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“L’Italia con San Suu Kyi paladina della democrazia” di Valeria Fedeli e Rita Ghedini

Libertà, uguaglianza, diritti umani, passione per il proprio popolo, un’idea di politica lontana da qualsivoglia ambizione personale e dedicata invece a realizzare la democrazia come progetto collettivo, condizione che unisce le persone, superando ingiustizie, discriminazioni, privilegi: la storia di Aung San Suu Kyi, ieri ospite del Senato, è un simbolo straordinario e globale, che racchiude in un percorso umano la fatica, il dolore, la forza e la bellezza delle battaglie più nobili, quelle per cui vale la pena sacrificarsi e spendere fino all’ultima energia, quelle che sono capaci di ispirare generazioni in tutto il mondo.

La straordinaria personalità di San Suu Kyi ha arricchito e arricchisce tutti noi, insegnandoci, con la sua figura delicata ma dalla forza inscalfibile, una pragmatica spiritualità, una responsabilità che è dedizione della vita ad obiettivi più grandi di quanto normalmente riteniamo realizzabile da una sola persona.

Aung San Suu Kyi ha dimostrato a tutte le donne e tutti gli uomini del pianeta, chi esercita il potere ai livelli più alti e chi affronta quotidiana- mente la sfida della sopravvivenza, che ci sono valori per cui vale la pena battersi. Con il suo sorriso dolce e la forza brillante del suo sguardo ha dato luce alle speranze di un popolo, quello birmano, e insieme di tutti coloro che nel mondo condividono la sfida quotidiana della democrazia.

Ora la battaglia di una vita si avvicina ad una svolta, quella svolta ingiustamente sottratta al popolo birmano 23 anni fa.

Con la liberazione di Aung San Suu Kyi il 13 novembre 2010 e la sua elezione in Parlamento il 1° aprile 2012 si è avviato un processo di transizione democratica e di riconciliazione nazionale. In questo percorso è decisiva la riforma della Costituzione, con il superamento della discriminazione dell’attuale capitolo 3, che vieta di candidarsi alla presidenza a chi è sposato o ha figli di cittadinanza straniera. Una norma ingiusta che impedisce a San Suu Kyi (il cui marito scomparso e i cui figli hanno cittadinanza britannica) di realizzare compiutamente il destino democratico del suo popolo.
È compito dell’Italia, dell’Europa e di tutta la comunità democratica sostenere la transizione verso la democrazia del Myanmar.

L’Europa ha già incoraggiato il processo democratico, cancellando nella scorsa primavera tutte le sanzioni nei confronti del Myanmar, conservando solo l’embargo sulle armi.

Le mozioni che il Senato ha approvato pochi giorni fa, ultimo atto di una attenzione che in questi anni è stata forte e costante al destino del Myanmar, impegnano anche governo italiano a sostegno del processo democratico, guardandoballe elezioni del 2015, cui San Suu Kyi intende candidarsi, come occasione di completamento di quella transizione.

Il Myanmar è ancora Paese con disuguaglian- ze enormi, dove il 95% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e dove, secondo dati Unicef, il 10 per cento dei bambini non arriva ai cinque anni. Ci sono ancora gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di alcuni gruppi etnici o dei diritti di cittadinanza, ad esempio per il recluta- mento forzato dei bambini soldato. E ci sono ancora 43 carceri destinate a prigionieri politici e circa 50 campi di detenzione, dove gli internati sono ancora costretti ai lavori forzati.

Evoluzione democratica, rispetto dei diritti umani, superamento dei conflitti etnici, libertà: sono gli obiettivi dello sviluppo e della crescita economica e sociale del popolo del Myanmar, ma anche di tutta la comunità globale per la quale Aung Sann Suu Kyi è stata ed è esempio, che deve dimostrare di saper lavorare, insieme, per quell’unico premio che conta, come lei stessa ci ha ricordato ritirando il Nobel, 21 anni dopo averlo ricevuto: «Il premio per cui lavorare è una società libera, sicura e giusta dove la nostra gente possa sviluppare appieno il proprio potenziale».

È un obiettivo da condividere con energia e passione. È l’unico premio che rende nobile e utile la politica.

L’Unità 29.10.13

“Senza il nuovo Cnpi rischio paralisi per l’attività del ministero”, di Giorgio Candeloro

Cnpi-Cspi: sulla soppressione del vecchio parlamentino della scuola e la mancata istituzione del nuovo si gioca un’altra puntata della prossima, probabile, «battaglia d’autunno» tra sindacati e ministero. Un decreto legge del 1999 (governo D’Alema) stabilisce l’istituzione del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, organo collegiale consultivo del ministero, con rappresentanti sia nominati che eletti, delle varie componenti della scuola, in sostituzione del precedente Cnpi, più vecchio del paese stesso, in quanto costituito nel 1847 nell’allora Regno di Sardegna.

