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"L’immaginazione al potere", di Laura Pennacchi

Per tradurre in opportunità rivitalizzanti i gravi problemi che il 2014 porterà con sé, la politica ha bisogno di darsi grandi «missioni» per identificare le quali sono fondamentali pensiero e idee ma anche lo slancio dell’immaginazione. Nell’anno in cui ricorre il centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale ciò è vero sia per l’Italia sia per l’Europa, entrambe attese, se non vogliono diventare preda di spinte populistiche rancorose, alla sfida di un profondo rinnovamento ideale. Ne è un segnale la gamma di problematiche per le quali si chiede una rottura delle «convenzioni» e delle prescrizioni standard che ci hanno guidato fin qui e si invoca la «non convenzionalità» delle politiche: dalla urgenza di uscire dalla recessione economi- ca, alla opportunità di dare soluzioni innovative alle crisi industriali e bancarie, alla necessità di generare lavoro per giovani e donne in quantità inusitata e in forme creative. L’«immaginazione al potere» può tornare ad essere uno slogan trascinante, grazie al quale mobili- tare le risorse per dare vita a un nuovo «progressismo» e a un nuovo «umanesimo» di ascendenza illuministica addirittura di tipo kantiano.
La progettualità si avvale dell’immaginazione e delle sue forti componenti trasformative ed emancipative. L’immaginazione è alla base dell’attivazione del sentire, della formazione di equilibri/squilibri emotivi, dello sviluppo dell’impulso progettuale verso un più largo senso dell’umano e verso il futuro. Richiamare a sé la facoltà di immaginare vuol dire accende- re intrinseche capacità di autotrasformazione. Come nella Critica della Ragion Pratica e nella Critica del Giudizio di Kant, la datità del presente è superata dall’immaginazione, che rappresenta il possibile e spinge alla trasformazione dell’esistente, consentendoci di liberarci dei nostri particolarismi, di riconoscere il punto di vista degli altri, di raggiungere la più profonda razionalità del giudizio. Visione che supera la datità e prefigurazione di quadri alternativi so- no contenuti anche nel «nuovo inizio» di Hanna Arendt, non a caso sensibile lettrice della terza critica di Kant. L’immaginazione congiunge le potenzialità trasformative della vita affettiva con quella derivanti dalla sempre possibile dilatazione volontaria della propria psi- che, permettendo «strategie emotive» – come la nostalgia della vulnerabilità o la riscoperta del senso perduto del limite – volte a superare lo scarto e il «dislivello prometeico» tra la nostra potenza produttiva e la nostra capacità percettiva.
L’immaginazione è una facoltà cruciale anche per l’etica, individuale e collettiva, e per la ricerca della giustizia. L’immaginazione fonde l’esplorazione e l’attenzione, forza il limite di ciò che esperiamo direttamente, ricrea – in una realtà banalizzata all’estremo dalla riproduzione seriale di immagini e di simulazioni – un universo di significati e ne moltiplica le possibilità. Ciò che Anders chiama «fantasia mora- le» nutre l’impulso al cambiamento, il progresso morale, il desiderio di diventare migliore, passando attraverso l’amicizia, l’amore, la fiducia, l’ammirazione e la gratitudine, forme molteplici che ci aprono agli altri e a nuove possibilità di essere. L’immaginazione ha, dunque, una forza anche morale, in quanto attivatrice di sentimenti e di pensieri che inducono a riorganizzare la vita interiore e la condotta me- diante specifiche attività della mente e del cuore, le quali caratterizzano la dimensione etica non solo come esercizio di volontà e regolazione razionale ma anche come impegno pubblico spinto da passioni e emozioni. In un mondo pervaso da dolore, gioia, violenza, aggressività, amore, amicizia, la chiarificazione concettuale e la generazione di nuovi vocabolari, con- sentiti da una immaginifica «conoscenza» morale, giocano un ruolo fondamentale. L’immaginazione opera come un vero e proprio organo dilatando e approfondendo la percezione della realtà, ridisegnando alla luce di un’ideale i contorni di una situazione, di un’esperienza, di una vita, lavorando sui confini tra il necessario, il possibile, l’auspicabile. Molto più spesso di quanto non si creda, l’etica incorpora uno sforzo di immaginazione, ossia un investimento di energie creative che sovverte tradizionali distinzioni e attiva rapporti non oppositivi ma di reciproco richiamo e completamento tra emozione e ragione, corpo e mente. Come dice Laura Boella «la riabilitazione dell’immaginazione in ambito morale fa tutt’uno con l’attribuzione di una valenza etica al pensiero, alla capacità di ideazione e di significazione della mente, contro l’idea che organo della morale sia la
Maramotti volontà e che tra intenzione, motivazione e scelta, ci sia uno iato; l’immaginazione svolge un’attività “costruttiva” e interpreta il mondo come dotato di significato e valore».
Il problema non è tanto di riconoscere che le emozioni e l’immaginazione possono essere motivi dell’azione umana – cosa che si fa da tempo immemorabile – quanto non limitarsi a un riconoscimento che le individua solo come cause «cieche» dell’azione e «ostacoli» alla razionalità ponderata, perseguendo un riconosci- mento che le individua come «ragioni morali», dotate di autorevolezza raziocinante e forza normativa. L’antinomia tra razionalismo (per cui la ragione è totalmente aliena dalla passio- ne) e sentimentalismo (i sentimenti sono verificati solo nella loro contingenza) va, dunque, superata e va scoperto il ruolo epistemico (in quanto cognizione, precognizione, subcognizione) che le emozioni svolgono nell’articolazione della ragione, soprattutto quella pratica. La via maestra è indicata proprio da Kant, laddove colloca la costruzione dell’autorità del giudizio morale, ricorrente a una concettualizzazione a priori, nella «seconda natura» dell’esse- re umano – costituita dalla capacità di autori- flessione – concepita in continuità con il «naturale» e sviluppata nell’apertura verso gli altri come senso di giustizia e come etica pubblica. L’immaginazione fa tesoro dell’empatia, vale a dire del sentirsi partecipi delle gioie e delle sofferenze degli altri. L’empatia racchiude, in reciproco sostegno, sia ragione sia istinto psicologico, avvalorando la funzione di apertura, di dilatazione dell’immaginazione, di liberazione spesso svolta dai sentimenti, fondando su basi solide l’interesse presente nella mente umana per la bontà, la correttezza e la rettitudine.

