale presentato nella serata di ieri, da cui partirà il confronto parlamentare, è del tutto deludente per quel che riguarda l’equità della rappresentanza di genere.

La questione è molto semplice: la bozza si limita a sancire una parità di presenza femminile e maschile nelle liste, ma non incide su una effettiva parità di elette ed eletti. Così non si cambia davvero, si rischia anzi una sterile e improduttiva operazione di facciata, che non serve al paese.

Nel testo, infatti, non c’è quell’avanzamento necessario per riaffermare e rendere vivo il principio antidiscriminatorio previsto dagli art.3 e 51 della Costituzione, che sanciscono la pari dignità sociale dei cittadini e condizioni di eguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

Certo la novità che l’articolato del cosiddetto “Italicum” introduce all’art.1, comma 9, ovvero l’inammissibilità delle liste che violano il principio di pari opportunità, con l’obbligo di garantire una rappresentanza 50% e 50%, è un passo importante. Ma la anomala indicazione di un’alternanza di genere da garantire due a due nega poi nella sostanza quello stesso principio.

Dire che nelle liste non possono esserci più di due candidati di fila dello stesso sesso significa annullare ogni possibile effetto positivo della nuova legge in termini di equità di rappresentanza, e accettare che in futuro il Parlamento possa continuare a funzionare con una discriminazione di genere.Non è quello che chiedono le donne, ma soprattutto non è quello che serve al paese e ad un processo di cambiamento che vogliamo netto e reale.

Per rendere realmente efficace il principio di pari opportunità nella rappresentanza elettiva è necessario introdurre un vincolo all’alternanza di genere uno a uno nelle liste e la medesima alternanza nei capilista. Solo così riusciremo a garantire una effettiva parità, evitando che giochi di posizionamento nelle liste – legati alla stima di quanti parlamentari possano effettivamente essere eletti in ogni collegio plurinominale – possano rispettare una formale parità ma poi essere usati per privilegiare un genere rispetto all’altro.

Quello che serve all’Italia è invece una vera parità, non per bilanciare qualche statistica, ma per permettere al paese di costruire le prospettive future potendo contare sul pieno contributo di tutte e tutti, nell’ottica di una reale democrazia paritaria.Occorre allora lavorare per modificare il testo, introducendo la semplice alternanza una donna – un uomo e la parità 50-50 rispetto ai capilista. Così davvero introdurremo una novità storica e contribuiremo a rispettare la Costituzione e rendere più giusto e più efficace il funzionamento del Parlamento.

Per ottenere questa modifica occorre un impegno forte e trasversale, con un’alleanza larga che parta – come già sta accadendo in queste ore – dalle donne di tutti i gruppi parlamentari. Un’alleanza che sappia però superare i tradizionali limiti delle questioni considerate femminili e diventi, per tutte le donne e per tutti gli uomini, una priorità forte quanto le altre su cui è stato trovato l’accordo sul testo.

