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Alluvione, i parlamentari Pd hanno incontrato i sindaci

Ottenuta la proroga delle tasse, è stato fatto il punto sulle esigenze del territorio. I parlamentari modenesi del Pd, nel pomeriggio di oggi, a Bastiglia hanno incontrato i sindaci delle aree colpite dall’alluvione. Dopo aver ottenuto con una straordinaria rapidità un decreto legge che proroga di sei mesi il pagamento delle tasse, ora si dovrà lavorare per ottenere la dichiarazione di stato di emergenza dal Governo nonché gli ammortizzatori sociali e gli indennizzi dei danni. Ecco la dichiarazione congiunta di Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari:

«La primissima richiesta arrivata dai sindaci, dai cittadini e dalle imprese, ovvero la proroga delle tasse, è stata ottenuta con una rapidità senza precedenti. Il pressing congiunto della Regione e dei parlamentari modenesi del Pd, nonostante il silenzio dei media nazionali, è riuscito a far comprendere la drammaticità di un’alluvione che ha colpito laddove aveva già fatto danni il terremoto. Per questo la proroga di sei mesi decisa dal Governo con un decreto legge, a soli cinque giorni dall’alluvione, senza attendere la consueta fase delle ordinanze, è una risposta di immediata e concreta applicazione. La mini-Imu, la Tares e la Tasi sarebbero state da pagare proprio in questi giorni e, invece, così non sarà. Questo è un primo, indubbio, importante risultato, anche se parziale. Oggi a Bastiglia con i sindaci, con i quali peraltro ci eravamo già incontrati lunedì nel pieno dell’emergenza, abbiamo fatto di nuovo il punto della situazione, anche rispetto alla prima sommaria valutazione dei danni, destinata a crescere. I nostri prossimi obiettivi sono l’ottenimento della dichiarazione dello stato di emergenza chiesta dalla Regione al Governo, degli ammortizzatori sociali per i 5mila lavoratori, dipendenti e autonomi, che hanno visto le loro prospettive lavorative letteralmente sommerse dall’acqua e i risarcimenti per i danni riportati, una volta ultimato il censimento. Famiglie, imprese, esercizi commerciali hanno perso tutto: è responsabilità collettiva non lasciarli soli e restituire loro la speranza per ricominciare con adeguati indennizzi. Mentre i sindaci, i vigili del fuoco, l’esercito, le forze dell’ordine, le centinaia di volontari sono impegnati a ripristinare le condizioni di una vita normale,
nei centri urbani e nelle campagne, a partire dalla riapertura delle scuole lunedì mattina, il percorso da seguire è per noi chiaro, e dopo il terremoto purtroppo anche rodato: si deve procedere di concerto con le amministrazioni e le associazioni del territorio, unitamente alla Regione, in modo determinato e senza scoraggiarsi. Il nostro impegno al loro fianco non verrà meno».

"Quei 4mila prof da pensione costretti a rimanere in aula", di Flavia Amabile

Un altro fronte si sta aprendo nella scuola dopo la battaglia sugli scatti vinta dai docenti e da chi ha combattuto con loro. Si tratta dei ‘Quota 96’ circa 4mila professori che per effetto della legge Fornero sulle pensioni è stata costretta a rimanere al lavoro a differenza di altri dipendenti della pubblica amministrazione. Parliamo di professori ormai sessantenni che dopo anni di lavoro in classe pensavano di essere arrivati alla pensione e che invece per tre mesi sono obbligati a lavorare ancora per anni occupando posti che potrebbero essere liberati a favore di migliaia di precari che sono fermi ad aspettare. La legge Fornero, infatti, aveva arretrato la data per andare in pensione al 31 dicembre 2011, anziché al 31 agosto, come previsto dalla legislazione scolastica, sconvolgendo da un giorno all’altro la vita di migliaia di persone convinte di aver fatto il proprio dovere e di poter andare in pensione dal 1 settembre 2012.

