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“Per combattere (davvero) la piaga del femminicidio”, di Rosa Calipari

La violenza sulle donne e il crescente numero di femminicidi rappresentano una vera e propria emergenza nazionale. E non c’è ormai giorno nel quale questa realtà non venga ribadita più o meno brutalmente da fatti o parole. Secondo me è necessario ammettere, per non affrontare la questione superficialmente, che si tratta di un fenomeno purtroppo radicato del nostro Paese, per molti anni ignorato e che oggi, per via dell’enorme ritardo accumulato, rischia di essere affrontato con la sola logica dell’emergenza, come si trattasse di un allagamento o di un terremoto.
Nelle prossime settimane il Parlamento è chiamato a votare il decreto sulla violenza di genere, un appuntamento sul quale c’è una grandissima attesa. La ratifica della Convenzione di Istanbul è stato un primo importantissimo risultato ma il vero problema sarà quello di applicarla adeguando il nostro sistema con l’adozione delle norme mancanti e con l’innovazione di quelle esistenti. Al contempo, dovremo vigilare su quanto è già stato fatto, per dare continuità alle politiche necessarie affinché prevenzione, formazione, protezione e repressione risultino veramente efficaci.
Non illudiamoci, quindi, che il decreto sia la carta vincente contro la violenza e contro i femminicidi. Non illudiamoci, ingenuamente, che il giorno dopo la sua approvazione il Paese disporrà di tutti gli strumenti necessari per tamponare e superare culturalmente questo gravissimo e profondo problema.
Bisogna prendere atto, con rammarico, che anche in questa occasione la risposta normativa è stata permeata da una forte visione securitaria che ha trovato riscontro principalmente in un inasprimento delle norme penali, visione che senza ombra di dubbio rappresenta un’innovazione e un passo in avanti per il nostro Paese ma pure un limite, prima di tutto culturale. Il decreto, se non adeguatamente inserito in un contesto di norme e politiche più ampie, corre il rischio di rappresentare una sorta di cattedrale nel deserto più che una risposta in linea con gli impegni dettati dalla ratifica della Convenzione di Istanbul, dalle direttive europee e dagli obblighi internazionali che l’Italia ha assunto.
Questo rischio è stato segnalato molto chiaramente nel corso delle audizioni tenute nelle scorse settimane in Commissione Giustizia da molte associazioni e organizzazioni femminili. Bisogna essere ben consapevoli che al momento non è percorribile la strada di una legge organica tanto che il governo ha inserito le norme sulla violenza contro le donne in un decreto molto ampio nel quale vengono affrontate anche altre materie. Per questo credo sia necessario riuscire ad intervenire sul testo del provvedimento nella maniera più efficace per scongiurare non solo la possibilità che il decreto possa decadere per il decorso dei 60 giorni ma anche per un possibile voto di fiducia che di fatto ne precluderebbe ogni modifica.
Assieme alle colleghe Marzano e Locatelli abbiamo presentato numerosi emendamenti migliorativi: riteniamo di primaria importanza l’adozione di una definizione di violenza nei confronti delle donne e di violenza domestica in linea con la Convenzione di Istanbul, eliminando il riferimento fortemente restrittivo sulle violenze episodiche. Senza entrare nel merito degli emendamenti sulle norme penali, prevediamo modifiche significative all’articolo 5 del decreto che istituisce il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Questo Piano dal nostro punto di vista non può essere “straordinario” ma soprattutto deve essere talmente prioritario da essere veramente finanziato (al momento è previsto a costo zero!).
Abbiamo ritenuto importante che per la costruzione del piano fossero ascoltati i pareri, fondamentali, delle associazioni, organizzazioni e centri antiviolenza con sperimentata professionalità che da anni tutelano le donne. Inoltre, riteniamo essenziale che le finalità del Piano d’Azione coincidano il più possibile con gli impegni presi dal nostro Paese.
Con le nostre proposte di modifica, che speriamo il governo accoglierà con spirito costruttivo, il decreto potrà dare risposte adeguate e non tradire la speranza di migliaia di donne che da troppo tempo subiscono la violenza e vivono nella paura.

