Latest Posts

“La scuola assumerà in tre anni 69mila insegnanti”, di Francesca Milano

Il decreto scuola approvato dalla Camera giovedì porta in dote 85mila nuovi posti di lavoro: 69mila destinati a docenti, 16mila riservati al personale tecnico-amministrativo. Si tratta di assunzioni che saranno spalmate sul triennio 2014-2016, tenendo conto – come è scritto nell’articolo 15 del decreto – «dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno». La metà dei nuovi docenti verrà scelta fra i vincitori del “concorsone” e dei concorsi precedenti e l’altra metà fra i precari presenti nelle graduatorie a esaurimento.

Il piano triennale rappresenta la prosecuzione di un analogo intervento disposto per il 2011-2013 con il decreto legge 70/2011. Tra i quasi 70mila nuovi docenti ci saranno anche 26mila insegnanti di sostegno (12mila nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria e 14mila in quella secondaria di I e II grado). E proprio a proposito del sostegno, il provvedimento che passa ora al Senato, modifica la percentuale dei posti dedicati: per l’anno scolastico 2013/2014 la dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno deve essere pari al 75% (prima era al 70%) del numero dei posti di sostegno attivati nel 2006/2007. Nel prossimo anno scolastico la percentuale salirà al 90% e arriverà al 100% a decorrere dall’anno scolastico 2015/2016. Dal prossimo anno scolastico il riparto dei docenti di sostegno sarà, inoltre, distribuito in maniera equa a livello regionale. «Con l’assunzione dei 26mila docenti di sostegno – spiega una nota del Consiglio dei ministri – si darà una risposta stabile a più di 52mila alunni oggi assistiti da insegnanti che cambiavano da un anno all’altro».

Un’altra misura introdotta dal decreto scuola e che riguarda gli insegnanti di sostegno è quella relativa all’unificazione delle quattro aree disciplinari delle attivit à di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado (area scientifica, area umanistica, area psicomotoria ed area tecnica, professionale e artistica).

Per gli insegnanti arriva anche un’altra importante novità: il periodo di servizio necessario per la richiesta di trasferimento in un’altra provincia si riduce da cinque a tre anni: in questo modo sarà più veloce riavvicinarsi alla propria provincia per chi, pur di ottenere una cattedra, ha accettato trasferimenti in altre città. Prima delle modifiche apportate dall’articolo 9 del Dl 70/2011 – che aveva innalzato il periodo minimo a cinque anni – i docenti di ruolo non potevano chiedere il trasferimento ad altra sede nella stessa provincia prima di due anni e in altra provincia prima di tre.

Cambia anche la procedura per il reclutamento dei dirigenti scolastici: d’ora in poi sarà effettuato attraverso un corso-concorso selettivo di formazione bandito annualmente dalla Scuola nazionale dell’amministrazione. Le graduatorie del concorso bandito nel 2011 resteranno valide fino all’assunzione di tutti i vincitori e idonei, che dovrà avvenire prima dell’indizione del nuovo corso-concorso.

Tra le modifiche apportate durante l’esame parlamentare c’è anche quella relativa all’insegnamento obbligatorio della lingua inglese nelle scuole dell’infanzia: l’emendamento era stato presentato dal Movimento 5 Stelle

Il SOle 24 Ore 03.11.13

“Il teatro di ombre”,di Gianni Riotta

La vicenda dei dati raccolti dall’agenzia americana di intelligence National Security Agency e la reazione dei governi europei nasconde una delicata filigrana . L’immagine in superficie divide la pubblica opinione nella contesa politica, mentre i professionisti più accorti studiano, e si contendono, la filigrana occulta. Curioso paradosso per una crociata sulla trasparenza. Il presidente francese Hollande protesta con Obama sulle scorribande Nsa in Francia, ma solo con pacata sagacia. Hollande sa quel che Bernard Squarcini, ex capo dell’intelligence interna Dcri, dice con candore raro in un uomo dei servizi : «Se i nostri leader si stupiscono per le rivelazioni Nsa vuol dire che non hanno mai letto i rapporti che mandavo loro… tutti sanno che gli alleati cooperano sull’antiterrorismo, ma poi si spiano a vicenda, lo fanno gli americani e lo facciamo noi, dal mercato all’industria, nessuno è fesso». Con realismo il ministro del Commercio Nicole Bricq conferma: «Inutile piagnucolare… piuttosto la Francia migliori» la propria rete di raccolta dati.