La battaglia è in corso da tempo. La questione è stata segnalata con lettere e lettere a tutti, dal premier Enrico Letta alla ministra dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. La soluzione non è eccessivamente onerosa ma finora da parte del governo nessun segnale. Ora i ‘Quota96’ hanno scritto anche a Renzi nella speranza che almeno lui possa compiere il miracolo di sbloccare la loro situazione.

www.lastampa.it

Italiano per stranieri, la lotta degli «insegnanti invisibili», di Giuseppe Vespo

Sono molti, sono qualificati e alcuni lavorano pure per le Università, gli istituti di cultura o le multinazionali con sede in Italia. Ma sono invisibili. Almeno agli occhi del ministero dell’Istruzione. Eppure gli insegnanti di italiano per stranieri L2/Ls (si chiamano così: L2 sta per seconda lingua, Ls per lingua straniera) esistono da tanti anni e sono arrivati ormai anche al cinema con «La mia classe», un film di Daniele Gaglianone con Valerio Mastandrea nei panni di chi insegna la lingua per migliorare l’integrazione. Per farsi vedere, contarsi e chiedere di essere riconosciuti professionalmente, si stanno riunendo in gruppi e associazioni. E hanno lanciato una petizione che in poco tempo ha raccolto quasi seimila firme. Chiedono il «riconoscimento ufficiale della professione di insegnante di italiano L2/LS da parte del Miur» e «una certificazione univoca che attesti tutte le nostre qualifiche». Che sono numerose. Le certificazioni si chiamano Ditals, Cedils, Dils-pg, ma esistono anche corsi post laurea e master. «È una professione nata quasi spontaneamente, alcuni tra i primi non erano nemmeno laureati», racconta Carlo Guastalla, insegnante e autore di manuali didattici. «Una delle prime scuole a breve compirà quarant’anni. Il boom però c’è stato quando le università per stranieri di Perugia e Siena hanno lanciato i primi corsi per insegnare ad insegnare la lingua. Oggi l’offerta formativa è enorme, manca il riconoscimento da parte della scuola pubblica». Eppure quando tra il 2006 e il 2008 il ministro dell’Istruzione del governo Prodi era Fabio Mussi, il riconoscimento degli insegnanti L2/Ls sembrava all’ordine del giorno. Tanto che, per arrivare prima delle altre l’Università Ca’ Foscari di Venezia aveva organizzato una Ssis specifica (Ssis erano le scuole per la formazione degli insegnanti). Vi parteciparono per due anni sessanta laureati da tutta Italia, pagando rette e studi, ma alla vigilia dell’esame si videro sbattere le porte in faccia. Il governo era cambiato e l’istituzione della classe di insegnamento, che con Mussi sembrava imminente, con il ministro Gelmini non arrivò. Così, grazie anche al pasticciaccio della Ca’ Foscari vagano sessanta insegnanti quasi abilitati per una classe di concorso che non esiste. Nel frattempo, visto che di loro ci sarebbe bisogno, si sente dire che i Comuni affidino a professori in pensione e volontari i corsi di alfabetizzazione di cui necessitano bambini e cittadini stranieri. È accaduto a Brescia e a Bologna. Lodevoli iniziative di volontariato, agli occhi di chi non ha competenze di insegnamento agli stranieri. Errori da matita blu, per gli insegnanti di italiano L2/Ls. «Innanzitutto si fa un danno di tipo economico, perché si fa lavorare chi è in pensione al posto di chi è precario e qualificato», dice Andrea Meccia, che fa parte del gruppo nato insieme al blog http://riconoscimentoitalianol2ls.wordpress.com/. «Ma si fa un danno anche agli studenti, perché sono seguiti da insegnanti senza alcuna competenza». Tecniche, esperienza e un corretto «approccio comunicativo», ovvero «la capacità di comunicare in lingua italiana a una pluralità di persone che non condivide la una lingua comune».