L’Unità 27.09.13

“Cambiamo i trattati UE”, di Luciano Gallino

Poco prima delle elezioni, una nota rivista tedesca di studi politici ha pubblicato un articolo intitolato “Quattro anni di Merkel, quattro anni di crisi europea”. L’autore, Andreas Fisahn, non si riferiva affatto al rinnovo ch’era ormai certo del mandato alla Cancelliera, bensì al precedente periodo 2010-2013, in cui l’austerità imposta da Berlino tramite Angela Merkel ha rovinato i paesi Ue. Ma la sua diagnosi ci porta a dire che la riconferma di quest’ultima assicura che senza mutamenti di rilievo nelle politiche dell’Unione il prossimo quadriennio potrebbe essere anche peggio.
Sui guasti pan-europei delle politiche di austerità come ricetta per risolvere la crisi, in nome della stabilità dei bilanci pubblici, non ci possono essere dubbi. I disoccupati nella Ue hanno superato i 25 milioni, di cui oltre 19 nella sola zona euro, e 4 in Italia. La compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori ha creato decine di milioni di lavoratori poveri, a cominciare dalla Germania dove i salari reali, caso unico in Europa, sono oggi inferiori a quelli del 2000. Quasi ovunque sono stati brutalmente tagliati i trattamenti pensionistici – da noi ne sanno qualcosa gli esodati, ma non soltanto loro – insieme con i fondi per l’istruzione, la sanità, i trasporti pubblici. Paesi quali la Grecia e il Portogallo sono stati letteralmente strangolati dalle prescrizioni della troika venuta dal Nord, senza che esse abbiano minimamente giovato ai loro bilanci. In tutta la Ue i comuni devono fronteggiare difficoltà di bilancio mai viste per continuare ad assicurare i servizi locali ai residenti.
Codesti risultati delle politiche di austerità, imposte alla fine dalla Germania, dovrebbero bastare per concludere che è necessario cambiare strada. Per contro i governi europei insistono sul sentiero battuto, a riprova del fatto che gli dèi fanno prima uscire di senno coloro che vogliono abbattere. La loro persistenza nell’errore ha preso sempre più forma di misure autoritarie, ideate e avallate da Berlino, Francoforte e Bruxelles. Hanno stanziato quattromila miliardi per salvare le banche, di cui oltre duemila impiegati soltanto nel 2008-2010, ma se i cittadini provano a dire che con 500 euro di pensione o 800 di cassa integrazione non si vive li mettono a tacere con cipiglio affermando che i tagli è l’Europa a chiederli. Come si legge in un altro articolo della stessa rivista citata sopra (firmato da H.-J. Urban), l’autoritarismo dei governi Ue trova un solido alimento nella retorica in tema di sorveglianza e disciplina finanziaria della Bce. La quale parla, nei suoi documenti ufficiali, di “processi di comando permanente”; “regole rigorose e vincolanti di disciplina politico-fiscale”; “credibilità ottenuta tramite sanzioni”; “sorveglianza rafforzata sui bilanci pubblici”, nonché di “robusti meccanismi di correzione” (leggasi pesanti sanzioni) che dovrebbero scattare in modo automatico. Giusto quelli che nei giorni scorsi han messo in fibrillazione il nostro governo, perché forse il bilancio dello Stato ha superato il fatidico limite del 3 per cento sul Pil di un decimo di punto percentuale.
Allo scopo di contrastare sia le politiche dissennate che pretendono di curare la crisi ricorrendo alle stesse dottrine che l’hanno causata, sia il crescente autoritarismo con cui i governi Ue le impongono sotto la sferza costruita da Berlino ma brandita ogni giorno dalla troika di Bruxelles (che in realtà è un quartetto, poiché molte delle sue più aspre prescrizioni sono elaborate dal Consiglio europeo, di cui fanno parte i capi di Stato e di governo dei paesi Ue), esiste una sola strada: la riforma dei trattati Ue, ovvero dei trattati di Maastricht, Lisbona ecc. oggi ricompresi nella versione consolidata che comprende le norme di funzionamento dell’Unione. I trattati particolari che ne sono discesi, fino all’ultimo dissennato “Patto fiscale”, che se fosse mai rispettato assicurerebbe all’Italia una o due generazioni di miseria, hanno come base il Trattato Ue, per cui da questo bisognerebbe partire.
Tra le revisioni principali da apportare al Trattato (alcune delle quali sono prospettate anche da Fisahn, l’autore citato all’inizio: ma articoli e libri che avanzano proposte a tale scopo, in quel tanto di pensiero critico che sopravvive in Europa, sono dozzine) la prima sarebbe di attribuire al Parlamento Europeo dei poteri reali, laddove oggi chi elabora i veri atti di governo è un organo del tutto irresponsabile, non eletto da nessuno, quale è la Commissione europea. Lo statuto della Bce dovrebbe includere la facoltà, sia pure a certe condizioni, di prestare denaro direttamente ai governi, rimuovendo l’assurdità per cui è l’unica banca centrale del mondo cui è vietato di farlo. Inoltre, esso dovrebbe porre accanto alla stabilità dei prezzi, quale finalità primaria delle sue azioni, un vincolo miope imposto a suo tempo dalla Germania che non ha ancora elaborato il lutto per l’inflazione del 1923, lo scopo di promuovere la piena occupazione. Dovrebbe altresì prevedere, la revisione del Trattato Ue, una graduale riforma radicale del sistema finanziario europeo volta a ridurre i suoi difetti strutturali, cioè l’eccesso di dimensioni, complessità, opacità (il sistema bancario ombra pesa nella Ue quanto il totale degli attivi delle banche), di facoltà di creare denaro dal nulla mediante il debito;
laddove nella versione attuale il Trattato si preoccupa soprattutto di liberalizzare ogni aspetto del sistema stesso, con i risultati disastrosi che si sono visti dal 2008 in avanti: in special modo in Germania. A fronte di tale indispensabile riforma, gli interventi in atto o in gestazione, tipo il Servizio europeo di vigilanza bancaria o l’unione bancaria, sono palliativi da commedia di Molière. Infine l’intero trattato dovrebbe essere riveduto in modo da prevedere modalità concrete di partecipazione democratica dei cittadini a diversi livelli di decisione, dai comuni ai massimi organi di governo dell’Unione. Come diceva Hannah Arendt, senza tale partecipazione la democrazia non è niente.
So bene che a questo punto chi legge sta pensando che tutto ciò è impossibile. Stante la situazione politica attuale, nel nostro paese come in altri e specialmente in Germania, non ho dubbi al riguardo. Ma forse si potrebbe cominciare a discuterne. Ci sarebbe un politico italiano volonteroso e capace di avviare simile discussione? Anche perché l’alternativa è quella di continuare a discutere per altri venti o trent’anni, intanto che il paese crolla, di come fare a ridurre il deficit di un decimo dell’un per cento.