L’Unità 08.01.14

La rivolta della comunità scientifica", di Eugenia Tognotti

L’ultimo, durissimo attacco della rivista Nature al metodo Stamina aggiunge un capitolo nuovo alla complicata e spinosa vicenda che occupa le cronache da mesi. La sdegnata presa di distanza di alcuni nomi eccellenti della ricerca italiana è una bella (e confortante) novità che, di certo, contribuirà a introdurre elementi di chiarezza in una storia in cui si muovono scompostamente tanti personaggi, in ruoli diversi, e in una torre di babele di tante lingue: quella dei malati, dei sostenitori del metodo, dei ricercatori, dei politici, dei testimonial.

Apre nuovi scenari il fatto che scienziati del livello di Carlo Croce ed esperti di primo piano come Carlo Redi, Giulio Cossu e Francesca Pasinelli abbiano manifestato la loro avversione.

Il primo con le dimissioni, i secondi con la loro uscita dall’associazione Cure Alliance, in dissenso col fondatore, il diabetologo dell’Università di Miami, Camillo Ricordi. Intanto è stata messa in discussione la legittimazione scientifica (o qualcosa che le assomigliava molto) da parte quest’ultimo – che aveva imprudentemente definito «sicuro» e «promettente« il metodo utilizzato da Vannoni , tanto da offrire la disponibilità ad effettuare dei test negli Stati Uniti. E questo nonostante il fatto che Stamina da tempo al centro di feroci polemiche, in particolare da parte dei biologi molecolari (non solo in Italia) circa la trasparenza e la riproducibilità dei risultati ottenuti. Ma non solo. Questa volta, non è un singolo scienziato a far sentire la propria voce contro il mancato rispetto dei canoni del metodo scientifico, ma una parte importante della comunità scientifica che si occupa e, da tempo, di staminali e che fa capo a prestigiosi centri di ricerca.

Diciamocelo. La vicenda Stamina non ha giovato all’immagine dell’Italia, come dimostra, una volta di più, quest’ultimo articolo di Nature che rimanda a tutti i passaggi controversi come l’accordo di riservatezza, insolitamente severo, e del tutto ingiustificato ( dato che non vi è proprietà intellettuale), che i membri del Comitato scientifico chiamato dal Ministero della Salute avevano dovuto firmare. Dai verbali emergono «serie imperfezioni e omissioni nel protocollo Stamina», nonché «un’apparente ignoranza della biologia delle cellule staminali». Ma non basta. Agli «errori concettuali» nel protocollo – infierisce Nature – si aggiunge il fatto che «alcune sezioni sono state copiate da Wikipedia». La pistola fumante, si potrebbe dire. Un richiamo che farebbe arrossire un tesista, scoperto dal relatore ad attingere a quell’enciclopedia online. Restano le profonde preoccupazioni sulla sicurezza e l’efficacia della terapia con cellule staminali.

Non c’è che da sperare che quest’altro colpo alla credibilità del metodo Stamina abbia ragioni delle tante pressioni che hanno avuto la meglio sulla voce della scienza ( e del buonsenso). Qualcosa con cui l’Italia aveva dovuto fare i conti al tempo di Di Bella. Senza imparare nulla, a quanto pare.

