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“Puntate sugli estremi o innovatori o vestali”, di Walter Passerini

Morte e mutazione del lavoratore intermedio. Il futuro non lascia scampo ai general-generici, ai tuttofare, ai travet, ai di tutto un po’. Il mercato del lavoro si sta reggendo su una irresistibile polarizzazione: al vertice della piramide le professioni eccellenti, i progettisti, i decisori, gli innovatori; alla base, gli esecutivi, gli accuditivi, le ancelle dei lavori di cura, di assistenza, di ordinaria manutenzione, di pulizia, che molti non vorranno più fare.

Così nell’arco di un decennio, la piramide del lavoro si trasforma sempre di più in una clessidra, dentro la quale dovremo decidere dove stare. Nella parte superiore si noteranno esclusivamente white collar e abili prestigiatori delle nuove tecnologie. Troveremo architetti digitali, bioingegneri, terapisti di nanotecnologie, analisti simbolici, broker del tempo, ingegneri delle informazioni, detective delle catastrofi. In un mondo sempre meno prevedibile, sono già all’opera i costruttori di algoritmi e i disaster manager. Nella complessità crescente troveranno spazio gli specialisti di chaos management e di shock economy.

Nelle professioni aziendali gli ottimizzatori e i consolidatori lasceranno il posto agli innovatori e ai team leader. Salute, scienze della vita, ambiente, da soli rappresenteranno la fetta maggioritaria della torta professionale. Il clima, l’inquinamento, la produzione di rifiuti, le sofisticazioni alimentari saranno i datori di lavoro di un esercito di nuovi strateghi e terapeuti, molti dei quali oggi non conosciamo ancora per i loro titoli professionali, mentre balbettiamo di nano-tecnologi, geo-microbiologi e body maker, fabbricatori di parti di ricambio del corpo umano, oltre che di terapisti della memoria.

Il web coronerà il trionfo della sua pervasività. Tutto il lavoro sarà web e cloud. A cominciare dai superman dei viaggi spaziali fino agli specialisti e ai tecnici delle stampanti in 3D, da cui usciranno gli oggetti che ci piacciono e che forse ci servono. Nel lavoro dei campi ci saranno solo agricoltori digitali, le nuove energie vedranno il trionfo degli energy manager, le scorie e gli avanzi faranno sorgere gli spazzini digitali, gli smaltitori di rifiuti pericolosi e i riciclatori di tecnologie.

Nella parte inferiore della clessidra ci saranno i paria e gli orfani delle professioni strategiche e progettuali, i manovali dell’esecuzione, la quale dovrà cambiare, attrezzandosi di tecnologie umane, qualità e senso del servizio. Dalle attività di cura alla ristorazione, dal giardinaggio agli accompagnatori del tempo libero, dai cuochi, ai braccianti, ai camerieri, ai manovali, alle assistenti di supermercato (cassiere e commessi tendono a scomparire, grazie alla tracciabilità e ai sistemi elettronici fai da te), si apriranno varchi per addetti imprenditivi, non schizzinosi, passivi o fannulloni.

Tutti si salveranno solo puntando sulla competenza, sul web, sulle lingue ma anche sulla manualità. Sì, perché in un mondo sempre più virtuale, serviranno concreti problem solver della complessità e degli imprevisti. Esaurita la stagione dei pianificatori, servono risolutori eclettici di problemi pratici. Qui il serbatoio di riparatori, ricostruttori, riciclatori, restauratori, orlatori, rammendatori della vita quotidiana, oggi in estinzione, sta riempiendosi di nuovo, perché l’usa e getta del consumismo lascerà il posto al tieni e rattoppa, agli aggiustatutto della ritrovata sobrietà.

Per il Dna del nostro Paese, il ritorno all’intelligenza della mano non dovrebbe incontrare resistenze, se si superano i pregiudizi. I neo-artigiani indicano la direzione: l’unione dell’homo faber con il web sta sfornando artigiani digitali che dialogano con il mondo. Due professioni note saranno al vertice della domanda di lavoro per i prossimi trent’anni: l’infermiere e l’insegnante, i cui attrezzi, competenze e vocazioni muteranno.

Serviranno vestali dell’educazione, sanitaria e intellettuale. Dovremo solo decidere di pagarle di più, altrimenti resteranno troppi posti vacanti. Che non potranno fortunatamente essere occupati dai cattivi maestri della finanza, caduti in disgrazia e schiacciati nella parte più stretta della clessidra, metafora del tempo, la risorsa più scarsa che abbiamo.