Distratti dal Teatro di Ombre su sicurezza e dati, non vediamo il vero scontro, indicato dalla Bricq, ed è qui che va invece puntata l’attenzione. Se il Ministero del Tesoro americano, con un attacco di rara violenza, castiga la Merkel e la politica dell’austerità che confinerebbe nella recessione l’Europa, se il presidente dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel minaccia di bloccare il patto di libero scambio Usa-Ue in rappresaglia contro l’intelligence Nsa, è perché i governi, sulle due rive dell’Atlantico, sanno che lo spionaggio continuerà comunque e provano almeno a ricavarne vantaggi sui temi di politica economica in discussione.

Mentre l’ex direttore del New York Times Keller e l’ex analista del Guardian Greenwald dibattono di vecchi o nuovi canoni del giornalismo, gli addetti ai lavori studiano la falla aperta dalla politica sfrenata Nsa. La società contemporanea, politica, finanza, economia, commercio, lotta alla criminalità, si basa su un livello accettabile e condiviso di sicurezza della rete. Se mandate una mail, comprate un biglietto del treno, seguite il vostro conto in banca o la carta di credito online, scommettete su un accettabile grado di privacy. Il codice Swift presiede – ad esempio – domestiche o faraoniche transazioni finanziarie. Ai massimi vertici dell’antiterrorismo, alla guida dei satelliti in orbita, nella protezione dei sistemi complessi, la crittografia che tutela la comunicazione online è preziosa e indispensabile: se accessibile ai Cavalli di Troia di hackers, terroristi, malviventi, spie, mette a rischio ogni passo quotidiano online.

Purtroppo questa è – anche se pochissimi ne parlano – la più nefasta conseguenza della bulimia Big Data Nsa. Secondo gli esperti di crittografia Nadia Heninger e Alex Halderman, la Nsa avrebbe chiesto ai programmatori di lasciare «vie d’accesso» nei software di protezione della comunicazione, per permettere con facilità agli agenti Usa di controllarli e deporre «virus» capaci di registrare il traffico dei siti sotto indagine. Heninger e Halderman temono che annacquare gli algoritmi guardiani della privacy e della sicurezza online sia il vero pericolo: una volta aperta la strada per le spie Nsa, essa può essere ripercorsa da chiunque altro. E se il sistema perde di credibilità, cittadini, aziende e istituzioni lo useranno meno e con minore fiducia.

Da una generazione, garante della sicurezza digitale è il Nist, National Institute of Standards and Technology, agenzia americana che sovrintende agli standard crittografici accettati poi da governi e aziende. I codici AES, le funzioni SHA-3, la crittografia delle «curve ellittiche» studiata da Koblitz e Miller, sono tra gli algoritmi cui il Nist ha concesso autorevolezza. Purtroppo, secondo la rivista «Foreign Affairs», la Nsa avrebbe chiesto al Nist di indebolire i sistemi di sicurezza approvati, così da permetterle più agevoli intrusioni.

Scricchiola così l’intera tecnologia web. Ancor prima delle rivelazioni sulla Nsa dell’ex agente Snowden, i crittografi Dan Bernstein e Tanja Lange sospettavano che gli algoritmi di sicurezza, soprattutto quelli basati sulle «curve ellittiche», fossero stati allentati dal Nist. L’algoritmo «Dual EC DRBG» a curve ellittiche è sotto osservazione già dal 2006, come i sistemi di sicurezza a «numeri random». Secondo Snowden proprio «EC DRBG» è stato indebolito su richiesta Nsa. È l’architrave su cui il web futuro basa l’architettura, se Nist non chiarisce, con franchezza, fino a che punto lo ha crepato, il prezzo da pagare, in termini politici ed economici, sarà gravissimo.