Per dodici anni il nuovo organismo non viene costituito e il Cnpi rimane in funzione in regime di prorogatio, sebbene nei fatti svuotato di contenuti e di attribuzioni;

Nel 2012 il governo Monti decide di non procedere più alla prorogatio delle funzioni del Cnpi e quest’ultimo esce definitivamente di scena il 31-12-2012. Nella primavera scorsa la Flc-Cgil ricorre al Tar del Lazio contro questa decisione, chiedendo in sostanza o una nuova prorogatio del Cnpi o l’istituzione del «nuovo» Cspi (in realtà vecchio di 12 anni). Il 15 ottobre 2013 il Tar del Lazio dà Ragione al sindacato (si veda ItaliaOggi di martedì scorso), «condanna l’inerzia del ministero», e intima, entro 60 giorni, di istituire il Cspi. In caso di inadempienza il Tar individua fin d’ora nel prefetto di Roma il commissario ad acta per costituire il Consiglio e procedere ad elezioni e nomine. La posizione del Tar Lazio è che, sebbene il vecchio consiglio sia stato cancellato, non lo sono state tutte le funzioni consultive previste su vari atti del ministero.Il consiglio, recita il decreto legislativo n. 297/1994, «esprime i pareri obbligatori in ordine alla promozione della sperimentazione e della innovazione sul piano nazionale e locale, e ne valuta i risultati;…. esprime il parere obbligatorio previsto dall’articolo 74, in materia di calendario scolastico; … esprime pareri obbligatori in ordine alle disposizioni di competenza del Ministro della pubblica istruzione in materia di concorsi, valutazione dei titoli e ripartizione dei posti di cui agli articoli 404, 416, 419, 422, 425, e 427 in materia di utilizzazioni di cui all’articolo 455, in materia di trasferimenti e passaggi di cui agli articoli 463 e 471 in materia di titoli valutabili e punteggi per il conferimento delle supplenze, al personale docente, in materia di concorsi e conferimento delle supplenze per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, di cui agli articoli 553 e 581».

Secondo questa ricostruzione, un ministero inadempiente sul Cnpi-Cspi potrebbe essere non legittimato ad assumere decisioni importanti, tra le quali perfino un nuovo concorso, e rischierebbe di non vedersi più registrati dalla Corte dei conti gli atti sui quali è previsto un parere. Insomma, un’amministrazione quasi paralizzata

da ItaliaOggi 29.10.13

“Contratti e scatti, tutto bloccato”, di Carlo Forte

Il blocco degli scatti di anzianità esce dalla porta e rientra dalla finestra. Nella Gazzetta Ufficiale 251 del 25 ottobre scorso è stato pubblicato il regolamento (nato con il governo Monti e poi ultimato con modifiche dall’esecutivo Letta) che blocca la contrattazione retributiva, differisce di un anno la maturazione degli scatti di anzianità e congela l’indennità di vacanza contrattuale (decreto del Presidente della Repubblica 122/2013).

Il provvedimento interviene su due materie previste nell’articolo 11 del disegno di legge di stabilità: blocco della contrattazione e indennità di vacanza contrattuale. E quindi, l’applicazione delle disposizioni in esso contenute potrebbe creare non pochi problemi di coordinamento con quelle del disegno di legge AS1120, la legge di stabilità. In più dispone la cancellazione dell’utilità del 2013 ai fini dei gradoni e la possibile riapertura della contrattazione solo per la parte normativa. Sindacati sul piede di guerra: Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals-Confsal e Gilda ieri hanno concordato una manifestazione di categoria per il 30 novembre: obiettivo, modificare la legge di Stabilità per rinnovare i contratti e garantire il pagamento dei gradoni. In vista, lo sciopero di categoria.

Contratti

Il decreto 122 dispone il blocco della contrattazione collettiva per il biennio 2013-2014 (ora possibile solo per la parte normativa) senza possibilità di recupero (art. 1, comma 1, lettera c). E il disegno di legge di stabilità ricalca testualmente le disposizioni contenute nel decreto, modificando in tal senso l’articolo 9 del decreto legge 78/2010. Ciò conforta la tesi di coloro che sostenevano che il decreto fosse viziato da un eccesso di delega. Secondo i quali, l’intervento legislativo si sarebbe reso necessario perché il blocco della contrattazione collettiva non poteva essere disposto con un semplice regolamento governativo.

Scatti

La copertura legislativa mancherebbe, invece, per quanto riguarda la cancellazione dell’utilità del 2013 ai fini dei gradoni. Questa disposizione, infatti, è presente solo nel decreto 122 e non nel disegno di legge di stabilità. In questo caso, dunque, l’esecutivo non avrebbe ritenuto necessario l’intervento del parlamento, optando per l’utilizzo del potere regolamentare. Che discenderebbe dall’articolo 16, comma 1, del decreto legge 98/2011, il quale dispone che il governo può disporre per regolamento«la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni».