La Stampa

“Sisma, brutta sorpresa sotto l’albero”, di Silvia Saracino

I cittadini terremotati hanno trovato una brutta sorpresa sotto l’albero di Natale. Nel cosiddetto decreto ‘Salva Roma’ che il Governo ha deciso di ritirare il giorno della Vigilia c’era anche la restituzione in tre anni del prestito chiesto dalle imprese alle banche per pagare le tasse, la cui prima rata scade il prossimo 31 dicembre.
La proroga era stata approvata pochi giorni prima dal Senato, contenuta in un emendamento presentato dai senatori Pd Vaccari e Broglia e sottoscritto anche da Nuovo Centro Destra e M5S. Poi, alla Camera, il decreto si è arenato tra le polemiche e il Governo di Enrico Letta ha deciso, dopo un confronto con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di stoppare l’iter di conversione in legge. La notizia, battuta dalle agenzie di stampa il pomeriggio del 24 dicembre, è rimbalzata nelle case dei parlamentari emiliani dove si preparava il cenone in tutta tranquillità.
IMMEDIATAMENTE è partito un tam tam di telefonate tra i parlamentari modenesi del Pd e pare che anche il presidente della Regione e commissario straordinario Vasco Errani abbia contattato Roma. La richiesta al Governo è di inserire il provvedimento sulle tasse nel decreto Milleproroghe che dovr à essere approvato oggi dal Consiglio dei ministri e diventare subito legge. «Abbiamo lavorato tutti in questi giorni affinchè la proroga venga inserita nel decreto — spiega la deputata del Pd Manuela Ghizzoni — è un risultato importante per tutte le imprese della zona del cratere che sono in forte difficoltà con la restituzione del prestito: se la proroga viene approvata domani (oggi, ndr), per le zone terremotate non cambia nulla perché diventa legge immediatamente con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale prima del 31 dicembre. Poi entro sessanta giorni dovrà essere convertito in legge, ma diventa effettivo subito». I parlamentari del Pd e il commissario Errani hanno agito sul pressing, ma la decisione oggi spetta al Consiglio del ministri. «Siamo fiduciosi che il Governo accolga la nostra richiesta per inserire la proroga delle tasse per le zone terremotate nel decreto Milleproroghe — scrivono Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari — è una misura attesa, che può dare una boccata d’ossigeno alle imprese in difficoltà. Non può essere che venga perduta nel mare della polemica politica». Appello anche da parte del senatore Carlo Giovanardi (Ncd): «Il Governo deve assolutamente recuperare nel decreto Milleproroghe il rinvio dei pagamenti per le imprese terremotate. Ho ricordato ai ministri Del Rio e Quagliariello questa necessità, per rispettare la volontà espressa dal Senato» spiega.

Il Resto del carlino 27.12.13

“Bilancio 2013: un anno green e qualche buona notizia per l’ambiente”, da lastampa.it

È vero che in genere circolano poche notizie positive sullo stato di salute del pianeta. Eppure nel corso 2013 non sono mancati dei passi in avanti che aprono le porte alla speranza in un futuro migliore. Ecco perciò una raccolta dei dieci successi più significativi in campo ambientalista raggiunti quest’anno in varie parti del globo.

1. Cina: ridotti inquinamento ed emissioni di monossido di carbonio

Per far fronte alla drammatica situazione ambientale, in Governo cinese ha intrapreso una serie di misure per frenare l’inquinamento e l’effetto serra. Primo Paese nell’uso di carbon fossile, la Cina ha ridotto le emissioni di CO2, una conquista che sicuramente influenzerà il trend nel resto nel mondo.

2. No agli accordi sulla deforestazione

Due delle maggiori imprese asiatiche hanno rinunciato ai negoziati sulla deforestazione, mentre vari acquirenti hanno scelto fonti di materie prime alternative per la salvaguardia dell’ambiente. Sia l’ Asia Pulp & Paper, colosso della produzione di carta fortemente contestato dagli ambientalisti, che Wilmar, azienda di Singapore responsabile del 45 per cento della produzione globale di olio di palma, si sono impegnate a seguire linee-guida più rigorose che escludono la conversione di quelle foreste che includono oltre 35 tonnellate di biomassa, torbiere, e habitat ad alto valore di conservazione.

3. Via libera al REDD+

Nonostante insuccessi e contestazioni, la COP19 svoltasi a Varsavia a novembre ha visto la stesura finale dell’accordo sul REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Degradation), un programma di incentivi per i Paesi tropicali che proteggono le proprie foreste. Il REDD+ prevede norme di salvaguardia dell’ambiente ben precise, che affrontano le cause della deforestazione, come la creazione di nuove piantagioni, e propone metodi di rilevamento e misurazione delle emissioni legate alle foreste. Il formale riconoscimento di REDD+ potrebbe contribuire al risanamento del settore forestale, messo in ginocchio da uomini d’affari senza scrupoli che raggirano gli indigeni inconsapevoli, costringendoli a vendere le loro foreste.

4. Flessione nell’aumento delle emissioni di CO2

Secondo un recente rapporto, le emissioni di CO2 sono aumentate in percentuale minore rispetto all’anno scorso (1,1% contro il 2,9% del 2012), nonostante la crescita del 3,5% dell’economia globale. Gli scienziati prevendono un picco delle emissioni nel giro di qualche anno, seguito da una rapida flessione.