La repubblica 27.09.13

“Il braccialetto elettronico che “spierà” lo stalker”, di Maria Elena Vincenzi

Un braccialetto per tenere gli stalker lontani dalle loro vittime. E, in più, via libera alle intercettazioni telefoniche. Le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali hanno approvato due emendamenti al decreto legge sul femminicidio che introducono una nuova stretta sulle condotte persecutorie, questo lo spirito, una maggiore tutela
delle vittime.
LE MODIFICHE prevedono la possibilità di usare le intercettazioni telefoniche anche per il reato di stalking ma soprattutto l’utilizzo di una serie di strumenti elettronici per tutelare le donne. I braccialetti, ma non solo. Nell’emendamento si fa riferimento anche ad altre forme di telecontrollo che possono essere applicate a chi è stato destinatario di un provvedimento cautelare di allontanamento dalla casa familiare (come previsto dall’articolo 282bis del codice di procedura penale).
Le variazioni che dichiarano guerra ai reati “sentinella”, quelli che spesso sono l’anticamera di ulteriori violenze, sono state approvate all’unanimità dalle commissioni, ma va registrato che al momento del voto in aula c’era un solo deputato del Pdl. Soddisfatta la promotrice Alessia Morani (Pd): «La norma risponde anche all’auspicio che il ministro Cancellieri aveva fatto all’inizio del suo mandato per l’uso dei braccialetti elettronici, quasi del tutto inutilizzati, anche per i reati di stalking. Ci sono esperienze già in Spagna e in Francia in questo senso che hanno dato buoni risultati. E visto che, tra l’altro, in Italia c’è una carenza di organico sia per quanto riguarda i carabinieri sia per la polizia, dare la possibilità di usare ogni modalità di controllo che fa riferimento alle nuove tecnologie sarà un aiuto per le forze dell’ordine che potranno monitorare le situazioni anche se in difficoltà di personale».
Nel testo non si fa alcun riferimento all’attuazione pratica che verrà decisa in un secondo momento, dopo la conversione. Per quanto riguarda i detenuti, per i quali (anche se scarsamente utilizzato) il braccialetto è già previsto, la norma prevede che questa forma di controllo sia l’unico modo per escludere il carcere o i domiciliari. Ma il percorso per gli stalker è tutto da definire. L’unica cosa certa è che i braccialetti sono già disponibili, almeno in una prima fase: quelli per i detenuti, appunto, non sono stati usati molto spesso.
Le commissioni, dopo aver bocciato gli emendamenti soppressivi dell’articolo 2 del decreto del governo sul femminicidio, hanno approvato altre due proposte di modifica, una che prevede il gratuito patrocinio e l’obbligo di informazione della parte offesa, l’altra che esclude la possibilità di applicare l’allontanamento dalla casa familiare nei casi di lesioni lievi, tema sul quale c’è stato un acceso dibattito.
Le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali non hanno ancora concluso l’esame dell’articolo 2. Proseguiranno lunedì. L’approdo in Aula è previsto per mercoledì e si dovrà correre: entro il 15 ottobre la norma va convertita onde evitare che decada, ma deve prima passare anche al Senato.
Buone notizie per la tutela delle donne che, però, arrivano nel giorno in cui un’altra donna viene uccisa dal partner. Cinzia Agnoletti, 51 anni, è stata soffocata dal compagno e padre di suo figlio, Gianpietro Giliberti, 53, nella casa in cui vivevano in via Stazione a Castelvetro Piacentino. Stavano insieme da 25 anni. Dopo aver ucciso la convivente, l’uomo ha cercato di togliersi la vita ma senza riuscirci. A far scattare il raptus forse una lite per motivi economici, pare ne avessero avute parecchie ultimamente. Quando l’uomo si è accorto di ciò che aveva fatto, ha chiamato il figlio 24enne che, a sua volta, ha avvisato i carabinieri di Piacenza. Arrivati sul posto i militari hanno trovato il corpo della donna senza vita e il marito che stava cercando di strangolarsi ma che respirava ancora. L’uomo, fermato, ha confessato ma gli inquirenti sono ancora al lavoro per ricostruire la dinamica e per capire se l’abbia strangolata o soffocata con una busta di plastica.