La Stampa 03.11.13

Ex istituti pareggiati, on. Ghizzoni “Più soldi per Modena”

Il lavoro in Commissione e come relatrice della deputata modenese ha dato i suoi frutti. Era dal 2007 che gli ex Istituti pareggiati aspettavano fondi e il riconoscimento dell’importanza del lavoro svolto in questi anni a sostegno dell’insegnamento musicale: con il dl Istruzione appena approvato alla Camera, grazie anche al lavoro svolto in Commissione e in Aula dalla parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, è stato stanziato un fondo di 5 milioni di euro (il Governo ne aveva originariamente previsti solo 3) e sono stati stabiliti precisi criteri di ripartizione delle risorse che premiano le realtà più virtuose, come, ad esempio, l’Istituto modenese Vecchi-Tonelli.

L’impegno prima in Commissione e poi come relatrice in Aula del dl Istruzione ha consentito alla parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni di portare a casa risultati importanti per il settore dell’Alta formazione artistica e musicale in generale e, di conseguenza, nel modenese, per l’Istituto Vecchi-Tonelli. Grazie, infatti, a un emendamento da lei stessa presentato e poi approvato in Commissione Cultura e al lavoro come relatrice del provvedimento lo stanziamento inizialmente previsto dal Governo per gli Istituti superiori di studi musicali non statali ex pareggiati è passato da 3 a 5 milioni di euro. “Era dal 2007 – spiega l’on. Ghizzoni – che queste istituti attendevano un segnale di attenzione da parte del Ministero, segnale che finalmente è arrivato con questo decreto, come annunciato nelle linee programmatiche dallo stesso ministro Carrozza. Grazie al lavoro di Commissione è stato incrementato il fondo messo a disposizione per far fronte alla gravi difficoltà finanziarie in cui versano tali istituti ed è stato previsto il coinvolgimento degli Enti locali finanziatori nella definizione del decreto ministeriale che dispone i criteri per il riparto”. Sono stati, infatti, adottati specifici criteri di ripartizione dei fondi che premiano (ovvero convoglieranno maggiori risorse) le realtà più virtuose tra i 19 ex pareggiati italiani. Uno dei criteri, ad esempio, è quello relativo al numero di unità di personale assunte con regolare contratto collettivo nazionale Afam, una voce di spesa particolarmente onerosa per gli Enti locali che, in questi anni, hanno sostenuto finanziariamente le realtà scolastiche musicali del loro territorio. “Ci auguriamo – conclude Manuela Ghizzoni – che l’inserimento di queste norme nel decreto sia il viatico per affrontare i problemi che oggi attanagliano il funzionamento degli ex Istituti musicali pareggiati con una visione strategica dell’offerta formativa territoriale nel settore dell’alta formazione musicale”. L’intenso lavoro svolto in Commissione e in Aula attorno al dl Istruzione ha raccolto l’apprezzamento di tutte le forze politiche, non solo quelle di maggioranza: infatti sia Sel che Movimento 5 Stelle, al momento del voto, hanno scelto l’astensione, gesto politicamente significativo a Montecitorio dove il regolamento, al contrario di quello di Palazzo Madama, non equipara l’astensione a un voto contrario.