5. CITES, vittoria per squali e altre specie marine

Dopo anni di massacri che hanno messo a serio rischio di estinzione varie specie di squali, il CITES ha finalmente deciso di prendere provvedimenti al riguardo, vietando il commercio internazionale di cinque specie di squali e mante giganti. Allo stesso tempo la Cina ha escluso la zuppa di pinne di squalo dal menu dei banchetti ufficiali. Secondo alcune stime, in oltre 90 milioni di squali venivano uccisi in un anno per la prelibata pietanza, ma fortunatamente la domanda sembra essere in calo.

6. Indonesia: diritti forestali riconosciuti agli indigeni

A maggio, la Corte Costituzionale ha invalidato una parte della legge nazionale forestale del 1999 stabilendo che una porzione delle foreste del Paese non fosse più considerata come “statale”. La sentenza è significativa perché il governo ha il controllo sul vasto territorio forestale nazionale, consentendo così al Ministero di concedere ampi permessi di disboscamento e piantagioni a varie imprese. In pratica, orti comunitari e altre piccole attività potevano essere demolite per far spazio alle piantagioni di palma da olio o alla deforestazione per la produzione di cellulosa e carta. In molti casi, la riconversione industriale ha scatenato la forte opposizione delle comunità locali, le quali spesso avevano la peggio — quadro destinato a cambiare.

7. Tapiro nano: una delle scoperte del secolo nel mondo animale

In quella che sarà probabilmente vista come una delle scoperte tassonomiche più sorprendenti di questo secolo, gli scienziati brasiliani hanno scoperto una nuova specie di tapiro in aree del Brasile e della Colombia. Pesa quasi 100kg ma è il più piccolo tapiro del mondo, e già ribattezzato da molti il “tapiro nano”, mentre il nome scientifico è Tapirus kabomani. La nuova scoperta è stata effettuata grazie alla guida e alle conoscenze dei nativi che per millenni hanno convissuto con (e cacciato) il tapiro. Pur se ancora poco è noto sul suo comportamento del tapiro, gli ambientalisti ritengono che sia in pericolo d’estinzione a causa della distruzione dell’habitat nella regione.

8. UE: bando ai pesticidi legati all’estinzione delle api

L’UE ha approvato un divieto parziale dei pesticidi che da tempo sono considerati dagli scienziati come una causa del crollo nelle popolazioni di api. I 28 Stati membri hanno convenuto di vietare per i prossimi due anni tre pesticidi neonicotinoidi utilizzati sulle colture da fiore. Recenti ricerche hanno dimostrato che, mentre gli antiparassitari raramente uccidono le api, tuttavia ne influenzano il funzionamento del cervello e ne modificano il comportamento naturale, un processo che porta poi al collasso delle colonie.

9. Contro gli investimenti nei combustibili fossili

Pur se attiva da appena un anno, la campagna di disinvestimento nelle multinazionali che producono energia basata sui combustibili fossili ha già ottenuto alcuni successi importanti e, fatto più importante aumentato la consapevolezza generale su una delle cause maggiori del cambiamento climatico. Il movimento si è diffuso dai campus universitari a città, istituzioni religiose, ONG e persino zoo e acquari. Ad oggi, otto università, 22 città, due contee, e 18 istituzioni religiose si sono impegnate in questo “disinvestimento”. La campagna, avviata negli Stati Uniti, si è già estesa a Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.

10. La tartaruga liuto non è più in pericolo di estinzione

Gli sforzi degli ambientalisti negli Stati Uniti, Caraibi e in America Centrale sono riusciti a salvare la tartaruga liuto dal baratro dell’estinzione. Una nuova valutazione della Lista Rossa dell’IUCN ha spostato la più grande tartaruga marina al mondo dalla categoria “in pericolo critico” a “vulnerabile”. Tuttavia, mentre la sottopopolazione nell’Oceano Atlantico occidentale è in crescita, altre stanno invece diminuendo, come quella del Pacifico, in rapido declino, e quelle lungo la costa occidentale dell’Africa, teoricamente le più numerose al mondo, che non mandano buoni segnali. C’è ancora tanto da fare, ma grazie ai lavori degli ultimi anni, è improbabile che la specie scompaia a breve.

Oltre questa breve classifica in stile “top 10”, vanno segnalate altre notizie che hanno comunque contribuito a rendere in parte positivo questo 2013. Partendo dalla creazione di una Google Map comprendente le foreste di tutto il mondo. Se ne ricavano i cambiamenti delle superfici forestali tra il 2000 e il 2012, con il tasso di deforestazione più alto verificatosi in Malesia. Pur se non esente da critiche, si è riconosciuto il valore della mappa nel fornire una base per la creazione di analoghi strumenti sempre più sofisticati.