Europa Quotidiano 24.01.14

"Ricordiamo, ma senza retorica", di Simonetta Fiori

«Cerchiamo di usarla bene, questa memoria. E se la giornata del 27 gennaio non ha raggiunto l’effetto sperato vuol dire che non abbiamo lavorato bene». Anna Foa è una studiosa di storia degli ebrei. Figlia di Vittorio Foa e Lisetta Giua, proviene da una famiglia ebrea per parte di padre, s’è convertita formalmente all’ebraismo in età adulta, e ancora ricorda da bambina la nonna che l’ammoniva: «Con quel profilo i nazisti ti avrebbero rinchiuso nel lager». Ora, scherza, anche lei fa parte degli “officianti” della liturgia memoriale, di cui conosce tutti i rischi.
Da più parti si denuncia la stanchezza della memoria: un martirologio che rischia di non comunicare più nulla.
«Anche nel mondo ebraico era cominciata una riflessione di questo genere, ma poi s’è arenata. Purtroppo il diffondersi del negazionismo accresce negli ebrei un atteggiamento di difesa. E così si difende tutto, anche la retorica. Chi parla di “shoah business”, ossia degli investimenti di danaro intorno al ricordo dell’Olocausto, richiama elementi di realtà. È fondato il rischio di diventare professionisti della memoria. Bisogna dirlo senza farci spaventare dall’antisemitismo. Anche se poi questo è un enorme problema reale».
La retorica non funziona granché: lo vediamo anche dal proliferare dei siti negazionisti.
«Sì, anche se escludo che l’antisemitismo sia una reazione all’enfasi celebrativa. Però è sbagliato somministrare ai ragazzi una doccia di memoria dall’alto, come fosse una medicina».
Secondo lei la giornata del 27 gennaio va mantenuta?
«Credo che abbia avuto un effetto positivo, ma sia diventata troppo “ufficiale”, con un effetto di sovraccarico. Bisognerebbe trovare una chiave per cambiarne le caratteristiche. Anche aprendosi agli altri genocidi del Novecento, cosa che non è sempre ben vista all’interno del mondo ebraico: si teme la banalizzazione della Shoah. Quanto al 27, mio padre Vittorio diceva che non bisognava ricordare un giorno solo».
Oggi si pone il problema di come ricordare. Un libro appena uscito, Dopo i testimoni, s’interroga sulla memoria dopo la scomparsa degli ultimi sopravvissuti.
«Mi sembra folle l’idea, circolata da qualche parte, che si possano allevare dei ripetitori di memoria individuale. C’è invece bisogno di storia, come dicono Bensoussan e molti altri in quel volume. E c’è bisogno di storie: ricostruire vite cancellate».
Lei ne ha raccontato diverse in Portico d’Ottavia 13: tutte storie vere. Ma cosa pensa dell’efficacia delle fiction?
«C’è sempre il rischio di buttare un’ombra sulla realtà: ma è finzione o realtà? Quando scrivevo il mio libro, sono stata tentata di riempire i buchi con la immaginazione, ma poi ho pensato che con la Shoah non si poteva fare».
Un altro problema riguarda Aushwitz, trasformato in museo: freddo, asettico, pronto al consumo.
«Sì, condivido questa impressione. Sentire la spiegazione didascalica della guida mi ha dato fastidio. I luoghi hanno una loro forza sconvolgente perché evocano ciò che è accaduto. Se ascoltare questa storia non ti cambia niente dentro, allora è inutile ascoltarla».