“Solo il 10% ha già chiesto il contributo”, da La Gazzetta di Modena

Se le imprese che sono rimaste “in vita” lottano contro la morsa dell’infinita burocrazia, altre non ce l’hanno fatta e sono cadute sotto il peso delle conseguenze del terremoto. Non è casuale che, delle 142 cessazioni di impresa denunciate presso la Camera di Commercio, 135 arrivino dall’area del sisma. Il settore che ha accusato maggiormente il colpo è quello manifatturiero (cuore pulsante della nostra economia), dove si è registrato il 70,4% delle chiusure. A seguire le piccole imprese artigiane (da sempre le più “deboli”): il 60,7%, infatti è scomparso. Di fatto, il tasso di mortalità aziendale nell’area del cratere sismico è quasi il doppio di quello regionale: si parla di una percentuale pari all’1,4%, contro lo 0,8% relativo a tutta la regione Emilia Romagna. Parliamo di un’area ad alta intensità produttiva. Nella Bassa Modenese, infatti, trovano sede circa 10mila imprese. Basti pensare che solo a Mirandola, sede insieme a Medolla del distretto biomedicale, conta 2500 imprese. Sono 1200 circa invece a San Felice. Mentre la “piccola” Cavezzo ne conta 820 e Concordia quasi mille. I problemi ancora aperti sono tanti. Primo tra tutti il rapporto con i finanziamenti. Si registra, infatti, un crollo dell’erogazione del credito da parte delle banche, che oscilla tra il 20 e il 25 per cento. Senza contare che i committenti hanno allungato notevolmente i tempi previsti per il saldo delle fatture. (f.b.)
di Felicia Buonomo Solo il 10% delle aziende del cratere sismico ha presentato le domande al sistema Sfige, la procedura telematica con la quale le imprese danneggiate dal sisma richiedono i contributi per la ricostruzione. Il dato è sintomatico di una difficoltà diffusa tra il mondo economico che abita quella Bassa Modenese alle prese con il difficile compito della ricostruzione. Un sistema che ha subito danni pari a quasi 6 miliardi di euro: 2,7 miliardi di danni diretti e 3,7 miliardi di mancato valore aggiunto. Non a caso la scadenza, inizialmente fissata al 31 dicembre di quest’anno, per presentare le domande è stata prorogata al 31 dicembre dell’anno prossimo. Uno sguardo ai dati ufficiali (aggiornati al 10 ottobre di quest’anno) aiuterà a capire la portata del fenomeno. Le domande presentate sono 455, delle quali 320 per il settore produttivo e 63 per il commercio. Sono 12 i milioni di euro effettivamente erogati a metà ottobre; mentre i decreti di erogazione firmati sono in tutto 194 (va precisato che in diversi casi una sola impresa ha presentato più domande). Ma a colpire è il confronto tra i dati effettivi e le stime fatte dal sistema produttivo colpito dal sisma. Se solo 455 imprese, sulle 4mila danneggiate (secondo le stime), hanno presentato domanda di contributo, significa che è riuscita a superare lo “scoglio” della burocrazia sottesa alle procedure solo il 10%. Difficile puntare il dito contro qualcuno, ma i numeri parlano da sé. Ed è evidente che le erogazioni vanno a rilento. Basti pensare che, a fronte delle 2757 domande al Mude (quelle presentate dai privati), uno dei più importanti istituti di credito nell’area, al 10 ottobre rilevava disposizioni di pagamento per 172 pratiche, corrispondenti a 7,4 milioni di euro. Poi c’è il bando Inail, per la messa in sicurezza delle aziende (quelle che non hanno subito danni diretti, ma devono adeguarsi alle nuove normative anti-sismiche). Su questo fronte le domande sono state 482, per un importo di 17,8 milioni di euro. Ma anche qui i problemi non mancano. Una prima vittoria c’è stata con l’abbassamento dell’importo minimo dei lavori da 30mila euro (che di fatto escludeva tutte le piccole imprese) a 4mila euro. Ma rimane aperto il fronte relativo alla non applicabilità del provvedimento anche alle imprese senza dipendenti, ad oggi escluse. E poi uno sguardo all’intervento che ha riguardato nuovi investimenti innovativi in macchinari, impianti e immobili (il POR Fesr Asse II): a fronte di 1200 domande presentate, quelle accettate sembrano essere state appena 900. Senza contare i ritardi nella concessione dei titoli edilizia, indispensabili per ottenere l’approvazione delle domande Sfinge e Mude. Le imprese parlano di tempo che vanno dai 4 ai 6 mesi; tempi che lasciano le richieste da parte delle aziende in sospeso per mesi.

