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Lutto nazionale

“Si é consumata una tragedia immane questa mattina all’alba sulle coste di Lampedusa e, minuto dopo minuto, assume dimensioni enormi. È ora di dire basta. Non si può restare indifferenti di fronte a questa ennesima giornata nera nella storia del nostro Paese, dell’Europa e del Mediterraneo”. Lo afferma Khalid Chaouki, deputato e responsabile Nuovi Italiani per il PD, intervenendo nell’Aula di Montecitorio.

“Il Governo – precisa Chaouki – d’intesa con l’Europa, deve impegnarsi con urgenza per trovare soluzioni definitive, l’Italia, e soprattutto la Sicilia, è la porta d’Europa, l’UE deve farsi carico di quella che è, a tutti gli effetti, una questione europea. Il mio profondo cordoglio per una delle pagine più tristi della storia degli sbarchi, non possiamo più fare finta di niente”.

“Tragedia terribile, l’Europa non può nascondersi” così Roberto Speranza, Presidente Deputati del PD. “Impossibile rimanere indifferenti di fronte alla terribile tragedia di Lampedusa – ha aggiunto – ancora una volta donne, uomini e bambini perdono la vita per fuggire povertà, guerre e persecuzioni. La politica deve dare risposte e l’Italia deve chiedere all’Europa di far sentire la propria voce per assicurare ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo di crescere e garantire condizioni di vita accettabili. Vanno intanto assicurati alla giustizia scafisti e organizzazioni criminali che speculano sulle migrazioni. Siamo vicini al Sindaco di Lampedusa – ha concluso – e chiediamo al Governo ogni sforzo possibile per assicurare sostegno e iniziative di soccorso.”

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“Il Cavaliere vice del suo vice”, di Curzio Maltese

All’ora di pranzo si compie la tragedia di un uomo ridicolo. Berlusconi poteva scegliersi una fine drammatica da Caimano, con paesaggi in fiamme alle spalle, oppure una farsesca. Ha scelto con coerenza la seconda. All’una e mezza, quando l’ombra del Cavaliere annuncia la fiducia e subito scoppia a piangere, sulle tribune del Senato la stampa di mezzo mondo esplode in una risata. Soltanto una collega svedese vagola in preda all’angoscia, come certi turisti abbattuti dall’afa e dalla sindrome di Stendhal: «Ma che succede? Qualcuno può spiegarmi?». Erano arrivati tutti al richiamo della grande giornata storica ed eccoci a raccontare la solita replica dell’8 settembre all’italiana. Un 8 settembre della destra, dove Berlusconi è allo stesso tempo Mussolini, Badoglio e il re, ma l’annuncio rimane lo stesso della guerra che continua a fianco dell’alleato, chiunque esso sia. Il generale ha firmato la resa senza avvisare i colonnelli, i quali hanno continuato a spararsi contro fino a notte fonda nei talk show. Sui banchi della destra campeggiano ancora in bella vista le copie del Giornale di famiglia, detto un tempo Il Geniale, con titolo di scatola «Alfano tradisce», mentre Berlusconi annuncia la fiducia al governo Letta. «Non senza travaglio», sia pur minuscolo. I falchi guardano le colombe, le colombe puntano i falchi, le pitonesse strisciano via: possibile? Da ieri il grande eversore è l’ultimo allievo di Andreotti («Se sei in minoranza, unisciti alla maggioranza»).
Berlusconi è diventato infine il vice di Alfano, in un hegeliano e spettacolare rovesciamento del rapporto servo padrone. Del resto i paradossi della giornata non si contano, ma una sola cosa è certa. Come leader Berlusconi è finito. Dopo la pagliacciata di ieri ha perso lo scettro del comando e non potrà mai più essere il candidato premier del centrodestra. Si è reso non candidabile.
Ed è curioso che a denudare il re non sia stato l’avversario politico, il Pd, e nemmeno le toghe rosse che non esistono. A farlo fuori sono stati i suoi cortigiani. Così è curioso che in fondo a un ventennio trascorso a combattere il nemico «comunista», Berlusconi non sia riuscito a distruggere la sinistra, ma in compenso sia ormai a un passo dal demolire la destra. La lascia a pezzi, immersa nel grottesco, ridotta a una ruota di scorta, anzi due, e senza un capo.
Tutto questo per inseguire un bluff. Da settimane scriviamo che Berlusconi non aveva alcun interesse a far cadere il governo e sull’orlo del baratro si sarebbe ritratto. La minaccia dell’arma fine di mondo era soltanto l’ultimo disperato ricatto di un leader ormai spinto ai margini da se stesso, dai propri comportamenti e reati, per ottenere un impossibile salvacondotto dal governo e dal Quirinale. Così è andata infine, ma il bluff è fallito nel più dilettantesco dei modi. La sfilata del voto di fiducia al Senato, che per ironica sorte comincia con la lettera B, è la fotografia di una resa incondizionata e senza l’onore delle armi. Si tratta appunto di una tragedia ridicola.
Nel confronto col duellante, Enrico Letta ne esce come un gigante. Non ha ceduto di un passo, altro che democristiano, ha indovinato il tono e le citazioni giuste, da Einaudi all’amato Gaber. «Si scannano su tutto e poi non cambia mai niente». Se Letta azzeccasse i provvedimenti di governo come le citazioni, forse non saremmo al 40 per cento di disoccupati giovani, al debito pubblico fuori controllo, ai trenta fallimenti ogni giorno e a mezzo Nord Est produttivo in fila alla dogana per portare le aziende in Svizzera, Slovenia e Carinzia. Senza contare che da domani si ricomincia da capo, per rimanere ai riferimenti del Letta cinefilo, e siamo sempre al giorno della marmotta.
La giornata storica finisce con l’immagine in fondo toccante di Scilipoti che si accosta a Berlusconi e gli sussurra consigli. Scilipoti è diventato il vero simbolo e modello della classe dirigente italiana, la cui principale arte è quella del galleggiamento e dell’impavida sfida al ridicolo. A febbraio, il risultato del voto era stato salutato da qualche politico straniero e da un bel pezzo di stampa estera come la «vittoria dei clown», anzitutto Berlusconi e Grillo. Il presidente Napolitano si era indignato, aveva preteso scuse. Chissà se a distanza di sei mesi e di tante pagliacciate, il presidente è ancora della stessa opinione.

La Repubblica 03.10.13

“La discesa degli istituti professionali”, di Alessandro Giuliani

Denuncia del Consorzio nazionale, a cui aderiscono una quarantina di istituti professionali, tecnici e di istruzione superiore di diverse regioni italiane: per colpa delle politiche degli ultimi governi ormai siamo considerati “di serie Z”, con meno iscritti complessivi ma sempre più ragazzi demotivati, bocciati in altre scuole, stranieri, portatori di handicap. Altro che fiore all’occhiello. Ma guai a chiamarle anche scuole di serie B: gli istituti professionali sarebbero considerati addirittura “scuole di serie Z”. Colpa delle politiche degli ultimi governi, che hanno portato al crollo delle iscrizioni e a un generale peggioramento delle condizioni in cui lavorano i docenti e studiano i giovani. La denuncia è del Consorzio degli Istituti professionali, una rete di circa quarantina di istituti professionali, tecnici e di istruzione superiore di diverse regioni italiane, riuniti a Cervia per l’annuale convegno nazionale.
Al termine dei lavori, il presidente, Agnese Borelli, ha inviato una lettera al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, per chiedere un incontro urgente. E cercare di introdurre delle misure compensatrici alle norme che hanno sottratto tempo scuola agli alunni e aumentato il numero di allievi per classe. Di cui una parte disabili.
“L’istruzione professionale – ha spiegato Borelli – può rappresentare uno strumento per favorire la ripresa economica e difendere il ‘made in Italy’ attraverso i vari settori di riferimento, pertanto va potenziata e valorizzata, soprattutto non trascurata né schiacciata”. Gli effetti sono ben visibili nelle scuole che ospitato in media dai 500 ai mille studenti, con classi di 20 o anche 30 persone, molte delle quali con disagi di varia natura.
“Le politiche – ha detto il presidente del Consorzio – hanno portato a non valorizzare il nostro lavoro, siamo scuole di ‘serie Z’, non considerate decorose nemmeno dai nostri governanti”.
“Noi non vogliamo preservare una scuola di vecchio tipo – ha precisato Borelli – vogliamo anzi che i nostri istituti siano considerati allo stesso modo in cui vengono trattati negli altri paesi europei”.
I vari interventi di riordino degli ultimi anni, secondo i docenti degli istituti professionali, hanno provocato soltanto un crollo delle iscrizioni e una graduale “cancellazione dei nostri istituti che un tempo erano considerati centrali nelle città di appartenenza”.
Nelle classi di alcuni istituti, come ha riferito qualche docente e qualche dirigente presente al convegno di formazione a Cervia, su trentuno studenti ce ne sono in media due portatori di handicap e 4 stranieri. “Noi raccogliamo tutto il disagio che c’è sul territorio – ha riferito il presidente -, tra ragazzi demotivati, bocciati in altre scuole, stranieri, portatori di handicap. A volte dobbiamo registrare al termine di un percorso formativo anche degli insuccessi, ma riusciamo tante volte a tirare fuori qualcosa di buono”.