Indennità di vacanza

Sull’indennità di vacanza contrattuale (Ivc) le disposizioni contenute nel decreto 122 collidono, invece, con quelle contenute nel decreto legge di stabilità. Nel decreto c’è scritto che nel triennio 2015/2017, fermo il congelamento dell’importo nel biennio 2013-2014, l’indennità sarà corrisposta secondo le disposizioni contenute nei protocolli e nei contratti. Che prevedono, a regime, la corresponsione di incrementi retributivi pari al 50% del tasso di inflazione. Nel disegno di legge di stabilità, invece, viene disposto che l’importo dell’indennità continuerà ad essere corrisposta regolarmente, senza congelamenti di sorta, ma nel triennio 2015/2017 l’importo non subirà incrementi e rimarrà fermo a quello in godimento al 31 dicembre 2013. Ciò determina l’insorgenza di un contrasto tra fonti di difficile soluzione. Teoricamente, il decreto 122 si pone in rapporto di specialità con la legge di stabilità (che per sua natura è derogabile dai regolamenti). E quindi dovrebbe prevalere su quest’ultima. Resistendo anche al fatto che l’entrata in vigore della legge di stabilità risulterebbe posteriore rispetto al decreto. Ma la Costituzione prevede che ogni nuova legge che importi maggiori spese debba necessariamente indicare i mezzi per farvi fronte. E siccome il decreto si limita a scaricare il problema sul ministero dell’economia (si veda il comma 3 dell’art. 1) è ragionevole ritenere che una lettura costituzionalmente orientata delle due fonti dovrebbe far pendere la bilancia dal lato della legge di stabilità. Resta il fatto, però, che se il parlamento non risolverà il contrasto direttamente in sede legislativa, si rischia di porre le basi per un ennesimo contenzioso seriale.

ItaliaOggi 29.10.13

“In Trentino Alto Adige i grillini perdono 3 voti su 4”, di Francesca Schianchi

La Svp vince in Alto Adige, ma, per la prima volta, non riesce a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Va male il centrodestra, così come in Trentino, dove stravince il candidato presidente della coalizione di centrosinistra, il Pd è il primo partito e il Movimento Cinque stelle perde quasi tre voti su quattro rispetto a quelli presi per entrare alla Camera a febbraio. Iniziato lo spoglio ieri alle sette del mattino, a metà pomeriggio è possibile fare un bilancio delle elezioni che si sono tenute domenica per rinnovare i consigli provinciali di Trentino e Alto Adige, che insieme formeranno il consiglio regionale. Un appuntamento segnato, soprattutto in Trentino, dall’astensione: 62,81% di votanti, cioè il 10,32% in meno rispetto alle provinciali del 2008. Più contenuto il calo nella provincia “cugina”: 2,4%.
A Trento e dintorni si chiude l’era Dellai (eletto deputato con Scelta civica) e viene eletto Ugo Rossi, assessore alla salute e alle politiche sociali, con il 58,12%, sostenuto dalla coalizione di centrosinistra autonomista uscente. Il Pd è il primo partito col 22,07%, seguito da un clamoroso exploit del Patt (Partito autonomista trentino tirolese), che porta a casa il 17,55%, quando cinque anni fa era all’8%. Mentre il M5S, qui al suo primo test delle provinciali, si ferma molto prima del 20,76% con cui bussò a febbraio alla porta di Montecitorio: 5,84% (5,72 il candidato presidente Degasperi). Risultato che, però, Beppe Grillo definisce comunque “straordinario” perché «finalmente abbiamo anche un nostro eletto in Consiglio». Lo avrà anche a Bolzano, «siamo entrati anche in Alto Adige, vi rendete conto?», si compiace.
Dalle parti di Bolzano, finisce la lunghissima presidenza Durnwalder e succederà il compagno di partito Arno Kompatscher (dovranno essere i consiglieri eletti a votare il presidente). Da segnalare il tracollo della rappresentanza italiana: saranno solo cinque i consiglieri, con un solo assessore provinciale di lingua italiana. La Svp vince ma perde la maggioranza assoluta dei seggi: i voti in uscita vanno verso i partiti di destra di lingua tedesca, Die Freiheitlichen e la Suedtiroler Freiheit della pasionaria separatista Eva Klotz. Mentre quasi scompare il centrodestra di lingua italiana: Forza Italia più Lega si fermano al 2,5%. «Un risultato sconfortante, abbiamo pagato le divisioni all’interno del centrodestra», valuta la fedelissima berlusconiana Michaela Biancofiore, coordinatrice regiona-
le di Forza Italia. Che sottolinea di aver ricevuto «almeno cinque preferenze» in ogni sezione, pur non essendo candidata. «Io sto all’Alto Adige come Berlusconi sta all’Italia, ringrazio coloro che hanno espresso la preferenza per me ma non mi posso candidare ogni volta». Non riesce ad approfittare del crollo dei berlusconiani e della Lega il Pd, che con il 6,7% incrementa solo dello 0,7% il risultato del 2008. Un bottino comunque, sia a Trento che a Bolzano, con «un segno positivo – si accontenta il segretario Epifani che conferma il buon governo finora realizzato dalle amministrazioni».