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“Quello che la Shoah può ancora raccontare”, di SUSANNA NIRENSTEIN
Smettiamo di considerare Auschwitz un museo perché Mein Kampf
di Adolf Hitler, oltre a essere stato in questi giorni sdoganato dalla Baviera che sinora ne aveva vietato la pubblicazione, è già un bestseller tra gli ebook (in inglese ce ne sono sei versioni ed è al primo posto nella sezione “Political and Propaganda Psychology” di Amazon e al 12esimo in “Politics and Current Events” dell’iTunes Book Store oltre a essere tra i libri più letti nei paesi musulmani). Auschwitz non è un museo perché nel 2012 in Francia sono stati registrati 614 atti antisemiti, 1,6 al giorno, il 58 per cento in più dell’anno prima, tra cui aggressioni e uccisioni a mano armata spesso a sfondo israelofobico da parte di chi inneggia alla jihad. E perché in Ungheria e Grecia l’antisemitismo è rappresentato in parlamento. E in Italia ci sono onorevoli che parlano di complotto dei banchieri ebrei.
Auschwitz non è un museo perché c’è ancora molto da sapere e da chiarire dello sterminio nazista: per restare ai dati, l’United States Holocaust Memorial Museum di Washington, raccogliendo i risultati delle ricerche per l’enciclopedia in corso di pubblicazione, è arrivata solo quest’anno a focalizzare numeri scioccanti, di gran lunga superiori a quelli noti. Ha infatti catalogato 42.500 tra ghetti e lager realizzati dai nazisti in tutta Europa, alcuni campi dedicati allo sterminio, ma anche: 30.000 campi di lavori forzati, 1.150 ghetti, 1000 destinati ai prigionieri di guerra, 980 campi di concentramento, 1.000 di prigionia di guerra, a cui ne vanno aggiunti altre migliaia di più piccoli e meno noti, come i 500 bordelli con relative schiave del sesso, i lager (circa 90) destinati all’eutanasia dei vecchi e dei malati, e quelli per gli aborti forzosi, e ancora quelli di “donazione di sangue” (tolto ai bambini slavi – lasciati morire – per i soldati tedeschi feriti), e altri di “germanizzazione”, posti dove veniva raccolta un’infanzia soprattutto polacca e russa (dall’aspetto insomma razzialmente puro) presi dagli orfanotrofi o rapita alle famiglie: gli “elementi validi” erano dati in adozione a tedeschi, quelli scartati uccisi.
In questo sistema concentrazionario entrarono dai 15 ai 20 milioni di persone, e ne morirono tra i 7 e gli 8 (tra i 3,5 e i 4 gli ebrei), a cui vanno aggiunte le fucilazioni e le fosse comuni ad Est, che portano a 6 i milioni di ebrei uccisi. «Le cifre e le diverse tipologie dei campi sono state sorprendenti anche per noi» ci ha detto Geoffrey Mergaree direttore dell’enciclopedia, «a questo punto al fatto che i tedeschi non sapessero quel che stava avvenendo non può più credere nessuno”. Nella sola Berlino c’erano 3.000 centri dove erano detenuti gli ebrei, ad Amburgo 1.300. Questi numeri sono così immensi che finiscono quasi per annullarsi, per ubriacarci. Ma riguardano tutti singoli individui, con un nome e un cognome, una vita prima dell’annientamento, una realtà che può sfuggire se invece smettiamo di ragionare su come si arrivò alla rottura di civiltà europea, se musealizziamo il Giorno della Memoria.
Due libri diversissimi tra loro in uscita per il 27 di gennaio colgono bene il tema oltre il nuovo The Devil That Never Dies
di Daniel Goldhagen incentrato sulle figure dei nuovi odiatori di ebrei, come Ysuf al-Qaradawi che nei suoi popolari sermoni su Al Jazeera predica la punizione degli ebrei per la loro corruzione, «dopo Hitler sarà per mano dei credenti (leggi musulmani ndr) che verrà portata a termine»: la cosa non scandalizza nessuno. Ma torniamo ai nostri due libri. Prima, brevemente, Scorze di Georges Didi-Huberman (Nottetempo, trad. Anna Trocchi) filosofo e storico dell’arte francese, un racconto fotografico di un luogo dove sembra non ci sia più niente da vedere, Auschwitz Birkenau appunto, “museo della memoria” con i suoi allestimenti, ricostruzioni (come quella delle immagini prese di nascosto da un membro del Sonder kommando su un gruppo di prigionieri che corrono nudi verso le camere a gas sotto la minaccia dei soldati: manca nella messa in scena delle foto quella fuori fuoco, l’unica che poteva spiegare, evocare la circostanza travolgente in cui furono tutte scattate, in segreto, e salta anche il punto di vista dell’uomo – la porta della stessa camera a gas – che rischiò per documentare l’obbrobrio). Uno sguardo attento come quello di Didi-Huberman sconvolge l’asetticità del museo e recupera quel che i nazisti distrussero: coglie ad esempio i fiori nati dove riposano le ceneri del crematorio, le tracce – schegge e frammenti di ossa che la pioggia ha fatto risalire in superficie – dei massacri di massa nelle aree continuamente ricoperte di nuova terra. Auschwitz non è un museo, appunto. Gli esseri distrutti sono ancora lì – 12.000 assassinii al giorno durante l’estate ’44 ad esempio, aggiungiamo noi – nel più grande cimitero del mondo.
Attacca ancor più direttamente la sterilità di un retorico “dovere della memoria” e indica invece le strade da seguire (
Come ricordare? recita il sottotitolo), lo storico francese Georges Bensoussan (grande indagatore della storia contemporanea ebraica e della Shoah, con alle spalle numerosi titoli e riconoscimenti). Il suo ampliamento de L’eredità di Auschwitz (Einaudi, trad. Camilla Testi, postfazione Mauro Bertani) porta non uno ma mille spunti su come vada corretta l’impostazione attuale che comunque continua a considerare la Shoah come lezione oscura sacralizzata, incarnazione di un male assoluto e folle, impossibile da indagare a fondo e da attualizzare. Difficile tirare fuori da questo testo fitto fitto di suggestioni e indicazioni, le cose essenziali. Eccone alcune. Primo, la Shoah non è affatto la ripetizione di tragedie ebraiche passate: è una cesura della civiltà europea, ma non è assolutamente un incidente della Storia, è un crimine bio-politico sviluppato da dentro l’idea dell’igiene del mondo a sua volta originata dal darwinismo sociale sviluppato nel XIX secolo, un fenomeno da tenere a mente, dice Bensoussan, anche mentre guardiamo l’oggi e la nostra deificazione della scienza. Ma per quanto il millenario antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista siano diversi, mette in guardia Bensoussan, essi non sono opposti: l’antigiudaismo cristiano ha preparato il terreno, ha introdotto l’identità demoniaca degli ebrei, e non solo quello (anche la limpieza del sangue richiesta nella Spagna del XV secolo).
Oltre a questo, c’è molto altro. Ovvio. Se il nemico per il nazismo è un oggetto biologico da eliminare, il progetto genocida è anche frutto di una visione millenarista e appunto demonizzante (come non pensare anche qui all’oggi, e alla definizione degli ebrei come figli di scimmie, all’assurda denuncia che i soldati israeliani distribuiscano caramelle avvelenate ai bambini palestinesi), tanto che con la ragione non si arriva a stabilire una casualità lineare: sono un milione i tasselli da mettere insieme. E Bensoussan ce li suggerisce chiedendo di fare Storia, non di ricordare. Lo sforzo di comprensione ci spinge a fare paragoni, sacrosanti ma non devono livellare, ogni genocidio ha la sua specificità. Quello degli ebrei, delle camere a gas, nasce dal ventre dell’Europa e dalla modernità: il terreno di ricerca, di archeologia storica è ancora in gran parte incolto, gli interrogativi che pone sono ancora molti, da rivolgere a se stessi e nelle scuole. Leggete Bensoussan e ve ne renderete conto.