L’Unità 25.01.14

Prima risposta del governo «Tasse sospese fino a luglio», di Davide Berti

Il Governo ha battuto un colpo. Ci ha messo cinque giorni – oggi è il sesto da quando è scattata l’emergenza – ma la prima risposta, anche se ancora non esaustiva, è arrivata, con il rinvio del pagamento delle tasse.
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI «Nel decreto c’è un provvedimento che riguarda le zone colpite dall’esondazione del fiume nel Modenese, zone che erano già state colpite dal terremoto. Siamo intervenuti con norme sugli adempimenti tributari: tasse sospese dal 17 gennaio al 31 luglio». Lo ha detto il premier Enrico Letta dopo il consiglio dei ministri che si è concluso ieri sera attorno alle 19.
ERRANI GUARDA AVANTI «Si tratta di un primo importante provvedimento che riguarda cittadini e imprese di ogni comparto oggi colpiti dall’alluvione e già pesantemente danneggiati dal terremoto 2012», ricorda Errani: «Puntiamo poi alla proclamazione dello stato di emergenza per la prossima settimana e, come prevedono le norme, abbiamo avviato la necessaria ricognizione. Infine, sottolineo la necessità che siano pienamente riconosciuti i danni subiti dalle famiglie e dalle imprese, lo merita una comunità laboriosa e tenace, che non vuole arrendersi, e lo merita un tessuto economico e produttivo di grande valore per il Paese, nell’agricoltura come nell’industria, nell’artigianato, nel commercio». PARLAMENTARI SODDISFATTI Dopo l’alluvione di domenica, i parlamentari modenesi del Pd erano intervenuti a più riprese nei due rami del Parlamento per incalzare il Governo a prendere con rapidità provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese danneggiate. «Dal Governo Letta non parole di circostanza – commentano stasera ora – ma fatti concreti e rapidi in aiuto delle famiglie e delle imprese alluvionate». Oggi pomeriggio, i parlamentari incontreranno di nuovo i sindaci delle zone alluvionate per fare il punto della situazione e delle richieste.
INTERVENTI SUI FIUMI A breve potrebbero partire i primi interventi straordinari sui fiumi e i canali della bassa modenese, per migliorare la sicurezza della zona messa in ginocchio di nuovo dall’alluvione di questi giorni. A dirlo è l’assessore regionale alla difesa del suolo, Paola Gazzolo, in una nota: «Oltre all’emergenza, che è la nostra priorità, continuiamo a lavorare anche per portare avanti un piano di interventi straordinario, per entità e tempi di realizzazione, su tutto il nodo idraulico Secchia-Panaro-Naviglio. Ci sono le condizioni per fare presto e bene perchè sono già cantierabili diversi interventi nelle zone colpite». A questo proposito, la giunta Errani «aveva inviato al Governo, prima dell’evento, una richiesta di ulteriori finanziamenti pari a 19 milioni di euro», da sommarsi agli «oltre 28 milioni di euro per opere già realizzate o in corso di realizzazione».
FONDO DI SOLIDARIETÀ È stata firmata dal ministro delle politiche agricole Nunzia De Girolamo la dichiarazione dello stato di eccezionali avversità atmosferiche: «Gli agricoltori – scrive il ministro – che a seguito di tali eventi hanno subito danni alle produzioni agricole, alle strutture aziendali ed alle scorte, potranno così accedere al fondo di solidarietà nazionale». Speriamo sia solo l’inizio.

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«Vasco Errani come commissario straordinario»