La Repubblica 27.09.13

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Per gli stalker bracciale elettronico e intercettazioni
di Alessandra Arachi
Il braccialetto elettronico per gli stalker. Non è un semplice provvedimento: è una piccola grande rivoluzione. La commissione della Camera lo ha approvato ieri, grazie a un emendamento presentato dal Pd al decreto sul femminicidio che però è stato approvato a larga maggioranza. Da due commissioni congiunte: quella della Giustizia e quella degli Affari costituzionali.
Vuol dire, semplicemente, che un uomo allontanato dalla casa familiare per ipotesi di reato di stalking potrà essere controllato grazie al cosiddetto braccialetto elettronico, ovvero «mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici» previsti dall’articolo 275 bis del codice di procedura penale.
È un lungo percorso quello del decreto sul femminicidio. Popolato da decine e decine di emendamenti che saranno degli ostacoli molto fastidiosi quando arriverà in aula, probabilmente mercoledì prossimo. Ma ieri le due commissioni di Montecitorio, che stanno lavorando a questo decreto per combattere un fenomeno che in Italia ha assunto i contorni di un’emergenza nazionale, hanno messo a segno un’altra approvazione che segna un notevole salto culturale: l’irrevocabilità della querela nei casi di minacce gravi e reiterate.
Troppe volte è già successo: una donna perseguitata si decideva, finalmente, ad andare a fare una denuncia e poi, sotto nuove minacce, si trova costretta a ritirarla. L’emendamento approvato ieri nelle due commissioni dice, esplicitamente, che questo non sarà più possibile. Chissà se l’aula di Montecitorio deciderà di mantenere questa norma, assolutamente innovativa.
Le commissioni hanno approvato poi un altro emendamento che prevede l’estensione delle intercettazioni telefoniche al reato di stalking. Altre modifiche al decreto ieri hanno avuto la benedizione delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia. La prima: l’esclusione della possibilità di applicare l’allontanamento dalla casa familiare nei casi di lesioni lievi. Non si vogliono accanire i nostri deputati. Ma sono ben disposti a tutelare le vittime. La seconda: l’introduzione di un’aggravante generica per i reati di violenza commessi ai danni o in presenza di minori o donne incinte.
Il terzo emendamento approvato è quello che prevede il patrocinio gratuito per le vittime. Anche qui: è un salto culturale notevole. Un salto simile a quello che deve aver spinto ad una sterzata di vita uno come Gianrico Carofiglio, scrittore di successo e già magistrato prestato alla politica.
Finiti i cinque anni passati sullo scranno di Palazzo Madama come senatore del Pd, Carofiglio ha deciso di non fare più il magistrato. E ieri, in un convegno organizzato dall’università telematica Ecampus, ha svelato di voler vestire i panni dell’avvocato. Ma non di un avvocato qualsiasi.
Gianrico Carofiglio vuole fare proprio l’avvocato delle vittime, con preferenza per le donne vittime di reati di violenza. «Ho la fortuna di non dover fare questo nuovo mestiere per denaro, per questo penso di poter scegliere chi difendere e stare dalla parte delle vittime donne è una cosa che mi porto dietro da molto tempo, da quando come pubblico ministero feci un processo per stalking quando ancora non esisteva il reato di stalking. Lo stalker si prese 24 anni di prigione e alcuni anni dopo io raccontai questa storia in un libro».