La Tecnica della Scuola 03.10.13

“Femminicidio, finanziati i centri antiviolenza” di Rachele Gonnelli

Rivisto e corretto, ieri, il decreto sul femminicidio accoglie finalmente le osservazioni di associazioni e centri anti- violenza. Roberta Agostini, segretaria del coordinamento donne del Pd e vice- presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, è soddisfatta. «Abbiamo lavorato molto negli ultimi giorni e alla fine il testo è molto migliorato. Abbiamo fatto tutta una serie di audizioni di operatori e associazioni, accogliendo la maggior parte delle osservazioni, e d’accordo con il governo siamo riusciti a trovare un finanziamento che, seppure insufficiente, è un primo passo rispetto allo zero fondi della prima stesura, perché almeno scongiura la chiusura dei centri antiviolenza e prevede un primo finanziamento per quello che sarà il piano nazionale. Un piano che dovrà occuparsi non solo di repressione ma anche di prevenzione, monitoraggio, formazione permanente dei soggetti coinvolti, dalla polizia alle scuole. Il governo si è poi impegnato a trovare altre coperture all’interno della prossima legge di stabilità.

Il decreto sul femminicio licenziato ieri mattina dalle commissioni I e II di Montecitorio è dunque pronto per andare in aula, cosa che si prevede già nei prossimi giorni alla Camera e poi al Senato. Deve infatti essere convertito in legge entro il 15 ottobre. Le modifiche sono state veramente notevoli, arrivando a modificare l’iniziale impianto emergenziale che era stato aspramente criticato dalle molti gruppi di donne che si occupano di violenza di genere e dalla rete dei centri antiviolenza. La prima modifica sostanziale è che i centri antiviolenza entrano da protagonisti nella legge e si aggiudicano la maggior parte degli stanziamenti per i quali è stata trovata una copertura. Si tratta di una cifra bassa, 30 milioni di euro, che intanto serviranno a non far chiudere i centri, riconoscendoli come strumenti essenziali a dare il necessario supporto alle donne che decidono di denunciare il marito, il fidanzato, il compagno, l’uomo che le opprime, le minaccia, le picchia. Perché – come dice Linda Laura Sabbadini, direttrice Istat e responsabile, all’interno della task force interministeriale antiviolenza messa in campo dall’ex ministra Idem, dell’osservatorio permanente sul fenomeno – gli omicidi di donne sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio e strutturato che è la violenza verso le donne, che nasce quasi sempre all’interno della coppia come desiderio di controllo, di possesso. Una violenza non solo fisica che spesso – dice ancora Sabbadini – le donne stentano a riconoscere.

Per questo è tanto importante l’altra fondamentale modifica alla legge sul femminicidio, legata alla revocabilità della denuncia della donna. Il testo iniziale non la prevedeva. «È un punto molto delicato su cui c’è stato un dibattito articolato negli anni tra le donne – riconosce Roberta Agostini – le posizioni anche all’interno delle associazioni non sono univoche e in commissione abbiamo trovato una formulazione che mi pare equilibrata». La querela della donna è revocabile ma non semplicemente strappando il foglio della denuncia in commissariato, solo all’interno del procedimento giudiziario, cioè davanti al giudice. Si procede d’ufficio, senza possibilità di revoca, solo nei casi più gravi di molestie e maltrattamenti gravi e ripetuti, cioè negli stessi casi previsti nella legge sullo stalking, legati oltre alle minacce di morte all’articolo 612 bis del codice di procedura penale.

RIEDUCAZIONE DEGLI UOMINI

Il nuovo testo è stato emendato anche introducendo il sostegno alle associazioni che si occupano del trattamento degli uomini che si sono macchiati di violenza verso le donne. «Non è possibile però che questi trattamenti siano visti come pena alternativa al carcere – è l’opinione di Roberta Agostini – o che possano essere utilizzati per sconti di pena per quanto siano utili a evitare recidive. Anche parlando con le associazioni che se ne occupano, ci sono ad esempio esperienze interessanti a Modena, è chiaro quanto sia importante che la scelta di essere aiutati sia fatta su base volontaria, sulla base della consapevolezza di un problema che raramente è psicologico o psichiatrico, più spesso viene da una cultura diffusa e radicata». Roberta Agostini è convinta che con gli emendamenti e le riformulazioni trovate ora «si tratti di un buon decreto, un risultato trovato grazie all’impegno del Pd in commissione e delle donne» e si augura a questo punto «una corsia preferenziale per convertirlo in legge velocemente».

L’Unità 03.10.13

“Ma la battaglia non è finita”, di Claudio Sardo

Nonostante la penosa giravolta di Berlusconi, degna dell’avanspettacolo più decadente, ieri si è aperta una nuova fase politica. Il governo Letta non ha più una maggioranza larga ma «senza intese»: ora c’è una parte del Pdl disposta a condividere l’obiettivo della presidenza italiana dell’Ue, a riformare il sistema politico prima di tornare al voto, soprattutto a contrastare la linea della rottura istituzionale che Berlusconi ha adottato dopo la condanna definitiva. Il Cavaliere, alla fine, ha votato lo stesso la fiducia al governo. Ma è stato sconfitto. Voleva la crisi e non c’è riuscito. La sua piroetta è stata un tentativo estremo di inquinare il senso della giornata.

Berlusconi è rientato dalla finestra nella maggioranza numerica: di questa, tuttavia, è ora un’appendice sgradita e non necessaria. A sconfiggerlo è stato il delfino senza «quid» che – insieme ai ministri Pdl del governo, a uomini della vecchia guardia e a dirigenti allevati nel berlusconismo – ha deciso di non seguire il capo sulla rotta del radicalismo pupulista, della destra anti-europea e anti-sistema. Berlusconi è stato battuto per la prima volta all’interno, come testimonia la ribellione di una quarantina di senatori e la goffa, anzi ridicola, retromarcia dell’ultimo minuto, dopo che per giorni il cerchio magico di Arcore aveva annunciato ai quattro venti la fine del governo.

E comunque la trovata del voto di fiducia rappresenta un tentativo di avvelenare i pozzi. Il Cavaliere ha bloccato – forse solo tempora- neamente – una scissione che era in atto. E c’è da scommettere che già da ieri, nonostante l’umiliazione subìta, abbia ricominciato a tessere la sua trama nella speranza di ricomprarsi senatori incerti e di rimontare dal precipizio politico in cui è finito. Fece così al tempo dello strappo di Fini: c’è da pensare che lo farà ancora. Una scissione definitiva ieri avrebbe rafforzato assai di più il governo Letta. In qualche modo, il voto a favore è stato l’atto più destabilizzante che Berlusconi, nelle condizioni di ieri, poteva compiere ai danni di Letta.