La stampa 29.10.13

“Quei segnali dal nord”, di Michele Prospero

Nelle analisi politiche dominano sempre più i sondaggi. Quando poi si svolgono elezioni reali, pare si tratti di eventi trascurabili. È il caso invece di attenersi ai risultati delle consultazioni parziali. In Trentino Alto Adige i numeri parlano molto più chiaro dei maghi dei sondaggi che pontificano sugli scenari ipotetici malgrado le continue confutazioni. Al voto del Trentino Alto Adige ha dedicato delle fantasiose interpretazioni Beppe Grillo, che ha parlato di «un risultato stratosferico» per il suo non-partito. Il M5S non era presente nelle provinciali precedenti e quindi il raffronto del suo odierno dato va fatto solo con le politiche del 2013. Nella provincia autonoma di Trento il M5S aveva incassato a febbraio un discreto 20,8 per cento, pari a 63758 voti. Oggi Grillo ottiene soltanto il 5,7 per cento e cioè, in termini assoluti, appena 14 mila voti. Con la perdita secca di 15 punti percentuali e di ben 47 mila voti effettivi è assai arduo cantare vittoria.
A Trento ha vinto in realtà la coalizione organizzata dal Pd (senza Sel e Rifondazione) che si aggiudica il presidente della provincia con il 58,1 per cento dei consensi. Addirittura il candidato Rossi racimola oltre due punti in più rispetto al trionfo di Dellai riportato nel 2008. La destra, che aveva oltre il 36 per cento, si dissolve in tante liste civiche, mentre la Lega, che disponeva di suo del 14 per cento, si ferma ad appena il 6 per cento dei consensi. Considerando le singole liste, buono è senza dubbio il risultato del Pd, primo partito con il 22 per cento (lo 0,5 in più rispetto al turno precedente). Molto penalizzata esce la lista di Dellai che arretra di circa 6 punti rispetto al dato registrato da Scelta Civica otto mesi fa.
Anche gli scrutini della provincia auto- noma di Bolzano sono piuttosto trasparenti. Di una stratosferica affermazione del M5S non si riscontra nessuna traccia nelle urne. All’8,3 per cento delle ultime politiche, risponde un assai modesto 2,5 per cento. E dei 25 mila voti incassati alle politiche, ne rimangono a disposizione solo 7 mila. Grillo, perdendo quasi 20 mi- la voti in pochi mesi, esce pesantemente sconfitto, al pari della destra che si dilegua in percentuali irrisorie. Buona pare invece la tenuta del Pd e significativa è l’affermazione di Sel che, in alleanza con i verdi, sfiora il 9 per cento e intasca 25 mila suffragi.
Da queste consultazioni locali, sia pure molto peculiari e refrattarie rispetto a delle facili estrapolazioni generali, è possibile ricavare un dato politico: continua la disaffezione dei cittadini, che si mani- festa con la caduta visibile della partecipazione elettorale. Sul piano della geografia politica, il test locale lascia intravvedere alcune tendenze in atto nel corpo elettorale. La destra è diventata un vero enigma, appare senza leadership e vaga nello sbando più completo nei territori, dove non resiste alle sfide ed evapora con velocità estrema. Il movimento di Grillo, oltre che di «un rapporto complicato con quell’anziano signore» che abita nel Colle, soffre anche di un palese deficit di radicamento. Non ha messo consistenti radici nei territori e per questo cade drasticamente nella raccolta del consenso quando viene a manca- re il potente traino esercitato dai nume- rosi media amici (di quelli della televisione vecchio stampo, non certo della rete). Quello capeggiato da Grillo è un movimento di protesta a fortissimo trasporto mediatico, che risulterebbe impensabile nelle sue enormi dimensioni elettorali senza le infinite e tutte eguali trasmissioni di video politica che affollano stanca- mente le reti pubbliche e private.
Incamerato il buon risultato del Trentino Alto Adige, la sinistra farebbe bene a non considerare già chiusa la partita con una destra che ora pare latitante e acefala. La destra esiste ancora nel Paese e con estrema velocità essa è in grado di riorganizzarsi attorno ad una aggiornata offerta politica. La destra che permane come sentimento oggettivo annidato in umori e forti interessi, non mancherà di ricomparire ben presto come una temibile formazione soggettiva che contenderà sino all’ultimo la leadership.
Sarebbe inoltre irrealistico giudicare come ormai esaurite le ragioni della pro- testa raccolte a febbraio dal comico del- la rivolta. Dal voto emerge un sistema friabile che, accanto a segnali di assesta- mento ravvisabili nelle elezioni territoriali, nasconde forti momenti di ebollizione, capaci di distruggere ogni apparente equilibrio con esplosioni imprevedibili.

L’Unità 29.10.13

Misure urgenti per scuola università e ricerca: DL 104 – Relazione in sede di discussione generale alla Camera dei Deputati

Pubblichiamo l’intervento in discussione generale dell’On Ghizzoni nominata nella giornata di ieri nuova relatrice al DL 104 recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca. La nomina inaspettata a questo delicato compito fa seguito alle dimissioni del Presidente della Commissione Galan da relatore a seguito della mancata intesa con il Governo sulle coperture finanziarie del provvedimento. La Commissione nelle scorse settimane aveva proficuamente lavorato all’esame del decreto apportando numerose e significative modifiche nell’ambito però degli emendamenti dichiarati ammissibili dal Presidente Galan. Pertanto alla attuale relatrice è affidato il compito di accompagnare il provvedimento nella fase conclusiva cioè la discussione in aula.

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Onorevoli colleghi!
Signor Presidente,

finalmente un provvedimento che si occupa specificamente di scuola, università e ricerca è stato esaminato nella sua sede naturale, cioè in Commissione Cultura.