E se la biodiversità è in declino in tutto il mondo, gli ambientalisti hanno comunque registrato qualche successo anche nella reintroduzione di alcune specie. Un programma innovativo in Europa ha riportato l’ ibis eremita nel continente per la prima volta dopo 300 anni, mentre un’ altra iniziativa ha consentito ai gorilla rimasti orfani a causa del commercio di carne di animali selvatici di essere reintrodotti in aree dove erano ormai estinti.

Infine, buone nuove anche da Botswana e da Costa Rica, che hanno re-introdotto un divieto di caccia. Il Botswana ha annunciato di voler vietare entro il 2014 la caccia sui terreni pubblici, dato che il calo dei mammiferi africani è diventato troppo alto per consentire questo “sport”. Mentre il Costa Rica ha compiuto un passo ancora più grande, vietando la caccia sia dentro che fuori le aree protette: la nuova legge la prevede solo come fonte di sussistenza da parte delle popolazioni indigene.

www.lastampa.it

“Salute in crisi: undici su cento rinunciano alle cure”, da lastampa.it

La salute degli italiani sempre più condizionata dalla crisi economica: nel 2012, l’11% della popolazione (oltre 6 milioni di persone) ha infatti dichiarato di aver rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria erogabile dal Servizio sanitario nazionale, pur ritenendo di averne bisogno. Oltre una persona su due rinuncia per motivi economici e circa una su tre per motivi di offerta. È quanto emerge dalle stime provvisorie dell’indagine “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” condotta dall’Istat, e realizzata con il sostegno del ministero della Salute e delle Regioni.

Nell’esaminare la combinazione delle prestazioni che dovrebbero essere garantite dal Servizio sanitario pubblico, il 9% della popolazione ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una prestazione tra accertamenti specialistici, visite mediche specialistiche (escluse odontoiatriche) o interventi chirurgici, pur ritenendo di averne bisogno. Se a questi si cumulano coloro che hanno dichiarato di aver rinunciato ad acquistare farmaci, la quota raggiunge l’11,1% della popolazione. Rispetto a tali rinunce, il 6,2% ha indicato motivi economici, il 4% problemi di offerta (liste di attesa troppo lunghe o orari scomodi per l’appuntamento o difficoltà a raggiungere la struttura) e l’1,1% altri motivi, quali impegni di lavoro o familiari o altro. Sono più spesso le donne a rinunciare (13,2% contro 9% negli uomini); tale differenza si accentua nella classe 45-64 anni, in cui rinuncia il 17,9% delle donne contro il 12,7% degli uomini. La quota di donne 45-64enni che rinuncia sale al 22,3% nel Sud e al 26,5% nelle Isole.

La quota più alta di persone che rinuncia ad almeno una delle prestazioni considerate si riscontra tra i disoccupati (21,4%). Nel confronto tra chi gode di risorse economiche ottime o adeguate e chi le giudica scarse o insufficienti, la quota dei rinunciatari passa dal 6,8% al 17,6%. Nel Nord-Ovest il rapporto è quasi di uno a tre (passa dal 4,5% al 13,3%). Nel Sud e nelle Isole anche chi dichiara una buona condizione economica ha rinunciato nel 9,3% dei casi contro il 4,5% del Nord-Ovest e il 5,7% del Nord-Est. Considerando il motivo della rinuncia rispetto al territorio, appare rilevante la quota di chi rinuncia per motivi economici nel Sud (9,2%) e nelle Isole (9,5%), mentre in media è pari al 6,2%. Al Centro invece è più elevata della media nazionale la rinuncia per problemi legati all’offerta (liste di attesa e scomodità degli orari o a raggiungere la struttura) (5,3% contro 4%). Le percentuali della rinuncia salgono al 26,3% tra chi dichiara di star male o molto male, al 18,4% fra chi ha una malattia cronica grave, al 23,3% fra i multicronici, tutte condizioni che esponendo ad una maggiore necessità di assistenza offrono probabilmente anche maggiori rischi di abbandono delle cure.

Nel secondo semestre del 2012, rispetto allo stesso periodo del 2005, i consumi sanitari risultano in aumento per le visite mediche, stabili per gli accertamenti diagnostici e in lieve diminuzione per i ricoveri ospedalieri. Se aumenta il dato generale dei consumi di visite specialistiche, nel dettaglio si nota un incremento delle visite geriatriche e psicologiche, a fronte di quelle odontoiatriche in diminuzione, anche per ragioni economiche. L’incremento maggiore rispetto al 2005, considerando il volume complessivo delle visite specialistiche, si registra per le visite geriatriche (+63,6%), le psichiatriche-psicologiche (+54,4%) e le neurologiche (+48,1%), mentre diminuiscono le visite odontoiatriche (-23,1%) e, lievemente, le visite dietologiche (-9%). Da notare che il 14,3% delle persone di 14 anni e più che ha rinunciato nell’ultimo anno a una visita odontoiatrica dichiara di averlo fatto pur avendone bisogno: fra queste, l’85% lo ha fatto per motivi economici. In crescita le prestazioni sanitarie a pagamento intero per gli accertamenti: la quota passa dal 21,0% al 24,9% per gli accertamenti specialistici, dall’8,1% al 14,1% per le analisi del sangue. Tali percentuali sono più elevate al Centro e al Sud; dove si registra anche l’incremento più forte rispetto al 2005.