Non era vero, come tanti hanno sostenuto, che questo governo fosse un’assicurazione per Berlusconi: la condanna penale alla fine è arrivata secondo le vie autonome dell’ordine giudiziario e nessun salvacondotto speciale è stato, ovviamente, possibile. Non era vero neppure che Berlusconi sarebbe rimasto comunque aggrappato al governo: piuttosto, il governo era e resta una chance nelle mani di chi vuole uscire dalla palude della seconda Repubblica e chiude- re finalmente la stagione berlusconiana. Una chance per un nuovo centrosinistra, e per un nuovo centrodestra.

Chissà se avranno la forza e la capacità di coglierla. Perché ora che è dimostrata l’infondatezza delle tesi uguali e contrarie, andate per la maggiore in questi mesi – da una parte l’«inciucio» narrato dai vari Grillo e Travaglio, dall’altra la «pacificazione» invocata dai berluscones che, indifferenti ai drammi sociali del Paese, avevano come unico scopo esonerare il capo dalla condanna definitiva per i gravi reati commessi – resta tuttavia la grande difficoltà dell’impresa. Il governo Letta è uno strumento di battaglia politica, come è stato fin qui un terreno di battaglia politica. Non è scontato l’esito. La nascita di una nuova maggioranza politica (senza Berlusconi) priverà comunque il Senato di numeri importanti. E la scelta di ieri di Berlusconi contiene una minaccia, oltre che un pericoloso margine di ambiguità: che Alfano e i suoi siano capaci di tenere botta, e di perseguire gli obiettivi strategici, è tutto da dimostrare.

Ma, di certo, l’Italia non può permettersi ulteriori incertezze o rinvii. Noi cittadini, e soprattutto i più deboli, abbiamo pagato già a caro prezzo la strategia del logoramento messa in atto dal Cavaliere, quando ha capito che non c’era alternativa alla sua decadenza da senatore. A lui si deve l’aumento dell’Iva e l’aumento dei tassi di interessi sul debito: denaro contante sottratto alle tasche degli italiani, delle loro famiglie e delle imprese. Berlusconi non ha più alcuna spinta propulsiva, né alcun progetto. La sua forza residua si esercita solo in negativo: minaccia di mandare l’Italia in malora.

Dopo il voto di ieri, Letta dovrà cambiare passo. Berlusconi non è più un suo interlocutore. Ora la sfida della destra è sulle spalle di Alfano e dei ministri che hanno sconfitto il Cavaliere nel passaggio drammatico di questa crisi. Può darsi che la stessa vittoria di Angela Merkel, di cui è noto il disprezzo per il berlusconismo, abbia avuto un’influenza indiretta sulla vicenda italiana. Le forze popolari europee non possono permettersi di avere come rappresentante in Italia un signore che non accetta lo Stato di diritto, e anzi usa il suo potere per ricattare le istituzioni e il Paese. Alfano e i suoi hanno un compito difficilissimo, e forse non sono neppure pronti ad affrontare il radicalismo ormai diffuso e preponderante nella loro area elettorale di riferimento.

Ma un compito decisivo sarà anche quello della sinistra. Che deve tenere insieme il proprio ruolo nazionale e una capacità di proget- to, che finora, onestamente, è stata molto carente. Il congresso del Pd sarà un’occasione. Se si ridurrà a una battaglia di leader, ecco, sarà un’occasione sprecata. Ci sono paradigmi da rivedere, novità da attraversare, linguaggi da imparare, solidarietà da ricostruire. C’è una società sofferente oltre il dominio della finanza sulla democrazia. Questa è la prova. Il governo Letta può essere un alleato del Pd e della sinistra che vuole rinnovare se stessa e l’Italia. Usiamolo bene fino alle elezioni del 2015. Facciamo in modo che si pongano basi solide a un cambiamento vero e che nel 2015 il voto degli italiani non sia di nuovo nullo. Altrimenti esulteranno solo i Berlusconi e i Grillo.

L’Unità 03.10.13

“Troppo vecchi troppo giovani, quarantenni in troppola”, di Roberto Mania

Sono “vecchi”, considerati poco produttivi, spesso troppo preparati per le mansioni che vengono richieste. Ma sono anche troppo giovani per andare in pensione. Sono in una trappola. Ormai oltre il 60 per cento dei disoccupati in aumento tra un trimestre e l’altro, per colpa di una interminabile recessione, fa parte della categoria di chi ha superato i 35 anni di età. Più della metà dei nuovi disoccupati tra il 2011 e il 2012 aveva tra i 30 e i 49 anni. La disoccupazione ha i capelli grigi. E poca rappresentanza, perché una volta usciti dal circuito lavoro-cassa integrazione- mobilità anche il sindacato non si vede più. Vivono in silenzio, tra rancori, risentimenti, vergogna. Vivono nell’ombra. Vivono di lavoretti, ripiegano aprendo una partita Iva: lavoro autonomo o indipendente. Sulla carta. Diventano soci lavoratori di cooperative fittizie. Un circuito infernale dal quale pochi riescono ad uscire: dal 2008, anno di inizio di questa Grande Crisi, al 2011 le persone in cerca di occupazione da più di dodici mesi sono cresciute di quasi 700 mila, raggiungendo il 53 per cento del totale contro una media Ue del 44,4 per cento. Gli ammortizzatori sociali tutelano solo il 27 per cento di chi non ha il lavoro. L’età per accedere ad una pensione si è impennata vertiginosamente. Nel paese deiprepensionamentiecheancora paga le baby pensioni, però. Vivono discriminati: il 65 per cento degli annunci di ricerca di personale (anche quelli di istituzioni pubbliche) fissa un limite anagrafico, in barba alle regole europee contro la discriminazione. «Per tirare un po’ avanti, vendo la mia collezione di trenini su ebay», racconta Claudio Prassino, cinquantenne di Busto Garolfo, a meno di quaranta chilometri da Milano. «O rinuncio alla mia passione, o muoio. Così prendo tempo, in attesa di trovare qualcosa». La sua storia comincia in un lanificio diBiella.Poiinizialacrisi.C’entra la concorrenza cinese ma anche la miopia di tanti piccoli imprenditori nostrani. Nel 2001 si sposa e si trasferisce a Como, assunto a tempo indeterminato, sempre nel tessile. Ma l’azienda fallisce: i due padroni svuotano i “castelletti”. Anziché accettare la cassa integrazione, Claudio decide di diventare una partita Iva. «Mi mangio ancora le mani per non aver fatto come tutti: andare in cassa integrazione senza cercare un nuovo lavoro. Invece io mi vergognavo di aver perso il lavoro. Non sarebbe stato da me chiedere i soldi in prestito ai genitori. Non stava né in cielo né in terra una cosa del genere». E allora, partita Iva, compensi a provvigione, margini strettissimi, obiettivi impossibili. Contratti a tempo che non si rinnovano. Nel 2011 chiude la partita Iva(«pagavoquasiil60percentodi tasse»). L’iscrizione al Centro per l’impiego di Legnano. La frustrazione di avere dall’altra parte dello sportello persone che sostanzialmente non possono e non sanno aiutarti. La ricollocazione è il grande buco nero dei nostri servizi per l’impiego: oltre il 90 per cento di chi trova un lavoro lo fa attraverso la rete informale delle conoscenze familiari. «Ti propongono di imparare a usare il pc o l’inglese. Ma io conosco entrambi! E poi: se segui un corso non cerchi il lavoro. Anche per essere preso da una ditta di pulizie ti chiedono un’esperienza di due o tre anni. Ma se non cominci mai come fai ad avere esperienza?». Tanti lavoretti a 3-4 euronettiall’ora.«Leaziendehanno timore di assumere un lavoratore maturo. È vero che è già formato, maconsideranoungiovane molto più duttile». Lavoratori giovani e lavoratori maturi: gli uni contro gli altri, senza volerlo. Così un gruppo di quindici quarantenni, insieme all’associazione Atdal over 40, ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea del Lussemburgo. Contro lo Stato italiano perché con la riforma delle pensioni dell’ex ministro Fornero e l’innalzamento dell’età pensionabile ha provocato «una gravissima situazione di discriminazione a danno di un consistente numero di cittadini in età matura disoccupati e privi di qualsiasi sostegno al reddito». E anche per il «mancato controllo e repressione delle offerte di lavoro pubbliche e private contenenti la discriminazione della barriera dell’età anagrafica ». Scrive Stefano, sociologo della provincia di Roma, uno dei ricorrenti: «Le decine di curriculum inviati ogni settimana di norma non ottengono nessuna risposta