La Gazzetta di Modena 02.11.13

“Le scorie radioattive che nessuno ha voluto vedere”, di Pietro Greco

Ci sono tre indicazioni e una profezia nel racconto che Carmine Schiavone ha rilasciato alla commissione parlamentare sul ciclio illegale dei rifiuti il 7 ottobre 1997. La prima indicazione è che per 15 anni i Casalesi hanno gestito un flusso di rifiuti radioattivi provenienti dalla Germania. La seconda indicazione è che questo flusso continuo garantiva guadagni per 600 o 700 milioni di lire al mese. La terza indicazione è che questi i “rifiuti nucleari”, come li definisce Schiavone, sono stati sepolti illegalmente in terreni tra le provincie di Napoli e Caserta. Di qui la profezia del boss pentito: «Tra venti anni saremo tutti morti».

La profezia non si è avverata, per fortuna. I rifiuti radioattivi non sono stati ancora trovati. Ma questo non significa che Schiavone abbia detto il falso. Anzi. Sappiamo per certo che ha detto il vero: la Campania e, in particolare, la zona a cavallo tra le provincie di Napoli e Caserta sono state per molti lustri (e, per certi versi, lo sono ancora) il sito principale dove la camorra ha smaltito decine di milioni di tonnellate di rifiuti speciali, tossici e pericolosi, provenienti dalle industrie del Nord e persino dall’estero. In conseguenza di questa azione, si ritiene che quell’area tra Napoli e Caserta che i Romani chiamavano Campania Felix sia oggi la più inquinata d’Europa.

Ci sono molte prove che lo sversamento illegale di rifiuti tossici e pericolosi sia avvenuto a partire almeno dagli anni ’80, come scrive su una rivista specializzata – Ambiente, Rischio Comunicazione – Donato Ceglie, il magistrato che probabilmente conosce meglio di qualsiasi altro la situazione di quella che è stata chiamata di volta in volta “terra dei fuochi” o il “triangolo della morte”. Per molti lustri sono spariti dal conto e, probabilmente, sono stati smaltiti in modo illegale almeno 30 milioni di tonnellate di rifiuti speciali ogni anno. Una buona parte di questa montagna svanita è costituita da rifiuti tossi e nocivi, compresi i rifiuti radioattivi. Ci sono molte evidenze che una parte considerevole di questa montagna fantasma è finita nelle cave, nelle buche, nei laghi e nei fiumi campani.

Il traffico illegale di rifiuti continua, ha per epicentro sempre la Campania e anzi sembra persino aumentare, se è vero, come sostiene ancora Donato Ceglie, nei nostri porti nel 2012 sono state sequestrati 14.000 tonnellate di rifiuti speciali destinati a essere smaltiti all’estero, contro le 7.000 tonnellate dell’anno precedente.

È un traffico ancora ricchissimo, che contribuisce in maniera importante al fatturato delle ecomafie, che ammonta a circa 17 miliardi di euro l’anno.