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«Faccio software, sto in Sicilia. Li usano Yahoo, Twitter e perfino…» Offline, di Giuseppe Rizzo

L’Italia fa schifo, il Sud sta affondando, siamo la provincia dell’impero, siamo destinati al declino. Oppure no. Ho capito questo: la mia generazione (ho 30 anni) è cresciuta dentro questi cortocircuiti. Quando non si abbandona alla disperazione (ce n’è), o peggio alla lagna (ce n’è), riesce a moltiplicare gli «oppure no» e a produrre merce rara: idee nuove. Salvatore Sanfilippo ha 36 anni, è cresciuto nella provincia della provincia dell’Impero (Agrigento, come me) e ha piazzato alcune di queste idee ai padroni dell’Impero medesimo (Yahoo, Twitter, eccetera). Ci siamo sentiti su Skype per una chiacchierata in cui sono finiti dentro: gli Usa e Campobello di Licata, Snowden e Youporn, gli smanettoni di Canicattì e quelli di Cernusco sul Naviglio.

Mi racconti com’è nata la passione per l’informatica?

«L’ho ereditata da mio padre, era un appassionato negli Anni 80. Abbiamo avuto uno dei primi home computer per cui osservandolo ho iniziato ad interessarmi anche io. A Campobello c’erano tante persone che avevano sviluppato questo “hobby”. Mi ricordo che quando ero bambino c’erano corsi di programmazione alla biblioteca comunale».

Nel mio paese l’unico computer ce l’aveva il prete e lo teneva in parrocchia.

«Sì, è stata una cosa molto particolare, credo. Pensa che alle scuole medie avevamo un’aula informatica pazzesca con un computer per ogni ragazzo. Quando mio padre mi comprò uno ZX Spectrum (rivale del Commodore 64) ho iniziato a capire un po’ di più di programmazione. E da li in poi è stato un crescendo».

Cioè gli altri volevano il motorino, e tu i computer?

«Sì, fino a prima dell’inizio della pubertà è praticamente andata così. Poi ho iniziato a volere i motorini anche io, e ho smesso con i computer. Ma era solo una pausa. Infatti quando mi sono iscritto ad Architettura a Palermo, ho ricominciato nuovamente…».

Hai fatto architettura?

«Solo un anno. Perché iniziando a programmare nuovamente, e connettendomi ad Internet mi si è aperto un mondo. Mi sono appassionato di programmazione in C e sicurezza informatica. Ho scoperto un baco dei sistemi Unix, l’ho pubblicato su Internet, e mi hanno chiamato da Milano per andare a lavorare: fine dell’Università».

Hai detto che ti occupavi di sicurezza. Il tema è ritornato d’attualità con il caso Snowden/Nsa. Che ne pensi?

«Sono convinto che per noi europei era più scontato che i governi tentassero di spiarci. Gli americani sono rimasti più colpiti. Forse è perché loro danno per scontato che il nemico è all’esterno e il governo, in teoria, è sempre tuo amico. In realtà è difficile capire il limite sottile tra garantire la sicurezza del cittadino, e spiarlo in maniera vergognosa. Comunque un problema centrale con i dati è che è molto difficile farne qualcosa di utile, quando sono tanti. E alla fine chi deve fare qualcosa che non va, ha tanti mezzi per difendersi, dalla crittografia ai pizzini. Per cui è probabile che si finisce solamente per spiare chi invece non fa nulla di clamoroso. Però nella vita di tutti i giorni funziona così: società come Google ti danno i mezzi per lavorare bene, e il problema della sicurezza dei dati rimane solo un timore inconscio».

A proposito di gestione di dati, il tuo Redis questo fa, no?

«Redis è un programma che aiuta altri programmi a gestire dati. Ad esempio Twitter usa Redis in modo da ricordarsi gli ultimi tweet di un utente, e visualizzarli immediatamente quando richiesti, rispetto a come avverrebbe altrimenti. Redis gira completamente nella memoria “volatile” del computer, la Ram, ma allo stesso modo ha un sistema per duplicare i dati sul disco. In più i dati sono messi dentro il database già nel formato in cui servono all’applicazione. Oggi è usato anche da Yahoo, Instagram, Pinterest, Craigslist, The Guardian e Tumblr. Anche da Youporn».

E come è finito nelle mani di queste compagnie?