La Repubblica 03.10.13

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“LA GENERAZIONE SPRECATA DEI RAGAZZI QUARANTENNI”, di Benedetta Tobagi

I trenta-quarantenni? Una generazione perduta. Meglio concentrare gli sforzi sui giovani. Così si espresse Mario Monti in un’intervista poco più di un anno fa. La crudezza delle parole dell’allora premier la dice lunga sullo spirito del tempo. Non è un caso che tra le prime iniziative sorte dal basso per alleviare la situazione di questi cittadini, pubblicamente declassati a vuoti a perdere, ci sia stata la creazione di sportelli d’ascolto. Accanto alle difficoltà materiali pressanti, i né giovani né vecchi in cerca di lavoro sono condannati a una sorta d’inesistenza. E il disconoscimento è sempre una delle forme di violenza più subdole e assieme logoranti che si possa infliggere agli esseri umani.

Non esistono misure ad hoc per questa platea, pur numerosa, anche perché essa è virtualmente assente dal dibattito pubblico. I quarantenni rigettati dal mercato del lavoro sono una manifestazione dell’Ombra, direbbero gli junghiani, della società presente. Negli ultimi vent’anni non si è mai avviato un piano di interventi articolati per adeguare la rete dei servizi di welfare, collocamento e formazione professionale, e loro sono il risultato di queste colpevoli omissioni, un indice perennemente puntato davanti a cui è più facile chiudere gli occhi e, finché ci sono le pensioni dei genitori e il welfare famigliare a tamponare l’emergenza, non parlare troppo. Nel disconoscimento della situazione reale di larga parte di questa “generazione di mezzo” pesa anche il fatto che nel sistema mediale lo spazio è quasi tutto occupato dalla rappresentazione del segmento privilegiato. La popolazione benestante tra i 35 e i 45 anni, un mondo di adulti gaudenti che si autodefiniscono ragazzi fino alle soglie dei cinquanta, è un target ghiottissimo per i pubblicitari; accanto ai quarantenni dinamici, esigenti e affermati degli spot, cinema, le fiction e le serie tv raccontano eterni giovani disimpegnati e affettivamente confusi, spesso professionalmente irrisolti, ma con leggerezza. Il dramma sparisce, complice il profondo, diffuso, sentimento di vergogna di quelli che non ce l’hanno fatta. Checché se ne dica, la soglia psicologica dei quarant’anni continua a pesare, e molto. Varcare il traguardo simbolico ancora irrisolti, senza un lavoro, senza un reddito decente, magari costretti a tornare a casa dei genitori oppure a pesare sulle loro pensioni, genera profondi sentimenti di inadeguatezza. Essere rifiutato a un colloquio perché si ha troppa esperienza è umiliante, come pure lo è doversi mettere a reimparare qualcosa daccapo, oppure contendersi un posto sottopagato e non qualificato con chi ha dieci o quindici anni di meno. Per le donne, il rapido declino della fertilità aggiunge un fattore d’ansia che si fa lutto segreto per chi si trova a seppellire un desiderio di maternità divenuto impossibile, perché sono mancate condizioni materiali abbastanza stabili per procreare; non pochi uomini cadono in una depressione strisciante, quando si trovano a non essere in grado di provvedere alla propria famiglia, a dispetto della buona volontà, come pure le madri che non ce la fanno più a far quadrare il cerchio delle loro vite. Un simile impasto di sentimenti, moltiplicato per centinaia di migliaia di soggetti, ha un effetto depressivo sulla società nel suo complesso. Come da qualche tempo si discetta di “felicità interna lorda”, sarebbe necessario cominciare a quantificare il costo e l’impatto di questi fattori immateriali. Il mosaico di queste vite lavorative spezzate, atrofizzate, oppure mai decollate, contraddice chi pensa che per arginare la piaga della disoccupazione e sottoccupazione giovanile basti che si allenti il morso della crisi economica. No: se non si aggiorna tutto il sistema, e alla retorica del conflitto generazionale non subentra un nuovo modo di ragionare sui diritti universali dei cittadini-lavoratori, si potrà forse abbassare quell’umiliante tasso di disoccupazione giovanile del 40% che ci ha rispediti all’annus horribilis 1977, ma il problema sarà solo spostato in avanti di qualche anno.

La Repubblica 03.10.13

Intervento alla Camera dei Deputati del Presidente del Consiglio Enrico Letta sulla situazione politica generale

Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina al Senato ho avuto modo di presentare un discorso ampio e articolato, con una serie di riferimenti programmatici. Questo discorso ampio e articolato lo consegno, lo consegno qui, e preferisco aggiungere alle cose che ho detto questa mattina alcune considerazioni che in parte sono una sintesi di quei ragionamenti, che sono scritti nel discorso, e in parte, ovviamente, considerazioni che prendono spunto da quello che è successo stamattina al Senato, con il risultato positivo dell’ottenimento della fiducia, e la spinta e gli spunti su quello che accadrà da adesso in poi, da domani.
  Voglio ripartire dal punto essenziale. Noi cinque mesi fa ci siamo trovati qui in una situazione drammatica, in quella situazione drammatica a partire dal discorso del Capo dello Stato che scelse di accettare la richiesta pressante di essere di nuovo Presidente della Repubblica per la seconda volta, unico caso nella storia della nostra Repubblica. Venne qui e fece a tutti noi un discorso di una chiarezza cristallina e anche per certi versi, ce lo ricordiamo tutti, un discorso di una durezza evidente dalla quale voglio ripartire, perché in quel discorso c’era poi tutto il filo di ciò che è accaduto dopo: la necessità, immediatamente, di mettere mano a un Governo con una maggioranza larga che avesse alcuni obiettivi, obiettivi che potessero rapidamente andare a dei risultati.
  Perché un Governo con una maggioranza larga ? Perché semplicemente il nostro Parlamento, con questa legge elettorale, ha dato risultati di maggioranze diverse alla Camera e al Senato e con questi numeri, con queste forze politiche e con queste coalizioni, se si riandasse a votare, con questa stessa legge elettorale, sarebbe lo stesso. Quindi, la necessità di un Governo che sia in grado di affrontare rapidamente le tre emergenze che abbiamo messo alla base del programma di aprile. Queste tre esigenze sono ancora oggi tutte qui e io sono qui oggi a ripeterle, a ripeterle come titoli, sono sviluppate poi nel discorso programmatico e potete trovare lì gli spunti, ma sono le tre esigenze che ci ricordiamo tutti ogni giorno nella nostra azione quotidiana. La prima è sicuramente quella di natura istituzionale. Quell’impasse istituzionale che si creò allora è un’impasse istituzionale che è ancora di fronte a noi. Abbiamo bisogno rapidamente di andare al cambio delle nostre istituzioni nella modalità più rapida, migliore e più efficace possibile.
  In questi cinque mesi è accaduto un fatto molto importante. Si è creato, dopo una serie di discussioni che abbiamo avuto anche qui in quest’Aula, il lavoro di quella «commissione dei saggi», che ha iniziato e completato il suo lavoro e ha proposto – ed è qui di fronte a noi quel lavoro – una serie di ipotesi e un impianto di ipotesi di riforma che rappresenta un grande passo avanti, a mio avviso. Un grande passo avanti perché ? Innanzitutto perché quella ipotesi di riforma rompe tutte le paure che in questi mesi si sono costruite attorno all’ipotesi di riforma costituzionale.
  La Costituzione va cambiata, non si può immaginare di lasciare tutto esattamente com’è perché dentro la Costituzione c’è scritto il numero dei parlamentari e noi dobbiamo ridurre il numero dei parlamentari, quindi la Costituzione va cambiata; perché dentro la Costituzione c’è quell’impianto di bicameralismo paritario che non funziona e che è alla base dei problemi che ci portano, che ci hanno portato all’impasse politico che sappiamo. Un Parlamento fatto di due Camere, la Camera dei deputati e il Senato, con gli stessi poteri in una condizione unica nel resto delle democrazie europee. La necessità, quindi, anche qui di un cambiamento della Costituzione per evitare il bicameralismo paritario, oltre a una serie di altri fondamentali cambiamenti che sono necessari per rendere il nostro Paese più moderno e naturalmente più attento ad esigenze che sono fondamentali, penso alla riforma del Titolo V della Costituzione che regola i rapporti tra centro e periferia.
  Ho citato tre grandi temi di cambiamento costituzionale, che sono tre temi inderogabili rispetto ai quali non c’è nessuno dei grandi principi costituzionali che vengono toccati e messi in discussione e in crisi; lo dico rispetto al gran dibattito che c’è stato da tante parti in questi mesi sulla paura che venisse toccato l’impianto centrale della nostra Costituzione. Nulla di tutto questo, sono i valori che vengono tradotti però in istituzioni che funzionino e non in istituzioni, come oggi purtroppo accade, che non funzionano.
  Ecco perché oggi noi siamo in grado, avendo anticipato i tempi di quel lavoro, e avendo quindi proposto un impianto di riforma costituzionale che è un impianto di riforma costituzionale equilibrato, funzionante e che non deve far paura a nessuno, non è uno stravolgimento dei principi costituzionali del nostro Paese, dei nostri valori che ci uniscono e ci accomunano tutti; funziona e soprattutto si può approvare in tempi rapidi.
  Quel lavoro è stato fatto in anticipo rispetto a quanto si era previsto, quindi possiamo anche pensare di anticipare il cronoprogramma che ci eravamo dati: da oggi si può arrivare a celebrare il referendum sull’impianto complessivo della nostra Costituzione in dodici mesi. È possibile farlo, questo vuol dire che siamo in condizione di anticipare rispetto ai tempi che ci eravamo dati, entro la fine dell’anno prossimo avere quindi la formalizzazione della riforma, una riforma che rende il nostro Paese più funzionante e che rende le istituzioni quindi migliori.
  Ovviamente qui dentro c’è la questione della legge elettorale, trovate nel testo l’impianto e i ragionamenti che mi sento di mettere, di fare, ovviamente il Senato è protagonista perché è in corso la procedura di urgenza in Commissione affari costituzionali al Senato e lì la possibilità, che noi vogliamo, e l’ho messo in questo discorso programmatico, assolutamente spingere e accelerare al di là di qualunque dialettica polemica che attorno a questo tema, come sempre, viene fuori; ma è l’interesse di tutti e, aggiungo, il primo interesse è il mio, lo dico molto francamente in modo molto forte: io non voglio essere un Presidente del Consiglio che sta qui per forza perché non si può votare, non funziona così la democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e di alcuni deputati del gruppo Misto).
  La democrazia funziona perché, per l’appunto, se un Governo non gode della fiducia si cambia il Governo oppure si va a votare. Noi vogliamo, quindi, creare le condizioni, ci sono oggi al Senato nella Commissione affari costituzionali tutte le condizioni con la procedura di urgenza in questo mese di ottobre, perché il cambio avvenga e quindi si possa effettivamente esperire quella ipotesi.
  Naturalmente questo primo tema è un primo tema che necessita adesso di correre, dopo questo periodo di crisi che si è verificato, di essere conseguenti con quell’impianto, di andare a completare il percorso ed essere in grado, quindi, quei cambiamenti fondamentali della Carta Costituzionale che, ripeto, non toccano in nulla i principi generali della Carta ma che sono essenziali. Senza quei cambiamenti noi saremmo di nuovo nell’impasse politica nella quale ci troviamo oggi. Senza rompere il meccanismo del bicameralismo paritario il nostro Paese non funzionerà, non funzioneranno le nostre istituzioni e io credo che dobbiamo in questo metterci un meccanismo di maggiore fiducia reciproca.

  Nessuno ha intenzione – l’ultimo ad avercela sicuramente sono io – di mettere mano ai principi fondamentali della nostra Costituzione, che rimangono i principi basilari del nostro stare insieme.
  Il secondo grande tema era il tema, ed è il tema, di come far uscire il nostro Paese dalla situazione di crisi economica nella quale siamo dentro, nella quale siamo dentro ancora oggi, pesantemente: i dati della disoccupazione giovanile sono lì a ricordarcelo ogni minuto. Noi abbiamo in questi cinque mesi impostato una serie di importanti iniziative. Ne cito tre che hanno a che fare col tema della crescita, che ritengo essere quelle principali, che spero soprattutto diano risultati: sono quelli da noi attesi per la fine di quest’anno, nell’ultimo trimestre di quest’anno, dove il segno più nell’ultimo trimestre, quello che è cominciato adesso, noi lo aspettiamo; e ovviamente rappresenta anche per il 2014 la spinta ad avere finalmente la crescita, la crescita positiva che è l’elemento essenziale.
  Le tre scelte che abbiamo fatto in questi cinque mesi fondamentali sono state: la prima, puntare sulla lotta alla disoccupazione, in particolare con la scelta fondamentale della decontribuzione totale dei nuovi posti di lavoro per i giovani; al Sud e al Nord, con un’intensità maggiore al Sud e con una misura importante anche per il Nord. La scelta, quella scelta che abbiamo fatto qualche mese fa, adesso è concreta: tanto concreta che casualmente proprio la giornata di ieri è la giornata nella quale, attraverso il click day, sono partiti i primi, e sono stati usati i primi fondi. Nella giornata di ieri – lo dico a tutti quelli che sulla stampa continuano a parlare, senza leggere le cose, di rinvii – per 5.500 persone, che sono tante, questo Governo ha voluto dire un posto di lavoro. Per 5.500 giovani (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto) !
  È ovviamente poco, ed è ovviamente un primo passo, ma è la priorità; e io la ribadisco anche qui: la priorità è quella di intervenire per alleviare il tema della disoccupazione giovanile. Le scelte e le misure fatte a livello europeo: l’ultimo Consiglio europeo di giugno ha fatto un passo avanti importante, e quelle scelte si stanno cominciando ad applicare per essere operative dal 1o gennaio 2014, su proposta italiana. Si tratta di misure importanti: solo sul click day scattano risorse per 800 milioni di euro, 800 milioni di euro dedicati completamente ad aiutare imprenditori ad assumere giovani lavoratori. Aggiungo: a tempo indeterminato, perché la scelta fondamentale è quella di lavorare per aiutare i contratti a tempo indeterminato e per battere la precarietà, che rappresenta sicuramente oggi il grande problema del nostro Paese.
  Il secondo elemento… Anche qui, casualmente, nella giornata di oggi riprendo… Oggi Il Sole-24 Ore ha un inserto speciale, di 16 pagine; questo sempre per i rinvii, e sempre per chi parla di rinvii: 16 pagine con tutte le norme e le operative agevolazioni, incentivazioni per questo straordinario impegno a favore delle ristrutturazioni ecocompatibili, antisismiche, per il mobile e per l’arredo, per rendere le nostre case accessibili ed ecologicamente ed energicamente funzionanti. Una scelta anche qui fondamentale: sei mesi più sei mesi. Una scelta che farà sì che attorno a questo tema oltretutto emerga il nero, perché è la scelta base per il contrasto di interessi, è il modo per far sì che l’incentivo fiscale arrivi se c’è la ricevuta fiscale: c’è l’interesse per la ricevuta fiscale, quindi c’è il contrasto di interessi, quindi c’è la strada fondamentale per andare verso la massima emersione possibile dal nero.
  E poi, naturalmente, la grande operazione iniziata dal Governo Monti, del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, che abbiamo accelerato. Oggi 2 ottobre – avevo preso l’impegno qui ogni dieci giorni di dare l’aggiornamento – abbiamo superato i 12 miliardi di euro pagati, rispetto alla prima tranche di pagamenti. Pagati vuol dire «nelle mani delle imprese», che sono fisicamente passati dall’amministrazione locale o nazionale alle imprese: 12 miliardi di euro rispetto alla complessiva operazione, che era di 40; l’abbiamo fatta diventare di 50 miliardi di euro, e che coprirà questa fine d’anno e l’anno prossimo.
  Una scelta importante per consentire alle imprese di avere liquidità ed è un’immissione di liquidità che non ha precedenti nel nostro Paese negli ultimi tempi; un’immissione di liquidità che oltretutto vale per recuperare un senso di rapporto di serietà tra lo Stato e le imprese. Se un’impresa lavora per un’amministrazione pubblica locale o nazionale e non viene pagata, viene meno immediatamente quel senso e quel rapporto di lealtà e di fedeltà che è fondamentale.