La Stampa 08.01.14

Famiglia, fine del patriarcato “Ai figli si potrà dare il solo nome della madre”, di Caterina Pasolini

Italia condannata, in nome della madre. Messa all’indice perché nega ai genitori la libertà di scelta, il diritto, riconosciuto in mezza Europa, di chiamare i propri figli anche solo con il cognome materno. Ancora una volta il nostro paese è accusato di non rispettare i diritti civili, di restare indietro rispetto alla storia e alle evoluzioni della società. È stato infatti giudicato colpevole dalla Corte di Strasburgo di discriminazione nei confronti «della vita privata e delle donne» avendo negato a una coppia di coniugi di Milano la possibilità di dare alla figlia il solo cognome materno e non quello del padre. Una possibilità comunque prevista in varie forme e gradi dalla Francia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Spagna.
«È una sentenza importante, soprattutto dal punto di vista culturale, è il riconoscimento di un diritto e di una pari opportunità. Ora mi darò da fare perché, come chiede l’Europa, si faccia la legge» dice Maria Cecilia Guerra, responsabile delle Pari opportunità, mentre il premier Enrico Letta twitta: «La Corte di Strasburgo ha ragione. Adeguare in Italia le norme sul cognome dei nuovi nati è un obbligo».
In Italia, dopo vent’anni di disegni di legge affossati e nonostante la Cassazione abbia dato picconate al patronimico bollato in più sentenze come «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l’evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali», non ci si può ancora chiamare solo col cognome materno. Al massimo, e quasi fosse una gentile concessione di una lunga e faticosa burocrazia, si può aggiungerlo a quello del padre.
Ma ecco la nuova sentenza europea che cambia le carte in tavola, spinge i politici a prendere posizione (un sì arriva anche da Deborah Bergamini di Fi) e ha origine nel lontano ‘99. Ad aprile di quell’anno nasce infatti a Milano Maddalena. I suoi genitori, Luigi Fazzo e Alessandra Cusan, la vorrebbero chiamare col cognome della madre, ma si trovano davanti a un muro burocratico, ad un secco no dell’anagrafe. Decidono di lottare e ora, dopo 15 anni e altre due richieste regolarmente presentate a ogni nascita di figlio, si vedono riconosciuto il diritto alla libertà di scelta, che però non ha valore immediato, ci dovrà essere una legge italiana a garantirlo. «I nostri tre ragazzi ormai hanno il doppio cognome ottenuto dopo lunghe burocrazie,
la legge speriamo serva per quando diventeranno genitori », dice mamma Alessandra.
Dalla Ue arriva l’invito a mettersi rapidamente in regola, ad adottare riforme legislative in linea con la sentenza e con i tempi, perché «aggiungere il cognome materno dopo quello del padre non garantisce un’effettiva eguaglianza tra i coniugi», perché vi sia parità, ci deve essere insomma la possibilità di mettere anche solo il cognome di chi ci ha partorito.
E se tra le prime a muoversi negli anni era stata l’avvocato Giulia Bongiorno, come relatrice in parlamento di una legge per il diritto al cognome materno, ora in parlamento sono tre le proposte di legge (Pp, Fi e Nuovo Centrodestra), mentre on line, sul sito equalityitalia. it, è stata invece lanciata una petizione dal titolo «nel cognome della madre», già sottoscritta da migliaia di donne. «La sentenza della Corte europea di Strasburgo è una vera svolta per la parità tra i sessi», commenta Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani: «Le nostre leggi sono ancora fortemente di stampo patriarcale. Da vent’anni si parla di libertà nell’attribuzione del cognome ai figli, ma sono forti le resistenze».