«Internet è estremamente aperto alle novità. A questo si aggiunge che per fare delle cose all’avanguardia nella programmazione, tutto quello che serve è un computer. Bisogna anche essere abbastanza caparbi e non guardare al guadagno nel breve periodo. Ho lavorato a Redis per un anno gratuitamente, rilasciandolo come software gratuito e aperto».

Aspetta, però, per me è importante anche parlare di soldi, nessuno lo fa, e spesso si resta fregati da questo rimosso…

«La mia attività mi permette di guadagnare bene. Sinceramente con il successo che ha avuto Redis avrei potuto fare tantissimi soldi, creando una società attorno a Redis, come mi è stato più volte offerto. Ma ho deciso di tenermi in una situazione di compromesso, mi pagano bene per lavorare su Redis, ed è abbastanza per me, senza “conflitti di interesse”. Alla fine se dai abbastanza valore, le grandi società che usano il tuo prodotto vogliono pagarti perché la cosa continui in quel modo».

In Italia a furia di lavorare gratis si produce solo altro lavoro gratuito..

«Questa idea funziona fino a quando il “terreno” è meritocratico».

Cosa manca per renderlo tale?

«La meritocrazia, appunto. La fiducia del singolo nel fatto che si può riuscire. I finanziatori. Un problema enorme è la burocrazia. Sono felice di pagare le tasse perché penso che è il mio modo di contribuire ad uno stato che mi offre diverse cose, come la sanità pubblica, ma alcuni meccanismi davvero bloccano le piccole imprese nascenti».

Hai mai pensato di andartene?

«No, ma forse solo perché sono un privilegiato: posso stare nel mio Paese, che amo, mentre sono pagato da un’azienda statunitense. Poi è facile vedere solo il bello degli altri posti. L’altro giorno ho donato 50 dollari ad una programmatrice americana. Ha avuto un problema di salute e nel giro di 6 mesi era sul lastrico. Questo è disumano, e il modello europeo, per quanto forse limitato tecnologicamente, è più saggio. Non sono passati migliaia di anni di storia invano qui».

Da Milano sei tornato in Sicilia.

«In tutto sono stato fuori 6 mesi credo, l’aria di Milano mi faceva male. Quando sono tornato ho fatto delle aziende che hanno sempre dialogato con il Nord Italia. Penso che il modello per il Sud sia questo dal punto di vista dell’IT. Creare aziende che offrano servizi informatici al Nord e all’estero, tenendo i costi bassi, e la qualità alta».

Magari questa chiacchierata finisce in mano a qualche ragazzo a Canicattì o Uta o Cernusco sul Naviglio, gli vuoi dire qualcosa per chiudere?

«Che noi non abbiamo niente in meno degli altri Paesi, nonostante la crisi attuale, e che il nostro patrimonio di storia e creatività può essere risvegliato e utilizzato per competere con gli altri ai massimi livelli. Basta solo liberarsi da alcune catene culturali che ci siamo creati da soli negli ultimi decenni».

L’Unità 24.12.13

“Rispettare l’Italia”, di Roberto Napoletano

Siamo i primi al mondo nel tessile, nell’abbigliamento, nei prodotti in cuoio e nell’occhialeria. Siamo i secondi al mondo nell’automazione-meccanica (macchine industriali, per gli imballaggi e di precisione), nei manufatti di base (ceramiche, metalli, prodotti in metallo e per l’edilizia) e nei manufatti diversi (articoli di plastica, design-arredo, mobile, attrezzature per la casa).

Siamo i sesti al mondo negli alimentari trasformati e custodiamo una serie di leadership sui prodotti di qualità della cosiddetta Altagamma. L’auto italiana ha vinto la sfida dell’internazionalizzazione, conserva primati nella fascia sportiva, soffre duramente sul mercato interno. Non siamo più solo nella siderurgia di base che vive da tempo giorni tormentati, primeggiamo negli acciai speciali e ad alto contenuto hi-tech. Non abbiamo più l’informatica ma competiamo nel mondo con i codici a barre bolognesi e una galassia di piccole stelle della provincia italiana di primaria grandezza tecnologica. Non abbiamo più la chimica di base ma tanti primati nella chimica di specialità e nella farmaceutica di qualità. Diciamo la nostra come costruttori di navi da crociera e nella tecnologia per l’aerospazio e la difesa.

Tutto questo, per capirci, è il frutto del sudore e della straordinaria capacità di investire in innovazione di uno specialissimo capitalismo produttivo italiano che non va confuso con i tanti che hanno fatto la loro fortuna saccheggiando lo Stato padrone e addentando la spesa pubblica, in una spirale perversa di vizi incrociati, quasi sempre creando ricchezza privata e distruggendo valore e cultura industriali. Il capitalismo italiano sopravvissuto è il cuore profondo della nostra economia reale che coincide con l’unicum della manifattura e vale 110 miliardi di surplus e circa 400 di esportazioni. Siamo secondi dopo la Germania, come documentano Marco Fortis e Valerio Castronovo, nelle classifiche settoriali Wto di competitività nel commercio mondiale. Così come nei servizi e nelle grandi reti, c’è un ritardo colpevole nelle telecomunicazioni e nel trasporto aereo, ma la “rivoluzione silenziosa” di Ferrovie e Poste e la forza dei player energetici in Italia e all’estero, delineano uno stato di famiglia vitale e combattivo.