  Tre scelte che daranno i loro risultati e poi ovviamente la legge di stabilità, nella quale il cuore di tutto sarà la riduzione delle tasse sul lavoro, del cuneo fiscale e la riduzione delle tasse sui lavoratori, la scelta cioè di far sì che non si crei, come altre volte è capitato, che l’intervento sulle tasse e sul lavoro finisca per non dare sollievo ai lavoratori.
  La scelta fondamentale è invece quella di dire: c’è bisogno, c’è assolutamente bisogno che i lavoratori italiani abbiano nella loro busta paga un segnale l’anno prossimo, un segnale chiaro, così come c’è assolutamente bisogno che i datori di lavoro abbiano la possibilità di avere un vantaggio dalle assunzioni e quindi il tema del rapporto fra quanto costa assumere una persona e quanto quel lavoratore vede in busta paga sia un gap che va lentamente ma inesorabilmente a ridursi. Sappiamo che è uno dei grandi temi del nostro Paese.
  Il cuore della legge di stabilità sarà quello, accanto a tutta una serie di interventi importanti di continuità con scelte che abbiamo iniziato; dentro ci sarà un’importante iniziativa contro la povertà, lo cito perché in questi cinque mesi l’intervento che abbiamo fatto, la Carta per l’inclusione sociale, fortemente attenta ai gradi di povertà estrema che, soprattutto nel Mezzogiorno, sono evidenti, ha dato un segno fondamentale di inclusione e di accesso che rappresenta un primo segno che rispetto alle povertà e alle disuguaglianze crescenti nel nostro Paese abbiamo voluto mettere. Così come riprenderemo – e mi fermo qui su questi temi, poi il resto sicuramente saremo in grado di discuterne sulla base del dibattito e del testo che avete ascoltato o troverete – attorno a due grandi temi che sono forse le due iniziative delle quali io sono più fiero di questi cinque mesi di Governo, sono le iniziative che hanno a che vedere complessivamente con il tema dell’istruzione, con il tema dell’attenzione al mondo della cultura, della ricerca, dell’innovazione, dello sviluppo. Il tema dell’Agenda digitale, che affronteremo al prossimo Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre, tema europeo fondamentale, tema italiano fondamentale per riuscire a recuperare i divari fra Nord e Sud. Il tema della scuola, dell’educazione, educazione al centro vuol dire molto, vuol dire aver ricominciato ad investire sul diritto allo studio. Il nostro Paese è un Paese che ha abbandonato da tempo il tema del diritto allo studio, è un Paese nel quale l’ascensore sociale si è fermato. Per noi questo tema invece ritorna ad essere centrale, con gli investimenti che abbiamo messo nel decreto sull’educazione e sull’istruzione, che vogliamo rendere in futuro e nei prossimi passaggi ancora più importanti. Così come, quando dico diritto allo studio, dico tanti interventi che devono essere continuati rispetto a quelli che abbiamo fatto, quello sui libri di testo, gli altri interventi sul welfare studentesco, che sono stati messi lì e che vogliamo che continuino.
  L’anno prossimo sarà l’anno del semestre di Presidenza europeo, ne ho parlato al Senato, ne abbiamo parlato lungamente anche qui, ne parleremo presto perché avremo una sessione apposita per discutere di questo, credo che sia un passaggio essenziale per tanti motivi, è inutile che stia qui a sottolinearli perché credo che siano motivi che abbiamo tutti chiarissimi, ma l’Unione europea finisce una legislatura iniziata nel 2009, finisce a maggio dell’anno prossimo, ne comincia un’altra dal 2014 al 2019. La legislatura che è finita l’abbiamo conosciuta, purtroppo, bene. È la legislatura dell’arretramento, è la legislatura dell’austerità, è la legislatura della crisi e della difficoltà, in cui l’Europa ha giocato soltanto in difesa e non è riuscita a fare quei passi avanti che
doveva fare.