La Repubblica 08.01.14

"La censura che aiuta i seminatori di odio", di Pierluigi Battista

Dieudonné M’Bala M’Bala è un famoso comico francese, ma soprattutto è un orribile antisemita che sparge scientemente odio contro gli ebrei. Ora le autorità francesi vogliono chiudere i suoi spettacoli. Ma la discussione non verte su quanto sia spregevole uno che si vanta di «aver strappato dal libro di storia di mia figlia le pagine sull’Olocausto». Le domande sono altre: è giusto invocare la mannaia della censura sugli spettacoli di un odiatore degli ebrei?
Ed è utile, oppure è addirittura dannoso e controproducente? Purtroppo la risposta è no: non è giusto, ed è forse disastrosamente inutile.
Dieudonné non è semplicemente un neonazista vecchio stampo, idolo di poche bande di teste rasate e vuote che si rifanno esplicitamente alle forsennatezze antiebraiche del regime hitleriano. No, il suo islamo-nazismo fa breccia nelle periferie metropolitane di una Francia rancorosa e sull’orlo di una rivolta permanente contro «l’ordine costituito» e che viene solleticata nel suo odio verso gli ebrei «ricchi» e «succhiasangue». Dieudonné è alla moda. E la cosa triste è che sia «di moda», vezzeggiato, considerato un bravo comico, un trascinante uomo di spettacolo che trasforma il palcoscenico in una rappresentazione truculenta dei pregiudizi antiebraici. In questi giorni si parla di lui perché un calciatore dai piedi buoni e dal cervello annebbiato come Anelka ha esultato dopo un gol facendo il gestaccio coniato da Dieudonné, la «quenelle», un saluto nazista con il braccio all’ingiù e che fa sbellicare dalle risate gli spettatori del comico. Ma qualcuno, come ha ricordato Giulio Meotti sul Foglio , lo aveva ribattezzato «il Malcolm X francese».
Ammicca alla destra nazistoide ma insieme al ribollente mondo dei musulmani che non disdegnano la guerra santa contro l’Occidente corrotto e opulento da abbattere e al conformismo «progressista» di sinistra, che copre con la coperta accettabile dell’«antisionismo» e dell’«anti-imperialismo» filo-palestinese e terzomondista pulsioni antiche giudeofobiche di una Francia che si contaminò in forme massicce con il collaborazionismo durante l’occupazione tedesca.
Si rivolge a destra quando invita sul palco uno dei suoi migliori amici, il principe dei «negazionisti» Robert Faurisson e lo fa premiare da un finto deportato con la stella gialla, ma viene perdonato da una parte della sinistra per queste sue esibizioni vomitevoli.
E’ utile censurarlo? Certo è difficile resistere alla tentazione censoria quando Dieudonné fa venire giù il teatro tra gli sghignazzi urlando «con la bandiera israeliana mi ci pulisco il culo», quando si rivolge a un giornalista ebreo con «ti sei visto in faccia, sembri un dromedario», quando invoca la camera a gas per il giornalista Patrick Cohen. Ma se non si può non stare a fianco di Serge Klarsfeld, che con la mitezza dell’infaticabile cacciatore di criminali nazisti ha detto che andrà davanti ai teatri di Dieudonné per protestare contro i deliri antisemiti di un comico che alterna le sue sparate anti-americane con il ghigno antisionista, bisogna tener duro, non offrire un’immagine martirologica di chi ama santificarsi come una «vittima del sistema». La censura creerebbe più seguaci, più giovani delle periferie disposti a bersi ogni nefandezza di un comico che ulula contro gli ebrei. I suoi discorsi antisionisti circolerebbero in versione clandestina, con il fascino sulfureo del proibito, regalerebbero addirittura credibilità a un uomo che fa dell’ignoranza la sua bandiera e che grida alla rivolta contro la cultura e la civiltà che conosciamo.
Dunque, la censura sarebbe controproducente. Ma anche ingiusta, contraria a dei princìpi liberali che non dovrebbero mai venir meno. L’immagine dello storico negazionista David Irving in cella a Vienna per aver negato l’esistenza delle camere a gas è l’antitesi della tolleranza.
Le leggi che in Europa (e che si vorrebbe estendere in Italia) fanno del «negazionismo» un reato rappresentano la cancellazione pericolosa di un principio fondamentale come quello della libertà d’opinione. Quando nella Francia dei primi anni Ottanta si scatenò l’ondata «storiografica» volta a negare la Shoah e la stessa esistenza delle camere a gas («la menzogna di Auschwitz», la definivano senza vergogna), lo storico Pierre Vidal-Naquet, entrambi i genitori trucidati nei campi di sterminio hitleriani, si rifiutò di accodarsi alla campagna per mettere fuori legge i manipolatori della storia e in un libro destinato a diventare una delle opere più belle e toccanti della storia politica del Ventesimo secolo, «Gli assassini della memoria», sottotitolo «Un Eichmann di carta», demolì punto per punto le falsificazioni, le scempiaggini, le distorsioni spacciate come verità dagli storici nazisti.
Ecco, non la censura, ma una guerra culturale intransigente come quella di Klarsfeld e di Vidal-Naquet può essere un antidoto per contrastare i ruggiti antisemiti di Dieudonné (e quelli che rimbalzano in Italia). E invece in questi anni in Francia l’accondiscendenza e la paura hanno impedito di vedere che un giovane ebreo, Ilan Halimi, è stato sequestrato e ucciso mentre la polizia si è affannata a minimizzarne le motivazioni antisemite e persino per il massacro della famiglia ebrea di Tolosa si è tentato di ridimensionarne la portata, attribuendo la strage a un pazzo isolato. Invece il veleno antisemita sta producendo effetti devastanti in Francia e non solo in Francia, in un orrendo miscuglio culturale fronteggiato con poche forze. Ora la censura, un rimedio che aggrava il male e lo rende persino fascinoso. Un’altra sconfitta per le democrazie liberali.