Gli indici destagionalizzati dell’Eurostat ci dicono che il fatturato dell’industria manifatturiera italiana a settembre 2013 è caduto del 16,9% rispetto al gennaio del 2008. Nello stesso periodo il calo della Germania è stato del 2,8%. Sapete perché si registra questa differenza? Semplice: il fatturato domestico italiano (effetto crisi domanda interna) è sceso del 23%, quello tedesco del 6,3%. Per questo, contro i “declinisti interessati” vecchi e nuovi, ci permettiamo di insistere che la priorità per l’Italia se vuole (davvero) rialzare la testa sono il lavoro, l’industria, la domanda interna. Mi chiedo: vogliamo che chiuda anche il capitalismo delle multinazionali tascabili e della loro rete di micro-imprese che pagano un total tax rate abnorme, non hanno mai smesso di fare innovazione, subiscono ogni giorno il ricatto della burocrazia, remunerano il denaro (se lo trovano) più dei concorrenti internazionali e esportano, senza aiuti, per un valore pari alla metà della nostra spesa pubblica? Non credo che nessuno possa nemmeno pensarlo e, per questo, occorre spezzare il circolo perverso della «fatica sociale» di cui ha parlato ieri il premier, Enrico Letta, indicando e attuando, alla voce fatti, un percorso che tolga allo spreco pubblico nazionale e territoriale e sia capace di dare alle forze sane dell’economia di mercato e ai lavoratori che possono così recuperare reddito e potere d’acquisto.

Per questo, ripeto, insistiamo sulla necessità di dare corso effettivo all’impegno che tutto ciò che verrà dalla spending review e dalla lotta all’evasione vada in modo automatico a lavoratori e datori di lavoro.

Le luci in fondo al tunnel si intravedono, ma si potranno ingrandire sulla base di due fattori: il traino del resto del mondo, qui l’America ci aiuta e l’Europa molto meno, e la nostra capacità di farci trainare. Dipende da noi. Nessun settore dell’economia soffre la crisi quanto la manifattura: la pelle vecchia è stata scartata e la muta ha significato dolorosi ridimensionamenti. La pelle nuova riguarda solo una parte delle imprese ed è questo nucleo duro di eccellenze mondiali che non deve essere lasciato solo.

Proprio da qui può (deve) ripartire quella rinascita dell’economia che va usata e “spesa” come leva per ridare fiducia alla società. La chiave oggi è diventata la domanda interna stremata, che appanna la residua voglia di spendere, e va rianimata. Presidente Letta, ora più che mai l’Italia ha bisogno di una politica che sappia offrire agli italiani un percorso di risanamento e di crescita, un impegno effettivo a ridurre la spesa migliorandone la qualità (fare meglio con meno) e destinando i risparmi al taglio del cuneo fiscale, puntando a ridurre il peso del deficit attraverso l’espansione del denominatore (pil) non attraverso l’austerità fine a se stessa. Sappiamo che non è facile, ma sappiamo anche che non si può fare diversamente.

IL Sole 24 Ore 24.12.13

“Gran Bretagna, assoluzione reale per Alan Turing. Eroe di guerra, condannato perché gay”, di Paolo Gallori

Decifrando il codice Enigma contribuì il modo decisivo alla vittoria degli Alleati contro Hitler. Ma non nascose mai il suo orientamento sessuale, finendo con l’essere condannato per condotta indecente nel 1952. Due anni dopo morì per avvelenamento, probabilmente un suicidio. Sessant’anni dopo la sua immagine viene finalmente ripulita. Gran Bretagna, assoluzione reale per Alan Turing. Eroe di guerra, condannato perché gayAlan Turing nel 1928, all’età di 16 anni (afp)
CI SONO voluti più di sessant’anni e il lungo cammino della lotta per i diritti civili degli omosessuali prima che la Gran Bretagna rivedesse il proprio giudizio su Alan Turing. Avrebbe dovuto ricordarlo come lo scienziato che decifrò il codice Enigma e con esso le trasmissioni naziste, contribuendo in modo decisivo alla vittoria degli alleati contro Hitler. Avrebbe dovuto celebrarne il centenario lo scorso anno. E invece su di lui fu impresso un marchio di infamia: la condanna per omosessualità nel 1952 e la castrazione chimica. Alan Turing morì per avvelenamento due anni dopo, un morso a una mela intrisa di cianuro. Si stabilì che fu suicidio, ma restò l’ombra di un assassinio di Stato. Alan che la fa finita perché stremato dalle persecuzioni delle autorità. Accadeva, si diceva, sessant’anni fa.