Coldiretti: già si occupa del terremoto, conosce il territorio Rete Imprese: garantire alle aziende indennizzi al 100%. «Col rientro degli imprenditori nelle sedi delle loro attività, si sta rivelando quanto purtroppo le peggiori previsioni facevano temere: l’alluvione ha causato danni ingentissimi, con il rischio di un definitivo affossamento dell’economia». A lanciare l’allarme è Rete Imprese di Modena. Dalle prime stime raccolte da Ascom, Cna, Confesercenti e Lapam-Confartigianato, sta infatti emergendo che «pur essendo i danni strutturali esigui, quelli alle attrezzature, ai macchinari, agli arredi, alle scorte di magazzino sono pesantissimi» nell’ordine di diverse decine di migliaia di euro per i piccoli negozi di genere extralimentare, in cui merce e arredi sono da buttare per intero e gli impianti da rifare; si sale agli oltre 100mila euro, per alimentari e bar e ristoranti nei quali oltre a merce ed arredamento, danneggiati ed inservibili sono frigoriferi ed altre attrezzature. Il bilancio «è poi peggiore, nell’ambito delle attività artigianali e manifatturiere, dove i danni tra strutture produttive e macchinari variano dalle diverse centinaia di migliaia di euro, verosimilmente ammonteranno a diversi milioni di euro… Senza contare che ad una situazione già di per sè drammatica si dovranno aggiungere le perdite per il fermo attività che può durare mediamente da un mese a tre mesi». Di fronte ad una situazione «di così straordinaria gravità le duemila imprese del commercio, del terziario e del manifatturiero colpite devono avere la certezza da subito che potranno contare sugli indennizzi al 100% dei danni subiti. In caso contrario – avverte Rete Imprese – dovremo contare molte chiusure con una perdita di posti di lavoro che potrebbe superare le 5mila unità comprendendo anche i titolari ed i soci delle imprese». Pur riconoscendo il lavoro di Vasco Errani «dobbiamo sottolineare che questa tragedia esige tempi di risposta assolutamente celeri». Alle imprese «dovranno essere riconosciuti e rimborsati i danni subiti, mentre si mostra sempre più indispensabile l’istituzione di una fiscalità di vantaggio che possa loro permettere di affrontare la sfida della ripartenza. Pena la chiusura», conclude Rete Imprese. Proprio su Vasco Errani punta, per uscire dall’emergenza, la Coldiretti: dovrebbe essere lui, commissario straordinario per il terremoto, a guidare la ripresa dei territori inondati dal Secchia. Questo per «evitare che il sovrapporsi di competenze porti ad una dispersione di risorse e ad un rallentamento di tempi». Poichè i Comuni della zona alluvionata sono anche Comuni colpiti dal terremoto, spiega Coldiretti, affidarsi ad un unico commissario «che conosca bene la situazione può razionalizzare e rendere più efficaci gli interventi». Secondo coldiretti gli interventi più urgenti sono sospensione dei pagamenti fiscali, assicurativi e previdenziali nonchè di tutti i pagamenti legati a bollette, canoni di affitto e iscrizione alla camera di commercio. È «inoltre indispensabile una norma speciale per intervenire in deroga al decreto sulle calamità naturali, privo di risorse, per l’introduzione di uno stanziamento ad hoc per ripristinare strutture, attrezzature, frutteti, vigneti e colture distrutte».

La Gazzetta di Modena 25.01.14

"Sconto sul rientro dei capitali con sanzioni dimezzate e sanatoria penale dei reati", di Roberto Petrini