Il Corriere della Sera 08.01.14

"Come demotivare (per pochi euro), di Paolo Conti

Il ministero progetta di chiedere la restituzione delle somme percepite grazie agli «scatti stipendiali» dal 2013 a oggi. Si sta giocando col fuoco, demotivando una categoria per pochi euro. «Quando una società scialacquatrice ha necessità estrema di denaro lo sottrae anche alle scuole. Questo è uno dei più iniqui delitti dell’umanità e il più assurdo dei suoi errori». Maria Montessori, nei suoi scritti, espresse un giudizio chiaro e durissimo sui tagli alla scuola, lo ricordava l’ultimo numero di «Sette». Chissà quanti insegnanti italiani avranno ricordato quella frase nelle ore in cui il ministero dell’Economia progetta di chiedere la restituzione delle somme percepite grazie agli «scatti stipendiali» da gennaio 2013 a oggi. Vengono in mente altre autorevoli parole, quelle pronunciate dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 23 settembre 2013 in occasione dell’apertura dell’anno scolastico: «I risultati di varie ricerche ci dicono che più di altri fattori conta l’apporto degli insegnanti. E quindi ci si deve impegnare a investire — in risorse e iniziative — come il governo ha iniziato a fare, perché la già notevole professionalità dei nostri docenti si rafforzi». Anche in questo caso, c’è da chiedersi cosa penseranno gli insegnanti italiani: il presidente della Repubblica ci promette un investimento del governo anche in termini economici, e ora ci richiedono indietro ciò che ci era stato concesso per anzianità dopo anni di attesa, e con tutti gli arretrati.
Non ha affatto torto Matteo Renzi quando afferma che sembra un set di «Scherzi a parte». Il problema è che si sta giocando davvero col fuoco: se un settore delicatissimo per le nostre future generazioni, come la scuola, si dovesse bloccare con uno sciopero (prevedibilmente compattissimo) c’è da immaginare una inevitabile reazione a catena. Anche perché il fermo del mondo dell’istruzione avrebbe una vastissima ripercussione tra milioni e milioni di genitori, anche dal punto di vista semplicemente organizzativo.
Si può benissimo discutere sull’opportunità di sospendere, dal gennaio 2014, il famoso scatto. E non è questa la sede per dibatterne il senso e la giustificazione. Ciò che appare francamente mostruoso e inaccettabile è l’ipotesi della restituzione. Il ministro Saccomanni, dal suo punto di vista tecnico, sostiene che il recupero richiesto nella busta di gennaio 2014 «è un atto dovuto da parte dell’amministrazione perché il Dpr n.122 entrato in vigore il 9 novembre ha esteso il blocco degli scatti a tutto il 2013». Nulla da eccepire, appunto nella tecnicalità della prosa e dell’assunto logico e giuridico. Ma in questo caso una ragione inappuntabile può trasformarsi in una miccia capace di provocare un clamoroso incendio, e proprio in quella scuola che dovrebbe assicurare ai nostri figli una formazione all’altezza delle sfide anche europee. E’ dunque indispensabile individuare un qualsiasi meccanismo economico che eviti questo vero e proprio salasso per stipendi certo non faraonici.
E poi c’è da sottolineare un altro aspetto. Quando si mette mano allo spirito della spending review, ci sono sempre mille resistenze da vincere. Per ogni revisione di spesa, affiora puntualmente una buona ragione per evitarla, individuando un’eccezione che si somma ad altre eccezioni. Come ha raccontato il 28 dicembre Gian Antonio Stella, il governo è riuscito per esempio a nominare 207 prefetti, ovvero il doppio delle prefetture a disposizione. Ma misteriosamente, quando si tratta di amputare gli stipendi degli insegnanti, si trovano sempre autostrade spalancate. Semplicemente perché la categoria è sola nel difendere se stessa. A parte i tesori degli archivi, che ci riportano alla memoria invettive attualissime come quella della grande Maria Montessori, perfetta per questo inizio 2014.

Il Corriere della Sera 08.01.14

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Il pasticcio dei soldi tolti ai prof scontro nel governo sui 150 euro”, di CORRADO ZUNINO