  La crisi delle istituzioni e la difficoltà a trovare soluzioni. Ricordo sempre che prima di arrivare a quella famosa frase di Mario Draghi, che poi ha salvato l’euro e il nostro sistema, il whatever it takes dell’anno scorso, ci sono voluti trenta vertici europei, trenta vertici europei e molte risorse stanziate per cercare di salvare i Paesi più in difficoltà. Oggi ci siamo, ci siamo arrivati: la situazione va costruita ovviamente in modo ben diverso, ma abbiamo bisogno di fare della prossima legislatura la legislatura della crescita e del lavoro, la legislatura dell’Europa unita, la legislatura, insomma, che dipende da come parte: se la facciamo partire noi, un grande Paese europeo ed europeista, come l’Italia, che la fa partire con quei temi al centro, allora siamo in grado secondo me di arrivare ad una legislatura effettivamente vincente attorno a quei temi. Dipende molto dalla nostra ambizione, come Italia e come italiani.
  Io ricordo sempre che il semestre italiano del 1985, culminato nel Consiglio europeo di Milano, ha fatto nascere l’Atto unico europeo, il semestre italiano del 1990, che culminò nel Consiglio europeo di Roma, ha fatto nascere il Trattato sull’Unione europea. Oggi, abbiamo davanti una grande opportunità: l’Italia ha quel semestre di guida, può mettere la crescita, le politiche industriali, le politiche del lavoro e – aggiungo – le politiche sulle migrazioni.
  Noi abbiamo detto – l’abbiamo detto e lo faremo – metteremo al centro le parole di Papa Francesco, dette a Lampedusa, sul tema della globalizzazione dell’indifferenza e sul tema dell’emigrazione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia, Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e di deputati del gruppo Misto).
  Tutto questo è fondamentale se noi ci ricordiamo una cosa fondamentale: l’Europa non sono altri, non è qualcun altro, al quale noi dobbiamo rispondere, l’Europa siamo noi perché i trattati che hanno fatto nascere l’Europa si chiamano trattati di Roma, sono stati fatti qui, sono i trattati in cui l’Italia ha giocato sempre un ruolo da protagonista ed è assurdo che il nostro Paese non voglia giocare questo ruolo da protagonista. L’attenzione che tutta l’Europa, anche in questi ultimi giorni, ha dimostrato alla vicenda italiana, è un’attenzione legata alla chiara considerazione del ruolo che l’Italia può giocare, del ruolo che si vuole che l’Italia giochi e che io sono convinto l’Italia sarà in condizione di giocare.
  È ovvio che tutto questo ha senso – e dico una parola su un tema che sta molto a cuore credo a tutta questa assemblea parlamentare – se noi riusciamo a vivere e far vivere l’Europa come portatrice di pace.
  Lo dico perché vengo dalla settimana delle Nazione Unite, è stata una settimana che ha cambiato gli equilibri nel mondo: le Nazioni Unite, un mese fa, apparivano come un luogo formale e inutile, le Nazioni Unite, la settimana scorsa, grazie alle scelte che l’Europa ha fatto, grazie alle scelte che La Russia ha fatto, grazie alle scelte che il Presidente americano ha fatto, sono tornate ad essere il centro della politica internazionale. È una grandissima – secondo me – soddisfazione per un Paese come l’Italia, che ha sempre fatto questa scelta ed una scelta importante e che siamo riusciti, la settimana scorsa, a far sì che le Nazioni Unite siano arrivate a quella risoluzione, che ha messo assieme Paesi che sembrava impossibile che stessero insieme sulla Siria. È il senso che, con il dialogo, con la scelta dei luoghi giusti e, con la condanna, quando è necessario, dell’uso delle armi chimiche, senza se e senza ma, che è stato effettuato il 21 agosto nella periferia di Damasco, si possono ottenere dei risultati. È una scelta rispetto alla quale noi, come Italia, in particolare, siamo in grado di ottenere dei risultati in linea con la nostra tradizione di politica estera e con le nostre scelte fondamentali di politica estera. È evidente che tutto questo ha bisogno di un Governo, ma non di un Governo qualunque, ha bisogno di un Governo, di un Governo nel pieno delle sue funzioni con una chiara maggioranza che lo sostiene e di un Governo sopratutto che fa le sue scelte, avendo chiaramente un programma, degli obiettivi ed essendo soprattutto in grado, con i suoi partner europei, di prendersi delle responsabilità e di fare delle scelte.
  Questo è quello che ci ha portato qui. Ci ha portato qui il ragionamento che altre volte io ho fatto insieme a voi e penso che chi ha sfiducia nei confronti di questo Governo e di questo Presidente del Consiglio pensava che non ci saremmo mai venuti, quando io altre volte ho detto che non avrei governato a tutti costi. Tante volte mi è stato detto: va bene, lo dici. Ma io lo dico e lo penso veramente (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto), perché so la complessità e la fatica degli impegni che abbiamo e quindi so, a partire dalla settimana scorsa, da quando è stato chiaro che non si poteva andare avanti così, che da parte mia non c’era altra possibilità che quella di chiedere un chiarimento, un chiarimento senza se e senza ma qui in quest’Aula in cui io dicessi quello che pensavo, facessi delle proposte e poi il Parlamento libero e sovrano decidesse se appoggiare oppure no il lavoro di questo Governo e di questa maggioranza. Abbiamo passato una settimana in cui c’è stato un su e giù di fiducia, sfiducia, possibilità che la maggioranza confermasse o non confermasse, possibilità che si andasse al voto. Alcuni hanno espresso esplicitamente dentro la maggioranza e fuori dalla maggioranza la preferenza per il voto anticipato, addirittura fissando anche una data, fine novembre. Penso che sarebbe stato un errore, penso che sarebbe un errore per evidenti motivi che ho citato prima. Penso invece che sia molto importante che oggi siamo qui in condizione di poter riprendere il filo del lavoro più forti e più coesi, a patto che sia chiaro che il risultato del voto di stamattina sia un risultato come lo intendo io. È un risultato che ci sarebbe stato comunque per essere chiari fino in fondo (Vivi applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto) ed è un risultato rispetto al quale ho intenzione di lavorare mantenendo il punto fermo di quello che ho detto stamattina: non esiste collegamento tra due vicende, una vicenda giudiziaria e una vicenda che riguarda l’attività di Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto). L’attività di Governo ha bisogno che ci sia da parte di ognuno di noi attenzione, impegno, scelte e soprattutto serietà nel portarle avanti. Ha bisogno che non ci siano ricatti nel dire o si fa questo oppure casca il Governo, perché si è dimostrato che il Governo non casca se questo è l’atteggiamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto). Ha bisogno che non ci siano risse, ha bisogno che ci sia soprattutto da parte di ognuno di noi la consapevolezza del fatto che dobbiamo dare risposte agli italiani e se non siamo in grado di dare risposte agli italiani non ci sono margini perché questo Governo stia in piedi, perché sono io il primo a tirare le conseguenze, come ho dimostrato la settimana scorsa, quando ho assunto l’iniziativa di venire qui in Parlamento senza avere nessuna certezza che sarei venuto qui ad ottenere la fiducia. Ed è ovviamente questo il punto sul quale io credo noi dobbiamo lavorare. Io stamattina – e lo rifaccio qui – ho fatto un elogio della stabilità e su questo sono spesso preso in giro. Però io vorrei ricordare cosa ha voluto dire per il nostro Paese nel dopoguerra la stabilità politica e cosa vuol dire oggi il caos continuo. La stabilità politica nel nostro dopoguerra ha voluto dire che dal 1946 al 1968 hanno lavorato per la stragrande maggioranza del tempo tre primi Ministri, in tutto quel periodo di tempo. Sarà un caso che in quegli anni in Italia c’è stata la crescita, c’è stato il miracolo economico, c’è stata la ripartenza del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto) e ci sono state scelte come tutti le conosciamo. Sarà un caso se poi dopo, dal 1968 in poi, praticamente sono succeduti un Governo all’anno. E anche in quest’ultimo ventennio, che ha abbiamo tutti salutato come il ventennio dell’alternanza, in cui doveva essere risolto tutto, dovevamo essere in grado di avere Governi di legislatura, abbiamo avuto quattordici Governi. Ripeto: quattordici Governi.

  Nello stesso periodo in Germania hanno avuto tre cancellieri. Quattordici governi noi, in Germania tre cancellieri. Quando poi si dice dello spread, alle volte dobbiamo considerare che lo spread vale anche per queste cose.
  Io insisto su questo punto: se non siamo in grado di darci delle prospettive – ecco perché seguo assolutamente le indicazioni del Presidente della Repubblica –, la prospettiva che ci consenta di completare l’anno prossimo con i tre obiettivi che ho citato prima (le riforme istituzionali, l’applicazione della legge di stabilità, il semestre di Presidenza), che ci consenta quindi di fare scelte che abbiano quel punto di caduta sulle grandi riforme che sono da fare. Alcune di queste riforme sono state in parte applicate. Sono riforme importanti, sono riforme che hanno a che vedere con la pubblica amministrazione del nostro Paese. Ricordo a tutti che quest’anno abbiamo fatto un miliardo e 700 milioni di tagli alla spesa pubblica nei soli cinque mesi in cui abbiamo lavorato. Se avremo la fiducia anche da questa Camera, Carlo Cottarelli sarà il commissario della spending review e affronterà in modo attento, equilibrato questi temi. Credo che sarà un punto importante anche questo. Insomma, si lavorerà e si lavorerà con queste scelte e con queste modalità. Si lavorerà con una maggioranza politica coesa. Se questa maggioranza politica coesa è diversa dalla maggioranza numerica che oggi mi dà la fiducia, io lavorerò lo stesso con la maggioranza politica coesa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto), perché credo che sia oggi fondamentale che ci sia chiarezza sulle cose da fare. Se non c’è chiarezza sulle cose da fare, tutto quello che abbiamo fatto oggi sarà stato inutile. Lo dico perché serve a tutti la chiarezza. È una chiarezza essenziale per le cose da fare, che sono cose difficili, sono cose per le quali c’è bisogno di un Governo solido, coeso, come lo è stato questo. Io sono fiero di questo. Il Governo è stato un Governo che ha avuto in questi cinque mesi una capacità al suo interno di discutere – sì, di discutere –, ma di trovare sempre soluzioni che ci hanno fatto capire meglio gli uni con gli altri, di trovare punti di intesa, di capirci meglio, di valutare al meglio ciò che di buono c’è nell’altro. Perché lo ripeto con grande forza: io sono convinto che il dialogo tra parti diverse sia possibile, se ognuno è convinto di avere le spalle larghe. Il dialogo spaventa chi ha identità deboli (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto). Chi ha identità deboli si nasconde, perché ha paura del dialogo. Chi ha identità forti non ha paura del dialogo, lo affronta, è in grado di trovare i punti di accordo, i compromessi che sono necessari in momento nel quale il Paese ha bisogno di risposte, come questo.
  Io ho intenzione di lavorare con la massima determinazione in questa direzione. Ho intenzione di farlo con la stessa determinazione dei cinque mesi che abbiamo dietro le spalle, sperando di raggiungere risultati di lungo periodo, ma ho intenzione – se mi permettete – di metterci un pochino di spinta e un pochino di cuore in più, perché oggi, da stamani, un giorno storico per la nostra democrazia, (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e di deputati del gruppo Misto), un giorno storico della nostra democrazia, abbiamo condizioni in più, secondo me, di chiarezza perché questo lavoro possa essere un lavoro che ci consenta di guardare lontano, un lavoro che consenta anche – fatemelo dire – a nuove generazioni di affacciarsi e assumersi le loro responsabilità. Grazie (Vivi e prolungati applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e di deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Misto – Deputati dei gruppi Partito Democratico, Scelta Civica per l’Italia e Misto si alzano in piedi)