Arriva la mini-sanatoria, o collaborazione volontaria, per il rientro dei capitali all’estero, con sconti sulle sanzioni e cancellazione di reati penali. «Nessun anonimato, ma una scommessa per consentire ai cittadini che hanno capitali all’estero bloccati di riportarli in patria», ha spiegato il premier Letta ieri dopo il consiglio dei ministri che ha
varato la «volontary disclosure». «Né condono, né amnistia, ma un cambio epocale», ha spiegato il ministro dell’Economia Saccomanni. L’operazione rientro dei capitali riguarda teoricamente 180 miliardi detenuti dagli italiani all’estero. Il ricavato andrà ad investimenti e riduzione delle tasse.
CHI riguarda?
La mini-sanatoria riguarda tutti coloro, persone fisiche, che hanno costituito una provvista di capitali all’estero e non l’hanno dichiarata nella denuncia dei redditi nel relativo quadro denominato con la sigla «RW». Le casistiche che stanno a monte della provvista sono le più note nell’elenco dell’evasione italiana: pagamenti estero su estero, fondi neri, fatturazioni false. Ma ci sono anche esportatori di capitali che non hanno un reato alle spalle: ad esempio coloro che hanno trasferito capitali all’estero durante la recente crisi per paura del consolidamento dei Bot.
Come funziona la collaborazione volontaria?
Per fare la «collaborazione volontaria » si deve andare spontaneamente all’Agenzia delle entrate, senza che si sia già stati colpiti da un avviso di accertamento, un’ispezione o una verifica: perché in questo caso la «spontaneità » viene meno. A quel punto – e questa è una delle novità della procedura che è tutt’altro che anonima – si deve rendere conto della cifra e dare tutti i «documenti e le informazione per la ricostruzione dei redditi». Ciò per individuare come si sono formati i capitali trasferiti all’estero ed identificare tipologie di evasione e reati penali.
Quali termini sono previsti per aderire?
La sanatoria vale per i capitali non dichiarati fino al 31 dicembre dello scorso anno. C’è tempo per l’autodenuncia fino al 30 settembre del 2015.
Di quanti anni è retroattiva la sanatoria?
Dai quattro ai cinque anni, perché se si va ancora più indietro scatta la prescrizione per gli accertamenti fiscali. Dunque chi ha portato capitali all’estero nel 2008 e non li ha dichiarati nel quadro «RW» della dichiarazione del 2009 può aderire. Prima di quell’anno, non c’è niente da fare.
Quanto si paga?
Si devono pagare intanto tutte le tasse evase. Dalla «confessione » fatta all’Agenzia delle entrate per aderire escono infatti le tasse evase, Irpef piuttosto che Iva, dunque bisognerà pagarle tutte.
E le sanzioni?
Questo è il vantaggio pecuniario concreto dell’operazione «volontary disclosure»: le sanzioni sono ridotte del 50 per cento se i capitali tornano in Italia, del 25 per cento se restano altrove. La legge oggi stabilisce che le
sanzioni ammontano ad un massimo del 15 per cento per chi esporta all’estero (salgono al 30 per chi esporta nei paradisi fiscali). Per capirci: con la sanatoria si paga il 7,5 per cento dello stock di capitali esportato illecitamente.
E le manette?
Naturalmente nell’aver compiuto l’evasione che ha costituito i capitali successivamente esportati, spesso si è commesso
un reato penale. I reati di dichiarazione infedele (da 1 a tre anni) e di omessa dichiarazione (da 1 a tre anni) vengono cancellati. Invece il reato di falsa fatturazione viene dimezzato (oggi va da 1 anno e sei mesi a 6 anni).
Dove andranno le risorse recuperate?
Riduzione delle tasse sul lavoro e investimenti.
E l’antiriclaggio?
L’introduzione del reato di autoriciclaggio (utilizzo dei soldi da parte dello stesso soggetto che li ha rubati) è stato rinviato ad un prossimo provvedimento.

La Repubblica 25.01.14

"Evasione, la scommessa del governo", di Paolo Baroni

Qualche sconto di pena sui reati minori ma nessuno sconto sulle tasse. Nessun condono, nessuna amnistia. In materia di lotta all’evasione il governo cambia strada rispetto alle esperienze passate e batte finalmente un colpo. Per cercare di recuperare i capitali illecitamente esportati all’estero arriva la «collaborazione volontaria», o «volontary disclosure» come la chiamano gli esperti.
Non è certo la guerra senza quartiere che ci si aspetterebbe di fronte ad un’evasione che sappiamo ancora dilagante ma è certamente un altro passo in avanti, perché si aumenta il pressing. Rispetto agli scudi ed ai condoni di un tempo, che poi alla fine spesso hanno prodotto più illusioni che incassi reali, non ci sono sconti fiscali – le imposte previste si pagano tutte – e non c’è più la garanzia dell’anonimato. Adesso per «aderire» bisognerà uscire allo scoperto, bisognerà insomma metterci la faccia, dichiarare nome e cognome, e così si potranno sanare i capitali ed i patrimoni detenuti all’estero. Il «bonus» vale sino a settembre 2015. Dopo di che dovrebbero essere davvero guai veri per chi viene pizzicato con conti all’estero. E in cambio dell’adesione che cosa si ottiene? Il contribuente non verrà punito per l’omessa dichiarazione o la dichiarazione infedele (reato che sino ad oggi comportava da 1 a 3 anni di carcere), pagherà sanzioni amministrative ridotte e si vedrà dimezzare le pene (che oggi vanno da 18 mesi a 6 anni) per la dichiarazione fraudolenta, l’uso di fatture false o la costruzione di operazioni inesistenti.