Il pasticcio dei 150 euro chiesti in restituzione agli insegnanti che avrebbero erroneamente percepito gli scatti di anzianità fa litigare il ministro dell’Istruzione Carrozza e quello dell’Economia Saccomanni. E suscita anche le bacchettate di Matteo Renzi che dice: «Se un ministero chiede indietro 150 euro agli insegnanti mi arrabbio perché non è “Scherzi a parte”, è il governo italiano».
Lo scatto d’anzianità tolto agli insegnanti da Giulio Tremonti, restituito dal governo in carica a settembre e dopo Natale tolto di nuovo (e quindi da rimborsare allo Stato), fa esplodere un fragile equilibrio tra il ministero delle Finanze e quello dell’Istruzione. E in serata fa dire al segretario del Pd, Matteo Renzi: «Lasciate ai docenti quei soldi, mica siamo su “Scherzi a parte”». Gli insegnanti italiani, neopoveri di fatto, lo scorso 27 dicembre hanno scoperto, con una nota del ministero delle Finanze affiancata alla busta paga e scritta in burocratese stretto, l’ultima umiliazione: da qui “fino alla concorrenza del debito” dovranno restituire — ovvero sarà tolto loro dalle successive buste paga — 150 euro lordi ogni mese. I docenti di scuole elementari, medie e superiori più alcun amministrativi che si erano ripresi a settembre lo scatto congelato ora impiegheranno tre buste paga
a restituire la cifra. Ma a chi percepisce lo scatto da gennaio e ha accumulato duemila euro, serviranno tredici mesi per onorare le rate.
Da diversi giorni una platea di novantamila insegnanti, quelli a cui spettava lo scatto d’anzianità del 2012, ha preso d’assedio i sindacati di riferimento: «Ma come, non avevate fatto un accordo? Quelli erano i soldi per l’offerta formativa trasformati in scatti. E quell’accordo non lo aveva sottoscritto anche il ministero delle Finanze?». Di più, su un piano politico-sindacale sarebbe pronto anche la seconda intesa per restituire agli insegnanti lo scatto del 2013: va solo depositato all’Aran, l’agenzia pubblica approdo delle trattative sindacali. Niente, l’accordo 2012 — ha scoperto in un secondo momento il Mef — cozzava contro il decreto del presidente della Repubblica numero 122, quello del 4 settembre che prorogava il blocco dell’anzianità a tutto il 2013. Il segretario della Uil scuola, Massimo Di Menna, rivela: «A decreto firmato il ministero delle Finanze, per chiudere buchi di bilancio, ha messo a punto misure con effetti retroattivi». Aggiunge Rino Di Meglio, segretario della Gilda: «Senza alcuna lungimiranza la burocrazia del Mef ora si riprende quello che presto, con il secondo accordo, dovrà ridare». Un pasticcio imbarazzante.
Al primo giorno di lavoro dopo le ferie invernali, digerite le molte critiche sull’avvio di una grande consultazione sul web per comprendere cosa pensano gli italiani della scuola, registrate
due richieste di dimissioni (il sindacato Anief e la scuola telematica Unicusano), il ministro Maria Chiara Carrozza ha avvistato la marea montante del dissenso sugli scatti da restituire a rate. Pezzi del suo Pd avevano compreso l’effetto della gaffe. Davide Faraone, responsabile Scuola e Welfare, aveva detto: «È stato un errore, quelli sono soldi sacrosanti, promessi ai docenti e firmati in accordi sindacali. Dopo i diritti acquisiti e i diritti offesi siamo
ai diritti restituiti». La senatrice Francesca Puglisi firmava un’interrogazione al Miur: «Impensabile chiedere la restituzione del 2013». La Carrozza allora, ieri a metà pomeriggio, decideva di informare il suo pubblico via twitter: «Ho chiesto al ministro Saccomanni di sospendere la procedura di recupero degli scatti stipendiali per il 2013». Nella lettera inviata al collega, si scoprirà, aveva chiesto una sospensione rapida perché il primo prelievo scatterà tra 19 giorni, con la prossima busta paga.
La replica del ministero delle Finanze, stimolata direttamente dal titolare, è arrivata dopo tre ore: «Il recupero delle somme relative agli scatti degli stipendi del personale della scuola è un atto dovuto. Se il ministero dell’Istruzione, attraverso tagli alle spese, troverà quei soldi, la restituzione potrà essere fermata». La Carrozza decideva di non alzare la tensione: «Nessuno scontro personale », sottolineava. Ma trovava un inaspettato alleato in Matteo Renzi, che dalla Gruber a “Otto e mezzo” diceva: «Se un ministero delle Finanze chiede indietro 150 euro agli insegnanti mi arrabbio perché non è “Scherzi a parte”, è il governo italiano». La Gilda annuncia: «Se in cinque giorni sugli scatti non tornano indietro sarà sciopero generale.

La Repubblica 08.01.14

Direzione Pd Modena, le Primarie per i sindaci si terranno il 2 marzo

La Direzione ha approvato un ordine del giorno e varato una bozza di regolamento. Primarie da tenersi domenica 2 marzo in un unico turno; in mancanza di un candidato ufficiale del partito sono mille le firme che devono raccogliere i candidati che intendono presentarsi nei Comuni con oltre 100mila abitanti, cifra che va a scalare per i Comuni più piccoli; un tetto di spesa per ogni singolo candidato, nello stesso massimo ambito territoriale, che non può superare i 12mila euro (anche in questo caso più i Comuni sono piccoli più il limite di spesa è basso): sono queste alcune delle principali novità contenute nella bozza di regolamento, varato dalla Direzione provinciale del Pd, che ora il segretario provinciale Pd Lucia Bursi avrà il compito di portare alla valutazione delle forze politiche che si riconoscono nel centrosinistra. Le Assemblee comunali dei singoli territori avranno, comunque, il compito di deliberare a maggioranza qualificata il regolamento territoriale.