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Intervento del capogruppo Pd Roberto Speranza

Signor Presidente, onorevoli colleghi, Presidente del Consiglio Letta, intanto grazie. Grazie Presidente Letta, grazie perché il suo intervento oggi al Senato ed alla Camera ha dato forza e dignità alla nostra discussione parlamentare. E grazie perché la sua azione di Governo in questi mesi ha ridato dignità alla politica in un tempo difficile come quello che stiamo attraversando. Io penso che il gruppo del Partito Democratico ma l’intero Paese debba riconoscere le cose che ho detto. Eppure quanta distanza, Presidente, quanta distanza onorevoli colleghi tra le parole del nostro Presidente del Consiglio e la miseria di un dibattito a cui tutto il Paese ha dovuto assistere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), un dibattito sinceramente inaccettabile ed un dibattito che si è chiuso in maniera tragicomica con una piroetta sinceramente incomprensibile, che non nasconde una
nettissima sconfitta politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  Onorevoli colleghi, perché stiamo discutendo questa fiducia ? Perché siamo qui oggi ? Perché ? Abbiamo sentito in questi giorni parole pesanti, inaccettabili e guardate che le parole in politica non volano, le parole in politica sono macigni, sono come pietre enormi. Voglio ripeterle quelle parole: golpe, colpo di Stato, dimissioni dei parlamentari e attacchi quotidiani al nostro Presidente della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). E proprio al Presidente della Repubblica credo che vada il nostro più forte sostegno e la nostra più convinta vicinanza, perché è il faro vero di questa democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia).
  Voglio dirlo con nettezza: nulla potrà essere più come prima. Capisco l’imbarazzo di chi in queste ore in quest’aula ha provato ad arrampicarsi sugli specchi, ma io credo che nulla potrà essere come prima (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia).
  Insisto: perché tutto questo ? Perché questa discussione ? Riflettano gli italiani: per i problemi di uno solo. Un Paese col fiato sospeso per i ricatti di uno solo. Voglio dirlo con forza: Silvio Berlusconi deve chiedere scusa agli italiani per quello che è accaduto in questi giorni (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia). Un’ennesima prova di inaffidabilità, mentre il Presidente Letta era negli Stati Uniti a difendere il nostro Paese. Ma fortunatamente nelle due Camere, non solo qui, anche al Senato, c’è chi ha dimostrato che esiste una maggioranza di persone che pensa che l’Italia venga prima di ogni altra cosa.

  Siamo di fronte ad un fatto politico nuovo ed eclatante, che salutiamo con grande favore. Siamo di fronte oggi all’atto fondativo di una nuova maggioranza politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Grazie a chi ha avuto questo coraggio e grazie in generale a chi ha il coraggio di dire «no». Sì, quel coraggio di dire «no» che in politica serve. Grazie, ad esempio, e voglio dirlo con forza, alla senatrice De Pin (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), senatrice che ha ricevuto minacce inaccettabili. Altro che democrazia diretta ! Si tratta del peggior squadrismo, una vergogna per queste Aule ! (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  E grazie a chi ha detto «no» al diktat del capo, a chi in passato si era paragonato a De Gasperi e, invece, ha inseguito solo il proprio interesse personale. Ma ora basta parlare del passato…

  CRISTIAN IANNUZZI. Siete voi il passato !

  ROBERTO SPERANZA. …, basta parlare di quello che è stato. Vogliamo parlare del futuro dell’Italia. Vogliamo parlare di come questo Parlamento e queste forze politiche possano rispondere alle grandi questioni del Paese. Dobbiamo metterci in sintonia ed accogliere quel grido fortissimo che è arrivato in questi giorni dai soggetti sociali, dalle imprese, dai sindacati, dalle organizzazioni di categoria, dalla Chiesa in maniera fortissima, dal mondo dell’associazionismo e dal volontariato. È questa l’Italia a cui noi vogliamo rispondere ogni giorno con la nostra azione di Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
  E quest’Italia ci chiede governo. Sì, ci chiede la capacità della politica di compiere uno sforzo straordinario per fare cose concrete e dare risposte concrete ai problemi dei cittadini. Ce lo chiedono – e ne sentiamo fino in fondo tutto il peso – quei quattro giovani su dieci senza lavoro. Ce lo chiedono le famiglie che hanno ridotto i loro consumi ai livelli di trent’anni fa. Ce lo chiedono le imprese, mai come oggi in grandissima difficoltà. Ce lo chiedono i tanti cittadini, sempre più ai margini, di cui non dobbiamo mai smettere di occuparci in maniera assolutamente prioritaria. Oggi io penso questo Governo, il Governo Letta, è più forte, più forte nel fare cose concrete, più forte nel dire «no» ai ricatti e più forte nel dare conto solo alle domande profonde degli italiani. Per questo avanti, Presidente, con la sua forza, con la sua umiltà e con il suo coraggio. Dobbiamo dare nuova credibilità all’Italia e lo faremo nel semestre europeo che lei guiderà. Dobbiamo avere il coraggio di quelle riforme non più rinviabili: il superamento del bicameralismo perfetto, la legge elettorale. Dobbiamo farlo con il coraggio di puntare su quelle che per noi sono le priorità fondamentali per il futuro. La scuola, sì la scuola, l’università, quella leva essenziale per la crescita. Grazie, Ministro Carrozza, per avere finalmente fatto un decreto con il segno più su questo terreno (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia).
  E, ancora, l’ambiente, una nuova idea di sviluppo sostenibile, il lavoro come priorità assoluta, l’inclusione sociale perché nessuno resti indietro e i diritti, per una piena cittadinanza e per fare dell’Italia una moderna democrazia occidentale. Su questo, con le nostre idee e la nostra agenda, noi vogliamo misurarci. Ciascuno, Presidente, ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo. Sono le parole bellissime del Papa che abbiamo letto ieri in una straordinaria intervista a Scalfari.
  Noi non siamo qui per insegnare dove sta il bene e dove sta il male ma, come Papa Francesco ripete, la politica è la prima delle attività civili e noi in questa sede non possiamo essere indifferenti e, come sempre, come Partito Democratico faremo la nostra parte avendo un’unica faro: l’interesse del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l’Italia – Congratulazioni).

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