La Repubblica 24.01.14

"Tasse, pressing sul governo. La solidarietà di Napolitano", di Andrea Marini

E al quinto giorno… la politica si mosse o quasi. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato un messaggio di solidarietà e sostegno alle popolazioni alluvionate di questi giorni con un particolare pensiero agli emiliani che già hanno subito la dura prova del terremoto. Il ministro dell’ambiente Andrea Orlando rassicura i modenesi che sta monitorando costantemente e «nei prossimi giorni il ministro, che in queste ore sta seguendo con Palazzo Chigi l’iter dei provvedimenti necessari a dare risposta ai danni causati dal maltempo, effettuerà un sopralluogo nelle zone colpite». Non solo, ma via twitter informa di essere «alle ricerca di risorse». E alla porta di Palazzo Chigi il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani sta bussando con insistenza per avere risposte concrete e subito. Come ad esempio la sospensione delle imposte per almeno sei mesi. Qualche segnale sarebbe arrivato «Ho trovato sensibilità ed attenzione, da parte del Governo, alle questioni più urgenti che ho posto per dare le prime risposte ai tanti problemi che riguardano le zone del modenese coinvolte dalla esondazione del Secchia avvenuta domenica scorsa» fa sapere il governatore dell’Emilia Romagna che ha anche evidenziato che si tratta di chi sta già combattendo con un post-terremoto. «Confido che possa arrivare rapidamente una risposta positiva alla mia richiesta – conclude Errani – Naturalmente si tratta di un primo, ma importante, passo verso il superamento della situazione che si è creata, che si affianca all’iter di riconoscimento dello stato di emergenza, già formalmente richiesto nei giorni scorsi. Confermo con chiarezza che il nostro obiettivo e il nostro impegno sono rivolti al pieno riconoscimento dei danni a tutti i soggetti interessati, imprese, cittadini, Enti pubblici». Staremo a vedere se alle parole seguiranno i fatti, domenica intanto è prevista la visita del ministro Cecile Kyenge. Fin qui la parte della politica. Quanto all’evoluzione dell’emergenza, ieri sono continuate le buone notizie su fronte dell’arretramento dell’acqua. L’unico luogo dove si faticava era Bomporto per via della conformazione del centro storico. Si è ovviato con il taglio dell’argine per facilitare il deflusso. A Bastiglia ancora alcuni tratti del centro con 80 centimetri d’acqua, in via di rimozione mentre i tecnici dell’Enel procedono alla riattivazione dell’energia elettrica già presente in larga parte del paese. Come si diceva si continua a lavorare anche a Bomporto e la situazione sta tornando alla normalità pure a San Prospero, Ravarino, Camposanto e San Felice. Questo quanto ha riferito il prefetto Michele Di Bari al termine della riunione del centro coordinamento soccorsi. «Dalla riunione – si legge in una nota della prefettura – è emerso che l’attuale dotazione dei mezzi e uomini delle forze di polizia, dei Vigili del fuoco, dei Comuni e degli altri soggetti coinvolti dall’emergenza appare sufficiente ed adeguata alle esigenza di soccorso e di intervento». Il direttore dell’Agenzia regionale di protezione civile ha annunciato che è in corso la procedura per il riconoscimento dello stato di emergenza. Il prefetto ha poi partecipato ad una riunione con il presidente della Regione, Vasco Errani, per una valutazione complessiva. Da martedì si sono aggiunti 100 militari su richiesta del prefetto allo stato maggiore dell’Esercito per un totale di 150. Dall’inizio dell’emergenza i vigili del fuoco hanno fatto 1053 interventi di soccorso urgente, 1033 salvataggi di persone, 34 interventi di soccorso e 80 salvataggi di persone con mezzi aerei. Sul fronte viabilità da segnalare che rimangono tuttora chiuse la strada 568 che da Camposanto conduce a San Felice e la Canaletto, da Bastiglia a Modena e la Panaria Bassa da Bomporto a Navicello. Si sta lavorando alacremente per cercare di riaprire prima possibile il tratto della Canaletto, dove però ieri è stato tolto l’asfalto per far defluire meglio l’acqua. E da ieri sera tutti con il naso all’insù: è iniziata una nuova perturbazione con pioggia, si spera sia poco intensa.