Se percepisce un senso di stupore è perché da anni, da troppi anni, misure destinate ad incidere sul sistema pubblico della conoscenza, spesso con approcci settoriali o scoordinati, sono state approvate in leggi omnibus, con il principale obiettivo di ridurre il bilancio a carico del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
Con l’esito che è stato ricordato nel rapporto dell’allora ministro Giarda del 2012 e cioè che “La spesa del MIUR si è ridotta nell’ultimo triennio di 3,5 miliardi, di cui 2,2 nella scuola e quasi 1 nell’università” e, per gli ultimi due decenni, rilevava “una forte caduta della quota della spesa pubblica per l’istruzione, dal 23,1% al 17,7% del totale, con una corrispondente caduta della quota sul PIL”.

L’istruzione è stato, insieme a quello dell’ordine pubblico e della sicurezza, l’unico settore della spesa pubblica in contrazione, calando del -5,4%, in netta controtendenza con le scelte degli altri paesi europei e dell’OCSE in periodi di crisi.
E’ dunque ipocrita interrogarsi sulle performance deludenti nelle analisi internazionali del nostro sistema formativo. Sappiamo bene che la spesa pubblica non è necessariamente sinonimo di qualità e sviluppo, ma certamente non lo sono nemmeno i tagli lineari che si abbattono anche sui comportamenti virtuosi e sulle buone prassi senza certezza di efficacia sugli sprechi.

Va dato quindi atto al Governo Letta di avere emanato misure urgenti per far intraprendere al nostro Paese una politica di investimenti in favore del sistema pubblico della conoscenza.
Un investimento – uso non a caso questa parola – costituito sia da iniziative per il welfare studentesco, per le politiche professionali e per l’ambito educativo-didattico e organizzativo, sulla linea di idee da tempo dibattute nella nostra commissione, sia da risorse finanziarie aggiuntive.

Risorse aggiuntive che assommano a 315 milioni per il 2014 e a oltre 390 milioni annui dal 2015 in poi. Tema, quello delle coperture, sul quale la commissione ha molto dibattuto senza trovare, al momento, una sintesi con il Governo; ma ho fiducia che il lavoro, al quale non ci sottrarremo nelle prossime ore, possa raggiungere un esito favorevole e il più ampiamente condiviso.
Ora, comunque, mi preme sottolineare che lo sforzo finanziario e di idee concretato nel decreto varato dal Governo non è sfuggito ai tanti e diversi soggetti ascoltati in audizione. Sebbene essi non si siano giustamente sottratti a segnalare le criticità contenute nel testo – molte delle quali risolte con emendamenti approvati in commissione – hanno comunque riconosciuto e apprezzato un’inversione di tendenza fatta di risorse e proposte nuove sulle quali mi soffermerò.

Dati gli accordi intercorsi con i gruppi parlamentari di ridurre il tempo degli interventi, mi permetta Presidente di chiedere già ora la pubblicazione dell’intera relazione in calce al resoconto della seduta, così che io possa limitarmi ad esporne in Aula la sola premessa, che raccoglie i tratti salienti del provvedimento, soprattutto alla luce delle modifiche apportate durante l’esame in commissione, avvenute a seguito del meticoloso lavoro svolto da tutti i gruppi, che qui voglio ringraziare per la passione e la determinazione con la quale hanno atteso all’esame del provvedimento.
Desidero altresì ringraziare il presidente on. Galan per la fiducia che voluto raccordarmi affidandomi, in sua vece, il ruolo di relatrice del provvedimento.

Il decreto prevede come primo nucleo di disposizione quelle relative al welfare degli studenti, con l’incremento di 15 milioni per le spese di trasporto degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado e di 3 milioni per l’assegnazione di premi di merito artistico per gli studenti AFAM.
Si potenzia altresì l’offerta formativa con ulteriori 3 milioni di finanziamento che permetteranno alle scuole di costituire ed aggiornare laboratori tecnico-scientifici che utilizzino materiali innovativi, ed ancora, sempre alle scuole ma anche alle università ed alle accademie, consentiranno di avviare progetti didattici in collaborazione con musei e istituzioni culturali e scientifiche.

Ancora, si interviene per contenere il costo dei libri di testo sia modificando le regole per l’adozione sia mediante agevolazioni alle famiglie in difficoltà; per ciò che riguarda le regole si afferma la possibilità, in loco della già prevista obbligatorietà, dell’adozione dei libri di testo, stabilendo il principio che le risorse possano essere destinate all’utilizzo di materiali alternativi anche autoprodotti dalle scuole, mentre per l’acquisto di libri da dare in comodato alle famiglie in difficoltà si stanziano 2,7 milioni nel 2013 e 5,4 nel 2014.
Il tema della dispersione scolastica viene affrontato proponendo un programma di didattica integrativa anche attraverso il prolungamento dell’orario scolastico, soprattutto nelle zone di maggior evasione dall’obbligo, volto al rafforzamento delle competenze di base e rivolto a tutti gli ordini di scuola.
Già dall’anno scolastico in corso le scuole potranno potenziare le attività di orientamento. Il provvedimento, inizialmente rivolto all’ultimo biennio della secondaria superiore, è stato esteso anche all’ultimo anno della secondaria inferiore, cioè ad entrambi i momenti cruciali in cui gli studenti effettuano una scelta determinante per il loro futuro formativo. A questo fine sono stati stanziati 1,6 milioni per il 2013 e 5 milioni per il 2014.
Con le disposizioni sinteticamente enunciate, si affrontano dunque i problemi più urgenti per offrire un concreto aiuto agli studenti ed alle famiglie, affinché a tutti vengano date reali opportunità per acquisire quelle competenze necessarie ad esplicare le proprie potenzialità individuali e a divenire cittadini consapevoli, favorendo al contempo il difficile compito delle scuole che tutti giorni, in trincea, combattono contro la dispersione e l’abbandono,