La Direzione provinciale del Pd, riunitasi la sera di martedì 7 gennaio, ha dato il proprio via libera alla bozza di regolamento quadro per la selezione delle candidature a sindaco in vista delle amministrative del 2014 e ha approvato un ordine del giorno che conferisce al segretario provinciale Pd Lucia Bursi il mandato per “condividere la proposta di Regolamento per le primarie approvato dalla stessa Direzione con le forze politiche che si riconoscono nel centrosinistra e inviarlo definitivamente ai territori entro il 13 gennaio prossimo”. Le Primarie di coalizione o di partito si terranno domenica 2 marzo in un turno unico. Ogni Assemblea comunale dovrà verificare se esistono le condizioni, sul proprio territorio, per promuovere la costituzione di una coalizione di centrosinistra. Se ci sarà un solo candidato iscritto al Pd questo sarà considerato il candidato del partito e non avrà la necessità di raccogliere firme a sostegno del suo nome. Se ci saranno, invece, più candidati iscritti al Pd dovranno raccogliere un numero di firme rapportato al numero di componenti dell’Assemblea comunale o degli iscritti nel suo Comune. La soglia massima di firme da raccogliere, prevista per i Comuni con oltre 100mila abitanti, è di mille firme. Per i Comuni più piccoli si va a scalare. La bozza di regolamento stabilisce anche i limiti massimi di spesa che il singolo candidato dovrà rispettare nella campagna per le primarie: la cifra massima stabilita per i Comuni con oltre 100mila abitanti è di 12mila euro. Anche in questo caso più i Comuni sono piccoli più il limite di spesa è basso. Alle primarie voteranno tutti coloro che si dichiarano elettori del centrosinistra residenti in quel determinato Comune. “Si tratta di una proposta equilibrata – ha spiegato il segretario provinciale del Pd Lucia Bursi nel suo discorso iniziale – frutto dell’impegno di un gruppo di lavoro che si è riunito, a più riprese, in questi giorni di festività e che ringrazio. Ora porteremo questa proposta alla valutazione delle forze del centrosinistra. Ricordo, però, che le primarie sono sì lo strumento principe per la selezione dei nostri candidati, ma si tratta solo di uno strumento. Prima di tutto c’è la politica, ci sono i contenuti, le sfide della costruzione dei programmi per il governo delle nostre città”. La bozza di regolamento dovrà ora, come detto, essere definito nel confronto con le forze del centrosinistra, ma anche declinato secondo le specifiche esigenze dei singoli territori. Saranno infatti le Assemblee comunali a deliberare il regolamento territoriale a maggioranza qualificata.

La seduta della Direzione provinciale si era aperta con un applauso di vicinanza all’ex segretario nazionale Pd Pierluigi Bersani e alla sua famiglia in questo momento così delicato e difficile.

Stipendi docenti scuola, Fabrizio Saccomanni chiede 150 euro agli insegnati. Davide Faraone: "Danno e beffa" da www.huffingtonpost.it

Il ministero dell’Economia chiede la restituzione degli scatti maturati dagli insegnanti – 150 euro – della scuola pubblica nel 2012. Ma il Pd non ci sta e attacca il governo. “Apprendo con preoccupazione – dice Davide Faraone, responsabile Scuola e Welfare dei democrat – della diramazione di una nota del ministero dell’Economia in cui si chiede la restituzione di circa 150 euro mensili ai docenti che hanno maturato gli scatti 2012″.

Faraone sottolinea: “Si tratta, infatti, di importi provenienti dal taglio dei fondi di funzionamento delle scuole che erano stati promessi ai docenti come pagamento dei dovuti scatti di stipendio. Il danno, cioè il taglio di quei fondi sacrosanti, si somma adesso alla beffa: una volta percepite e spese queste somme i docenti le dovranno restituire”.

Il responsabile Scuola del Pd insiste: “Siamo dunque all’assurdo: dopo i diritti acquisiti e i diritti offesi siamo giunti ai diritti restituiti. Mi auguro che tutto ciò sia un equivoco. Rimango sorpreso perché ancora una volta si va a punire col segno meno l’unica categoria di lavoratori dello Stato che ha prodotto nel 2013 un segno più”.

Carrozza scrive a Saccomanni “Sospendere la procedura”. Sospendere la procedura di recupero degli “scatti” stipendiali per il 2013. Lo chiede il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, in una lettera inviata al collega dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Nella missiva la titolare del dicastero di viale Trastevere, secondo quanto si apprende dallo stesso ministero, segnala l’urgenza dell’iniziativa visto che nei prossimi giorni si procederà ai conteggi per gli stipendi di gennaio e quindi a operare le trattenute per il recupero degli scatti.
Nei giorni scorsi da parte dei sindacati c’erano state vivaci proteste a questo proposito con la minaccia di scioperi. “Le istruzioni impartite dal ministero dell’Economia per un graduale recupero degli scatti maturati nel 2012 costituiscono una decisione inaccettabile che va bloccata, una vera e propria provocazione che se attuata non potrà rimanere senza risposta” aveva sottolineato il segretario generale della Cisl Scuola Francesco Scrima. E la Gilda aveva lanciato un aut aut: “Siamo stanchi di aspettare: vengano restituiti ai docenti gli scatti stipendiali 2012 o sarà sciopero generale”.

da www.huffigtonpost.it

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“Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. La Carrozza scrive a Saccomanni: “Rinunciare”, di Salvo Intravaia

Il governo ha bloccato retroattivamente gli scatti di anzianità dei docenti per tutto il 2014, decidendo la decurtazione della somma ogni mese “fino a concorrenza del debito”. Il ministro chiede la retromarcia, sindacati sul piede di guerra.