La Gazzetta di Modena 24.01.14

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Pighi: «Vogliamo la verità Lo Stato agisca in fretta», di Davide Berti

Il sindaco riferisce sull’emergenza in Consiglio comunale: «Stiamo valutando tutte le modalità Si dovrà agire con ben altra determinazione per fare in modo che una tragedia così non si ripeta». Non ha pronunciato la parola nutrie. E questa è già una notizia viste le dichiarazioni di chi, in questi giorni, ha cercato di scaricare la colpa sugli animali. Così non ha fatto il sindaco Pighi che, invece, ha affondato il colpo mettendo in fila le responsabilità. Dopo aver ricostruito gli avvenimenti di questi giorni, premettendo che la «situazione di emergenza è ancora in atto» e dopo aver ringraziato tutti coloro sono impegnati nei lavori, con una sottolineatura particolare per il presidente della Regione Vasco Errani, il sindaco ha spiegato che il Comune «sta valutando le modalità di intervento e considera tutte le iniziative che verranno percorse nelle diverse sedi come un’opportunità» in cui essere presenti «nell’interesse dei cittadini. Abbiamo perso molto, e dallo Stato ci aspettiamo molto». «Vogliamo partecipare alla ricerca delle verità – ha affermato Pighi – perché siamo convinti che il sistema statale dovrà essere incalzato ad agire con ben altra determinazione sulla tenuta idrogeologica delle montagne e sul sistema idraulico, per portare a scongiurare il ripetersi di tragedie del genere». Per il sindaco di Modena l’accertamento delle cause è importante sia per accertare eventuali responsabilità sia per definire una corretta attività di prevenzione per la quale si chiede ad Aipo, l’autorità interregionale di bacino, «una verifica puntuale e immediata della situazione, con il fine prioritario della prevenzione, che deve riguardare il Secchia, gli argini danneggiati del Naviglio, il Tiepido e il Panaro». La verifica deve riguardare «la tenuta degli argini e la piena efficienza delle opere idrauliche». Tra le diverse interpretazioni prese in considerazione in questi giorni, Pighi ha affermato che la più corretta sembra essere quella che valuta una serie di circostanze ed eventi che insieme hanno contribuito a creare la rottura: arginature non più del tutto adeguate alle caratteristiche delle piene, il ripetersi (anche in questi giorni) di fenomeni di piena ravvicinati, il possibile innesco dovuto a indebolimenti dei manufatti causati dalla fauna selvatica. «E queste possibilità vanno verificate dagli enti preposti una per una – ha dichiarato il sindaco – con grande attenzione e subito, perché vorremmo che i nostri cittadini potessero ragionevolmente stare tranquilli di fronte a un altro evento atmosferico simile a quello dei giorni scorsi». Il sindaco ha spiegato che quando si verifica un evento che causa danno e pericolo sul territorio «la ricostruzione dei fatti va orientata non solo alla puntuale descrizione delle conseguenze, ma anche alla verifica delle cause che l’hanno prodotto: è doveroso in sede amministrativa e lo è in sede giudiziaria approfondendo i fatti fin dove la scienza e la tecnica lo consentono». Ciò significa che gli accertamenti tecnici che svolgerà Aipo, in collaborazione con i Dipartimenti universitari già coinvolti e in un’ottica di futura prevenzione, come già indicato dal Procuratore della Repubblica, rappresentano il nucleo di base che dovrà necessariamente confluire nelle indagini. «Dovranno essere compiuti gli accertamenti di natura tecnica propri del procedimento penale – ha spiegato il sindaco – che non ha per oggetto i soli fatti ma si sviluppa in direzione della verifica se i soggetti, che ricoprono una posizione di garanzia siano stati messi in condizione di fare di più. Oltre a quello che hanno posto in essere, per prevedere e prevenire il succedersi degli eventi, in termini di possibilità di anticipare e scongiurare, in termini di conoscenza o come azione il loro verificarsi».