Funzionerà? Servirà la nuova legge a recuperare tutto o in parte i capitali fuggiti all’estero, a cominciare da quelli custoditi nei forzieri delle banche svizzere? Le stime parlano addirittura di 180 miliardi di euro «nascosti» in Ticino e nel resto della Confederazione, soldi che sono tutt’ora protetti da un segreto bancario che inizia sì a vacillare un poco ma che ancora non si può dire caduto. La trattativa con le autorità svizzere, lo ha confermato ieri il ministro dell’Economia Saccomanni, che a Davos ha incontrato la collega d’oltralpe, «procede bene»; ma è presto per ipotizzare una data per la firma finale. Anche perché, rispetto ai mesi passati, al momento di stringere la posizione della Confederazione si sarebbe in qualche modo irrigidita. Difficile avere da subito lo scambio automatico e totale dei dati, come prevede ad esempio l’accordo siglato nelle scorse settimane con gli Stati Uniti, più probabile una forma di collaborazione rafforzata con uno scambio però ridotto di informazioni.

In assenza di un’intesa con la Svizzera, ultima vera cassaforte degli evasori made in Italy, quella del governo è insomma una scommessa. Ma calcolata. L’idea che si sono fatti il presidente del consiglio Enrico Letta e il ministro Saccomanni è che, comunque, il pacchetto di norme sul rientro dei capitali una sponda agli evasori la offra. Perché di fatto, tra accordi bilaterali di scambio delle informazioni e Paesi che hanno deciso uscire dal limbo dorato dei paradisi fiscali per effetto dell’aggressione messa in atto da parte degli organismi internazionali, quelle ricchezze sono come congelate. E’ molto più difficile poterle utilizzare e dunque, se questa montagna di euro «svizzeri» e non solo non può essere spesa, può essere conveniente comunque rimpatriarla. Anche a costo di pagare un conto discretamente salato. Anche a costo di metterci la faccia. Oppure per sfuggire al nuovo reato di autoriciclaggio che di qui a qualche mese entrerà in vigore anche da noi.

E’ una scommessa, appunto. Se verrà vinta e in quale misura lo scopriremo nei prossimi mesi. Un accordo forte con la Svizzera aumenterebbe certamente le possibilità di successo. E di conseguenza gli incassi che, come sappiamo, saranno essenzialmente destinati al rilancio dell’economia. Si è detto al taglio delle tasse sul lavoro, in realtà trattandosi di entrate una tantum andranno a ridurre il debito e a finanziare nuovi investimenti. Comunque sia sono risorse in più che avremo a disposizione: una buona ragione per fare tutti il tifo per il successo di questa operazione.