INSEGNANTI sul piede di guerra, e il ministro dell’Istruzione si schiera al loro fianco. Il ministero dell’Economia chiede ai docenti degli istituti italiani di restituire gli scatti stipendiali – già percepiti nel 2013 – con una trattenuta di 150 euro mensili a partire da gennaio. E nel mondo della scuola scoppia la protesta. I sindacati minacciano lo sciopero generale e dal Pd viene inviata una lettera-petizione al ministro Maria Chiara Carrozza e al premier Enrico Letta che in poche ore ha raccolto migliaia di adesioni. A cui arriva una quasi immediata risposta di Maria Chiara Carrozza, che scrive a Saccomanni chiedendo di soprassedere.
“Non era mai successo – dichiara Mila Spicola, insegnante della direzione nazionale del Partito democratico – di sottrarre ai lavoratori dello Stato somme giustamente guadagnate e percepite con una modalità così brutale. La scuola, che tutti dichiarano di mettere in cima alle agende, è fatta dalle persone che la abitano – continua – e vi lavorano che non possono essere beffate da simili provvedimenti privi di senso anche solo nelle intenzioni”.
Ma di che si tratta? Il governo Berlusconi, prima, e quello Monti, dopo, hanno messo le mani nelle tasche degli insegnanti bloccando gli scatti stipendiali automatici previsti dal contratto collettivo di lavoro. I docenti che avrebbero dovuto percepire l’aumento di stipendio nel triennio 2010/2012 si sono vista bloccare la progressione economica. Ma poi con il recupero del 30 per cento dei risparmi conseguenti alla riforma Gelmini lo scatto del 2010 è stato pagato. Stesso discorso per quello del 2011, recuperato con un accordo sindacale – non sottoscritto dalla Cgil – che ha consentito di prelevare circa 250 milioni di euro dal fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa (il Mof), utilizzato dalle scuole per finanziare le attività pomeridiane.
Restava da pagare lo scatto del 2012, per il quale il ministero dell’Istruzione aveva trovano 120 milioni di euro. E dal 2013 tutto ritornava come prima. E così è stato: coloro che hanno maturato l’incremento di stipendio dal primo gennaio 2013 se lo sono ritrovato in busta-paga.
Ma a settembre il governo Letta blocca retroattivamente anche lo scatto del 2013. E circa 300mila insegnanti dovranno restituire “con recupero – recita la nota del ministero dell’Economia – a decorrere dalla mensilità di gennaio 2014 con rate mensili di 150 euro lorde fino a concorrenza del debito”. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Perché la nota “precisa che il recupero applicato sullo stipendio lordo determina contestualmente l’applicazione di un importo irpef più basso”.
“Come si fa – si chiede la Spicola – a richiedere, anzi, a decurtare senza permesso, senza avvertire, il già magro stipendio dei docenti e dei lavoratori della scuola di una somma così consistente?”. “Soldi – aggiunge – percepiti e spesi da persone che sostengono famiglie con uno stipendio che va dai 1.300 euro ai 1.700 euro? Il danno e la beffa? Quali sono i diritti acquisiti in Italia? Solo i privilegi?”.
Il primo a protestare è stato Francesco Scrima della Cisl scuola che ha definito questo governo come “incoerente e inaffidabile”. “Come sempre – continua Scrima – sono i fatti a valere più degli impegni assunti con parole altisonanti: ne ha spese molte anche questo governo, quando ha dichiarato di voler ridare centralità a istruzione e formazione. Ma se la decisione di intervenire sugli stipendi fosse confermata, quelle parole verrebbero palesemente smentite, con una clamorosa caduta di credibilità per chi le ha pronunciate”.
Per la Flc Cgil “al Governo non tornano i conti e i lavoratori pagano”. “Siamo pronti a dare battaglia – dichiara Domenico Pantaleo – contro l’ingiusta restituzione”. “La scuola – ricorda il leader della Flc Cgil – ha già contribuito pesantemente al risanamento dei conti pubblici, finanziandolo con i tagli di personale (8 miliardi di euro), con il blocco del contratto, con il taglio del salario e con l’aumento dei carichi di lavoro. E’ necessario che la buona politica batta un colpo e investa nella scuola”.
La Gilda minaccia lo sciopero generale. “Il Governo – dice Rino Di Meglio – è sempre pronto a mettere le mani nelle tasche dei cittadini ma se la prende comoda quando si tratta di ridare ciò che è dovuto. Riteniamo totalmente inaccettabile il prelievo forzoso deciso dal ministero dell’Economia nelle buste paga degli insegnanti già ridotte all’osso e doppiamente penalizzate dal mancato rinnovo del contratto e dal blocco degli scatti 2013”.
Massimo Di Menna della Uil scuola parla di “amara sorpresa” e incalza: “Non si possono trattare le persone titolari di diritti legittimi come sudditi”. Intanto la protesta vola sul web. La petizione, in poche ore, ha raggiunto quasi seimila firme, che certamente aumenteranno. La Spicola chiede al governo di ritirare il provvedimento e critica pesantemente il governo. “E’ un segno di grande debolezza istituzionale compiere atti simili, persino solo pensarli”.

da www.repubblica.it