La Gazzetta di Modena 24.01.14

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Aipo, l’ente speciale “padrone” del Secchia, di Carlo Gregori

Occhi puntati su Aipo: un coro di voci tra chi vive e lavora intorno al Secchia afferma senza mezzi termini che l’ente preposto alla sorveglianza e alla manutenzione del fiume non si vede quasi mai e che lo stato di incuria in cui versa il fiume è dovuto solo a questo ente interregionale che ha competenza in esclusiva sulle aree fluviali. È davvero così? Cos’è Aipo e come lavora a Modena? Nata dalle ceneri dell’ex ufficio del Magistrato per il Po, l’Agenzia interregionale per il Fiume Po opera dal Piemonte l Veneto lungo tutte le aste fluviali che interessano il bacino del Po (a Modena ha sede in via Fonteraso, in centro storico). Ha piena competenza per la polizia Idraulica e il servizio di piena, due compiti di massima importanza per la sicurezza del territorio oltre gli argini, oltre che elle aree fluviali. Tra i compiti, anche «gestire gli eventi estremi, partecipando alla previsione e al monitoraggio dei medesimi nonché, per quanto possibile, intervenendo a fronteggiare situazioni di criticità e di rischio». Aipo opera sui territori regionali in base ad accordi con le singole Regioni, compresa l’Emilia-Romagna attraverso un protocollo del 2001. Governata da un Comitato che dà gli indirizzi “politici” di azione, costituito da assessori delle quattro Regioni, e da un direttore che è anche legale rappresentante – oltre a un collegio di revisori che ne cura la contabile e finanziaria, Aipo è strutturata su sette “dirigenti apicali”, tre di questi coordinano le principali funzioni tecniche e gestionali, quattro si occupano di ciascuna area regionale del bacino. Il personale è di circa 360 unità. Gli interventi vengono pianificati e gestiti attraverso un Programma triennale che si sviluppa provincia per provincia. Così, per Modena, restando solo al Secchia (ci sono anche interventi per il Naviglio e il Panaro), nell’ultimo programma troviamo una copertura finanziaria per opere del valore d 2,5 milioni di euro circa tra il 2013 e il 2015. Solo per il tratto della Bassa per il 2013 erano previste spese di mezzo milione di euro per “Lavori di manutenzione per lo sfalcio e la pulizia delle arginature del Secchia” che riguardavano anche i Comuni di Modena e Carpi. Una spesa di 120mila euro era per “lavori di manutenzione della cassa di lamiazione del Secchia comprendenti la pulizia del manufatto, della briglia selettiva e della strumentazione”. Altri 250mila euro sono andati per “Lavori urgenti per la pista di servizio in sommità arginale del Secchia nei Comuni di Novi e Concordia” e ben 78mila euro per la “Sostituzione di pilastrini”. Per quest’anno il Programma prevede una spesa di 500mila euro per “Lavori di manutenzione per lo sfalcio e la pulizia delle arginature del Secchia”, da Modena a Novi e lungo tutta l’asta della Bassa. Altri 120mila euro sempre per pulire la cassa di laminazione. A questi si aggiungono 1200 euro spesi l’anno scorso e da spendere quest’anno per il “protocollo di intesa con la provincia”. Per quest’anno il protocollo di Aipo prevede un “Piano di controllo delle nutrie a difesa delle opere idrauliche”. Un altro mezzo milione di euro è previsto per il 2015 sempre per la pulizia e lo sfalcio. Nessuna notizia dal sito ufficiale Aipo sui tempi medi dei servizi erogati e sui costi. Aipo assegna anche appalti a ditte esterne.