La stampa 25.01.14

"La Rai contro il Governo nella guerra del canone", di Giovanni Valentini

La pressione fiscale che sopportiamo è giusta come ammontare complessivo, ma è mal distribuita. (da “In Italia paghiamo troppe tasse. Falso!” di Innocenzo Cipolletta – Laterza, 2014 – pag. 35). La paradossale situazione in cui s’è messa la Rai, ricorrendo al Tar del Lazio contro lo stop all’aumento del canone deciso dal Ministero dello Sviluppo economico, e cioè contro il suo stesso azionista, rappresenta tutte le ambiguità e le contraddizioni della governance che regola il servizio pubblico nel nostro Paese. È vero che c’è un precedente che risale al 2005. Ma allora quel ricorso fu lasciato decadere un anno dopo e ciò conferma comunque la condizione di precarietà in cui versa da sempre la gestione dell’azienda radiotelevisiva.
In un’intervista al nostro giornale, il ministro Flavio Zanonato ha già spiegato il suo intervento con la necessità di dare un apprezzabile “segnale di tregua” alle famiglie, in un momento così difficile di crisi. Per effetto dell’adeguamento automatico al costo della vita, previsto dalla sciagurata legge Gasparri, quest’anno il canone sarebbe dovuto aumentare di 1,5 euro, per arrivare a un totale di 150. Il mancato incremento, dunque, sottrarrà 30-35 milioni alle casse di viale Mazzini.
Ma è stato lo stesso Zanonato a mettere opportunamente il dito sulla piaga, ricordando che l’evasione del canone Rai ammonta a circa 450 milioni l’anno (pari al 25% degli incassi complessivi) e rilanciando la necessità di combattere il fenomeno. Basterebbe già questo per rimettere in ordine i conti dell’azienda pubblica. E francamente non si vede come lo Stato possa fare la lotta alla nostra colossale evasione fiscale, quantificata in più di 50 miliardi dalla Guardia di Finanza per il 2013 e calcolata addirittura in 120 dalle stime degli esperti, se non riesce a contrastare quella ben più modesta e di più facile accertamento che viene praticata attraverso gli apparecchi radio e tv. È superfluo aggiungere che anche in questo caso chi paga regolarmente il canone, lo paga “pro quota” pure per i più “furbi”.
Eppure, i rimedi non mancano. Dalla proposta di collegare l’abbonamento radio-tv alla bolletta elettrica fino alla soluzione francese che lo applica alla taxe d’habitation
(sì, anche lì vige la tassa sulla casa). E già in passato su questo giornale avevamo lanciato l’idea di modulare l’imposta del canone in rapporto alle fasce di reddito, per renderlo socialmente più equo e accettabile.
Ma, in vista del rinnovo della concessione nel 2016, la vera questione riguarda l’assetto e – appunto – la governance della
Rai, su cui l’associazione “Move On Italia” ha promosso un confronto pubblico intorno a un “tavolo” della società civile. Per affrancare definitivamente il servizio pubblico dalla sua cronica sudditanza alla politica, è necessario innanzitutto trasferire la proprietà dell’azienda dal ministero dell’Economia a una Fondazione, rappresentativa delle varie componenti sociali. Questa, a sua volta, dovrebbe nominare un consiglio di amministrazione ristretto a cinque membri, con un amministratore delegato dotato di pieni poteri, senza dipendere né dal Parlamento né tantomeno dal governo.
Poi, in linea con la mission del servizio pubblico, c’è da ridefinire quello che si chiama il core business dell’azienda. Chi ha stabilito che la Rai debba avere 14 canali tv e 10 canali radio, come vanta in questi giorni lo spot promozionale sul canone d’abbonamento in scadenza il 31 gennaio? Alla televisione pubblica potrebbero anche bastare due reti generaliste e quatto o cinque reti tematiche, per svolgere adeguatamente i suoi compiti. E, magari, sarebbe utile una più organica convergenza con il web, come perno dell’alfabetizzazione digitale del Paese.
In questa ottica, e in funzione di un target editoriale diversificato, a Rai Uno spetta evidentemente un ruolo più istituzionale. E si può riconoscere che, sotto la guida di Giancarlo Leone, la rete sta proponendo un palinsesto di maggiore impegno e qualità. Deve preoccupare, invece, il calo di Rai Tre che — secondo i dati dello Studio Siliato di Milano — perde ascolti sia nel giorno medio che in prima serata, sia nel confronto trimestrale (quarto trimestre 2011-2013) che gennaio su gennaio (1-20 gennaio 2011-2012-2013-2014).
Non sarà, comunque, l’euro e mezzo in meno negato ora da Zanonato a mettere in crisi il bilancio di viale Mazzini. In nome dei sacrifici che tutti siamo chiamati a sopportare, basterà ridurre magari qualche compenso stratosferico a certi conduttori, qualche contratto a certi produttori esterni o qualche commissione a certi agenti, per rispettare la linea del rigore finanziario già intrapresa lodevolmente dalla direzione Gubitosi.

La Repubblica 25.01.14