Il Corriere della Sera 27.09.13

“L’eversione bianca”, di Ezio Mauro

Adessi Silvio Berlusconi è solo davanti alla crisi di sistema che sta provocando. Anche se ha costretto i suoi parlamentari a firmare dimissioni in bianco per tentare un ultimo atto di forza che è in realtà una dichiarazione estrema di debolezza e di paura, è istituzionalmente solo.
La minaccia di un Aventino di destra ha infatti costretto il Capo dello Stato a denunciare “l’inquietante” strategia della destra, l’“inquietante” tentativo di forzare il Quirinale a sciogliere le Camere, la “gravità e l’assurdità” di evocare colpi di Stato e operazioni eversive contro Berlusconi, ricordando infine che le sentenze di condanna definitive si applicano ovunque negli Stati di diritto europei, così come Premier e Presidente della Repubblica non possono interferire con le decisioni di una magistratura indipendente, nel mondo in cui viviamo.
La gravità di questo richiamo, su elementari principi di democrazia, segnala l’emergenza istituzionale in cui siamo precipitati. Bisognava fermare per tempo — istituzioni, opposizioni, intellettuali, giornali, un establishment degno di questo nome — la progressione di un’avventura politica che costruiva se stessa come sciolta dalle leggi, dai controlli, dalle norme stesse della Costituzione: disuguale nella pratica abusiva, nel potere illegittimo e nella norma deformata secondo il bisogno. Ora si vedono i guasti, con la disperata pretesa di unire in un unico fascio tragico i destini di un uomo, del governo, del parlamento e del Paese, nell’impossibile richiesta di salvare dalla legge un pregiudicato per crimini comuni.
Bisogna fermarlo, subito. Tutte le forze che si riconoscono nella Costituzione devono dire basta, difendere i fondamentali della Repubblica, respingere l’estorsione politica, sconfiggere questa anomalia nel parlamento, nella pubblica opinione, nel voto. In Occidente non c’è spazio per questo sovvertimento istituzionale, per questa eversione bianca strisciante e ora firmata e conclamata.
Chi non la combatte è complice.

La Repubblica 27.09.13

“Adesso basta”, di Claudio Sardo

Adesso basta. La misura è colma. Le insolenti, deliranti risposte dei parlamentari Pdl e dei loro capigruppo all’allarme lanciato dal presidente della Repubblica sono inaccettabili. Guardando agli interessi dell’Italia, soprattutto delle classi più deboli, non sono venute meno le ragioni di un governo che affronti questa congiuntura terribile e realizzi alcuni cambiamenti economici e istituzionali, pur in assenza di una maggioranza politica.
Una resa all’ingovernabilità, dopo aver raccontato al mondo che ci stavamo preparando alla presidenza europea del 2014 e all’Expo del 2015, avrebbe l’effetto di accelerare il declino del Paese, di rendere ancora più improbabile un cambiamento futuro, di aprire la porta a nuove ondate speculative contro i risparmi degli italiani e i patrimoni delle imprese.
Ma Berlusconi è totalmente disinteressato all’Italia. È pronto a far saltare i fragili equilibri di un sistema vicino al collasso nel disperato tentativo di sottrarsi a una sentenza definitiva. Ed è pronto a portare il ricatto al vertice delle istituzioni. Il Capo dello Stato ha giustamente definito «inquietanti» le dimissioni di massa, annunciate dai parlamentari Pdl nel caso in cui il Senato – applicando una legge – ratifichi la decadenza di Berlusconi. E come rispondono i parlamentari Pdl? Firmando le dimissioni anticipate. Il presidente della Repubblica si ribella alle grida sul «colpo di Stato», anche perché la condanna definitiva è avvenuta dopo tre gradi di giudizio e dopo un procedimento durato dieci anni, più volte interrotto, boicottato dalle leggi ad personam approvate dalla destra. E come reagiscono i capigruppo Pdl? Ribadiscono che di «colpo di Stato» si tratta.
Già avevano fatto le prove della loro «insurrezione» con la marcia sul tribunale di Milano. Poi hanno cercato di minimizzare, sostenendo che si trattava di una passeggiata di salute. Il secondo affondo è avvenuto al tempo della richiesta di sospensione delle attività della Camera. In quell’occasione il Pdl ripiegò, chiedendo una pausa di tre ore per svolgere l’assemblea di gruppo. Atti dimostrativi, seppure di significato eversivo. Ma provocarono entrambi tensioni e lacerazioni nella sinistra, divisa tra la difesa degli interessi nazionali legati alla continuità del governo e l’offesa subìta con l’oltraggio istituzionale. Proprio la divisione del campo avverso era (ed è) lo scopo politico dell’estremismo berlusconiano.
Berlusconi vuole la crisi di governo e le elezioni. Ma ha paura. Non sa se avrà la forza di far cadere il governo. E non sa neppure se, dopo la caduta del governo, otterrà subito le elezioni. Per questo adotta la strategia del logoramento. Logoramento del governo e del Pd. I suoi strappi sono finalizzati a rendere impossibile l’azione di Letta e troppo costoso il sostegno dei democratici. L’Italia, come dicevamo, è lontana mille miglia dai suoi pensieri. Qualcuno dei suoi amici ha provato a spiegargli che il colpo per il Paese sarà talmente duro da far traballare le sue stesse aziende. Ma Berlusconi non intende mettersi da parte, non vuole accettare la sentenza, non vuole affrontare gli altri processi. Se il governo Letta arrivesse a fine 2014, il passaggio di testimone nella destra sarebbe inevitabile, tanto più con il Cavaliere agli arresti domiciliari o ai servizi sociali.
Berlusconi sa di non poter vincere le elezioni. Ma vuole negare la legittimità della sentenza contrapponendo ad essa la legittimazione di un consenso residuo al simbolo con il suo nome.
E vuole che si torni al voto senza riforme elettorali e istituzionali: così anche il prossimo vincitore sarà azzoppato e il suo partito continuerà ad avere potere di interdizione.
È stato chiaro fin dal primo giorno che la battaglia politica di questa legislatura si sarebbe combattuta anzituto all’interno del governo senza intese (definito delle «larghe intese» principalmente dai suoi antagonisti). E la battaglia ora è al punto finale. La strategia del logoramento è diventata insostenibile per l’Italia. Che senso ha aumentare le accise per rinviare di tre mesi l’aumento di un punto di Iva, se l’instabilità provocata da Berlusconi costa in termini di tassi di interesse sul debito più di questa operazione? Che senso ha la diplomazia di Letta e Saccomanni, fondata sull’affidabilità dei nostri conti, se il sabotaggio del Pdl porta a destabilizzarli? Che senso ha la politica dei sacrifici nel 2013, finalizzata ad ottenere un bonus di investimenti europei nel 2014, se poi Berlusconi affonderà il governo e il bonus cadrà?
Il leader del Pdl gioca contro gli interessi di ciascuno di noi, e soprattutto di chi ha più bisogno di un governo che affronti le emergenze. Ma ora basta: il limite è stato superato. Berlusconi deve scegliere e, visto che è ancora senatore per qualche giorno, deve dirlo in Parlamento. È disposto a sostenere il governo fino alla fine del 2014? Se risponde sì, deve sapere che la legge sarà comunque rispettata e che la decadenza da parlamentare sarà inevitabile. Ma deve anche sapere che la legge di Stabilità e la manovra fiscale di fine anno vanno improntate a criteri di equità: è impensabile che il 10% più ricco del Paese venga esentato dal pagamento dell’Imu e che questo costo sia pagato dalle famiglie più povere, dai disoccupati, da chi non arriva alla fine del mese.
I giochi sono finiti. Non pensi Berlusconi di saltare ancora da un ricatto sulla Costituzione ad un altro sulle tasse. Il logoramento ha gli stessi effetti, sulla società e sulle speculazioni, di una rottura immediata. I giochi sono finiti anche per i parlamentari del Pdl. Decidano ora se seguire il loro capo in questa follia o ribellarsi. Il governo non può certo andare avanti, impostando la presidenza italiana dell’Ue e le riforme elettorali e istituzionali, con due o tre senatori di vantaggio. Per andare avanti è necessaria una maggioranza stabile, con numeri solidi. Non si può perdere altro tempo dopo la vergognosa sceneggiata Pdl, mentre il presidente del Consiglio a Wall Street proponeva investimenti sull’Italia. E anche il Pd si dia una regolata: non sarebbe una vergogna minore se oggi, in direzione, mancasse ancora l’intesa sulle regole. A questo punto, o c’è l’intesa di tutti o non c’è più un partito. E speriamo anche che, in questo drammatico confronto sul governo, non ci sia qualcuno nel Pd che offra a Berlusconi una sponda sulle elezioni anticipate. Se vuole far cadere il governo, si deve prendere da solo e per intero la responsabilità