La Gazzetta 24.01.14

"Se la Corte fa da balia ai politici", di Luigi La Spina

Era largamente prevedibile che il progetto di nuova legge elettorale presentato alla Camera dopo l’accordo tra Renzi e Berlusconi suscitasse polemiche e critiche. Come è giusto che il Parlamento rivendichi il diritto non solo di discuterlo senza imposizioni censorie, ma anche di approvare tutte quelle modifiche che possano migliorarne l’efficacia per garantire sia l’osservanza della Costituzione, sia il rispetto degli obiettivi.

Quelli di governabilità del sistema e di rappresentanza della volontà popolare.

Era anche prevedibile, forse, che sul testo, peraltro ancora non del tutto definito, si scatenasse una curiosa fiera della vanità ferita, tra ostinate invidie accademiche di star della politologia e rivendicazioni di primogenitura politica che risalgono a convegni colpevolmente perduti nella memoria. Non era davvero prevedibile, invece, che la Corte Costituzionale, dopo quasi dieci anni di silenzio sull’esecrato porcellum, si sia così innamorata del ruolo politico assunto attraverso la sentenza con la quale lo ha finalmente condannato, da esercitarlo addirittura preventivamente. Così da lasciar filtrare, certo in forma anonima, ma con assolute garanzie di autenticità e di larga condivisione, giudizi critici su una legge non solo non promulgata, ma addirittura ai primissimi passi del suo iter legislativo.

A pensarci bene, lo stupore deriva solo dall’ingenuità di chi ancora si attardi su quelle distinzioni di funzioni e su quella indipendenza dei poteri, previste nei sacri testi delle democrazie liberali, ma ormai retaggi culturali e pruderie di antichi cerimoniali da cui rifuggire nella nostra confusa Repubblica d’oggi. Ed è naturale che quando si imbocchi una scorciatoia promettente, rispetto a una più faticosa e oscura, il fresco entusiasmo rischi di far correre verso il precipizio.

Se la Consulta si fosse limitata allo scrupoloso rispetto dei limiti delle sue funzioni, senza indulgere al desiderio di essere applaudita da tutti gli italiani per la condanna di una legge odiosa e alla volontà di aiutare le forze politiche a cambiarla, ora non sarebbe costretta ad affannose e non richieste precisazioni sul dispositivo della sentenza. Non ci sarebbe la necessità di chiarire che il riferimento al sistema elettorale spagnolo, notoriamente senza preferenze, non significa una patente di costituzionalità a una legge che, in Italia, non le preveda. Con la risibile giustificazione che il richiamo alla norma iberica, in un dispositivo così meditato da richiedere settimane per essere reso noto, era solamente dovuto alla volontà di dimostrare che, nel mondo, esistono leggi elettorali di diverso tenore. Non ci sarebbe l’opportunità di raccomandare, sempre informalmente è ovvio, soglie di premi di maggioranza più alte. Non ci sarebbe la volontà di far conoscere e di far pesare, con un certo gusto intimidatorio, la larga maggioranza che queste opinioni raccoglierebbero tra i giudici della Corte. Insomma, di invadere, per di più in anticipo, campi che sono di esclusiva competenza prima del Parlamento e, poi, di un Presidente della Repubblica che si è sempre dimostrato molto attento alla osservanza dei suoi compiti, tra cui, fondamentale, quello di far rispettare la Costituzione. In quel testo, sempre lodato con troppa ipocrisia e sempre trascurato quando fa comodo, non sono previste consulenze, ufficiali o ufficiose, da parte dei giudici a politici così maldestri da combinare, se lasciati soli, guai irreparabili. Le balie non vengono invocate neanche nelle latitanze più irriducibili di latte materno, figuriamoci tra senatori e deputati per cui è prevista la maggiore età.

Può essere, naturalmente, che le critiche alla mancanza di almeno una preferenza o ai limiti troppo bassi per ottenere il premio di maggioranza siano condivisibili. Può essere che i parlamentari modifichino, su questi punti, un testo che effettivamente corre rischi di costituzionalità. Può essere che il dibattito politico, quello tra gli accademici e tra i commentatori su giornali, sulle tv e nella rete illumini le menti dei legislatori. Ma come sarebbe bello se coloro che sono investiti di altissime responsabilità istituzionali osservassero un rigido silenzio sulle intenzioni altrui. A sbagliare bastano i politici. Non è il caso che lo facciano anche i supremi giudici.

La Stampa 24.01.14