E, tuttavia, è un traffico antico di cui conosciamo molto da molto tempo. Scrive Donato Ceglie: «La prima pubblicazione che nel nostro paese ha reso noto il dramma del traffico illecito di rifiuti è il volume intitolato Le ecomafie redatto e pubblicato dall’Eurispes (insieme a Legambiente e all’Arma dei carabinieri) nel 1995. L’ultima pubblicazione in tema di traffici illeciti di rifiuti e smaltimenti illegali è il rapporto ecomafie di Legambiente, presentato a Roma il 17 giugno 2013. Tra le due pubblicazioni è passato un ventennio. Novità rispetto al 1995? Nessuna ». Non solo la Commissione parlamentare sui rifiuti, ma anche l’opinione pubblica e gli amministratori sanno da almeno vent’anni che la Campania è un ricettacolo di rifiuti tossici e nocivi. E che questo ricettacolo sembra associato a un incremento di mortalità: per fortuna contenuto, ma reale. Va anche detto, tuttavia, che i siti inquinati sono comunque una piccola parte del territorio campano e anche delle provincie di Napoli e Caserta, cosicché ogni allarmismo sui rischi sanitari e ambientali va evitato.

Tuttavia è anche vero che in questi ultimi vent’anni, durante i quali è stato istituito anche un Commissariato di governo ad hoc, il problema non è stato ancora affrontato. Tanto che, malgrado sia possibile, ancora non abbiamo una mappa dettagliata dei siti inquinati, né degli effetti sull’ambiente e persino sulla salute (non c’è, per esempio, un registro dei tumori). Non è neppure iniziata, naturalmente, l’opera di bonifica: necessaria, ma anche tecnicamente possibile sapendo quali rifiuti tossici e nocivi sono stati smaltiti e dove. Non abbiamo neppure un’idea precisa dei costi della bonifica. Alcuni, più ottimisti, parlano di centinaia di milioni di euro. Altri più pessimisti – o forse più realisti – di miliardi di euro.

Certo è – come sostiene il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando – che ora occorre una rapida e insieme rigorosa opera di monitoraggio. E che subito dopo occorre iniziarla, l’opera di bonifica. Perché quei rifiuti dispersi sul territorio, finiti sotto terra o, spesso, bruciati all’aria aperta stanno uccidendo, probabilmente, molte persone. Ma occorre agire presto anche perché questa ventennale “conoscenza senza azione” che dura da vent’anni e che, a tratti, è stata persino ostentata, ha già ucciso la fiducia dei cittadini di quelle terre verso le istituzioni. Ci vorranno anni per bonificare il territorio. Ci vorranno decenni per ricostruire la fiducia.