Oggi la Regina Elisabetta ha “concesso” ad Alan Turing l’assoluzione reale, su richiesta del ministro della giustizia Chris Grayling, che ha ricordato il valore delle ricerche condotte sotto la guida dello scienziato a Bletchey Park, presso Oxford. Dove il calcolatore messo a punto da Turing accelerò la decriptazione dei messaggi di quella macchina elettromeccanica, Enigma, sviluppata da Arthur Scherbius dal 1918, orgoglio dell’ingegno tedesco al servizio della produzione bellico-industriale, successivamente modificata per sfuggire alla caccia del matematico dei servizi polacchi Marian Rejewski.

Alan Turing amava rilassarsi correndo. Gli piaceva così tanto da diventare un maratoneta in grado di percorrere i classici 42,195 chilometri con tempi meritevoli della convocazione nella nazionale inglese. Alan correva, con la testa e con le gambe. E la sua velocità abbreviò la durata del conflitto, rendendo il tempo che restava alla caduta di Hitler misurabile in vite umane salvate.

Turing non fu solo l’uomo che permise agli alleati di conoscere i piani delle forze dell’Asse e avere più facilmente la meglio sugli italiani nel Mediterraneo, sui tedeschi in Africa, di sfuggire all’agguato dei sottomarini del Reich nell’Atlantico. Le sue teorie posero le basi per l’avvento dell’era dei computer e i suoi studi sull’intelligenza artificiale tutt’ora informano il dibattito sulla possibilità di una coscienza delle macchine. Si dice che un riconoscimento a quegli studi sarebbe proprio la celebre mela morsicata simbolo della Apple.

Ma Alan era gay e per quella colpa, allora imperdonabile, fu costretto a subire una intrusiva sorveglianza e, come alternativa al carcere, un trattamento ormonale per curare la sua devianza sessuale. Il Regno Unito si sarebbe liberato del “crimine” dell’omosessualità nel 1967.

“Quella sentenza oggi sarebbe considerata discriminatoria e ingiusta”, sottolinea oggi il ministro Grayling. Gli attivisti festeggiano la vittoria, ma ricordano che le persone condannate per omosessualità in Gran Bretagna, che come Turing dovrebbero poter beneficiare di clemenza, seppur postuma, sono 50mila.

“Turing era un uomo eccezionale con una mente brillante” prova oggi a porre rimedio il ministro Grayling. Per David Leavitt, autore di un libro sulla vita e gli studi di Turing, “si potrebbe sostenere, ed è stato sostenuto, che lui abbreviò la guerra. E che probabilmente senza il suo contributo gli Alleati avrebbero anche potuto perderla, la guerra. Non credo che il suo contributo possa essere sottovalutato. Perché è stato immenso”.

Al termine del conflitto, Alan Turing iniziò a dedicarsi alla programmazione dei primi computer, ideando ad esempio un prototipo di gioco di scacchi virtuale. Ma il suo genio e i suoi meriti erano destinati a passare in secondo piano. Non avendo mai nascosto il proprio orientamento sessuale, Alan attirò fin troppo facilmente l’attenzione dei perbenisti, finché nel 1952 fu condannato per “condotta indecente” quando emerse incidentalmente la sua relazione con un altro uomo. Che gli costò la stretta sorveglianza, la castrazione chimica, la vita.

A proposito del trattamento ormonale subito dallo scienziato, il professor S. Barry Cooper, matematico dell’Università di Leeds e studioso del lavoro di Turing, osserva come le future generazioni faticheranno a comprendere la “cura” che gli fu imposta. “Prendete uno dei vostri più grandi scienziati e invadete il suo corpo con gli ormoni. Un fallimento di portata nazionale”.

Anche l’eredità scientifica di Turing è stata a lungo oscurata. “Persino a sua madre non era permesso conoscere cosa aveva fatto”, spiega ancora il professor Cooper. Ci hanno pensato la storia e il progresso a rendere giustizia ad Alan Turing. Perché, mentre il suo apporto alla vittoria della guerra veniva giorno dopo giorno declassificato, assieme alla progressiva diffusione dei computer – Turing aveva promesso un futuro di “macchine universali” -, l’ingiustizia della sua condanna è diventata sempre più lampante.

Nel 2009, l’allora premier Gordon Brown fece pubblica ammenda per il trattamento riservato a Turing, ma i sostenitori della campagna per la sua riabilitazione continuarono a premere per una formale assoluzione. Appresa la notizia della “concessione reale”, uno degli attivisti, il deputato inglese Iain Stewart, ha confessato alla Associated Press tutta la sua felicità: “Alan Turing contribuì alla conservazione della nostra libertà. Il suo nome doveva essere ripulito. Glielo dovevamo, come riconoscimento di quanto fece per il Paese e per il mondo libero”.

Il Corriere della Sera 26.12.13