L’Unità 27.09.13

“G8, la catastrofe della Maddalena”, di Carlo Bonini

Nel 2009 avrebbe dovuto ospitare il vertice dei grandi della Terra. Ma il trasferimento del summit a L’Aquila rese i lavori portati a termine a tempo di record, con costi ingentissimi, inutili o quasi. L’ex Arsenale, promise Guido Bertolaso all’epoca plenipotenziario della Protezione Civile, aveva un destino da alberghi di lusso e yacht club. Le previste bonifiche a mare, non effettuate, hanno bloccato il turismo. I costi rischiano di lievitare ancora. E di molto. Mentre Regione, ministero dell’Ambiente e Comune si scaricano le responsabilità del disastro
LA MADDALENA – Esistono catastrofi che il silenzio in cui sono state sprofondate, se possibile, rende ancora più intollerabili. E il G8 sull’Isola della Maddalena è una di quelle. Quattrocento milioni di euro di denaro pubblico hanno consegnato 27mila metri quadrati di edifici, 90mila metri di aree a terra e 110mila di mare al nulla di un progetto privato di fatto mai partito (un polo di lusso per la vela gestito dalla Mita Resort dell’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia). Ai veleni liberati dai fondali della darsena dell’ex Arsenale militare, mercurio e idrocarburi pesanti, la cui dispersione ha raggiunto, sedimentandosi in profondità, l’area limitrofa allo specchio di mare del Parco della Maddalena.