L’Unità 02.11.13

“Beni culturali. Ministero da snellire. E rifondare, di Vittorio Emiliani

Stanno per concludersi i lavori delle commissioni di riforma insediate dal ministro Massimo Bray titolare ora dei Beni culturali, dello Spettacolo e del Turismo. Una, snella, presieduta da Salvatore Settis per migliorare l’attuazione del Codice per i beni culturali e paesaggistici (di cui lo stesso Settis fu coautore, in sostanza, con Francesco Rutelli). Un’altra, che ha terminato nei giorni scorsi i propri lavori, molto più corposa, presieduta dal giurista Mario D’Alberti, incaricata di rivedere tutta la struttura di un Ministero nato quasi 40 anni fa unendo beni culturali e ambientali e che ha subito incisive modifiche, tutt’altro che positive purtroppo.
Esso è stato assai presto mutilato della omogenea parte ambientale per la pressione di potenti lobby. Così i Parchi nazionali rientrano nella competenza del Ministero dell’Ambiente che a volte ha nominato, al ribasso, ex sindaci, ex assessori, magari ex dirigenti locali di associazioni venatorie e, con Altero Matteoli, persino agenti immobiliari -, mentre la fondamentale tutela del paesaggio è rimasta al MiBAC e alle Soprintendenze. Che però hanno quadri tecnico-scientifici sempre più all’osso a fronte della speculazione immobiliare che preme: appena 487 architetti ognuno dei quali dovrebbe esaminare, e risolvere, per giorno lavorativo dalle 5 alle 10 pratiche, a Milano (secondo la denuncia dell’allora direttore generale Roberto Cecchi) addirittura 79 (sic!) pratiche al giorno. Per un territorio coperto da vincoli paesaggistici e ambientali al 47 per cento e con circa 60.000 immobili e siti vincolati, più interi centri storici (Urbino ad esempio).
UNA STRUTTURA ABNORME
È sotto accusa, da anni ormai, la struttura abnorme del Ministero che perso l’Ambiente e inglobato lo Spettacolo (ora tocca al Turismo) presenta un testone assurto ai soprintendenti territoriali e di settore: 167.000 euro lordi contro nemmeno 79.000. E gli archeologi e gli storici dell’arte che dirigono musei formidabili? Funzionari di terza fascia con buste-paga mensili da 1.700-1.800 euro, circa 35.000 euro lordi l’anno.
Anni fa i direttori generali centrali erano 4, le Soprintendenze regionali (già discusse) si limitavano a fungere da organismi di coordinamento, non esistevano ancora i Poli museali imposti dal centro a città (succede spesso nel Centro-Nord) dove c’è un solo importante museo nazionale e una corona di musei civici di peso che vanno per conto loro. Questa struttura ha potenziato la tutela attiva del patrimonio? Direi di no. Al punto che il ministro Bray è orientato a ridurre le direzioni generali centrali (da 9 a 5, ma va creata quella per il Turismo) e pure quelle regionali (da 20 a 12, pare) riportando queste ultime a compiti, sovraregionali in alcuni casi, di coordinamento. Alleate alla struttura forte delle direzioni generali centrali, alcune di quelle regionali hanno drenato uomini e mezzi alle Soprintendenze. In una regione del Nord, in clima di revisione della spesa, la direzione generale ha fruito di ben 8 milioni di euro per la propria sede, mentre ai quattro musei nazionali della regione sono toccati gli spiccioli, 60.000 euro in tutto. Così come i Poli museali, spesso astratti, hanno tolto risorse a musei importantissimi (a Roma, per esempio) per organizzare mostre su mostre. Il «mostrificio», del resto, sta provocando, nei fatti, la chiusura di musei locali.
Ovviamente ogni taglio proposto per posti di potere suscita reazioni energiche (specie in presenza di un governo non saldissimo sulle gambe). Qualche membro della commissione ha già definito «magmatico» il documento uscito dalla commissione D’Alberti. Dovrebbero esserci al centro due direzioni generali, una per la tutela e un’altra per gli istituti. Verrebbero riaccorpati archivi e biblioteche, con non pochi mugugni. Sparirebbe la direzione per la valorizzazione creata da Sergio Bondi per Mario Resca ex Mc Donald’s e nessuno la rimpiangerà. Si riuniscono spettacolo dal vivo e cinema. Di questo ambito fondamentale in commissione non si è praticamente parlato, a quanto si sa. A conferma del potere autonomo di cui gode. Come non si è parlato quasi per nulla di arte contemporanea e qui forse bruciano ancora le vicende recenti e dolenti del Maxxi di ornaghiana memoria. La commissione avanzerebbe poi la proposta di creare una scuola sul modello della École du patrimoine, col fine di formarvi i funzionari dei Beni culturali, ma anche di altri Ministeri, aprendola anche ai privati. Buona idea che rimonta alla visione originaria del MiBAC per il quale l’ultimo direttore generale di vero spicco, Mario Serio, parlava di Ministère de patrimoine. Un po’ dissoltosi nel quarantennio 1974-2013 e diventato un’altra cosa. Anche grazie al Titolo V della Costituzione che ha complicato la non facile gestione dell’articolo 9 della Costituzione (la Repubblica tutela il paesaggio, ecc. e non lo Stato come avevano proposto due personaggi diversissimi, l’azionista, poi socialista, Tristano Codignola e il comunista Concetto Marchesi).
Anche grazie alla ostinata pretesa di certe Regioni di dar vita ad una regionalizzazione della tutela, dopo i palesi disastri siciliani o gli stravolgimenti paesaggistici della giunta Cappellacci rispetto alla giunta Soru in Sardegna. E malgrado che il federalismo alla lumbàrda sembri tramontato dietro il Resegone.

L’Unità 02.11.13

“Spazio all’apprendistato per gli studenti”, di Claudio Tucci

Arriva un programma sperimentale, per il triennio 2014-2016, per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda degli studenti degli ultimi due anni delle superiori, attraverso l’apprendistato. Contratto che si rafforza anche nelle università e negli Its (le super scuole di tecnologia post diploma di durata biennale). Nuova modifica per il bonus maturità, con la possibilità di immatricolarsi in soprannumero estesa anche ai corsi di laurea in professioni sanitarie e scienze della formazione primaria (prima escluse). Salta invece la tanto contestata norma che prevedeva una vera e propria “sanatoria” per i dirigenti scolastici, specie per coloro con contenziosi pendenti rispetto agli esiti delle prove.
Con queste ultime novità il dl Carrozza ha incassato ieri il via libera della Camera con 195 sì, 7 voti contrari e 78 astenuti. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato (va convertito in legge, a pena di decadenza, entro l’11 novembre). Soddisfazione è stata espressa dal ministro Maria Chiara Carrozza presente ieri in aula per l’intera giornata di lavori: « È un primo passo importante. Dopo anni di tagli si torna a investire»; e un commento positivo arriva anche dal vice presidente di Confindustria per l’Education, Ivan Lo Bello, che esprime «grande soddisfazione per le importanti modifiche che la Camera ha apportato al decreto per favorire l’incontro tra scuola e lavoro, con novità che favoriscono le esperienze di apprendistato a scuola, negli Its e nelle università».
Ha retto l’accordo politico tra i partiti della “strana maggioranza” raggiunto ieri mattina. Ma non sono mancate polemiche. In aula il M5S ha sollevato un nuovo “caso pianisti”, denunciando parlamentari «che votano al posto di colleghi assenti per consentirgli di prendere la diaria». E non sono mancate neppure le sorprese, con una mini-spaccatura del Pdl, con una ventina di parlamentari che hanno chiesto il voto su un emendamento per cambiare le coperture del dl scuola. Proposta poi bocciata dall’Aula, che ha chiuso così il balletto sulle coperture confermando la versione originaria dell’articolo 25. I 470 milioni (tanto vale a regime il decreto Carrozza) saranno coperti dall’aumento dell’imposta di registro e delle accise su birra, prodotti alcolici intermedi e alcol etilico (non ci sarà nessun aggravio su prodotti postali e cartine e filtri per arrotolare sigarette). E questo fa dire al presidente della commissione Cultura, il pidiellino Giancarlo Galan, al momento del voto in aula: «Ci sono sufficienti motivi per votare contro. Ma siamo uomini e donne leali e non mancherà il sostegno della nostra parte politica». La relatrice, Manuela Ghizzoni (Pd) guarda invece al futuro: «È un buon provvedimento. Ora la politica prosegua sulla strada tracciata».
L’esame in commissione Cultura ha migliorato il dl Carrozza, il cui piatto forte resta il piano triennale di assunzione di 69mila docenti, di cui ben 26mila sul sostegno, e 16mila Ata (gli amministrativi). Ma sono state introdotte importanti novità, come l’incremento a quota 137,2 milioni annui del fondo per le borse di studio all’università. E soprattutto sono arrivate importanti aperture sul fronte scuola-lavoro. Atenei e imprese potranno siglare convenzioni ad hoc per fare svolgere agli studenti esperienze di lavoro in azienda con l’apprendistato. L’attività di orientamento per gli studenti viene estesa anche all’ultimo anno delle medie (oltre agli ultimi due delle superiori). E grazie all’ok a un emendamento, prima firmataria Elena Centemero (Pdl), si dice sì anche alla formazione in azienda per i docenti (ma solo quelli impegnati nelle attività di alternanza scuola-lavoro).

Il Sole 24 Ore 02.11.13