Vengo alle norme dedicate al personale scolastico.
Troppo a lungo si è pensato che per recuperare in qualità sarebbe stato necessario stornare risorse dal capitolo dei costi del personale nel bilancio del MIUR; troppo a lungo si è parlato della scuola come grande bacino occupazionale di dipendenti statali, trascurando che a loro è affidato il delicato compito di formare, educare, sostenere la libera espressione del pensiero e la crescita personale.
Ecco, anche in tal senso occorre cambiare passo e pensare al lavoro dei docenti e del personale della scuola come ad una risorsa da coinvolgere e da valorizzare.
Nelle linee programmatiche presentate dal Ministro Carrozza questo tema assume una nuova centralità, diventa leva di crescita degli standard qualitativi e non più costo da comprimere. Al contempo in esse si coglie la volontà di innovare ogni ambito della professione docente: dal reclutamento alla formazione in servizio, dall’esercizio della professione a nuove modalità di organizzazione del lavoro.
In coerenza con quanto delineato, il decreto affronta quindi alcune emergenze che attengono al personale della scuola, quale quella del reclutamento dei Dirigenti Scolastici, i cui, ultimi, travagliati iter concorsuali hanno prodotto incertezze e rallentamenti nella stessa conduzione delle Istituzioni Scolastiche.
Inoltre, grazie al lavoro attento e tenace della commissione, sulla dolorosa questione del personale inidoneo all’esercizio della funzione docente, si è giunti a ristabilire un principio: la prevalenza della tutela della salute e della dignità professionale sul fattore di contenimento della spesa.

Ma si affronta anche un nodo strutturale e cruciale come quello di garantire stabilità agli organici: il piano triennale disposto dal decreto consentirà di assumere personale scolastico a tempo indeterminato su posti in organico di diritto.
E’ poi particolarmente positivo che il decreto preveda l’immissione in ruolo di 26.000 docenti specializzati sul sostegno, ambito nel quale si era duramente abbattuta la precedente scure dei tagli: questa misura, infatti, dispone il graduale ripristino degli organici del sostegno esistenti al 2008.

Come pure significativa è l’attenzione al bisogno di formazione in servizio dei docenti, soprattutto finalizzato a sostenere, in particolare, il difficile lavoro dei docenti impegnati in aree con forti criticità, espresse – ad esempio – da alti tassi di abbandono scolastico, da alte concentrazioni di alunni con bisogni educativi speciali o da una elevata presenza di alunni migranti.

Vengo ora alle principali misure in favore di AFAM, ricerca e diritto allo studio.
Da registrare positivamente il fatto che con questo decreto il Governo Letta interrompe la lunga e colpevole disattenzione della politica nei confronti dell’alta formazione artistica e musicale.
Infatti, grazie alle norme contenute nel decreto e alle modifiche introdotte dalla commissione trovano risposta positiva alcune delle attese dei docenti precari che da anni operano nelle Istituzioni e si dà un concreto segnale di attenzione – atteso dal 2007 – agli Istituti superiori di studi musicali ex pareggiati e alle accademie storiche non statali, per i quali è messo a disposizione un fondo per far fronte alle gravi difficoltà finanziarie in cui versano tali istituti.
La commissione è intervenuta anche sulla questione di maggiore risonanza sui media: l’abolizione del “bonus maturità” per l’accesso ai corsi di laurea con numero programmato. La modifica, approvata all’unanimità grazie ad una proficua interlocuzione con il Governo salvaguarda da un lato i diritti di tutti gli studenti che già frequentano i corsi di laurea ma, con un intervento di sanatoria valido solo per l’anno accademico 2013/14, consente altresì l’immatricolazione in soprannumero a quegli studenti che sarebbero stati ammessi, in base ai risultati conseguiti al test, se il bonus non fosse stato abrogato negli stessi giorni in cui si tenevano le prove di ammissione.
Quel che è comunque certa è l’urgenza di una riflessione meno estemporanea sull’accesso programmato ai corsi di laurea e sulle modalità di ammissione, riflessione che non può che essere collegata a scelte strategiche di fondo: sul diritto all’istruzione, sulla flessibilità della formazione post-secondaria, sul legame formazione-lavoro.
Passando al tema “ricerca”, mi soffermo sulle disposizioni relative al personale precario.
Esprimiamo apprezzamento per l’assunzione in cinque anni di 200 ricercatori precari e la proroga degli attuali contratti a tempo determinato in favore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che soffre di un’endemica precarietà del personale. Ma l’apprezzamento è mitigato dal limitato raggio d’azione della norma che non ha permesso di raccogliere le istanze degli altri enti di ricerca, che pur conoscono estesi fenomeni di precarietà del personale, alle quali neppure il recente decreto sulla razionalizzazione nella pubblica amministrazione ha dato risposta. Questo contesto non agevola l’attività di ricerca, sulla quale peraltro interviene anche la norma della legge di stabilità che riporta il turn over al solo 20% della spesa relativa al personale cessato. Un provvedimento che, se confermato, vanificherebbe peraltro la norma disposta dal decreto estivo del Fare e tenacemente voluta dal ministro Carrozza. Si tratta di un argomento che esula dall’esame del decreto 104, pertanto mi limito a dire che il ministro avrà al proprio fianco tutti i gruppi parlamentari per ritornare alla situazione prevista dal decreto del Fare.
Per gli enti e per gli Atenei, quindi, resta ora la possibilità disposta dall’articolo 23 di attivare contratti a tempo determinato purché non ricadano su fondi ordinari; questa norma è certamente positiva perché consente di non espellere dal sistema giovani di talento che fanno buona ricerca e didattica, ma dall’altra li trattiene in una condizione di stabile precarietà! Un paradosso, purtroppo, che siamo chiamati a sciogliere, Governo e Parlamento, per la responsabilità che portiamo sulle spalle di non tradire la fiducia dei giovani nel futuro.