Mezzo milione di Imu. Ogni anno, la Regione Sardegna paga 500mila euro di Imu per strutture architettoniche di avanguardia in cui, in 4 anni e mezzo, non ha messo piede anima viva, abitate soltanto dal maestrale e dalla ruggine di pilastri e tiranti cui non è stata dedicata alcuna manutenzione. Il mare chiede bonifiche urgenti per le quali non esistono risorse sufficienti e lì dove pure esistono impongono un accordo tra amministrazioni dello Stato (Presidenza del Consiglio, ministero, Regione, Comune) non ancora raggiunto. Ogni giorno che passa, ogni inverno che spazza l’Isola, il conto sale. I 400 milioni di denaro pubblico diventeranno presto 500, o forse addirittura 600, necessari a recuperare quello che si sta mandando in malora e a pagare il conto dei danni chiesti dal privato – la Mita di Emma Marcegaglia – che oggi lamenta di aver avuto in concessione quarantennale una Grande Opera che di grande avrebbe solo le lettere maiuscole. Una società che per giunta quella concessione si aggiudicò con un bando sartoriale che la vide non a caso facile vincitrice. Una società che avrebbe dovuto pagare 31 milioni di una tantum in 3 rate alla Protezione Civile e canoni annuali alla Regione di 60mila euro per 40 anni, ma che, dal 2009 a oggi, non ha sborsato un solo centesimo.

Il saccheggio e l’inganno. “La Maddalena è un’altra Ilva”, sostiene oggi Stefano Boeri, l’architetto che ha progettato la “Casa sull’acqua” dell’ex Arsenale, che per quel progetto deve ancora essere pagato (il suo debitore, il costruttore e corruttore Diego Anemone, ha dichiarato fallimento) e sotto i cui occhi quelle opere si sono trasformate in fantasmi. Regione, Protezione Civile, Mita Resort “sono come le tre scimmiette sul comò”, frusta Angelo Comiti, che dell’Isola è il sindaco, ma più giusto sarebbe dire il primo naufrago, sintetizzando un’immagine e una filastrocca. Anche perché, senza girarci troppo intorno, la verità è che mille e seicento giorni dopo il 23 aprile del 2009, le parole con cui l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annunciò il trasferimento della sede del G8 dalla Maddalena all’Aquila e l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso rassicurò l’Isola promettendo di averle quantomeno lasciato in eredità una Grande Opera che sarebbe diventata il volano di un’economia rimasta orfana della chiusura della base americana, dimostrano il cinismo di un inganno. Costruito intorno a un format che abbiamo imparato a conoscere con lo svelamento del Sistema Balducci-Protezione Civile. Dove lo Stato perde sempre. Nella fase iniziale di progettazione e realizzazione delle opere (gravate di un 30-50 per cento di maggiorazioni “in conto corruzione”). Nella fase di concessione al privato (regolarmente a prezzi di saldo). E nella sua fase finale, altrettanto regolarmente affidata al contenzioso “arbitrale”, dove lo Stato, ancora una volta, si dispone docilmente a soccombere alla richiesta danni del privato (la Mita Resort in questo caso) nei cui confronti finisce per risultare inadempiente. Per non aver “mai consegnato i verbali di collaudo”. Per non aver bonificato quel che c’era da bonificare.

La bonifica velenosa. Già, un caso di scuola, la Maddalena. Non c’è angolo della Grande Opera che non porti le stimmate del Sistema. A cominciare dal mare su cui si affaccia. A fine luglio scorso, la Procura di Tempio Pausania, ha chiuso due anni di indagini del pm Riccardo Rossi e del Noe dei carabinieri di Sassari ed è pronta a chiedere 17 rinvii a giudizio per chi avrebbe dovuto bonificare i 60mila metri dello specchio d’acqua dell’ex Arsenale e, al contrario, lo ha avvelenato una seconda volta. In quel 2009, ballavano 7 milioni di euro per la bonifica e bisognava fare in fretta. Grattarono 50 centimetri di fondale marino di fronte all’ex Arsenale con le benne delle ruspe, smuovendo morchia e veleni depositati in mezzo secolo dalla Marina Militare italiana. E il dragaggio, per giunta, fu fatto a sbalzi, per accumulare più in fretta detriti. Mercurio e idrocarburi pesanti si dispersero in mare e le correnti hanno fatto il resto. Portando i sedimenti velenosi fino ai confini delle acque del Parco e obbligando a una nuova bonifica (per cui oggi non ci sono fondi sufficienti e non è stato ancora approvato un progetto) su un area grande il doppio di quella iniziale.

Danni imprevedibili. Nessuno sa o può dire, in questo momento, quanto tutto questo abbia già intossicato o possa intossicare l’eco-sistema di uno degli angoli più belli del Mediterraneo (la situazione è monitorata dal Parco della Maddalena e dall’Arpas). Esattamente come nessuno sa prevedere i tempi dell’accertamento delle responsabilità dei 17 indagati per questo disastro dalla Procura di Tempio, una di quelle sedi giudiziarie, per dirne una, dove a metà settembre il tribunale è andato a fuoco notte-tempo per un tostapane e dove i gip si arrangiano nelle udienze preliminari in una ex scuola elementare.