E vengo all’ultima questione, quella relativa al diritto allo studio universitario, nella consapevolezza che ogni intervento in questo ambito sia un passo compiuto contro l’ineguaglianza e verso il progresso e lo sviluppo, anche in termini di PIL come ci insegna il premio nobel Stiglitz.
Riteniamo positiva l’approvazione dell’emendamento che sterilizza per il prossimo anno accademico eventuali aumenti della tassazione e della contribuzione studentesca: un anno che il Parlamento dovrà mettere a frutto per approvare una legge che definisce i criteri nazionali affinché le tasse universitarie siano ispirate ai principi di equità e di progressività.
Riteniamo ugualmente positiva l’approvazione dell’emendamento, avvenuta stamane in commissione, che stabilizza a 150 milioni, rispetto ai 100 previsti dal decreto, la capienza del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio. Si tratta di una norma importante perché è la prima volta che il governo dà certezza nel tempo alla consistenza del Fondo.
Conosco le obiezioni che le opposizioni faranno a questa affermazione, nei confronti delle quali mi permetto di giocare in anticipo dicendo: un primo passo per il diritto allo studio è compiuto, insieme possiamo fare gli altri passi, necessari a dare una risposta a tutti i ragazzi meritevoli anche se privi di mezzi e a cancellare l’inganno dei cosiddetti idonei senza borsa.

Concludo la mia premessa con una riflessione, che è anche un invito che desidero rivolgere in particolare alle forze di opposizione, che ringrazio nuovamente per il comportamento costruttivo che hanno contribuito a determinare durante la discussione in commissione, testimoniato dall’approvazione unanime di numerosi emendamenti, presentati sia dall’opposizione sia dalla maggioranza.
Questo decreto è stato emanato in un momento molto difficile per il Paese, perché stiamo vivendo un passaggio epocale soprattutto dal punto di vista economico e sociale: siamo infatti, come scrive Nicola Cacace “ il Paese più vecchio del mondo (età media 45 anni) con la disoccupazione giovanile più alta d’Europa (oltre il 30% contro il 20% europeo); siamo il Paese europeo con meno laureati eppure abbiamo il più alto livello di laureati disoccupati o sottoccupati. E siamo un Paese «congelato» perché da tempo la scuola non è più quell’ascensore sociale di cui si è favoleggiato a lungo: oggi solo il 10% dei figli di operai diventa professionista, mentre il 45% dei figli di medici sono medici, di architetti sono architetti, di ingegneri sono ingegneri.”
E a nessuno di noi sfugge il fatto che il nostro sistema di conoscenza ha molto a che fare con la situazione sintetizzata da Cacace. E quindi anche gli effetti dispiegati dal decreto in esame incideranno su quella paralisi sociale che attanaglia il Paese.
Comprendo pertanto le attese, le molte attese riposte in questo decreto, e che per le opposizione non sono state tutte adeguatamente evase, ma credo al contempo che non si possa chiedere ad un provvedimento di misure urgenti, forzatamente circoscritte ancorché pensate con un approccio sistemico, di risolvere in un solo colpo tutti i problemi della scuola, dell’università e della ricerca.
Metteremo a segno un primo obiettivo con l’approvazione del decreto, come modificato in Commissione: altri ne restano da fare, lo sappiamo, ma saranno tanto più efficaci se frutto di un lavoro condiviso. “”””””

“Renzi e il Pd l’immagine non basta”, di Marc Lazar

Matteo Renzi provoca nella sinistra reazioni contrastanti. I suoi adepti sottolineano il talento di comunicatore del sindaco di Firenze.
Tratteggiano la sua originale personalità, l’età e l’attitudine a vincere le prossime elezioni; mentre i suoi avversari, o più semplicemente i dubbiosi, si preoccupano dell’eccesso di personalizzazione e della nebulosità del suo programma, interrogandosi sulle sue capacità di statista.Peraltro, questo tipo di dibattito, lungi dall’essere specificamente italiano, si ripropone ovunque nella sinistra europea al momento di scegliere il proprio leader.
In effetti, in tutti i Paesi dell’Unione europea la democrazia sta vivendo mutazioni analoghe, che poi si declinano in maniera diversa a seconda della storia, delle istituzioni e dei sistemi partitici di ciascuno degli Stati membri. Dovunque si sta affermando quella che Bernard Manin ha definito la “democrazia del pubblico”, caratterizzata dal declino dei partiti (anche se non scompaiono del tutto), dalla disgregazione delle identità e culture politiche tradizionali, dall’aumento della volatilità, dal ruolo crescente dei leader e dall’importanza della televisione, di Internet e delle reti sociali. Altro grande cambiamento: la disaffezione nei confronti delle istituzioni, l’euroscetticismo generalizzato e il rigetto delle élite dirigenti: tutto questo porta a esacerbare i populismi, cavalcati da leader energici e abili. In queste condizioni, la sinistra è confrontata con un problema cruciale: che tipo di leader designare per far fronte a sfide di tale portata?
Una sua parte ritiene indispensabile adattarsi a questa modernizzazione, e accetta una politica di tipo presidenziale, personalizzata e mediatizzata, per non lasciare la piazza ai leader della destra e ai populisti, e soprattutto per vincere il più largamente possibile. Per converso, un’altra parte della sinistra rifiuta di mettersi su questa strada evocando trascorsi storici traumatici — bonapartismo, fascismo, nazismo, stalinismo — e glorificando la cultura collettiva dei partiti. Si richiama al valore dell’uguaglianza, e rivendica un orientamento nettamente radicato a sinistra. Un dilemma è difficile da risolvere, come dimostra l’esperienza di altre realtà che hanno visto emergere due tipi di leader.
In Italia e in Francia, il Pd e il Partito socialista si sono convertiti — anche se con modalità e forme diverse — alle primarie, che mirano a riannodare i legami con settori della società civile, ma comportano al tempo stesso l’accettazione di una politica personalizzata. In entrambi i Paesi, i vincitori delle ultime primarie indette per designare il candidato alla competizione più decisiva hanno omesso di trarre tutte le conseguenze dal loro successo. Dopo aver vinto le primarie del 2011, François Hollande ha adottato un basso profilo, presentandosi come futuro “presidente normale” e cavalcando l’onda della contrarietà a Nicolas Sarkozy. Ma dopo la vittoria risicata nel 2012, la sua concezione del ruolo di capo dello Stato ha indebolito le condizioni dell’esercizio della sua presidenza della Repubblica. Un anno dopo, Pierluigi Bersani ha adottato un atteggiamento analogo, definendosi innanzitutto come un rappresentante della ditta del centrosinistra. Ma quando la vittoria sembrava a portata di mano, ha subito uno scacco fatale. Sia Bersani che Hollande, convinti oltre tutto che il tempo della polarizzazione su un uomo solo – incarnato rispettivamente da Berlusconi e Sarkozy – fosse ormai finito, si sono sforzati di conciliare le due logiche antagoniste della personalizzazione e del partito.
Altri leader sconvolgono deliberatamente le tradizioni e spazzano via i tabù: come Tony Blair, che a 41 anni si è impadronito del Labour accelerando il processo di modernizzazione già avviato dai suoi predecessori: ne ha riformato l’organizzazione, rifondato l’identità e affermato l’autorità, mettendo in campo un suo modo di comunicare e teorizzando, con l’aiuto di Anthony Giddens, la nozione di Terza via. Tre anni dopo ha conquistato il potere, ponendo fine a diciotto anni di sconfitte elettorali laburiste. In Francia, nel 2006 Ségolène Royal ha tentato un’operazione di tipo analogo e si è imposta alle primarie del partito socialista, per candidarsi, nel 2007, alla presidenza della Repubblica. Ma dopo un inizio dirompente, quando i sondaggi nutrivano tutte le sue speranze, è stata sconfitta. Sconfitta, anche a causa delle forti reticenze all’interno stesso del suo schieramento, delle sue continue improvvisazioni, dell’incoerenza delle sue proposte, ma soprattutto grazie al dinamismo del suo avversario, Nicolas Sarkozy. Sia Blair che Royal sono figure di leader innovatori e iconoclasti.
Per Matteo Renzi, che appartiene indubbiamente a quest’ultima categoria, la personalizzazione della politica è un processo irreversibile; e il “popolo della sinistra” è più disponibile ad accettarla nel momento in cui emerge un leader suscettibile di strappare finalmente la vittoria alla destra. Tuttavia – e questa è la lezione della sconfitta di Ségolène Royal – non basta la capacità di vincere, e neppure il semplice desiderio di cambiamento degli elettori, il carisma e le doti di comunicatore. L’immagine certo è fondamentale, ma non garantisce la vittoria. Per vincere, un leader deve convincere – sull’esempio di Blair – il proprio partito, che resta uno strumento indispensabile nelle campagne elettorali. E ciò presuppone, soprattutto per il Pd – questo «partito senza qualità», secondo l’espressione di Mauro Calise – la definizione di un progetto chiaro, e un’identità che il leader – pur cercando di conquistare voti all’esterno – è chiamato a incarnare.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

La Repubblica 29.10.13