Diciassette inquisiti. Già, i 17. Sono l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso (falso in atti pubblici, truffa ai danni dello Stato, inquinamento ambientale); l’ex presidente del Consiglio Nazionale dei lavori pubblici Angelo Balducci; Marco Rinaldi e Matteo Canu, responsabili dell’impresa appaltatrice delle bonifiche in mare, la “Cidonio” di Roma; l’ex capo della struttura di missione per il G8 Mauro Della Giovanpaola; il direttore dei lavori Luigi Minenza; l’ingegnere e direttore operativo Riccardo Micciché; il responsabile unico del procedimento Ferdinando Fonti; il provveditore per le opere pubbliche e magistrato delle Acque del Veneto Patrizio Cuccioletta; i “collaudatori” Andrea Giuseppe Ferro e Valeria Olivieri e il segretario della loro commissione, Luciano Saltari; l’ex provveditore ai lavori pubblici per la Toscana Fabio De Santis, l’ingegnere sismico Gian Michele Calvi, il responsabile nazionale dell’Ispra (ministero dell’Ambiente) Damiano Scarcella e il dirigente del ministero dell’Ambiente Gianfranco Mascazzini. Un elenco in cui si rintraccia il filo rosso dei nomi di quella struttura di malaffare battezzata la “Cricca della Ferratella”. Oggi a processo a Roma e a Firenze in dibattimenti che raramente, a distanza di 4 anni e mezzo, hanno conosciuto un verdetto di primo grado e, in molti casi, languono ancora davanti a un gip in udienza preliminare.

La grande fuga. I tempi della giustizia penale, ammesso e non concesso che una qualche giustizia riuscirà ad arrivare in tempo, hanno comunque consentito intanto allo Stato di squagliarsela. La Maddalena, che in quei giorni del 2009, era stata battezzata “sito di interesse nazionale” è stata declassata a “sito di interesse regionale” da Corrado Clini, ministro dell’ambiente del governo Monti. La legge di riforma della Protezione Civile ha fatto il resto. Il Grande Nulla dell’ex Arsenale è oggi in carico alle finanze sfiancate degli Enti locali, che non hanno risorse per farlo risorgere dal buco in cui è sprofondato. La Protezione Civile di Franco Gabrielli non ritiene di avere più parte in causa nel capolavoro di Guido Bertolaso (ora tornato a fare il medico volontario in Africa) e non intende (“perché non più competente”) partecipare né alla partita delle bonifiche, né fare fronte alle richieste risarcitorie di Mita Resort. Il ministero dell’Ambiente non ha più titolo per convogliare risorse su un angolo del territorio sottratto alla sua gestione diretta. La Politica, nazionale e locale, ha altro a cui pensare. Le 12mila anime dell’Isola hanno un valore nella partita del consenso pari a zero. Naufraghi, appunto. Come l’uomo che li rappresenta, Angelo Comiti. Che in un mattino grigio di settembre, si aggira per l’ex Arsenale come un condannato all’insensatezza e al cinismo di chi non vuole né vedere, né ascoltare. E per questo ripete quella litania che dice tutto. “Tre scimmiette sul comò”.

da repubblica.it

Paestum (Sa) – Stati Generali dell’Archeologia – BMTA

L’area adiacente al Tempio di Cerere (Salone Espositivo, Laboratori di Archeologia Sperimentale e 2 Sale Convegni), il Museo Archeologico Nazionale (ArcheoVirtual, Conferenze, Workshop con i Buyers Esteri), la Basilica Paleocristiana (Conferenza di apertura, ArcheoLavoro ed Incontri con I Protagonisti) sono le nuove location della XVI edizione della Borsa d’intesa con il MiBAC, al fine di valorizzare al meglio l’area archeologica della città antica di Paestum.
Si segnala per venerdì 15, presso il Museo ore 14.00 – 19.00
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STATI GENERALI DELL’ARCHEOLOGIA “IL PUNTO SULLA PROFESSIONE”
a cura della Direzione Generale per le Antichità del MiBACT in collaborazione con ANA Associazione Nazionale Archeologi, CIA Confederazione Italiana Archeologi, ASSOTECNICI

introduce
Luigi Malnati Direttore Generale DG per le Antichità

partecipano
Salvo Barrano Presidente ANA
Irene Berlingò Presidente ASSOTECNICI
Adele Campanelli e Marco Minoja Rappresentanti dei dirigenti archeologici della Conferenza dei dirigenti del MiBACT
Alessandro Pintucci Presidente CIA
Angela Pontrandolfo Coordinatore Consulte Universitarie di Archeologia

intervengono
Manuela Ghizzoni Vice Presidente VII Commissione Cultura, scienza e istruzione Camera dei Deputati
Andrea Marcucci Presidente VII Commissione Istruzione pubblica, beni culturali Senato della Repubblica
Ilaria Borletti Buitoni Sottosegretario di Stato al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo